Kitabı oku: «Il bacio della contessa Savina», sayfa 3
III
Mio zio ebbe la delicatezza di non ritornare a parlarmi nè de' suoi progetti, nè de' miei amori, lasciando al tempo ed alla riflessione l'incarico di accomodare ogni cosa. Intanto io passava giorni malinconici e notti irrequiete, rotolandomi nel letto senza trovare riposo. Mi sarebbe impossibile raccapezzare tutti i torbidi pensieri di quelle notti insonni, che inauguravano la mia gioventù come le nuvole burrascose dell'aprile annunziano la primavera. Ma il pensiero dominante era questo: – mi ama o non mi ama?.. Il dileggio e le riflessioni di mio zio non avevano ottenuto altro risultato.
L'amore è sempre stato uguale sulla terra, ce lo dimostra l'adolescente degli antichi, che porta le ali sul dorso, e la benda sugli occhi. L'innamorato continua sempre i suoi voli senza saper ove vada; esso non conosce gli ostacoli che quando vi batta sopra col capo, come le vespe alle invetriate. L'amore non conosce ineguaglianze prodotte dalle vicende o dalle leggi sociali: esso è un impulso della natura, è un'aspirazione dell'anima che cerca il complemento di cui manca.
Io dunque non pensava più di prima nè alle mie tasche vuote, nè ai milioni di casa Brisnago; io pensava semplicemente a questo: – mi ama o non mi ama? – E sentivo dentro di me che mi amava, me lo diceva una voce arcana, un senso inesplicabile, un fremito irresistibile che ricercava tutte le mie fibre, non solo alla sua comparsa, ma semplicemente all'udire il suo nome, o nel vedere un oggetto qualunque che le appartenesse. Ma per convincere i profani, come mio zio, io sentiva il bisogno d'una prova materiale, evidente, sicura. Uno sguardo, un sospiro, un sorriso, una lagrima, sono prove sufficienti per l'innamorato; ma il mondo? Il mondo domanda di più. – E il mazzetto di fiori raccolto? – potrebbe essere un tratto di cortesia, di stima, di deferenza, mettiamo anche di simpatia e d'amicizia… ma d'amore? Nessuno potrebbe asserirlo. Ci vorrebbe qualche cosa di preciso, per persuadere mio zio dell'amore di Savina, qualche cosa di decisivo anche per me.
E se alla prova essa negasse l'amore… se osasse confermare l'accusa di civetteria che le venne slanciata da mio zio!.. I sospetti sono contagiosi, ed io incominciava a dubitare di lei, di me stesso, d'ogni cosa. Se mi fossi ingannato! Se si burlasse di me! – quale atroce derisione! Eppure una ricca e bella signora può essa amare sinceramente, candidamente un povero diavolo! un povero orfano senza pane! – E poi, se ancora mi amasse, che cosa ne penserebbero i suoi parenti? – Forse potrebbero sospettare che io fossi un ambizioso, spinto dall'avidità, innamorato dei milioni!.. Quale umiliazione! Ci avrà essa pensato!.. quali possono essere i suoi progetti? O mi ama come io l'amai sempre… senza pensare ad altro che ad amare?.. Quali dubbi, quali incertezze, quanti sospetti mi entrarono nell'anima!.. E se tali sospetti dovessero mutarsi in realtà!.. partirei da Milano all'istante. – Ma se all'opposto il suo amore fosse puro ed ingenuo come il mio, se avesse fiducia nella mia fede, nel mio disinteresse, nel mio ingegno, che può offrirmi i mezzi d'innalzarmi sino a lei, potrei io abbandonarla, tradire le sue speranze, partire, lacerando la sua anima!.. no, mai! – Un'ultima prova è dunque necessaria, deve essere franca e decisiva.
Con tale determinazione io aspettava ansiosamente il suo ritorno, discutendo in me stesso i diversi progetti che si presentavano al mio spirito come i più opportuni alla prova fissata. Ma ogni piano incontrava insormontabili ostacoli. Impossibile parlarle, difficile farle pervenire uno scritto; e poi provavo un'insormontabile ripugnanza a confidarmi ai domestici, e a comprometterla. Volevo qualche cosa che non lasciasse traccia, un cenno davanti a Dio, senza altri testimoni.
