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Capitolo Secondo

Il suo cuore batteva all’impazzata, Adara si concentrò sul palco mentre il suo interlocutore chiacchierone trovava una vittima più adatta in Ian. L’uomo si mise di fronte a lei facendo sì che la sua schiena imponente le ostruisse la vista. La conseguenza dell’ignorare le persone era che le sfuggivano dei piccoli dettagli, come i violini che potevano tenere in mano.

Un violino. Adara fu scossa da un brivido gelido. Era un violino, vero?

La giovane appoggiò le mani umide sulla parete. Quando le corde erano esplose proprio accanto al suo orecchio, il tempo si era fermato e frantumato in mille secondi stridenti. Aveva avuto un flashback di quando Joey era ancora vivo, quando la sua musica fluttuava nella loro casa, ricordandole che non importava lo spazio che li separava, lei non era mai stata sola. Altrettanto velocemente, la realtà si era abbattuta di nuovo su di lei, demolendo il ricordo e sussurrando la verità.

Joey non c’era più.

Lei era sola.

“Ti stai già divertendo?” Gia le scivolò accanto, sapendo abbastanza da non chiederle se stesse bene. Gia fece un cenno con il mento verso l’uomo che si stava dirigendo verso il palco. “Ti stai facendo dei nuovi amici?”

Adara respirò velocemente e seguì lo sguardo di Gia. Dei lunghi capelli biondi pettinati all’indietro in stile Thor, jeans e camicia sbottonata, stivali da combattimento, violino nero lucido. Joey avrebbe approvato.

“Il tipico secchione adulto della band.” Gia si avvicinò, il suo alito odorava di agrumi e tequila. “Sta ancora cercando di uscire dalla scatola della figaggine.”

Grata per essere stata distratta, Adara sbuffò dolcemente manifestando il suo accordo.

“Probabilmente preferirebbe cavarsi un occhio piuttosto che suonare Beethoven.” Gia fece roteare il suo bicchiere di margarita e fissò Adara con i suoi occhi blu scintillanti. “Scommetto che domani a pranzo da Antoine propone Kashmir o Wherever I May Roam - sai, qualche melodia da vero uomo.”

“Non accetto questa scommessa, perché probabilmente hai ragione.” La morsa intorno al cuore di Adara allentò la sua presa. Gia aveva fatto centro. In nessun modo qualcuno che sembrava un pirata part-time avrebbe suonato qualcosa che potesse abbattere le sue difese.

“Karen della contabilità mi ha dato uno scoop su di lui,” continuò Gia, mantenendo l’attenzione rivolta sul palco, dove il violinista aveva raggiunto Ian sotto i riflettori. “Immagino che sia molto conosciuto oltreoceano. È cresciuto con Ian e si sta prendendo una pausa per fare da mentore ai bambini delle scuole elementari.” Le diede una gomitata nelle costole. “A Graywood.”

Mentore. Scuola elementare. Merda. Adara chiuse gli occhi per un istante. Qualche settimana prima, il preside Austin aveva avvertito lo staff della possibilità di un mentore part-time per insegnare musica, ma non aveva dato molti dettagli. Adara aveva pensato che l’idea fosse caduta nel dimenticatoio, perché era stata l’ultima volta che ne aveva sentito parlare. E, poiché la piccola Graywood, dove tutti conoscevano praticamente tutti, aveva solo una scuola elementare, le probabilità di incontrarlo in giro salivano alle stelle. All’infinito e oltre.

“Perfetto. William Kidd reincarnato in un musicista.” Adara si risistemò nella sua posizione ‘lasciami in pace’. “Il mondo adesso è completo.”

Gia mostrò un sorriso malizioso e rivolse di nuovo la sua attenzione verso il palco.

Guardare il signor Gabby da lontano non era una punizione. Aveva un sorriso sempre smagliante, una barba leggermente accennata - presumibilmente per accompagnare l’aspetto da pirata - e ostentava la sicurezza di un uomo che lasciava trapelare chiaramente la sua identità. Non avrebbe avuto problemi a trovare uno degli aiutanti di Babbo Natale per fargli compagnia.

Gli anelli d’argento scintillarono sulle sue dita mentre appoggiava il violino sulla spalla. Adara sgranò gli occhi e si trattenne dal canticchiare He’s a Pirate. Deve aver dimenticato la sua bandana. Per un momento l’uomo guardò verso Adara, come se cercasse di individuarla tra le ombre e la folla. Poi, chiuse gli occhi e appoggiò l’archetto sulle corde.

