Kitabı oku: «Il Guerriero Sfregiato», sayfa 4
CAPITOLO QUATTRO
Shae si svegliò; era fiacca e la sua mente era come annebbiata. Era passato fin troppo tempo da quando i demoni l’avevano nutrita con il sangue, e ne avrebbe avuto bisogno in fretta. Le avevano negato il sostentamento al punto da farla diventare feroce, e quando le avevano fornito le vittime le aveva attaccate con voracità fino a prosciugarle. I demoni e i loro tirapiedi si erano goduti lo spettacolo.
Non c’era nulla che potesse fare per modificare e controllare il proprio appetito. Tutte le volte in cui si tratteneva sentiva la spinta di Azazel nella propria testa che la sforzava a dare il peggio di sé. Prima del rapimento non avrebbe fatto del male a una mosca, mentre ora uccideva degli esseri umani innocenti.
Quando si voltò si rese immediatamente conto che c’era qualcosa di diverso. Era bello non trovarsi a tremare dal freddo ed era fantastico essere vestita. Sotto di sé non aveva il pavimento di cemento, al contrario giaceva su un materasso morbido come una nuvola. Era forse la cosa più morbida su cui si fosse mai coricata. La Dea aveva finalmente ascoltato le sue preghiere e l’aveva mandata ad Annwyn?
Quando aprì gli occhi vide un soffitto di pietra. Non era a Annwyn, ma nemmeno nella sua cella. Nell’aria non aleggiava la puzza di zolfo e di morte, né si odorava il marciume dei corpi in decomposizione. Si passò una mano tra i capelli, restando scioccata quando si rese conto che le dita scorrevano perfettamente nelle proprie ciocche setose.
Si mise immediatamente a sedere e si toccò una spalla, rendendosi conto che non era più sporca. Non aveva idea di chi l’avesse lavata, e la metteva a disagio sapere che qualcuno l’avesse toccata in modo talmente intimo mentre era addormentata; era però troppo grata di essere pulita per arrabbiarsi. Si portò una ciocca di capelli al naso e inalò il profumo fresco di shampoo floreale che ricordava il suo preferito.
Dea, si era persa il semplice lusso di farsi una doccia. I sette mesi precedenti di cattività e torture le avevano fatto dimenticare il piacere di qualcosa di talmente semplice come il lavarsi. Non era mai stata il tipo di donna a cui piacevano i caldi bagni lunghi, ma in quel momento si sarebbe immersa in una vasca per una settimana.
Il bagno avrebbe dovuto aspettare, almeno fino a quando non avrebbe capito dove diavolo si trovava e chi avrebbe ucciso per aver osato imprigionarla ancora. Quando si guardò attorno nella cella vide un muro, quindi si alzò su gambe tremanti e attraversò la stanza. Il pavimento di pietra grigia era morbido e di gran lunga più pulito dell’inferno dove era stata confinata. Notò la presenza di una doccia e di un gabinetto così come di un lavabo fornito di sapone, dentifricio e spazzolino da denti. Si affrettò a spalmare il dentifricio sullo spazzolino prima di lavarsi i denti. Chiunque l’avesse lavata non si era preoccupato di pulirle i denti e i canini, e quanto era bello farlo. Un altro lusso che le era stato negato.
Nello spazzolarsi i denti le tornarono in mente i ricordi di quando il Re e i suoi Guerrieri Oscuri avevano salvato lei e le altre. Le vennero le lacrime agli occhi quando le tornò in mente il combattimento che ne era conseguito; non era un sogno, era veramente libera dalle grinfie del demone. Aveva ormai perso le speranze di uscire viva da quella cella, e il sollievo di essersi liberata dei demoni era la sensazione più appagante che avesse mai provato.
Le venne voglia di nascondersi la testa tra le mani quando si rese conto del motivo per cui si trovava ancora in una cella. Aveva attaccato la Principessa Breslin. Shae non sapeva che cosa le fosse preso; era esplosa quando avevano detto che le avrebbero rinchiuse ancora.