Ho deciso finalmente, dopo maturo esame, di attendere il suo ritorno, e di mandarle un bacio appena si presentasse alla finestra. E pensava: se mi renderà il bacio, nessuno a questo mondo potrà mettere in dubbio il suo amore. Allora il mio dovere sarà fissato, – meritare la sua affezione, ed esserle fedele ad ogni costo. Siamo giovani entrambi e possiamo aspettare; e col tempo e col lavoro si possono fare miracoli. Si videro tanti poveri che coll'ingegno e col pertinace volere raggiunsero le più cospicue posizioni sociali, che il ritentarne la prova non può dirsi pazzia. Se mi ama davvero, ho trovato il punto d'appoggio che domandava Archimede, e posso muovere il mondo!..
Se non mi ama, avrò almeno la forza di partire, e di secondare i progetti di mio zio. Se non mi ama, che m'importa in quale angolo devo portare le mie ossa? – Contessa Savina Brisnago, ecco un uomo in vostra balìa; potete salvarmi od uccidermi. Se i vostri occhi non mi hanno ingannato, voi mi amate. Se mi amate, vi domando un bacio a dieci metri di distanza… ma un vostro bacio darebbe la vita anche attraverso l'Oceano! Ritornate dunque alla vostra finestra, e decidete della mia vita.
Alla mattina seguente mi affacciai al balcone, ma le imposte del palazzo Brisnago erano sempre chiuse e le mie invocazioni disperse al vento.
Così passarono molti giorni. Mio zio mi osservava e taceva, io dissimulava i miei pensieri, e si tirava avanti, egli per lasciarmi agio a riflettere ai miei casi, io aspettando nell'ansia dei timori e delle speranze il momento fatale che doveva decidere del mio avvenire.
Finalmente una mattina essendomi alzato per tempo, vidi molte finestre aperte nel palazzo Brisnago. I domestici mettevano in ordine gli appartamenti, e tutto annunziava il prossimo arrivo.
Quella giornata mi parve un lungo periodo di secoli, ogni minuto durava un anno, un anno di pensieri, di sogni, di progetti, d'entusiasmo e di pene! Guardavo l'orologio, e pensavo: forse ella sarà qui fra due ore, e sentendo al pari di me gli impeti di una passione che trabocca, che dopo lunga compressione domanda imperiosamente di espandersi, risponderà al mio bacio ardente con un bacio modesto, ma soave come il profumo d'un fiore suscitato dagli aliti estivi. Sentivo che quel rapido istante avrebbe bastato ad infondere il genio nell'anima più fredda, era il soffio creatore che dava vita alla mia creta, m'innalzava al disopra degli altri mortali, m'illuminava di quella luce divina che eguagliando l'uomo agli Dei, lo rese talvolta capace di creare di quelle opere che eccitano la meraviglia dei secoli. E progredendo su questa scala, colla accesa fantasia salivo fra le nuvole ove dopo i più strani pellegrinaggi finivo all'apoteosi!.. compiuto il sogno riguardavo l'orologio, e non erano passati che pochi minuti!.. ma dunque le lancette non camminavano?.. sì, camminavano come i cavalli da nolo, mentre il mio cervello volava colla rapidità dell'elettrico.
Se fossi morto quella sera mi sarebbe parso di aver vissuto una lunga esistenza. Dunque tutto è relativo nella vita, il tempo e lo spazio, la miseria e la ricchezza, le tenebre e la luce.