Dal violino si diffusero note lente e lamentose e Adara si rilassò immediatamente ascoltando la melodia familiare. Somebody to Love dei Queen - niente classico, niente che potesse raggiungere la sua anima. Era al sicuro per qualche minuto.

Dopo una breve e lenta introduzione, il violinista batté il piede seguendo il ritmo di una batteria e la folla impiegò meno di due secondi per iniziare a battere le mani, prendendo il ritmo da sola. Al ritornello, tutti cantavano insieme - una folla felice e saltellante per le vacanze.

Adara tenne le braccia incrociate e lasciò che Gia applaudisse abbastanza forte per entrambe. Aveva sopportato la festa per quasi due ore, più a lungo di quanto avesse pianificato, ma era passata un’eternità da quando aveva visto Gia divertirsi senza indossare una maschera sorridente per nascondere la sua perdita.

Adara sapeva tutto sul bisogno di indossare delle maschere.

Continuando a suonare, il musicista fuse le note con quelle di un’altra canzone e, mentre gli applausi e l’ondeggiamento continuavano, il canto si spegneva.

Adara si morse il labbro, quasi tentata di sorridere per la seconda volta quella sera. Teddy Bear, una scelta decente di Elvis Presley. Vicino al palco, il signor Hamilton scoteva la testa, manifestando chiaramente che era un fan del Re. Tutti gli altri, non tanto. La tensione residua sulle sue spalle svanì. Non avrebbe dovuto rinforzare le sue difese, non per la selezione musicale di questo tizio, ma doveva ammettere che era bravo. Veramente bravo. Coinvolgeva la folla, mostrando chiaramente di essere a proprio agio con l’attenzione. Prendeva ogni nota con una precisione esperta, la relazione d’amore con il suo strumento era evidente in ogni corda pizzicata e in ogni movimento dell’archetto. Il sorriso sognante che indossava parlava di segreti condivisi solo tra un musicista esperto e la melodia che si diffondeva. Aveva visto la stessa espressione sul volto di Joey.

Il vuoto nella sua anima risuonava al ricordo. Quel violinista era tutto ciò che Joey avrebbe potuto essere. Avrebbe dovuto essere.

Senza perdere un colpo, il violinista fuse di nuovo una canzone all’altra, cambiando genere, in modo sottile e inaspettato. Dolci note avvolsero Adara, facendo scivolare lentamente un ago affilato nel suo cuore. Il battito delle mani si spense in un silenzio attonito e il violino gemette, riempiendo tutti gli spazi vuoti, di nuovo solo, più vivo e terrificante nel suo isolamento.

Adara soffocò un singhiozzo immane che le saliva dal profondo. Think of Me. Invece delle mille altre canzoni che non riuscivano a toccarla, lui ne aveva scelta una che aveva distrutto le sue difese. Il Fantasma dell’Opera era stato il primo musical cui Joey l’aveva trascinata, la prima volta che aveva pianto in pubblico, il primo passo per convincerla a unirsi a lui nel suo amore per la musica.

Punto dopo punto, la musica la squarciava. Il vuoto le artigliava la gola come se un demone volesse farsi largo fino in superficie, un vuoto che non poteva affrontare, non in quel posto, non in quel momento. Non importava come fingesse, come cercasse di affrontare la situazione, non stava bene.

Prima di crollare completamente sotto gli occhi di tutti, Adara superò Gia e si affrettò a uscire dalla sala poi dalla villa, incamminandosi nella notte fresca. Non rallentò fino a quando il rumore del lastricato sotto i suoi tacchi cambiò in un tintinnio di ghiaia e si fermò solo quando le luci della villa diventarono un riflesso opaco sulle auto parcheggiate.

Le lacrime le bruciavano gli occhi e il suo cuore le trafiggeva il petto a ogni battito, un coltello implacabile che scavava le ceneri della sua anima. Aveva abbandonato Gia e non aveva mantenuto la promessa fatta a Joey.

La notte e il silenzio la circondavano, due aiuti familiari che la calmarono lentamente, attirandola nel loro abbraccio. Aspirò un respiro tremolante di aria frizzante e sollevò il viso verso il cielo scuro e infinito. Avrebbe rimesso tutto a posto e si sarebbe ricucita, rinchiudendo questa notte con tutti gli altri ricordi. Domani sarebbe tornata alla sua versione di normalità.

