Kitabı oku: «Una Nuova Chance», sayfa 3

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Caleb Kellerman annuì. “Qualunque cosa per fare in modo che chi ha fatto questo venga preso” disse. “Qualunque cosa.”

C’era rabbia nella sua voce e Mackenzie sperava che qualcuno gli avrebbe offerto assistenza psicologica nei giorni a venire. I suoi occhi avevano una luce quasi folle.

“Dunque, innanzi tutto devo sapere se Susan avesse dei nemici... chiunque potesse essere considerato un rivale.”

“C’erano alcune ragazze, ex compagne di classe delle superiori, con cui battibeccava su Facebook” disse Caleb. “Di solito però era a proposito di politica. E comunque nessuna di loro avrebbe fatto una cosa del genere. Si trattava solo di piccole discussioni e cose così.”

“E che mi dice del lavoro?” proseguì Mackenzie. “Le piaceva?”

Caleb scrollò le spalle. Tornò a sedersi sul divano tentando di rilassarsi. Il volto, però, rimase accigliato. “Le piaceva come a qualunque ragazza che dopo l’università trova un lavoro che non ha niente a che fare con la sua laurea. Riusciva a pagare le bollette e a volte prendeva extra niente male. Gli orari però erano uno schifo.”

“Conosceva i suoi colleghi?” chiese Mackenzie.

“No. Ne sentivo parlare quando mi raccontava qualcosa qui a casa, ma niente di più.”

Bryers intervenne. La sua voce pareva molto diversa nella quiete della casa, il tono più cupo. “Era una rappresentante, esatto? Per l’Università del Miglioramento?”

“Sì. Ho già dato alla polizia il numero del suo superiore.”

“I miei colleghi hanno già parlato con lui” disse Bryers.

“Non ha importanza” disse Caleb. “Non è stato nessuno che lavorava con lei ad ucciderla. Ve lo garantisco. So che può sembrare stupido, ma sento che è così. Tutti i suoi colleghi sono brave persone... nella nostra stessa situazione, cercano di pagare le bollette e arrivare a fine mese. Gente onesta, insomma.”

Per un attimo sembrò sul punto di piangere. Ricacciò indietro le lacrime, fissò il pavimento cercando di riprendersi, quindi risollevò lo sguardo. Le lacrime che era riuscito a fermare gli luccicavano agli angoli degli occhi.

“D’accordo, allora le viene in mente altro che potrebbe metterci sulla pista giusta?” domandò Bryers.

“Niente” disse Caleb. “Aveva con sé un elenco con le persone a cui avrebbe fatto visita quel giorno, ma non si riesce a trovare. Gli sbirri dicono che probabilmente l’ha preso e distrutto l’assassino.”

“Probabilmente è andata così” commentò Mackenzie.

“Io ancora non ci credo” disse Caleb. “Non sembra reale. Mi aspetto che entri da quella porta da un momento all’altro. Il modo in cui è morta... la giornata era iniziata come tutte le altre. Mi ha dato un bacio sulla guancia mentre mi vestivo per andare al lavoro e mi ha salutato. È andata alla fermata dell’autobus e basta, quella è stata l’ultima volta che l’ho vista.”

Mackenzie si accorse che Caleb stava per cedere e, anche se non le sembrava la cosa giusta da fare, c’era un’ultima domanda che voleva porgli prima che crollasse.

“Fermata dell’autobus?” chiese.

“Sì, tutti i giorni si recava in ufficio in autobus; prendeva quello delle otto e venti per arrivare in orario. La macchina ci ha lasciati a piedi due mesi fa.”

“Dove si trova la fermata?” volle sapere Bryers.

“A due isolati da qui” rispose Caleb. “È una fermata con la capannina.” Guardò Mackenzie e Bryers con un’improvvisa speranza che si affacciava nello sguardo, sotto il dolore e la rabbia.

“Perché? Credete che sia importante?”

“Non possiamo esserne certi” spiegò Mackenzie. “Ma le faremo sapere se impariamo qualcosa. Grazie del suo tempo.”

“Di niente” disse Caleb. “Ehi, ragazzi...?”

“Sì?” disse Mackenzie.

“Sono passati più di tre giorni ormai, vero? Tre giorni dall’ultima volta che l’ho vista e quasi due giorni da quando è stato scoperto il suo corpo.”

“Esatto” disse piano Bryers.