Finalmente uno scalpito di cavalli, un rumore di carrozze che si arrestarono mi scossero dal letargo. Mi slanciai alla finestra, e vidi i grandi cancelli del palazzo Brisnago che si aprivano, e gli equipaggi che entravano. Risoluto all'atto solenne, mi appoggio al balcone ed aspetto. Pochi istanti dopo odo un rumore di porte, e vedo un'ombra lontana che si avanza… era lei!.. – Ancora col cappellino sul capo veniva sorridente alla finestra, a darmi il saluto del ritorno. Ebbe appena il tempo di vedermi, che io deponendo un bacio ardente sulle estremità delle dita della mano diritta raccolta davanti le labbra, glielo gettava in faccia, come un oggetto che potesse realmente caderle sul viso. Essa spalancò gli occhi sbalordita, e fuggì…
La sua repentina scomparsa mi rese immobile per qualche tempo, e quasi asfissiato nel vuoto, e cieco come un uomo, che abbagliato dalla luce istantanea, rientra immediatamente nelle tenebre.
Illusioni, speranze, amore, tutto era svanito: la vita mi sembrava un'ironia atroce, un inganno, un supplizio!
Mi trascinai fino ad una sedia, caddi colla testa sul tavolino e le braccie penzoloni. Non so quanto tempo rimanessi in quella posizione, ma quando alzai la testa era notte.
Presi una risoluzione assoluta, corsi dallo zio, gli annunziai l'arrivo della famiglia Brisnago e la mia partenza per l'indomani.
Mi applaudì, e s'accinse subito ad apparecchiarmi le lettere di raccomandazione, mentre io corsi ad assicurarmi la vettura, ed a prendere le necessarie disposizioni.
Alla sera tutto era pronto, Veronica aveva fatto la mia valigia, e collocato in un baule i libri, le carte, i vestiti e quanto mi apparteneva. Mio zio mi consegnò il denaro necessario al viaggio ed al mio assetto, con le lettere pel parroco, don Vincenzo Liserio, ed il signor Nicola Bruni, aggiungendo istruzioni e raccomandazioni infinite, sugli affari della casa e dei campi, e sulla mia condotta morale. Poi colle lagrime agli occhi mi diede la sua benedizione e mi congedò, non volendo alla mattina alzarsi prima dell'alba, per non rompere tutto l'ordine della giornata.
Io gli baciai la mano teneramente, assicurandolo della mia riconoscenza per tutti i benefizi ricevuti, della mia ferma volontà di camminare sulla via dell'onore, e lo lasciai balbettando le ultime parole strozzate dall'emozione.
Mi coricai colla testa sconvolta, e piansi tutta la notte. Alle quattro del mattino accesi il lume e mi alzai. Presi la medaglia che stava da tanti anni appesa al mio letto, le diedi un bacio, e mi parve di sentire la benedizione di mia madre. Mi posi in tasca quella santa reliquia con religioso rispetto. Era il solo retaggio di famiglia del povero orfano, che ritornava a trovarsi solo sulla terra!..
Apersi il balcone quando le stelle incominciavano ad impallidire alla luce del crepuscolo. La finestra dicontro era chiusa; la contemplai lungamente, e sentivo di non poter distaccare qualche cosa di me stesso, forse un lembo dell'anima che rimaneva attaccato a quel palazzo.
Intanto ella dormiva certamente d'un sonno tranquillo sotto le candide cortine del suo letto, e mentre nell'alcova elegante aleggiavano dei sogni color di rosa, il povero orfano, ferito mortalmente, abbandonava il tetto ospitale, e andava incontro all'ignoto, disingannato di quegli sguardi fatali che gli promettevano il cielo, e poi lo abbandonavano ramingo sulla terra.
Veronica entrò nella stanza, portandomi del caffè e latte caldo, del pane abbrustolato e del burro, volendo che non partissi digiuno. Cure affettuose d'una povera donna che non mi doveva nulla, e che pure ebbe sempre tanti delicati riguardi per me.
Non poteva staccarmi dalla mia cameretta, muto testimonio di tanti sogni, e girava gli occhi intorno, quasi salutando quelle pareti che per tanti anni mi avevano ricoverato, e veduto crescere, amare, soffrire e vivere d'illusioni.
Ma essendo giunta da un pezzo la vettura, dovetti risolvermi, e scendere le scale, accompagnato dalla Veronica che singhiozzava. Giunto alla porta, mi fu impossibile dirle alcuna cosa, le strinsi la mano, essa mi gettò le braccia al collo… ci siamo baciati piangendo e partii.