La rabbia era ancora presente, ma era qualcosa che la accompagnava da mesi. Senza contare la vibrazione nelle vene che non cessava mai. Era come sentire delle unghie grattare una lavagna, e la faceva impazzire. Aveva fatto di tutto per cercare di porvi fine, ma non aveva trovato tregua dal tormento. Aveva persino cercato di raschiarsi le braccia per liberarsi dalla sensazione, ed era stata un’infinitesima parte di ciò che aveva dovuto subire.
Si distrasse dai pensieri inquietanti, chiedendosi cosa fosse stato delle altre donne. Sputò il dentifricio e si sciacquò la bocca prima di affrettarsi alle sbarre dove attirò l’attenzione delle altre. Sentiva le ragazze dormire, e si rese conto che il Re aveva progettato bene le segrete, in quanto non riusciva a vedere nelle altre celle.
L’avrebbe aiutata vedere le ragazze. In cattività aveva rifiutato qualsiasi forma di connessione con le altre, tutelandosi nel caso in cui fosse stata obbligata ad affrontarle. Chiaramente non aveva avuto successo, dato che in quel momento aveva bisogno più di ogni altra cosa di sapere che stessero bene. La sua priorità era stata proteggerle, e l’aveva fatto diverse volte sacrificandosi per risparmiare la tortura di un’altra donna.
Ritentò quando non le rispose nessuno. “Cami, Crystal, ci siete?”
Si udì il movimento delle lenzuola prima di un sospiro di sollievo. “Shae. Oh mio Dio” esordì Cami. “Credevo che quel tizio ti avesse uccisa”.
Le tornò in mente il paio di occhi del colore del ghiaccio, che le fecero stringere lo stomaco. Gerrick. Il mago che aveva aiutato a soccorrerle. Lo stesso che le aveva scagliato contro un incantesimo quando aveva attaccato Breslin. Provò una scarica d’ira, nonostante dovesse ammettere quanto quell’uomo fosse sexy, e si rese conto che il suo corpo reagì in modo interessante quando ripensò al sentirlo addosso. “Ha usato la magia per farmi addormentare. Sto bene. Voi come state?”
“Siamo tutte qui e ci hanno dato dei vestiti e da mangiare”. Alla parola ‘mangiare’ lo stomaco di Shae prese a brontolare. Non mangiava del cibo vero da più di sei mesi ed era malnutrita. “Siamo terrorizzate. Beh, almeno io lo sono, ma non ci hanno fatto del male. Credo che prima o poi torni qualcuno”. Shae notò l’incertezza nel tono di voce di Cami.
“Zander è un bravo leader e non ci farà del male, a meno che non rappresentiamo un rischio per noi stesse o gli altri. Qui sarete al sicuro. E non preoccupatevi, Zander non ci farà restare qui per sempre, userà le risorse a disposizione per aiutarci”.
“Ci credi veramente? Ero convinta che ci avrebbero uccise e basta”. Shae comprendeva i dubbi di Cami, ma l’umana non conosceva il mondo dei soprannaturali. Non pensavano come gli umani.
Questi ultimi costituivano una società usa-e-getta con un’elevata percentuale di divorzi, cosa che non esisteva nel Reame di Tehrex. Lì tutti nascevano con in sé una metà dell’anima del proprio Prescelto, qualcuno fatto apposta per loro, ed era impossibile tradire in ogni modo. Il tasso di fertilità nel Reame era però molto basso, quindi gli esseri soprannaturali tutelavano particolarmente i figli e le famiglie in generale. Erano stati loro a coniare il modo di dire ‘la famiglia prima di tutto’.
Shae sosteneva che gli esseri soprannaturali fossero in grado di apprezzare totalmente ed essere completamente devoti ai loro simili; Zander, in quanto Re Vampiro, avrebbe fatto di tutto per salvarle. Era qualcosa di cui la ragazza non dubitava; l’unico aspetto che non credeva possibile era che potessero effettivamente essere salvate da loro stesse. Erano diventate delle assassine spietate e imprevedibili.