“Allora è troppo tardi? Quel bastardo la farà franca?”

“No” disse Mackenzie. Le era uscito di bocca prima che riuscisse a fermarlo e capì subito di aver commesso il suo primo errore con Bryers.

“Faremo tutto ciò che possiamo” disse Bryers, posando gentilmente una mano sulla spalla di Mackenzie per guidarla verso l’uscita. “La preghiamo di contattarci se le venisse in mente qualcosa di utile.”

Detto ciò, se ne andarono. Mackenzie provò un brivido quando udì Caleb non riuscire più a trattenersi e singhiozzare prima che si fossero chiusi la porta alle spalle.

Quel suono le fece provare qualcosa... qualcosa che le ricordava casa sua. L’ultima volta che aveva provato quella sensazione era stato quando cercava disperatamente di fermare il Killer dello Spaventapasseri, in Nebraska. Anche adesso, scendendo gli scalini d’ingresso di Caleb Kellerman, avvertì quel bisogno incontrollabile e comprese che non si sarebbe fermata davanti a niente pur di catturare l’assassino.

CAPITOLO QUATTRO

“Non puoi fare così” disse Bryers nell’istante in cui furono di nuovo in auto e si mise al volante.

“Così come?”

Sospirò e fece del suo meglio per sembrare più sincero che severo. “Mi rendo conto che probabilmente non ti sei mai trovata in una situazione esattamente come questa prima, ma non puoi dire alla famiglia della vittima che no, l’assassino non la farà franca. Non puoi dare false speranze se non ce ne sono. Accidenti, anche se ci sono non puoi dire una cosa del genere.”

“Lo so” disse lei dispiaciuta. “L’ho capito nell’istante in cui mi è uscita la parola di bocca. Mi dispiace.”

“Non c’è bisogno che ti scusi. Cerca solo di fare attenzione d’ora in poi. Ok?”

“Ok.”

Dato che Bryers conosceva la città meglio di Mackenzie, fu lui a guidare fino al Dipartimento dei Trasporti Pubblici. Andava piuttosto veloce e chiese a Mackenzie di telefonare prima che arrivassero, per fare in modo che potessero immediatamente parlare con qualcuno che fosse a conoscenza delle informazioni che servivano. Era un espediente davvero semplice, ma Mackenzie rimase colpita dalla sua efficienza. Era decisamente tutt’altra cosa rispetto a quello a cui era abituata in Nebraska.

Bryers fece conversazione durante tutta la mezz’ora del tragitto. Volle sapere tutto di quando era nelle forze dell’ordine del Nebraska, in particolare a proposito del caso del Killer dello Spaventapasseri. Le chiese dell’università e dei suoi interessi. Lei gli parlò con piacere degli aspetti più superficiali della sua vita, senza scendere troppo nei particolari, anche perché lui stesso non ne aveva forniti molti su di sé.

In effetti, Bryers pareva riservato. Quando Mackenzie gli aveva chiesto della sua famiglia, lui aveva dato meno dettagli che gli riuscisse senza apparire maleducato. “Una moglie, due figli al college e un cane con una zampa nella fossa.”

Be’, pensò Mackenzie, è soltanto il nostro primo giorno di lavoro insieme e lui non mi conosce; sa solo quello che hanno detto di me i giornali sei mesi fa e i dati nel fascicolo che tiene l’Accademia su di me. Non lo biasimo se non si apre molto.

Quando giunsero al Dipartimento dei Trasporti Pubblici, Mackenzie aveva ancora una buona opinione sull’agente più anziano, però c’era tra loro una tensione che non comprendeva del tutto. Forse lui non ci aveva fatto caso ed era soltanto lei ad avvertirla. Il fatto che avesse praticamente eluso ogni domanda che lei gli aveva fatto sul suo lavoro la faceva sentire a disagio. Inoltre le rammentò che quello non era ancora il suo lavoro, non ufficialmente. Stava semplicemente facendo un favore ad Ellington, una specie di giro di prova, per così dire.

Non solo, aveva potuto partecipare alle indagini grazie a sotterfugi che i superiori avevano accettato perché avevano scommesso su di lei. Questo aumentava il rischio non soltanto per lei, ma anche per le persone con cui lavorava, inclusi Ellington e Bryers.