Attraversando le vie di Milano, sentivo di amare teneramente tutte le case, i selciati, gli alberi, i banchi di pietra della mia città; li conosceva tutti, mi ricordavo di averli veduti tante volte e mi pareva impossibile di poterli lasciare; ma ero trascinato dal destino, rappresentato da una vetturaccia da nolo e da un rozzone coi sonagli.
Pochi momenti dopo, essendo uscito dalla città ed avviato per la strada postale da Milano a Como, mi nicchiai nell'infausto veicolo, e chiusi gli occhi per meditare con pieno raccoglimento sulle mie sventure.
Non conosco l'intensità del dolore che accompagna il viaggio degli esiliati in Siberia, ma non posso persuadermi che le loro ambascie giungano a superare gli affanni che ho provati in quel giorno. Al pari di loro io perdeva la patria, la famiglia, le affezioni e le speranze della vita, e mi avanzava verso le fredde regioni dell'esilio e della solitudine.
Era il mio primo viaggio, non essendo mai uscito da Milano che a piedi e per poche miglia. Altre volte l'idea d'un viaggio mi avrebbe acceso d'entusiasmo, allora invece mi metteva spavento; le montagne della Valtellina mi si presentavano alla mente come l'estremo lembo del mondo; chiuso nel mio dolore io non sentiva nemmeno il bisogno di osservare le campagne che fiancheggiavano la via, e i vari paesi che si attraversavano. Il vetturale si arrestava ad ogni osteria, il cavallo non andava mai avanti, e arrivammo a Como dopo la partenza dei battelli a vapore.
Essendo costretto di attendere l'indomani per continuare il viaggio, avrei potuto visitare la città e i suoi monumenti, e percorrere quei deliziosi contorni che attirano l'ammirazione dei viaggiatori. Invece mi chiusi in una stanza d'albergo coi miei pensieri.
Il primo disinganno è forse il massimo dei dolori, perchè non siamo ancora avvezzi a soffrire. Le tinte rosee che abbellano l'orizzonte all'aurora della vita, come il firmamento all'alba d'un giorno sereno, se si mutano all'improvviso nelle tetre nubi d'un temporale, incutono lo spavento che presentano tutti i disordini della natura. Però tanto nella primavera quanto nella gioventù l'orizzonte cambia sovente d'aspetto, e talvolta un raggio di sole attraversa le nuvole dell'uragano. Questo raggio di sole comparve al mio spirito sotto la forma d'un dubbio!.. – Se ella non avesse osato corrispondere al mio bacio?.. Io mi era preparato con lunga premeditazione a quell'atto decisivo; ma essa fu colta improvvisamente dalla sorpresa. È naturale che la mia audacia insolita ed inaspettata l'abbia gettata nello sgomento. E poi chi sa quale aspetto presentava il mio volto agitato e sconvolto da un'esaltazione febbrile sopportata per varie ore!.. forse le ho fatto paura… E poi una fanciulla che non s'adombra ad un tale atto ha oramai perduto il fiore più soave della gioventù… Essa ignorava completamente le varie peripezie che mi trascinarono a tale tentativo, essa giungeva calma e tranquilla dalla campagna, desiderosa di vedermi, e me ne dava una prova presentandosi immediatamente alla finestra. Dapprima io doveva mostrarmi grato alla sua bontà, riconoscente della sua cortesia, e poi a poco a poco condurla, trascinarla per gradi a quella dimostrazione decisiva. Invece con un atto brusco ed acerbo ho precipitato la catastrofe, ho commesso un'azione grossolana e volgare, ingiustificabile, che doveva produrre un effetto contrario al desiderato. Che cosa prova dunque la sua fuga?.. poteva essa fare altrimenti?.. Io non sono che uno sciocco, ho scalzato le fondamenta d'un edifizio, e poi mi sorprendo che la fabbrica crolli. Io sono un imbecille… ecco la verità! Quella simpatia irresistibile, alimentata dalle assidue contemplazioni che andava sempre maggiormente prendendo l'aspetto d'una passione sincera, rivelata da lunghi e profondi sguardi, e da mille prove che non isfuggono al giudizio acuto di chi ama, quella passione che progrediva lenta, ma tenace nel suo cammino, e già dimostrava d'avere resistito alla lontananza ed alle varie distrazioni di un'intiera stagione, quella passione soave io l'ho troncata con un atto violento, imprudente, inesplicabile, io stesso l'ho obbligata ad arrestarsi, a misurare il pericolo, a fuggire spaventata!..