Si rese conto che la propria fame era mutata nella sete di sangue che aveva provato solamente in cattività. Era un vampiro, ed era sempre stata in grado di controllare i propri canini, ma ultimamente erano sempre in prima fila ed era come se avessero una vita a sé. In quel momento le scesero ulteriormente pensando a nutrirsi, e la ragazza si sentiva una tigre dai denti a sciabola più che un vampiro.
Di una cosa era certa: non avrebbe potuto nutrirsi di nessuno fino a quando la sua fame non sarebbe stata sotto controllo, altrimenti avrebbe finito per uccidere il malcapitato. Si voltò verso il suono degli stivali sugli scalini di pietra, facendosi piccola al pensiero che uno dei Guerrieri l’avrebbe vista soffrire. Non voleva che qualcuno la vedesse in quello stato, specialmente Gerrick.
Indietreggiò di qualche passo rispetto alle sbarre ed incrociò le braccia al petto. Nel giro di pochi secondi vide davanti a sé Zander e un’altra donna. Non erano lì per ucciderle; sarebbe stato qualcosa per cui Zander avrebbe mandato i Guerrieri, e indubbiamente quella donna non era una di loro. Non solo era stata assente durante il salvataggio, ma non portava nemmeno il simbolo dei Guerrieri Oscuri sull’avambraccio.
“Sire” mormorò, genuflettendosi in segno di rispetto.
“Shae. Sono contento che ti sei svegliata. Come ti senti?”
“Molto meglio di quando mi avete trovata, ma non sono più quella di prima. Quando posso tornare a casa? Mi manca la mia famiglia e mia mamma è sicuramente preoccupata per me”.
“Tua mamma e tutti gli altri tuoi famigliari hanno assillato i miei Guerrieri per mesi. Sono sicuro che vorrebbero vederti, ma non posso ancora lasciarti tornare a casa. Il tuo sfogo di prima è uno dei motivi. Abbiamo preso dei campioni di sangue per capire con cosa abbiamo a che fare, ma prometto che ti verrà dato tutto ciò che ti serve per farti sentire a tuo agio”.
Strinse i denti e si trattenne dal rispondere sgarbatamente. Non sarebbe mai stata a proprio agio in una cella. Provò un bisogno impellente di cavargli gli occhi, e per quanto si ammonisse di non farlo, la sua rabbia non diminuì. L’unica cosa che la placò fu il sapere che Zander era talmente potente da ucciderla con un solo battito di ciglia, e adesso che era libera voleva vivere. “Non posso restare chiusa qui dentro. Devo uscire da questa gabbia o impazzirò”.
“Lo capisco, ma ho una responsabilità nel confronto dell’intero Reame e degli umani. È la mia decisione finale sulla questione, e gradirei la tua cooperazione. Da parte di tutte voi, in realtà” disse riferendosi alle presenti.
“Ma solo io mi sono comportata male. Lascia andare le altre, non devono restare qui per forza”.
“Sai bene che non sarebbe saggio, Shae. Ognuna di voi ha sofferto le pene dell’inferno, qualcosa che non sono in grado di comprendere, ma fidatevi quando vi dico che vi lascerò andare appena sarà sicuro farlo. Jace e il team di scienziati sono al lavoro da un po’. Nessuno vi vuole vedere chiuse in queste celle”. Zander confermò i sospetti di Shae. Desiderava liberarle. La vera domanda era: sarebbe stato possibile?
“Devi capire che sono stata colta di sorpresa al pensiero di farmi rinchiudere ancora, e sono impazzita. Non lo farò più” gli promise, ma dubitava delle proprie parole. Non poteva giurarci, per quanto sperava di essere in grado di controllare il proprio comportamento.