Il Dipartimento dei Trasporti era situato in un edificio che ospitava un’altra decina di dipartimenti. Mackenzie fece del suo meglio per stare dietro all’Agente Bryers mentre percorreva i corridoi. Camminava svelto, facendo dei cenni del capo alle persone che incrociavano come se conoscesse già quel posto. Qualcuno lo riconobbe e lo salutò sorridente con la mano. La giornata stava per concludersi, quindi tutti sembravano aver fretta che arrivassero le cinque.

Arrivati nella sezione dell’edificio di loro interesse, Mackenzie si concesse un momento per apprezzare la sua situazione. Soltanto quattro ore prima stava uscendo da una lezione di McClarren, mentre adesso era dentro fino al collo in un caso di omicidio, in collaborazione con un agente che sembrava ben addestrato e dannatamente bravo nel suo lavoro.

Si avvicinarono ad un bancone e Bryers si sporse leggermente, rivolgendosi alla giovane donna che sedeva all’altro capo di esso. “Abbiamo chiesto per telefono di parlare con qualcuno degli orari degli autobus” spiegò alla donna. “Agenti White e Bryers.”

“Ah, sì” disse la segretaria. “Sarà la signora Percell a parlare con voi. È sul retro, nel deposito di autobus. Andate in fondo al corridoio, scendete le scale e uscite sul retro.”

Seguendo le indicazioni della segretaria, andarono sul retro dell’edificio, dove Mackenzie poteva già udire il rombo dei motori. L’edificio era progettato in modo che il rumore non fosse affatto percepibile nelle altre parti, mentre lì sul retro sembrava di trovarsi in un’officina.

“Quando incontreremo questa signora Percell” disse Bryers, “voglio che sia tu a parlarle.”

“D’accordo” disse Mackenzie, provando di nuovo la sensazione di dover superare un esame.

Scesero le scale seguendo un cartello con scritto Garage/ Deposito Autobus. Una volta scesi, uno stretto corridoio li portò in un piccolo ufficio. Un uomo che indossava una divisa da meccanico sedeva dietro a un vecchio computer. Attraverso un finestrone, Mackenzie riuscì a dare un’occhiata al vasto garage. C’erano parcheggiati molti autobus che erano in fase di manutenzione. Mentre guardava, una porta sul retro dell’ufficio si aprì e una donna sovrappeso e dall’aspetto sorridente entrò dal garage.

“Siete voi quelli dell’FBI?”

“Siamo noi” confermò Mackenzie. Al suo fianco, Bryers mostrò il distintivo – probabilmente perché lei non ne aveva uno da mostrare. La Percell parve convinta e iniziò subito a parlare.

“A quanto ho capito, vi servono informazioni sugli orari degli autobus e sui turni degli autisti” disse.

“Esattamente” rispose Mackenzie. “Speriamo di riuscire a risalire alle fermate che ha fatto un autobus tre mattine fa e, se possibile, vorremmo scambiare due parole con l’autista.”

“Certo” disse la donna. Andò alla piccola scrivania dove il meccanico stava digitando qualcosa sulla tastiera e gli diede una spintarella scherzosa. “Doug, lasciami il timone, per favore.”

“Con piacere” disse lui sorridendo. Si allontanò dalla scrivania e se ne andò in garage, mentre la signora Percell si mise al computer. Picchiettò qualche tasto poi tornò a sollevare lo sguardo su di loro, chiaramente orgogliosa di poter essere d’aiuto.

“Qual è la fermata che vi interessa?”

“All’angolo tra la Carlton e Queen Street” disse Mackenzie.

“A che ora pensate che sia salita la persona?”

“Alle otto e venti del mattino.”

La signora Percell digitò rapidamente le informazioni e osservò lo schermo un istante prima di parlare. “L’autobus era il numero 2021, guidato da Michael Garmond. Quell’autobus fa tre fermate prima di tornare di nuovo a quella fermata per la corsa delle nove e trentacinque.”

“Dobbiamo parlare con il signor Garmond” disse Mackenzie. “Potrebbe dirci come contattarlo?”

“Posso fare di meglio” disse la signora Percell. “Michael è nel garage adesso, ha appena terminato il suo turno di lavoro. Vedrò di intercettarlo per voi.”

“Grazie” disse Mackenzie.

La signora Percell si precipitò alla porta con una velocità che pareva impossibile per la sua stazza. Mackenzie e Bryers la osservarono mentre si aggirava per il deposito in cerca di Michael Garmond.