Imbecille!.. ed ho disertato il mio posto al primo rovescio, senza riparare il mio fallo, senza tentare una nuova prova! All'indomani avrei potuto dimostrare il mio pentimento, e mi avrebbe perdonato. Calmata la prima impressione, ella stessa forse pensa di riparare la troppo brusca ripulsa, forse il suo cuore le spiega l'arcano, ed essa mi attende alla finestra, per consolarmi con uno sguardo divino del suo rifiuto!..
Oh! non è possibile esitare un istante di più, io devo ripartire immediatamente per Milano, e riparare il torto della mia fuga precipitosa, una risoluzione insensata non deve decidere la sorte di tutta la vita… Con tali pensieri uscii dall'albergo per correre in traccia d'una vettura.
Vagai lungamente per le vie senza sapere ove andassi, lottando fra gli opposti pensieri. Che cosa avrei detto a mio zio per giustificare il mio ritorno? Come mi avrebbe egli accolto? aveva io il diritto di scialacquare il denaro ch'egli aveva destinato al mio viaggio ed alla mia dimora mostrandomi leggiero, capriccioso, vano, insensato? Una volta entrato nella via delle riflessioni non mi mancarono argomenti per persuadermi che era tempo di finirla colle pazze fantasticherie, e di pensare in sul sodo. D'altronde, ritornandomi in mente le savie osservazioni del mio benefattore, coll'accompagnamento delle risa convulse, mi si risvegliava quel senso di dignità che l'amore aveva assopito. Pensai che i grandi favori della fortuna non bisogna chiederli, ma meritarli, pensai che nella solitudine che mi attendeva avrei forse trovato nuove forze per tentare la prova letteraria che mi restava ancora come un filo di speranza per l'avvenire. Allora mi parve nuovamente che il mio Lucchino Visconti rivelasse tale novità e altezza di concetti da aprirmi l'adito ad una splendida vita letteraria. Tale fiducia nell'avvenire mi spinse a tentare nuove prove, e decise della mia sorte. – Partirò per la Valtellina, dissi fra me; alcuni mesi di lavoro basteranno a completare la mia tragedia ed a perfezionarla. Ritornerò a Milano col mio tesoro nel sacco; e quando avrò raccolto la palma del trionfo, quando tutti i giornali avranno proclamato l'immenso successo del Lucchino Visconti… mi presenterò alla finestra… rinnoverò la prova… allora la gloria mi darà diritto all'amore… forse potrò sperare d'aver meritato un bacio dalla contessa Savina.
IV
Dopo lungo girovagare, avvicinandosi la notte e sentendomi stanco, sfinito, rientrai nell'albergo. Nella gioventù le passioni più violente tolgono l'appetito ed il sonno fino ad un certo punto, oltre al quale la natura si rivolta e reclama i suoi diritti. Chiesi da pranzo, e subito da bere, chè mi sentivo la gola inaridita. Mi servirono un vinetto bianco che mi parve il néttare degli Dei, c'era qualche cosa in quel vino che calmava l'anima agitata, esilarava lo spirito, sorrideva alle illusioni, rinfrancava le speranze. Mangiai con sufficiente appetito per un innamorato cotto, e mi sentii rinfrancato lo stomaco, ma oppresso dalla stanchezza. Rientrato nella stanza mi coricai. La veglia della notte antecedente, il viaggio mattinale, la fatica del lungo passeggio, il cibo sostanzioso e il vino eccellente m'immersero in un sonno così intenso, che non mi risvegliai che all'aurora. Era una deliziosa mattina d'autunno, io mi sentiva rinvigorito dal riposo, consolato da una speranza di gloria, e predisposto dall'amore a sentire le bellezze della natura. A vent'anni non si possono trovare migliori condizioni per godere quello stupendo spettacolo del lago di Como. Salito sul ponte del battello a vapore io non sapeva ove arrestare gli sguardi, e quando uscii dal porto la mia sorpresa sorpassò ogni aspettativa, e concentrò tutta la mia attenzione.
