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Kitabı oku: «Il bacio della contessa Savina», sayfa 7

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Alla prima ricerca il dottore rimase inquieto e mi spinse a cercarvi con maggior attenzione; alla seconda, ed alla terza volta il suo ardire si andava rialzando, e quando gli comunicai i miei sospetti sulla vostra fuga, e le precise parole della fantesca, allora ricominciò ad alzare la testa, a parlarmi con gravità magistrale, aggiustandosi il solino, rilevandosi il ciuffo, mettendo i pollici nello sparato delle maniche del vestito, gettando indietro il soprabito, soffiando lentamente dalle labbra strette, e pensando fra sè stesso se poteva arrischiarsi a proclamare la sua indignazione. Finalmente, avvicinandomisi con aria misteriosa, ed urtandomi il petto col gomito, mi disse:

– È fuggito!.. fuggito… che cosa ne pensate voi? – soggiunse.

– Veramente, – gli risposi, – tutto lascia supporre che sia fuggito!..

– È fuggito, – egli ripeteva, alzando sempre più la voce, – è fuggito dalla mia giusta indignazione… mi ero ingannato nel giudicarlo, esso è tutt'altro che un rodomonte… esso è un vero vigliacco!.. un insolente di cattiva lega, che vi getta in faccia l'oltraggio, e poi si nasconde; ma le cose non possono passare così… non si offende impunemente il dottore Marco Canziani… Il signor maestro Daniele Carletti mi ha offeso, esso intendeva evidentemente colle sue parole di macchiare il mio onore, e di nuocere alla mia riputazione… io lo sfido all'ultimo sangue… voi siete il mio primo testimonio, trovatene un secondo, stendete un processo verbale, e constatate il fatto vergognoso e disonorante pel mio avversario, che abbandonando il terreno, è fuggito vilmente, rendendosi indegno di qualunque ulteriore giustificazione…

– Vi ha detto proprio così?.. – io chiesi al farmacista.

– Precisamente!.. le stesse parole, aggiungendone delle altre. Eccoli, – egli diceva, – eccoli questi giovanotti, che portano la testa alta, che fanno i sacripanti coi timidi e i tapini, eccoli come si mostrano davanti chi sente la propria dignità, davanti chi non tollera ingiurie, ed alza la testa… fuggono come tanti conigli! Caro Gaspare, voi siete stato presente alla mia sfida ed alla sua fuga, non ci rimane altro da fare che il processo verbale, nel quale dovete constatare esattamente i fatti, autenticandone le firme. Vi prego di farne varie copie… a tutte mie spese; e vi raccomando la verità, – cioè la mia sfida ad oltranza, e la fuga precipitosa dell'avversario e basta così. Ora, come vedete, tutto è finito; il mondo pronunzierà la sentenza!..

E lasciandomi tale incarico, se ne andò, tutto gonfio e pettoruto, a fare un giro pel villaggio, raccontando a tutti, con un sogghigno malizioso, la provocazione, la sua risposta, e la vostra fuga… e conchiudeva sempre alzando la mano, movendola rapidamente; e dicendo: – scomparso, fuggitivo, d'ignota dimora… corre… corre… e non si volta nemmeno indietro. Tutto il villaggio ne fece le più grasse risate…

La condotta del medico aveva reso impossibile ogni accomodamento, ed io dichiarai immediatamente che una soddisfazione all'onore era divenuta indispensabile. Io non era nè un insolente, nè uno spadaccino, nè un vigliacco; io aveva una mia opinione, e la sosteneva; io dichiarava, che dato un uomo che crede essere un Dio, è pazzo colui che gli toglie una così beata illusione; io dichiarava stimare malefica la medicina che disinganna un uomo felice, dichiarava imbecille colui che sostiene il contrario. In quanto alla pretesa mia fuga, essa non era stata realmente che un'escursione sui monti durante due giorni di vacanza, ed ero rientrato nel villaggio ignorando le ciarle del dottore e le sue ricerche. Che egli alla sua volta aveva offeso gravemente il mio onore, il solo bene ch'io possedevo, e intendendo di conservarlo con ogni scrupolo, accettavo la sua sfida all'ultimo sangue, deciso di mostrargli che si è completamente ingannato sul mio conto, ch'io facevo pochissimo caso della vita, ed offrivo il mio sangue, per sostenere la mia onesta riputazione.