“Shae, stai giocando con il fuoco, non insistere. La mia decisione è definitiva. Ci sono troppe incertezze, fine della storia. L’unico motivo per cui sono sceso è per dirti che il veleno del demone ha cambiato molte cose e una di queste è che non posso leggerti nella mente. L’unica altra volta in cui mi è successo è stato con Jessie, cioè lei” disse indicando la donna accanto a sé. “Sembra essere molto simile a te”.
Shae restò a bocca aperta prima di avanzare verso le sbarre come se vi fosse stata attratta. Guardò Zander e poi la donna accanto a lui. Era stata talmente concentrata a parlare con Zander e cercare di modulare la propria rabbia per riconoscere qualcosa di peculiare in Jessie. E se ciò che stava dicendo il Re era vero, era sicuramente colpa del veleno del vampiro.
Osservò con attenzione la bellissima bionda dagli occhi castani davanti a sé. Non c’erano indizi fisici su di lei a dimostrazione di ciò che stava dicendo Zander, infatti non sembrava avere cicatrici, ma in lei c’era qualcosa di famigliare.
“È vero” commentò Jessie rispondendo alla domanda che Shae non aveva espresso a voce. “Azazel mi ha morsa e mi ha inserito un localizzatore nel fianco diversi mesi fa. Non mi dimenticherò mai la sensazione dei suoi canini nel collo” aggiunse nell’abbassare la maglietta per mostrare due cicatrici che Shae fece fatica a distinguere. Definirle cicatrici è un’esagerazione, assomigliano a delle punture di zanzara, pensò Shae amaramente.
Si toccò le proprie. Provava indignazione. Era sempre stata una donna sicura di sé, mentre ora era sfigurata dalle cicatrici. Si sentiva brutta e usata, e non sapeva come avrebbe fatto a convivere con la propria immagine. Non aveva nemmeno più il controllo sulla propria mente, che le fece provare una scarica di rabbia incontrollabile senza preavviso. Senza contare il fatto che ora vedeva il mondo in toni di rosso e arancione, nonostante fosse un aspetto assolutamente trascurabile rispetto a ciò che aveva sofferto.
Già, quella donna non conosceva il dolore. Era stata morsa solamente una volta e non aveva più dovuto provare l’agonia provocata dal veleno del demone. Non era nemmeno stata stuprata o torturata o obbligata ad uccidere innumerevoli demoni, umani o altre prigioniere. Certo, a Shae aveva fatto piacere uccidere fino all’ultimo i demoni che aveva affrontato, ma eliminare gli innocenti aveva lasciato un segno nella sua anima che non sarebbe mai stato rimosso.
“Ma tu non sei stata imprigionata per mesi, e adesso tu sei libera e io sono qui dentro”.
“Abbiamo confinato Jessie in una cella come questa fino a quando ci ha provato che non fosse un pericolo. Ci arriverai anche tu” aggiunse Zander incrociando le braccia al petto. Shae voleva credergli con tutto il cuore, ma la speranza era qualcosa di fragile a cui non osava aggrapparsi con troppa forza.
“Hai ragione” intervenne Jessie, sorprendendo Shae. “Non mi ha portata con sé quando se n’è andato, e di questo sono grata. Mi dispiace che tu e le altre abbiate dovuto soffrire così tanto, ma siamo più simili di quanto pensi. Hai imparato a gestire la vista a infrarossi? Ci ho messo un sacco di tempo a capire come farla smettere”.
Shae inarcò un sopracciglio. “Sei riuscita a farla smettere?” La ragazza bruciava di gelosia; era stato tutto così facile per questa donna. Non aveva nemmeno dovuto avere a che fare con i mal di testa accecanti causati dalla vista a infrarossi.
“Sì. Ti posso insegnare” propose Jessie con un sorriso cordiale in volto. Shae percepì l’interesse delle altre prigioniere; era certa che stessero ascoltando attentamente, dato che era qualcosa che volevano tutte. Doveva fare attenzione a come avrebbe risposto.