* * * *

La mattina dopo il debutto nella sua città natale, Garret appoggiò gli stivali sulla scrivania di ciliegio scintillante di Ian e inalò il profumo di cuoio, di scartoffie e di benessere macchiato dal conflitto. “Ieri sera ho incontrato qualcuno alla festa, ma non conosco il suo nome”. Nascose un sorriso osservando il sopracciglio di Ian inarcarsi infastidito. “Tu conosci tutte quelle che indossano una gonna, quindi ho pensato che potresti aiutarmi.”

“Vero.” Ian si chinò sulla scrivania, spinse via gli stivali di Garret e si raddrizzò la cravatta rosso sangue. “Le mie capacità sono all’altezza del compito, nonostante le innumerevoli groupie che, ieri sera, hanno ceduto alla tua seduzione musicale. È stata la leggiadra assistente legale con i capelli rossi che ti fa pensare se... ”.

“No.”

Garret si sistemò di nuovo sulla pomposa sedia di pelle e sorseggiò il suo mocaccino alla menta.

“La biondina tutta curve con la minigonna nera?”

“No.”

Ian strinse gli occhi, l’azzurro scintillante di quelli che dovevano essere i suoi tipici pensieri lascivi. Alcune persone non abbandono mai la mentalità sessuale del liceo. Quando si trattava di relazioni con le donne, il suo più vecchio amico si librava felicemente in quell’abisso emotivamente sicuro. Schioccò le dita. “Quella stagista con la pelle color caffè che continuava a portarti ciliegie ricoperte di cioccolato. Non dirmi che non te la sei fatta!”

Garret si pizzicò il naso ed espirò forte. “La ragazza che sto cercando è il motivo per cui sono saltato giù dal palco a metà canzone. Se n’è andata mentre stavo ancora suonando. Ho cercato di raggiungerla, ma se n’era già andata!”

Ian incrociò le braccia sul blazer abbottonato, inclinò la testa, facendo scricchiolare la sedia. “Ho bisogno di altri dettagli. Che aspetto aveva?”

“Un po’ più alta della media.” Disse Garret portando una mano all’altezza della clavicola. “La sua testa arrivava quasi qui. Bruna. Difficile dire quanto fosse scura con quella luce, ma liscia, non riccia - uno di quei tagli lunghi fino al mento. E la sua bocca, chara”. Il suo polso scalciava al ricordo. “Era fatta per essere baciata.”

“Parla inglese.” Ian si grattò la mascella pulita e rasata, a quanto pareva quel giorno voleva dare l’impressione del ragazzo della porta accanto. Chiunque lo avesse conosciuto non si sarebbe fatto ingannare. “Sei stato troppo tempo in giro con il tuo chitarrista israeliano e stamattina non ho bevuto abbastanza caffè da sopportare la tua poesia su una donna a caso alla quale hai dimenticato di chiedere il nome.”

“Non a caso. Magnetica e non l’ho dimenticato. La mia musica di solito non allontana le donne. Mi ha confuso. L’unico trucco che portava era del rossetto rosso su quella bocca deliziosa, quindi perdonami se sono stato rapito. Non credo che lei volesse stare lì e non le piaceva tanto che tu ti avvicinassi alla sua amica.”

“Le donne sono sempre gelose l’una dell’altra.” Ian si batté il mento con una penna. “Quale amica?”

“La biondina con il vestito rosso che hai guardato tutta la sera, ma non hai sfiorato e con cui non hai nemmeno parlato.” A Garret non sfuggì la smorfia di Ian, fuori luogo considerando l’argomento in questione: le donne, il suo argomento preferito. “Cosa che trovo interessante, considerando chi sei tu!”

Gli occhi di Ian si spalancarono e saltò in piedi così velocemente che la sedia girò dietro di lui in un folle cerchio stridente. “Non la principessa Stark!”

“Principessa Stark?”

“Titolo appropriato, fidati di me su questo. È gelida come l’inverno!” Ian si passò le dita tra i capelli corti e scuri. “Ascoltami, amico mio. Dimenticala. È così fuori dalla portata di chiunque che non riusciresti a passare attraverso la sua armatura neanche con la Morte Nera sotto steroidi. Lascia che ti organizzi un incontro con Karen della contabilità, invece. È accessibile, totalmente malleabile dopo due birre e una pizza.”