Pregai l'organista Tobia di volermi servire di padrino, e gli diedi l'incarico di riferire esattamente tali dichiarazioni al dottore, lasciandogli la scelta delle armi, a patto che stesse ferma la sfida all'ultimo sangue.

Il farmacista si unì a Tobia, e così Ugolino Gonzaga ed Uguccione Della Fagiuola si presentarono a Lucchino Visconti.

X

Il tiranno s'era appena seduto a mensa davanti un bel piatto di maccheroni al sugo, s'era cacciato nella cravatta un lembo del tovagliuolo per conservare illibato da ogni macchia il panciotto; e dalla serenità del suo volto traspariva ad evidenza l'uomo doppiamente soddisfatto del suo onore… e dei suoi maccheroni.

L'annunzio del mio ritorno gli fece cadere dalle mani la forchetta, l'annunzio della mia accettazione alla sfida gli strinse la gola come un capestro. Addio maccheroni! non gli restava che l'onore da salvare, e poteva costargli la vita. Ecco il mio argomento sulla pazzia convalidato da un nuovo avvenimento; ove è il matto?.. È quello che s'illude sul piacere di mangiare un piatto di maccheroni, o colui che lo richiama alle amare realtà della vita?.. Lasciate dunque che l'uomo creda nei maccheroni, e non fatevi un vanto di lacerare le sue belle illusioni per mostrargli la canna d'una pistola o la punta d'una spada. Questo avvenimento che condanna la filosofia realista, condanna in pari tempo il duello. Il duello non prova nulla. Togliete un uomo ai maccheroni per darlo in preda alla morte; che cosa avete salvato?.. l'onore, la verità, la giustizia?.. Credere che un uomo che abbandona un piatto appetitoso per uccidere o restare ucciso possa salvare qualche cosa è una vera insania, che ripugna al buon senso. Esso non può salvar nulla, e può perdere tutto, i maccheroni e la vita. Due buone cose, delle quali ognuno ha l'obbligo di tener conto, e che pur troppo si giuocano sovente per una chimera!.. Ma fin che dura il pregiudizio sociale del duello, sarà necessario lasciare i maccheroni per battersi coll'avversario, e quindi il dottore Canziani dovette alzarsi da sedere e disporsi al doppio sacrifizio.

Però tale risoluzione gli pesava assai, non si poteva decidere, e siccome nelle più gravi sventure la speranza è l'ultima che ci abbandona, così un raggio di speranza illuminò la sua mente scomposta. Egli esaminò con uno sguardo scrutatore i due testimoni, e sembrandogli di scorgere sul loro volto la calma dell'uomo senza pensieri, si mise a ridere cordialmente… si sedette di nuovo… aspirò con voluttà l'esalazione gastronomica che gli saliva dal piatto, e disse:

– Ho indovinato tutto!.. è uno scherzo!..

Anche la calma dei testimoni lo aveva illuso; i testimoni sono sempre sereni, essi non hanno nulla da perdere, nè l'onore, nè la vita, nè i maccheroni. Ed essi dovettero rispondergli:

– Dottore carissimo, non si tratta di scherzi, ma di pura verità, e pur troppo d'una verità molto seria; – e Tobia soggiunse:

– Ella ha accusato di viltà il maestro, lo ha reso ridicolo a tutto il villaggio, lo ha sfidato all'ultimo sangue. Simili provocazioni non si possono accomodare; favorisca dunque di seguirci in un luogo più opportuno per convenire sulle condizioni.

Allora il tiranno, assumendo una posa tragica, si alzò, e dimenticando di togliersi il tovagliuolo, si mise a declamare sulla inopportunità di tali pretese.

– È troppo tardi!.. – egli diceva dimenandosi furiosamente ed agitando il tovagliolo che gli scendeva sul petto. – È troppo tardi!.. il termine fissato da ogni convenienza è trascorso, il processo verbale è redatto e firmato in pieno ordine, l'ho aspettato abbastanza l'avversario, il tempo utile per ogni reclamo è trascorso, gravi occupazioni umanitarie reclamano le mie cure, e non posso nè devo trascurare i doveri del mio stato per secondare un capriccio… – e si agitava furiosamente, guardando di sbieco i maccheroni, che svaporavano e diventavano freddi.