“Mi piacerebbe. In realtà farebbe comodo a tutte noi. Sono mesi che la vista infrarossi mi provoca dei mal di testa terribili. Sarebbe un sollievo se riuscissi a liberarmene. Posso farti una domanda? Come ti nutri?” Chiese a bassa voce. Non voleva rivelare la propria sete di sangue incontrollabile in quanto riteneva che l’avrebbe aiutata ad apparire migliore agli occhi del Re, ma allo stesso momento aveva bisogno di aiuto a gestirla.
“Mi ricordo dei mal di testa, anche se gli scienziati ritenevano che fossero i tentativi dell’Arcidemone di controllarmi, non il cambiamento nella mia vista. Mi nutro mangiando come facevo prima, ma non credo sia ciò che mi stai chiedendo. Bevo sangue un giorno sì e uno no, e ti posso dire che in quanto umana ho creduto di essere impazzita quando sono passata dal non sapere niente del mondo soprannaturale a provare la sete di sangue. Non ho mai creduto in queste cose perché nel mio mondo non sono mai state considerate reali, quindi ho veramente creduto di essere diventata pazza. Fortunatamente Zander e gli altri Guerrieri Oscuri mi hanno aiutata a gestire la mutazione”.
Shae soppesò le parole di Jessie; si chiedeva se avesse ragione. Il pensiero di quegli stronzi di Arcidemoni che tentavano di influenzarla le faceva venire voglia di abbattere le sbarre per correre da loro e ucciderli. Non voleva continuare a vivere se fossero stati in grado di manipolarle la mente.
Assimilò solamente dopo il resto dell’affermazione di Jessie. “Non mangio cibo vero da così tanto tempo. Mi mancano i gamberi e le capesante” disse malinconicamente. “Cosa succede alle vittime quando ti nutri?”
Jessie guardò Zander e poi Shae, quindi quest’ultima si rese conto di aver detto qualcosa di strano. Si irrigidì, era pronta per ciò che sarebbe successo dopo. “Non consideriamo vittime i nostri donatori. E la maggior parte delle volte Jessie consuma il sangue nelle sacche che Jace porta a casa dall’ospedale”.
“Ma quando mi nutrivo da una persona la mia sete di sangue non aveva la meglio su di me. Era facile controllare la fame, e prendevo solamente ciò che mi serviva”. Jessie e Shae si scambiarono un’occhiata empatica. “Non ho vissuto tutto ciò che hai dovuto soffrire tu, ma comprendo i cambiamenti che stanno accadendo in te. Non esisteva un termine per definirmi, e mi rifiutavo di essere associata a uno Skirm, quindi ho deciso di chiamarmi Dhampiro. Zander mi ha accettata come una di loro”.
“Dhampiro” ripeté Shae. “Mi piace”. Era combattuta; non sapeva più quale fosse il suo posto. Non era più un vampiro, ma era d’accordo con Jessie; non era nemmeno uno Skirm. Gli appellativi erano importanti nella loro società. Era stata un vampiro, un funzionario prestiti, una figlia e una sorella. Le era di conforto avere un nuovo modo per descrivere la propria identità, dato che odiava essere lasciata nel limbo.
“Mi sai dire qualcosa circa il piano di Kadir? Forse non lo sai, ma ha usato un vampiro per rapire la mia Prescelta, e devo sapere se lei o degli altri sono in pericolo” le chiese Zander cambiando argomento. Shae lo guardò scioccata. Avevano tenuto la cosa segreta al Reame; non aveva idea che la nullità che l’aveva rapita avesse fatto lo stesso con la Prescelta del Re. Si trattava della sua Regina, e provò empatia per la poveretta. Sapeva fin troppo bene cosa voleva dire essere torturata.
“Non so molto. Non ha mai nascosto quanto fosse incazzato quando hai sventato tutti i suoi piani. Ogni volta in cui l’hai battuto mi ha dato speranza, anche se si sfogava buttando una di noi sul ring”.