Un cielo perfettamente sereno, un'aria leggera e trasparente permettevano all'occhio di distinguere con precisione i monti più lontani colle vette acuminate tinte in violetto dai raggi del sole, le colline boscose che scendono fino al lago e si specchiano nelle acque, colle loro ville sontuose e coi paesetti pittoreschi che torreggiano sulle rive. Alcune barchette pavesate vagavano sulle acque calme, che apparivano verdi o turchine secondo la luce del cielo o le ombre delle rive.
Io osservava estatico quel delizioso paesaggio che varia lo spettacolo a misura che si avanza, e sentivo che l'aspetto di una bella natura è benefico agli afflitti, e infonde la rassegnazione e la calma. La mestizia dei pensieri mi rendeva più attraente l'incanto di quelle delizie che sembrano un sorriso di promesse e di gioia. La fantasia mi riportava sovente a colei che stava in cima dei miei pensieri, e l'immaginazione giovanile si piaceva dipingermi la vita al suo fianco in una di quelle villette circondate da ombre misteriose di fitte piante, e abbellite di fiori che eccitavano la mia ammirazione. E talvolta sognavo che ella fosse divenuta la mia compagna, ch'io l'avessi lasciata per qualche giorno e ritornassi alla nostra villa; e mi sembrava vederla appoggiata ad una terrazza aspettando il mio arrivo, e mi sentivo il bisogno di annunziarle la mia presenza, sventolando il fazzoletto.
Ma ciò che per me era un sogno, per altri era realtà. In ogni paesello, ad ogni approdo, si vedevano dei volti sorridenti accogliere gli ospiti, gli amici, i congiunti, o salutare i passaggeri. Io solo non avevo una mano che si stendesse per mandarmi un saluto, io povero orfano andavo a guadagnarmi il pane in un deserto villaggio delle montagne, e fuggivo lontano da colei che avrebbe potuto fare la felicità della mia vita. Fantasticando in tal modo sugli umani destini, il mio sguardo si arrestava sopra le povere casupole dei pescatori, e pareva che una mano misteriosa mi additasse quelle catapecchie per mostrarmi che dovunque si vada la miseria sta al fianco della ricchezza, e talvolta si avvicendano sulla ruota della fortuna; la miseria è sovente il prodotto dell'ignoranza, come le ricchezze sono il frutto del lavoro e dell'ingegno, e appunto molti di quei caseggiati sul lago rappresentano il guadagno di grandi artisti che col loro genio seppero raggiungere la celebrità e la fortuna.
Allora mi parve nuovamente che il Lucchino Visconti dovesse aprirmi la strada a lucrosi guadagni, che mi avrebbero permesso un giorno di acquistare uno di quei deliziosi villini e di condurvi la contessa Savina.
A poco a poco il lago si faceva più solitario e più grave. Alle villette signorili succedevano i paeselli laboriosi e le nude roccie. È sempre così nella vita: ai sorrisi della gioventù succedono i pensieri dell'età matura, alla poesia che apre lo spettacolo dell'esistenza seguono le gravi cure degli affari; la vita procede meno bella, ma più seria e più utile; voltandoci indietro vediamo il cammino percorso, e guardando avanti possiamo calcolare la breve distanza che ancora ci divide dal porto… infatti poco dopo il battello giunto davanti Colico si arrestava, terminando così le mie divagazioni poetiche e il viaggio.
Ogni poeta diventa positivo davanti i fatti volgari della vita, ed io ho dovuto abbandonare i miei sogni per correr dietro al mio bagaglio; ma quando mi accorsi che bisognava scendere a terra, il ponte del battello era già sgombro, e i viaggiatori s'erano precipitati sulla riva. Non potevo staccare il mio sguardo da quel panorama del lago, e mentre il mio occhio saliva dalle colline ai boschi, dai boschi alle nude roccie, ed alle cime imbiancate dalla neve, i miei compagni di viaggio entravano nel paese. L'ultimo facchino mi offrì i suoi servigi che accettai, sbarcando colle mie valigie quando gli altri passeggieri erano già molto lontani.