“Se fossero tutti così entusiasti di aiutare i federali” disse Bryers sogghignando. “Fidati... non farci l’abitudine.”

La signora Percell tornò nel piccolo ufficio meno di un minuto dopo, seguita da un uomo di colore più anziano. Sembrava stanco ma, proprio come la signora Percell, più che felice di collaborare.

“Salve, ragazzi” li salutò con un sorriso fiacco. “Come posso aiutarvi?”

“Stiamo cercando dettagli su una donna che siamo quasi sicuri sia salita sul suo autobus alle otto e venti di tre mattine fa, alla fermata tra la Carlton e la Queen” disse Mackenzie. “Crede di poterci aiutare?”

“Probabilmente sì” disse Michael. “Non ci sono molte persone a quella fermata la mattina. Non ne salgono più di quattro o cinque.”

Bryers estrasse il cellulare, trovò una foto di Susan Kellerman e la mostrò all’uomo. “Si tratta di lei” disse. “Le sembra familiare?”

“Ehi, sì che lo è” disse Michael con un po’ troppa eccitazione secondo Mackenzie. “È una ragazza dolce e sempre garbata.”

“Si ricorda dove è scesa dall’autobus tre mattine fa?”

“Sì” disse Michael. “E mi ricordo che era strano, perché per almeno due settimane tutte le mattine era scesa a un’altra fermata. Una volta ho chiacchierato un po’ con lei e ho imparato che si faceva due isolati a piedi dalla sua solita fermata per andare in ufficio. Invece tre giorni fa è scesa alla stazione e ho visto che poi ha preso un altro autobus. Speravo avesse trovato un lavoro migliore e fosse per quello che aveva cambiato percorso.”

“Dov’è scesa?” volle sapere Mackenzie.

“A Dupont Circle.”

“Più o meno a che ora?”

“Probabilmente intorno alle nove meno un quarto” rispose Michael. “Di sicuro non più tardi delle nove.”

“Possiamo controllare nei registri” si intromise la signora Percell.

“Sarebbe perfetto” disse Bryers.

La signora Percell si rimise al lavoro dietro la scrivania sudicia, mentre Michael osservava gli agenti con aria sconsolata. Guardò di nuovo la fotografia sul cellulare di Bryers e si accigliò. “Le è successo qualcosa di brutto?” chiese.

“A dire il vero sì” disse Mackenzie. “Perciò qualunque cosa sia in grado di dirci su di lei quella mattina sarebbe utile.”

“Dunque, aveva con sé una valigetta, del tipo che hanno i rappresentanti. Non una ventiquattrore, una valigetta bella ingombrante. Il suo lavoro consisteva nel vendere merce, come integratori e simili. Immagino che quella mattina stesse andando da un cliente.”

“Saprebbe dirmi quale autobus ha preso dopo che è scesa dal suo?” chiese Mackenzie.

“Be’, non ricordo il numero dell’autobus, però mi ricordo che sul pannello luminoso la destinazione indicata era Black Mill Street. Ho pensato che fosse una parte della città troppo losca per quella ragazza.”

“Come mai?”

“Il quartiere in sé è okay, credo. Le case non sono così male e direi che anche le persone che ci abitano sono perbene. È solo che è uno di quei posti dove bazzica anche della brutta gente. Quando ho seguito l’addestramento per questo lavoro sei anni fa, avvisavano gli autisti dei posti pericolosi dove fare più attenzione. Black Mill Street era uno di quei posti.”

Mackenzie rifletté e si accorse che avevano ottenuto tutte le informazioni utili possibili da Michael Garmond. Voleva apparire efficiente agli occhi di Bryers, ma non voleva passare per quella che sprecava tempo su inutili dettagli.

“Grazie, signor Garmond” disse.

“La fermata a Dupont Circle è stata effettuata alle otto e quarantotto, agenti” li informò la signora Percell dalla scrivania.

Si voltarono e si diressero all’uscita, senza parlare finché non furono sulle scale. Fu Bryers ad interrompere il silenzio.

“Da quanto sei qui a Quantico?” le chiese.

“Undici settimane.”

“Allora probabilmente non conosci bene la periferia della città, dico bene?”

“Esatto.”

“Sei mai stata a Black Mill Street?”

“Direi proprio di no” disse Mackenzie.