“Shae, mi—” cominciò Zander.
“No” lo interruppe; non voleva le sue scuse. “Eravamo contente che lo fermassi. L’ultima cosa che serve al Reame è che lui diventi più potente. Per quanto riguarda i suoi piani, non so quanto ci sia oltre l’ovvio volerti sottrarre l’Amuleto di Triskele”. Shae ripensò all’Amuleto benedetto dalla Dea e di come investiva il custode di certi poteri. Non invidiava Zander per il proprio compito di proteggere l’artefatto Santo che disegnava un bersaglio sulla sua schiena ma anche su quella dei suoi cari. La ragazza non si sentiva a proprio agio con il pericolo che correva il maschio Alfa di fronte a sé.
Il Re fece per rispondere, ma si interruppe quando udì il suono dei passi. Tutti e tre si voltarono verso le scale su cui apparvero degli stivali di pelle nera, e Shae si rese conto di desiderare che si trattasse del proprio Guerriero sfregiato.
“Jace. Ci sono novità?” Domandò Zander all’uomo che si fermò a qualche metro da sé. Era delusa, e si chiese se Gerrick la stesse evitando. Non che gliene avrebbe fatto una colpa, dopo il modo in cui si era comportata. Si ammonì mentalmente prima di concentrarsi sulla preoccupazione principale del momento, ovvero uscire da quella dannata cella.
“In realtà sì” rispose guardando Shae di sfuggita. “Sono arrivati i risultati preliminari delle analisi del sangue delle ragazze”. A Shae accelerò il battito cardiaco e si ritrovò a respirare a fatica quando l’agitazione ebbe la meglio su di sé. Avevano già trovato un modo per aiutarle? E se fossero state delle brutte notizie? Non era sicura di voler stare a sentire ciò che aveva da dire il guaritore. Si cinse la vita con le braccia in attesa del responso.
“Che cosa avete dedotto?” Domandò Zander.
“Niente di sorprendente. I livelli di veleno nelle ragazze sono ben più alti di quelli di Jessie. Addirittura in una di loro sono cento volte più elevati”. L’uomo non doveva pronunciare il suo nome perché Shae sapeva di essere la donna in questione. Aveva provocato appositamente i demoni in modo che mordessero e stuprassero lei, lasciando in pace le altre. “Gli scienziati teorizzano che il veleno si sia moltiplicato spontaneamente, ma non credo sia la spiegazione corretta. Ritengo che il motivo sia collegato al numero di volte in cui è stata morsa, ma anche ai picchi di rabbia. Non abbiamo rilevato quel fenomeno in Jessie, i suoi livelli sono diminuiti progressivamente da quando l’abbiamo confinata qui, e non ha dimostrato le emozioni di queste donne, quindi a questo punto sono tutte congetture”.
“Prendi un altro campione adesso che sono calme. È l’unico modo per dimostrare la loro teoria” ordinò Zander. Shae non desiderava diventare un ratto da laboratorio, e le prese a bruciare la rabbia nelle vene; fu solamente il proprio bisogno di risposte a sovrastare il disagio provocato dal venir analizzata e bucherellata.
“Stiamo per trovare una cura?” Domandò poi Zander al guaritore quando questi si avvicinò alla cella di Shae.
Jace si guardò indietro verso il Re Vampiro. “In realtà abbiamo preso la cura su cui stavamo già lavorando e l’abbiamo adattata alla struttura del veleno che abbiamo rilevato nel loro sangue. Abbiamo un antidoto che possiamo testare. Sfortunatamente al laboratorio non possiamo fare altro senza dati empirici. Il problema è che non abbiamo idea degli effetti collaterali che l’antidoto potrebbe avere su un essere vivente”. Shae sentì la speranza gonfiarle il petto; forse avrebbe avuto la possibilità di tornare a com’era prima dell’incubo. Non le fregava un cazzo degli effetti collaterali, voleva la cura.