Fra le raccomandazioni di mio zio c'era anche quella di non fermarmi a Colico per evitare il pericolo delle febbri palustri. Chiesi dunque immediatamente un mezzo di trasporto.
– La diligenza parte in coincidenza col battello a vapore, – mi rispose il facchino.
– Benissimo. Conducetemi alla diligenza.
– Ci siamo in due passi.
Mi fece camminare un quarto d'ora, e vi giungemmo che l'imperiale era già carico; e i viaggiatori più accorti di me erano corsi ad assicurarsi i posti migliori. Il coupé era completo, e non restava che un solo posto all'interno. Mi affaccio allo sportello e vedo cinque persone stipate, che aspettavano l'ultimo compagno di sventura, come il ceppo aspetta il cuneo che deve spezzarlo. Un'enorme matrona raccoglieva le pieghe monumentali delle sue vesti per apparecchiarmi una tomba al suo fianco. Retrocessi inorridito; la morte non mi spaventa, ma l'idea di trovarmi sepolto vivo mi fa orrore!..
Lasciai partire la diligenza senza di me, e ne ebbi le benedizioni dei viaggiatori, a me più grate della loro compagnia in condizioni inaccettabili. Non mi restavano altri mezzi di trasporto che le mie gambe, le quali a vent'anni sono ancora il migliore di tutti, specialmente nelle regioni montuose ove l'aspetto della natura compensa largamente la fatica. Consegnai all'ufficio della diligenza il mio bagaglio da spedirsi l'indomani a Tirano, ove lo avrei fatto ricuperare a mio comodo. Feci colazione da un trattore, e partii.
Mi ricorderò fin che vivo quel viaggio pedestre veramente meraviglioso per un milanese che non era mai uscito dal nido. L'aspetto del lago di Como aveva attirato la mia attenzione, come il soave preludio che apre una sinfonia.
Io entrava per la prima volta nelle regioni sublimi delle montagne, a passi lenti, e con rispettoso raccoglimento, come un devoto che penetra nel tempio di Dio. Le valli ondulate chiuse fra eccelse rupi, i boschi d'abeti che s'arrampicano sulle roccie fra i precipizii, le acque rumoreggianti che saltavano di balzo in balzo fino al profondo torrente arrestarono lungamente i miei sguardi incantati.
Solitario in quel sublime deserto, io restava colpito da voci e da suoni ignoti, che mi eccitavano sorpresa e venerazione. Il vento aveva dei sibili umani fra le chiome di quei boschi, le acque imitavano il fragore del tuono, e gli uccelletti associavano i gorgheggi e le variazioni dei loro canti a quei cupi fragori. Tutto eccitava la mia curiosità, dall'orrido precipizio che si sprofondava negli abissi, al grazioso fiorellino delle Alpi che smaltava le rive. E sentivo in me stesso che la mestizia d'un amore infelice predispone l'anima soavemente all'ammirazione della natura.
In un sito incantevole presso Morbegno mi sedetti sulle sponde del torrente Bitto, e rimasi lungo tempo in contemplazione. All'aspetto di quei monti sormontati da altri monti lontani, più alti e scoscesi, in quella solitudine completa io sentiva la piccolezza dell'uomo, e la coscienza del mio isolamento attristava il mio cuore. Ignoto ai mortali, lontano dalla società e dalle sue agitazioni, un solo filo mi teneva legato alla terra, un filo invisibile che mi univa ad una lontana finestra di Milano ove una fanciulla attendeva il mio ritorno, guardava furtivamente il balcone della mia cameretta deserta, pensava tristamente al mio abbandono, si avvedeva della mia partenza, e nascondeva una lagrima. Quel filo invisibile era però tanto potente da tener legati due pensieri lontani, da far battere all'unisono due cuori separati violentemente da condizioni fatali; alle due estremità di quel filo cadevano due lagrime per uno stesso dolore, prodotto dalla lacerazione di due anime che la natura voleva congiunte, e che la società condannava al distacco. Io non potevo sapere ciò che pensava in quel punto la contessa Savina; eppure avrei messo pegno la vita, che essa pensava a me, come io pensava a lei; la grande distanza non poneva ostacolo alla nostra arcana corrispondenza, io la sentiva con una certezza che non ammetteva dubbio. I presentimenti d'amore non sono che rivelazioni profetiche. E mentre la mia stella mi attirava co' suoi raggi nell'unico angolo dell'universo ove io poteva essere felice, io invece vagava solitario per monti e per valli, in opposta direzione, abbandonando il sicuro, per andare in traccia dell'ignoto!.. Pur troppo, questo è sovente l'umano destino. La mia compagna, quella che la natura mi aveva destinato, mi attendeva invano; io era smarrito in un deserto, solo, poveretto… solo al mondo!..