Ogni terminazione nervosa di Garret si accese al quadro dipinto da Ian e non aveva niente a che fare con la pizza e la birra. Gelida, inaccessibile, bisognosa d’ispirazione. Poteva lavorare su questo.

Ian lo fissò in silenzio, seguendo una tattica da avvocato esperto, ma non ebbe alcun effetto sul suo amico. Alla fine, si accasciò e impostò la mascella. “Non hai intenzione di seguire il mio saggio consiglio, vero? Stai cercando quello che non puoi avere. Di nuovo.”

“Non ho più quattordici anni.” Garret sorrise. “E non mi piace la malleabilità. Lo sai bene. L’ispirazione è tutto.”

“Sei un idiota. Questo è un fatto inconfutabile!”

“Obiezione. Questa è l’opinione di un avvocato cinico che non ha alcuna attinenza con la verità. Hai intenzione di aiutarmi o no?” Garret conosceva già la risposta. Ian poteva non approvare la sua scelta, ma non avrebbe mai smesso di cercare di conquistare una donna. La differenza principale tra loro era che Ian era più un conquistatore da una notte, un fine settimana al massimo. Garret puntava a un tempo maggiore e, una volta trovata la ragazza giusta, se la teneva stretta per tutta la vita.

Ian sprofondò nella sedia di pelle vuota accanto all’amico, offrendo una zaffata della sua colonia. Puntellò una caviglia sul ginocchio e fissò Garret dritto negli occhi. “Sei sicuro? Idiozia a parte, sei ancora mio amico: sei troppo ottimista e le tue ideologie romantiche sono superate, per non dire poco pratiche. Tu cerchi il meglio nelle persone e posso dirti subito, amico mio, che le persone fanno schifo. Faranno finta di preoccuparsi mentre ti portano via tutto quello che sei e ti lasciano a sanguinare nel fosso senza far cadere una volta il loro dolce e innocente sorriso.”

“Lo dice l’avvocato.” Garret aggrottò un sopracciglio.

“Il problema del sistema giudiziario è che si vede il peggio, la realtà, la vera oscurità che c’è dietro - le cose che sono sotto i riflettori solo perché sono state catturate o non possono manipolare, costringere o comprare la loro strada per ottenere quello che stanno cercando di ottenere. Questo è ciò che la maggior parte delle persone è in realtà dietro i loro travestimenti.” Giocherellò con il laccio delle scarpe, mantenendo la sua attenzione concentrata. “Tu non sei come tutti gli altri, Garret.” Ian affilò la voce facendola diventare simile alla lama di un coltello. “In qualche modo hai mantenuto i tuoi ideali senza lasciare che il mondo ti macchiasse ed io non voglio avere alcun ruolo nel cambiare questa situazione.”

“Ah, lui si prende cura di me.” Garret si portò la mano sul cuore e fece un cenno per attenuare il bruciore della sorprendente confessione. “Anch’io ti amo. Vuoi un abbraccio?”

“Stai zitto!” Ian arricciò il labbro in un ringhio. “Tieni le tue zampe da finocchio musicista lontano dal mio corpo. Solo donne.”

“Ora che il nostro affetto reciproco è sistemato,” Garret interruppe gli insulti di Ian, “concentriamoci sul mio problema. Come si chiama?”

Ian appoggiò la testa sulla sedia e chiuse gli occhi, come se rivelare qualsiasi dettaglio lo addolorasse. “Adara Dumont. Introversa, rabbiosa. Resistente a qualsiasi fascino. Un’insegnante, credo. È tutto quello che so.”

Adara. “Aspetta... Hai detto insegnante? Per caso un insegnante della scuola elementare?”.

Un gemito si alzò da Ian e le rughe gli solcarono la fronte, ma tenne gli occhi chiusi. “Non è troppo tardi per cancellare il tuo ultimo capriccio. Dimenticati di fare da mentore ai bambini. Anche le donne sexy e sole dei pub e delle sale da biliardo hanno bisogno di mentori.”

Un tentativo di distrazione equivaleva a una conferma quando veniva da Ian. Quindi, avrebbe lavorato con lei. Adara. Garret non riuscì a contenere il suo sorriso. “Serendipitoso.”