Tobia alzava le spalle con impazienza, e quando il dottore finì di parlare, gli rispose:

– Questa volta la prescrizione del medico non ha valore, è affatto arbitraria, è priva di diritto. Nessuna legge, nessuna abitudine, nessuna convenzione ha mai limitato il tempo di chiedere riparazione a chi ha ricevuto un oltraggio. Il maestro ignorava la sfida e le offese che la accompagnarono: appena di ritorno da una escursione, vedendo che tutti gli ridono in faccia ne domanda la cagione, e viene a scoprire la calunnia che lo rese ridicolo. Egli non ha perduto un istante di tempo, ci ha mandati ad avvertirla che non solo accetta la sfida, ma esige che il duello abbia luogo in modo tale da risarcire interamente il suo onore.

Il dottore indispettito, non sapendo come sfuggire alla posizione nella quale s'era collocato per imprudenza, si strappò con impeto stizzoso il tovagliolo, ed alzando la destra in tono tragico esclamò:

– Poichè si esige assolutamente del sangue, ebbene sia!.. non la giustizia, ma la sorte deciderà della vita d'un uomo… e forse d'un innocente assalito sulla pubblica via, colle ingiurie più scandalose… – e aprendo la porta che metteva al suo studio, accennò ai testimoni che volessero entrare.

– Oh Dio!.. Oh Dio!.. vogliono assassinare mio marito!.. – si mise a gridare la signora Pasquetta, che fino a quel momento aveva assistito a quella scena, muta e sbalordita… – Oh Dio! Gaspare… per amore del cielo… oh Tobia!.. calmateli, fate la pace…

Tobia la guardava impassibile sulla porta, il medico uscì mettendosi le mani nei capelli, e la signora Pasquetta si precipitò nelle braccia del farmacista, che procurava invano di calmarla…

– Gaspare!.. salvatelo… salvate la sua vita!.. è vostro dovere!.. voi sapete ch'egli è innocente… è una vittima della sua debolezza… è un uomo tranquillo… pacifico… che non ha mai preso un'arma in mano… Gaspare… la vita di mio marito è nelle vostre mani.

Tobia mi ha confessato poi che quella scena di una ribelle, perorante in favore della legittimità nelle braccia dell'usurpatore, sorpassò la commedia dei maccheroni.

– Belle scene! comiche tutte due! – egli mi ripeteva; ma la fisonomia del farmacista superava ogni aspettativa. È vero che il disinganno del medico davanti i maccheroni fumanti aveva il suo valore, ma il disinganno dell'innamorato davanti l'affetto coniugale che si risveglia nel pericolo, destava un grande interesse morale!.. Io stava per iscoppiare dalle risa, quando la cuoca, attirata dal rumore, entrò nel tinello, proprio in tempo opportuno per ricevere fra le sue braccia la padrona svenuta. Abbiamo colto il momento favorevole per entrare nello studio del medico. Egli ci attendeva nell'attitudine d'un uomo deciso… a risparmiar la pelle. Volle dapprima mostrarsi pronto ad ogni estremità, dicendo:

– Poichè si esige assolutamente ch'io uccida un uomo… ebbene, l'ucciderò!..

– Uno più, uno meno, non fa gran caso!.. – rispose Tobia…

Il medico, nuovamente colpito da questo dardo fulminava l'organista con isguardi di fuoco… poi tentando una nuova scappatoia, saltò su a dire:

– E che cosa farebbe quel signorino se io mi rifiutassi di prestarmi ai suoi capricci… che lo espongono a commettere un delitto… e ad essere condannato in prigione per omicidio?..

– Che cosa farebbe! – soggiunse Tobia, – le darebbe uno schiaffo in pubblico!..

Il dottore diede un balzo, poi, gettandosi violentemente sopra Tobia! voleva metterlo alla porta.