Questi erano precisamente i miei pensieri quando un lieve calpestio sulle foglie secche cadute dagli alberi mi fece voltare la testa. Un cane nero mi guardava con occhi pietosi dimenando la coda. L'osservai dapprima con diffidenza, poi con simpatia. Egli s'avvide del cambiamento, e mi si avvicinò lentamente, quasi interrogandomi sulle mie intenzioni. Lo accarezzai, ed egli appoggiando le sue gambe anteriori sui miei ginocchi, allungò il muso e si mise a lambirmi il viso, poi seduto sulle gambe posteriori continuava a guardarmi. Allora pensando che forse il suo padrone lo cercava, m'alzai e ripresi la strada, ed egli mi seguì da vicino. Guardai lontano a diritta ed a sinistra, sui dirupi del monte e sul pendìo della vallata, e non vidi nessuno. Allora, additandogli il cammino verso Colico, gli dissi:
– Va', cerca il padrone, va' via.
Il cane, vedendo che lo minacciavo per farlo partire, si gettò a terra sul dorso, colle gambe in aria, guardandomi con uno sguardo pietoso.
Dunque, dissi fra me, se non vuole andare verso Colico, è segno che il suo padrone ha preso la direzione di Sondrio; dovendo io fare la stessa strada, lo troveremo; e ripresi il viaggio. Il cane mi seguiva tranquillamente. Ad una svolta della via m'incontrai in uno stradino che acciottolava la strada e gli chiesi:
– Conoscete questo cane?
Egli lo guardò con indifferenza e mi rispose:
– Non l'ho mai veduto.
Allora mi decisi di abbandonarlo sulla via per non distrarlo dalla ricerca del suo padrone, e presi un sentiero che salendo in fianco alla strada s'inerpicava sulla montagna; ma egli mi seguì tranquillamente; mi arrestai a contemplarlo, e pensai: esso è solo al mondo, povero cane, e il suo istinto lo spinge a trovarsi un compagno. Era più brutto che bello, ma aveva due occhi umani pieni di bontà, e guardandomi con tenerezza pareva mi dicesse:
– Siamo soli tutti e due, non mi abbandonate, possiamo vivere in compagnia.
Mi ricordai d'aver udito varie volte a raccontare che due uomini essendosi incontrati per caso, ed entrati in intimità senza conoscersi, ne derivarono poi gravi disordini, ruberie e disgrazie; ma non avendo mai udito che simili conseguenze fossero derivate dall'intimità dell'uomo col cane, mi decisi di conservare il mio compagno, almeno fino a che avesse ritrovato il padrone. E supponendo possibile che fosse digiuno da varie ore, m'arrestai davanti l'osteria di un villaggio che aveva una baracca rizzata sulla via, coperta di paglia, con sotto al rustico tetto un tavolo e sedili di rozze assi inchiodate sopra quattro pali. Domandai pane, vino e dell'acqua.
Povera bestia, con quale ingordigia addentava i primi bocconi! Mangiammo insieme pacificamente, poi gli diedi dell'acqua nel piatto, e bevette con avidità. La più viva riconoscenza brillava nel suo occhio, nei suoi movimenti, nel suo dimenar di coda.