“Non ti sei persa molto. Però non è detto che dobbiamo andare fin laggiù. Prima diamo un’occhiata a Dupont Circle. Forse possiamo trovare qualcosa dai filmati delle telecamere di sicurezza.”

“Adesso?”

“Sì, adesso” disse Bryers. La sua voce aveva una sfumatura di irritazione, il primo segnale che stava iniziando a stancarsi di trascinarsi in giro una novellina, per quanto fosse promettente. “Quando c’è un assassino a piede libero non stiamo certo a timbrare il cartellino.”

Mackenzie aveva una risposta sulla punta della lingua, ma se la morse. Aveva ragione lui. Una cosa che aveva imparato dalla sua odissea con il Killer dello Spaventapasseri era che, quando davi la caccia a un assassino che non sembrava seguire un modus operandi, ogni minuto era prezioso.

CAPITOLO CINQUE

La ressa dell’ora di punta delle cinque alla stazione di Dupont Circle stava iniziando a scemare quando Mackenzie e Bryers giunsero lì. Ancora una volta, la conversazione che avevano avuto lungo il tragitto si era mantenuta superficiale e Bryers era sempre riservato. Quando scesero dalla macchina e si avviarono a piedi verso la stazione, per la prima volta Mackenzie si sentì a disagio. Non pensava che ce l’avesse con lei, ma probabilmente stava mettendo in dubbio il piano elaborato da Ellington.

Bryers pose fine al silenzio fra loro quando entrarono nella stazione. Si mise di fianco alle porte e osservò la folla.

“Conosci questo posto?” domandò.

“No” disse Mackenzie. “Sono sempre andata in Union Station.”

Bryers scrollò le spalle. “Non importa in quale stazione ti trovi; ci sarà sempre un angolo malfamato. Il peggio è che di solito è ben nascosto.”

“Quindi credi che qualcuno l’abbia rapita mentre tornava a casa? Che qualcuno l’abbia presa qui, mentre aspettava la coincidenza degli autobus?”

“È una possibilità. E tu, cosa pensi?”

“Io penso che dovremmo controllare Black Mill Street. Sia tu che l’autista avete detto che è un postaccio.”

“Infatti probabilmente finiremo lì” disse Bryers. “Però sto seguendo un’intuizione. Quando hai lavorato in questa città abbastanza a lungo, inizi ad avere intuizioni per certe cose.”

Il suo modo criptico di parlare era irritante, ma Mackenzie pensò che avrebbe potuto imparare davvero qualcosa soltanto stando zitta e osservando. Dopo essere rimasto fermo vicino alle porte a guardare la folla per circa un minuto, Bryers avanzò lentamente, facendo segno a Mackenzie di seguirlo. Lei gli rimase vicino, ma non così tanto da farlo sentire tallonato. Procedeva nella folla con noncuranza, come se fosse lì senza uno scopo preciso. Si confondeva piuttosto bene con gli altri; solo qualcuno che si fosse preso la briga di studiarlo con attenzione avrebbe potuto sospettare che era un agente delle forze dell’ordine.

Attraversarono l’atrio e uscirono nello spiazzo dove sei autobus erano in attesa. Da due di essi stavano scendendo delle persone, mentre gli altri erano in attesa di passeggeri. Mentre si avvicinavano, Mackenzie osservò i pannelli con la destinazione al di sopra dei parabrezza. Per quanto ne capiva, le prime fermate di tutti gli autobus erano all’interno dell’area storica di Georgetown.

“Da questa parte” la richiamò Bryers.

Mackenzie distolse lo sguardo dagli autobus e seguì Bryers. Quando si furono lasciati gli autobus alle spalle, la folla era diminuita. Voltando l’angolo, all’improvviso la situazione sembrò cambiare radicalmente. C’erano poche persone in giacca e cravatta o abiti casual. Vide un senzatetto seduto con la schiena al muro e tre adolescenti vestiti tutti di nero e pieni di orecchini, piercing e tatuaggi.

Bryers rallentò, osservando la scena. Mackenzie lo imitò, provando a studiare il luogo e le persone nel suo stesso modo. Le ci vollero soltanto pochi secondi prima di notare qualcosa che la mise in allarme.