– Insolente!.. provocatore!.. – egli esclamava, – siete voi colla vostra lingua di vipera che mettete tutto il paese in iscompiglio… voi colle vostre punture… colle maldicenze… colle calunnie, che spargete il veleno nelle famiglie tranquille, che aizzate le collere, che esagerate le offese… che inventate mille fandonie per suscitare le discordie ed accendere gli animi alla vendetta. Voi siete la peste del paese!..

A tali parole Tobia, che tremava per la bile concentrata, non potè più reggere, gettò lungi il lungo cappello a cilindro che faceva girare nelle mani convulse, si alzò in due tratti le maniche che gl'ingombravano i polsi, e alzati i pugni in aria si slanciò verso il medico. Esso erasi rifugiato dietro ad un tavolo; il farmacista fermò l'assalitore per le spalle, e nell'impeto della lotta caddero per terra con gran rumore le sedie, i libri, il calamaio, e tutti gli oggetti circostanti. Fu un tafferuglio del diavolo, che durò alcuni minuti. A quanto mi si raccontò, Uguccione Della Fagiuola era divenuto una iena, Lucchino Visconti un serpente a sonagli ed Ugolino Gonzaga si trovava trasformato in domatore di belve feroci, le quali avevano ridotto lo studio del dottore in una gabbia; l'organista voleva battere il tempo sulla testa del medico, e questi voleva cavar sangue per forza all'avversario. Il farmacista, privo d'ogni mezzo terapeutico per deprimere quelle convulsioni, non trovava al momento altro rimedio pratico all'infuori di quello di batterli tutti e due e menava colpi a dritta ed a sinistra per dividere i contendenti.

Ci volle tempo e fatica per raggiungere lo scopo. La musica dell'avvenire è meno fragorosa di quella che sonava l'organista, la medicina antiflogistica è più mite di quella che voleva esercitare il medico sull'avversario.

– Ammazzatevi in nome di Dio!.. ma da galantuomini, – gridava il farmacista; – non è lecito rompersi la testa a pugni, il decoro esige che gli uomini onesti si sbudellino colle regole cavalleresche; cessate dunque dalle ceffate e dai cazzotti e usate le armi più nobili!.. – Tobia abbrancava un dizionario per rompere la testa al medico… – Alto!.. ferma!.. gridava il farmacista, arrestando il braccio furioso dell'assalitore… urlando con quanto fiato aveva in gola: rispettate la casa, rispettate l'ospitalità, ascoltatemi, uccidetevi in regola, a tempo e luogo opportuni… Finalmente con improba fatica potè calmare quei furibondi e dividerli.

Ridotti in due angoli opposti, si guardavano in cagnesco, quando Gaspare nel mezzo, alzando le braccia minacciose verso entrambi, pronunciò la sentenza finale: – Capisco che ogni conciliazione è divenuta impossibile… ma cessi ogni lotta ignobile, e si porti lealmente sul terreno ogni questione per finirla con decoro ed onore. Allora di comune accordo vennero fissate le condizioni del duello, e scelte le armi. Tobia troverà un altro testimonio pel maestro, Gaspare un secondo padrino pel medico. Dopo il primo duello si potrà vedere se ci sarà motivo per un secondo assalto fra il medico e Tobia; per ora non si parli che del primo scontro. L'ora?.. domattina, al levar del sole. Il luogo?.. il prato delle quercie dietro il cimitero. Le pistole di misura normale, a quindici passi di distanza, col diritto di tirare a volontà, e di avanzarsi per iscaricare le armi, anche a bruciapelo.

Poichè il dottore ebbe accettate tutte le condizioni, i due padrini vennero a farmi la relazione dell'affare conchiuso, narrandomi esattamente i più minuti particolari di quell'episodio tragico-comico, finito con alcune contusioni da ambe le parti, che precedevano gli ulteriori ferimenti, come l'antipasto il banchetto!