“No... sfortunato!”

“Cos’altro sai di lei?” incalzò Garret, appoggiando gli avambracci sulle cosce.

“Non è abbastanza?” La voce di Ian rasentava un colpo di frusta, un’ultima resistenza.

“E la sua amica, la biondina da cui eri attratto ieri sera?”

Ian aprì un occhio. “Lei?”

“Lei saprebbe di più, qualcosa di utile alla mia causa. Anche lei è un avvocato?”

“No.”

La risposta spietata risvegliò la curiosità di Garret. C’era un mistero che circondava il suo amico e questa donna, e lui voleva sapere di cosa si trattava. Chiaramente, Ian non avrebbe svelato nessun dettaglio volontariamente. Avrebbe dovuto essere sottile, scoprire la risposta pezzo per pezzo senza avvertire Ian.

“Ma lei lavora qui, vero?” Garret posò la tazza di caffè sulla scrivania e si avvicinò alla parete di finestre che si affacciavano su un parco cittadino. Alcuni bambini infagottati correvano e giocavano, le loro risate erano attutite dal vetro. Un peccato. La musica delle risate avrebbe potuto contagiare quello spazio più freddo.

Una pausa, seguita da un’espirazione. “Sì.”

“Puoi usare i tuoi famosi poteri di persuasione della scuola di legge per carpire sottilmente qualche dettaglio o no?”

Un’altra pausa, più lunga questa volta. La pelle della poltrona scricchiolò e i vestiti frusciarono mentre Ian si alzava. “Torno tra un istante.”

La porta si chiuse di scatto e Garret rimase al suo posto vicino alla finestra. Nel giardino sottostante, un uomo lanciava una palla da tennis al suo labrador color crema, il cui respiro creava temporanee nuvole bianche nell’aria. Il cielo grigio ardesia prometteva presto la neve, una tela vuota per tracce di slitta, angeli di neve e tracce d’impronte. L’ultima volta che si era fermato a fissare lo spettacolo per godersi il piacere di una battaglia a palle di neve era stato durante le vacanze invernali di tre anni prima con Tatum e Bryan, i suoi nipoti. Quanti anni hanno adesso? Otto e dieci anni? Era stato via troppo tempo. Le e-mail e le chiamate via Skype non bastavano.

La porta si aprì di nuovo e Garret si girò.

Entrò la bionda della sera precedente, senza Ian, con una cartellina in mano. Lo sguardo della giovane si posò su di lui e le sue sopracciglia si sollevarono. “Lei è il musicista di ieri sera.”

L’uomo fece un piccolo inchino. “Garret Ambrose. E lei è?”

“Gia Hellman.” Lei guardò la porta e poi di nuovo lui, rosicchiandosi il labbro inferiore. “Scusate l’interruzione. Dovevo consegnare questa documentazione a Ian.” Un lieve rossore trapelò sulle guance di Gia e si sistemò la gonna. “Il signor O’Connor, voglio dire.”

Garret mantenne un’espressione impassibile, memorizzando ogni dettaglio. Il nome di battesimo. Un rossore. Interessante. “Non c’è bisogno di scusarsi. Stavo semplicemente aspettando Ian.”

Gia fece un passo avanti e posò il faldone sulla scrivania lucida di Ian, i suoi tacchi a spillo silenziosi sul tappeto persiano. “Tutti parlano ancora della sua esibizione di ieri sera. La sua interpretazione di Think of Me è stata brillante, tra l’altro. Da quanto tempo suona?”

“Da quando ho potuto tenere un archetto tra le mie dita paffute - e grazie.” Garret si appoggiò al davanzale della finestra. “È una fan dei Phantom?”

Gia rise un po’ e scosse la testa, facendo cadere un ricciolo biondo dal suo chignon. “Merda, no. Sono una rocker fino in fondo, nonostante i molti tentativi infruttuosi di allargare i miei orizzonti.”

Una scintilla di speranza divampò in Garrett. Questo significava che Adara era più intenditrice di musica di quella donna e avrebbe potuto apprezzare la sua dedizione? Non che ci fosse qualcosa di sbagliato nella musica rock in tutte le sue forme, ma se aveva uno spunto su cui lavorare, l’avrebbe colto. “E la sua amica che ha lasciato la festa ieri sera senza salutare? Anche a lei piace il rock?”