Un ragazzo vestito con maglietta e jeans e i capelli cortissimi, quasi un taglio militare, parlava con una ragazza che non poteva avere più di sedici anni. Mackenzie riconobbe l’espressione sul volto della giovane, perché era comune tra le ragazzine della sua età: le piacevano le attenzioni del ragazzo, ma allo stesso tempo si sentiva a disagio. Vide che il ragazzo teneva una mano in tasca. Era quasi certa che non tenesse una pistola, ma c’erano molte altre cose che poteva nascondere.

Bryers le parlò senza voltarsi: “Lo vedi?”

“Il ventenne rasato che parla con la minorenne?” chiese.

“Bingo.”

Tuttavia non si mossero. Mackenzie sapeva perché, anche se non le piaceva il modo in cui la scena stava proseguendo. Bryers stava aspettando che il tizio facesse una mossa, qualcosa che gli avrebbe dato una scusa per intervenire.

Osservarono gli sviluppi mentre cercavano di mescolarsi alle altre persone. Mackenzie provò l’impulso di entrare in azione, dato che immaginava già come sarebbe andata avanti la cosa. Il ragazzo si fece sempre più vicino, cercando di catturare lo sguardo della ragazza sorridendo; lei ricambiò il sorriso flirtando, anche se continuava a fissare il suolo.

Lentamente, allungò una mano e le toccò una spalla. Dopo poco, la ragazza si ritrasse in imbarazzo. Lui sghignazzò e si avvicinò nuovamente, cingendola con un braccio. Tentò di stringerla, ma lei fece un passo indietro. Un’espressione di frustrazione gli attraversò il volto, quindi si fece ancora una volta avanti, stavolta un po’ alterato. Quando cercò ancora di abbracciarla, Bryers fece un passo avanti. Mackenzie lo seguì, cercando di limitarsi al ruolo di allieva.

“C’è qualche problema?” chiese Bryers portandosi davanti alla ragazza. “Questo tizio ti sta importunando?”

La ragazza alzò lo sguardo stupita. Subito parve sollevata, poi però tornò a fissare il suolo, probabilmente perché si sentiva in imbarazzo.

“Non credo” disse. “È solo che certi ragazzi non accettano un no come risposta.”

“Chiudi il becco, stronza” disse testa rasata. Quindi guardò dritto verso Bryers e gli disse: “E comunque non sono fatti tuoi.”

Bryers estrasse il distintivo così velocemente che sembrava un pistolero. “Sono affari miei più di quanto immagini” disse.

“Ah” disse testa rasata. “Allora, credo che...”

Poi si voltò e si mise a correre.

“Oh, accidenti” esclamò Bryers. Fece per lanciarsi all’inseguimento del giovane, ma Mackenzie non riusciva più a restare lì senza far niente.

“Resta con la ragazza” gli disse. “Lo prendo io.”

“Sicura?” chiese Bryers. “Non so se...”

“Sicura” disse scattando dietro al sospettato.

Senza voltarsi per accertarsi che Bryers fosse d’accordo, Mackenzie schizzò in avanti. L’atrio non era molto affollato, perciò non trovò grossi ostacoli lungo il percorso. In due secondi capì che avrebbe raggiunto il tizio facilmente. Lui correva spinto da panico e paura, mentre la corsa di Mackenzie era regolare e misurata.

L’idiota si fermò anche per guardarsi alle spalle, offrendole ulteriore vantaggio. Quando se la vide alle calcagna, accelerò, ma ormai Mackenzie gli era quasi addosso. Anche lei inserì una marcia in più, trovandosi a brevissima distanza. Le poche persone che si frapponevano fra loro videro quello che stava succedendo e si fecero da parte, principalmente per mettersi al sicuro, ma anche per osservare meglio la scena.

Mackenzie gli afferrò la spalla con una mano e le bastò una spinta decisa verso il basso per fermarlo. Scivolò e finì di schiena sul marciapiede di cemento. Lanciò un grido che fu quasi comico, anche se lo schianto che fece il suo corpo contro l’asfalto non aveva nulla di divertente.

Lei si fermò un istante per valutare le sue condizioni e, una volta accertatasi che non avesse niente di rotto e che fosse ancora cosciente, gli premette un ginocchio sul petto e si voltò in direzione di Bryers. Lui stava arrivando di corsa, con uno sguardo preoccupato. La ragazza che avevano aiutato lo seguiva e sembrava spaventata ma al tempo stesso eccitata. Mackenzie scorse la felicità sul suo volto quando vide il suo molestatore inchiodato al suolo.

Intorno a loro, alcuni passanti iniziarono ad applaudire. Altri sembravano leggermente sconvolti da quello a cui avevano assistito. Bryers sbandierò il distintivo alla folla. “Sgomberate” disse. “Lo spettacolo è finito. Andatevene tutti.”

Quando ruppero le righe e ripresero quello che stavano facendo fino a poco prima, Bryers raggiunse Mackenzie e si inginocchiò.

“In piedi, forza” disse brusco.

Mackenzie si rialzò, tentando di valutare l’espressione sul suo volto. Era arrabbiato, quello era evidente. Si chiese se fosse stata troppo brutale nel fermare il sospettato. Oppure se avrebbe dovuto attendere il suo permesso esplicito prima di mettersi ad inseguirlo.

Mentre si alzava, Bryers lentamente aiutò il ragazzo a rimettersi in piedi. Mackenzie vide che perdeva sangue da un piccolo taglio sul lato destro della testa. Tutto il lato destro del viso era un po’ arrossato. Era certa che il giorno seguente gli sarebbe venuto fuori un gran bel livido.

“Vieni con me un secondo” disse Bryers.

“Toglimi le mani di dosso, amico!”

Bryers lo afferrò per un braccio e gli si avvicinò. “Ricordi il distintivo che ti ho fatto vedere? Quello che ti ha fatto scappare a gambe levate? Quel distintivo dice che farai come ti dico, altrimenti sarai in un mare di guai. Mi hai capito?”

“Come vuoi, amico” disse il ragazzo. Smise di divincolarsi e si lasciò condurre via dalla folla.

Bryers si voltò verso Mackenzie ma in realtà non la guardò. Era decisamente arrabbiato. “Tieni d’occhio la ragazza mentre io sistemo questo casino” le disse.

Non era né una domanda né una richiesta... era un ordine. Le aveva ordinato di fare da babysitter mentre lui interrogava il sospettato. Forse se lo meritava, però... la faceva sentire uno schifo.

Mackenzie lo guardò allontanarsi mentre raggiungeva la ragazza. Cercò di ignorare la reazione di Bryers e la accompagnò ad una panchina lì vicino. Si sedettero tutte e due, anche se era chiaro che la ragazza se ne sarebbe voluta andare.

“Tutto bene?” le chiese Mackenzie.

“Sto bene” disse.

“Conosci quel tizio?” si informò Mackenzie.

“No. È venuto da me quando sono scesa dall’autobus e si è messo a parlarmi.”

“Di cosa?”

“Ah, non ha perso tempo. Mi ha detto subito quanto ero carina e mi ha chiesto quanti anni ho. Quando gli ho detto di averne sedici, mi ha chiesto se volevo fare un po’ di soldi facili.”

“I tuoi genitori sono qui vicino?”

“No, non sono qui. Sto andando a fare visita a mio padre. Mia madre mi ha caricata su un autobus per fargli visita nel fine settimana, solo che il caro vecchio paparino lavora fino a tardi, così stavo per prendere un taxi da qui.”

“Come ti chiami?” chiese Mackenzie.

La ragazza la osservò con aria sospettosa, poi però le rivelò il suo nome... o quello che voleva credessero fosse il suo nome. “Jen” disse.

“Bene, allora che ne dici se ti chiamo quel taxi, Jen?” disse Mackenzie.

Jen la fissò come una stupida. “Sarebbe fantastico. Grazie.”

Mackenzie tirò fuori il cellulare e aveva iniziato a comporre il numero, quando Jen la fermò.

“Quel tizio... credi che mi avrebbe fatto del male se non foste arrivati voi?”

“Non possiamo saperlo con certezza” disse Mackenzie.

“Be’, grazie.”

Mackenzie fece un cenno con la testa e chiamò il taxi. Quando il telefono iniziò a squillare, si voltò verso Bryers. Vide che aveva ammanettato il ragazzo e l’aveva fatto mettere contro il muro. Intanto era al telefono che riferiva dell’arresto.

E forse, pensò Mackenzie, si sta lamentando della mia avventatezza con il sospettato.

E fu così che Mackenzie ebbe l’impressione che l’incredibile opportunità che le era stata offerta stesse iniziando a scivolarle di mano.

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10 ekim 2019
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9781640290822
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