Il sorriso di Gia vacillò per un istante prima di tornare al suo posto, non più reale. “Non la prenda sul personale. Non è una gran festaiola.” Gia si voltò verso la porta. “Piacere di averla conosciuta, signor Ambrose.”

“Chiamami Garret. E prima che tu vada, ho una domanda.”

Fece una pausa, con gli occhi lucidi.

“Quali sono le probabilità che la tua amica prenda un caffè con me?”

Di fronte a lui, Gia incrociò le braccia sul maglione rosa, del tipo che invitava al contatto. Lo esaminò con un lungo sguardo di valutazione, dalla punta degli stivali da combattimento ai jeans sbiaditi, dalla maglietta del Sean’s Pub alla croce con la collana di platino. Indugiò il doppio del tempo sul viso dell’uomo, abbastanza da farlo contorcere. Garret non si sentiva così a disagio da anni ma dieci secondi sotto l’esame di Gia lo fecero tornare indietro nel tempo alle scuole medie, quando aveva zero fiducia in se stesso, un’imbottitura extra in tutti i posti sbagliati e l’essere un secchione di una band non era alla moda in nessun circolo sociale oltre agli altri secchioni della band.

“Per prima cosa, di’ a Ian che non mi piace essere manipolata.”

Garret trasalì per il tono glaciale nella voce della donna. “Non ha...”

“Risparmiatelo”. Gia sollevò un palmo, il segno universale femminile per indicare di stare zitto. “In secondo luogo, il solo fatto che tu sia un musicista ti mette nella zona no-appuntamenti per Adara, non che lei esca con qualcuno, ma comunque…”

“Vuoi spiegarmi?” Nonostante una potenziale avversione per i musicisti, non poteva negare un lento calore. Se non usciva con lei, avrebbe avuto la sua completa attenzione, tanto meglio per svelare i suoi segreti.

“Non particolarmente.” L’espressione di Gia si ammorbidì un po’, afferrando la maniglia della porta. “Tu puoi scegliere tutte le donne che vuoi. Questo era ovvio ieri sera. Adara non fa la difficile e non ha bisogno di essere inseguita.” Gia aprì la porta, continuando a guardare Garret da sopra la spalla e quindi non avendo idea che Ian fosse sulla soglia. “Soprattutto da un amico di Ian.”

Ian fece un ringhio poco professionale e poco da avvocato.

Lei sussultò e lo affrontò.

Ian era ancorato allo stipite della porta con le mani, bloccandole la strada. “Innanzitutto, signora Hellman, non l’ho manipolata. Avevo bisogno del fascicolo Jackson.” Il giovane avanzò verso Gia che indietreggiò, tenendo perfettamente il tempo con i passi lenti di lui. “Secondo, Garret è l’uomo migliore che io conosca, molto più di me, e se lui crede che Adara sia una principessa che ha bisogno di essere aiutata a evadere dal suo castello del nord, allora farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarlo. Se Adara non riterrà degno prendere un caffè con lui, sarà una sua scelta e, francamente, spero che lei lo respinga in modo che lui non perda tempo e non si faccia spezzare il cuore. Ma di nuovo, questa è la sua scelta, non la mia, non la sua, signora Hellman. Capito?”

Il sedere di Gia colpì la scrivania e lei ne afferrò il bordo con entrambe le mani, come se altrimenti potesse cadere. “Sì, signore.”

Ian mostrò il sorriso di un avvocato che sapeva di aver vinto la causa.

Il ballo di coppia era stato stranamente affascinante. Gia era senza fiato, con il volto arrossato, come se avesse appena superato una performance difficile. Ian incombeva su di lei, il naso a pochi centimetri da quello di Gia, ma quella che avrebbe dovuto essere una posa minacciosa emanava qualcos’altro, qualcosa d’ingabbiato, affamato e desideroso di liberazione. Improvvisamente, Garret aveva voglia di trovarsi da qualche altra parte, qualsiasi altra parte, e poiché non poteva semplicemente passargli accanto senza aggiungere altro imbarazzo, si schiarì la voce.

Ian si raddrizzò immediatamente e si sistemò la giacca, dando a Gia lo spazio per respirare. “Molto bene.” L’avvocato girò intorno alla scrivania. “Si sieda, signora Hellman. La sua deposizione sta per iniziare.”

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