Ascoltai con amarezza il racconto di quelle scene volgari, che incominciando la lotta con assalti villani, toglievano al duello il carattere cavalleresco che solo può renderlo tollerabile. Ma come fare?.. Non toccava a me decidere quanto i costumi grossolani del villaggio avessero pregiudicata la questione rendendola ridicola. Io poteva soltanto deplorare la sorte che mi condannava a subire una legge assurda in sè stessa, resa affatto inconveniente dalle circostanze. Ma non mi era possibile ritirarmi senza far ricadere sopra di me solo i torti altrui. Ho dunque accettate tutte le condizioni senza commenti, approvando l'incarico assunto dai due primi testimoni, da completarsi, trovando gli altri due che mancavano.

Era già notte avanzata quando fui lasciato solo, e mi restavano poche ore per giungere al momento fissato di trovarci sul terreno.

Mi gettai vestito sul letto pensando ai casi miei e confesso ingenuamente d'aver passato una pessima notte. Il matrimonio della contessa Savina era la causa di tutte le mie disgrazie. Essa aveva spente le mie illusioni giovanili, aveva acceso il mio furore, m'aveva tolto il senno, e forse mi toglieva la vita!.. Che cosa ero venuto a fare a questo mondo io?.. Ad amare una fanciulla alla distanza di venti metri, per poi fuggirla senza ragione, e vedermela rapire senza giustizia… e poi morire per mano d'un medico!.. Questa seconda parte la trovavo abbastanza regolare, e non mi sorprendeva punto… Ma la prima parte mi pareva incompleta… evidentemente vi mancava qualche cosa… Ah! se almeno avessi ottenuto quel bacio!.. quel bacio e morire… la mia vita non mi sarebbe sembrata incompleta!

Facendo il mio esame di coscienza come un moribondo, trovavo dapprima che avrei potuto impiegare meglio il tempo, e forse se non avessi incominciato a vivere con una chimera, ora non arrischierei di morire per una imprudenza. Poi, scendendo sempre più profondamente nella mia anima, vi trovava dei misteri… sentivo che la gioventù, l'amore della vita, malgrado i disinganni e i dolori, mi tenevano ancora avvinghiato alla terra. La vita mi appariva sotto un nuovo aspetto al momento di perderla; e mi pareva che non fosse tanto atroce, da lasciarla per sempre senza rimpianto. Era forse viltà?.. era paura?.. non lo so; ma scrutando attentamente nelle più profonde latebre del mio cuore, vi trovava di peggio, vi trovava del fango!.. Sicuro, del fango!.. un desiderio colpevole che serpeggiava in quegl'imi recessi della vita!.. – La contessa Savina non è morta… io pensava… fin che vive non ho perduta ogni probabilità di rivederla… Rivedendola… ed essa rivedendomi… forse… chi sa!.. Chi può prevedere i casi della vita?.. Dunque un atomo di speranza agitava ancora il mio cuore; una speranza colpevole, la speranza d'un bacio! ecco il fango! era una speranza quasi impercettibile, come un infusorio… ma era viva!..

La morte vicina mi produceva l'effetto d'una lente, m'ingrandiva gli oggetti… la speranza si allargava, si moveva, diventava visibile!.. il fango fermentava, come le materie palustri, e mi dava la febbre!..

La natura umana è fatta così; e non sono io che l'ho fatta!..

La morte soltanto distrugge ogni speranza d'amore… e forse nemmeno la morte la distrugge interamente.

L'amore appartiene alla tribù degli antropofagi… che si mangiano fra di loro. La morte raffredda, ma non distrugge l'antropofago; la distruzione ha luogo soltanto quando l'antropofago vivo divora l'antropofago morto: allora solamente non resta più nulla… tutto è finito.

Divagavo fra gli antropofagi quando la luce del crepuscolo venne a richiamarmi alla dura realtà. Apersi la finestra, l'aria imbalsamata del mattino entrò nella mia stanza, la natura si risvegliava dal suo letargo e rivolgeva un sorriso al cielo sereno. Il capinero cantava sul biancospino fiorito, le nuove foglioline degli alberi appena sbocciate oscillavano alla brezza mattutina e lucevano al sole. La vita mi sembrava bella… e bisognava apparecchiarsi a lasciarla… nella primavera della vita e dell'anno.

Rivolsi un pensiero affettuoso a mio zio canonico, e un altro pensiero non meno tenero a Bitto. Perchè nascondere la verità? Ho avuto delle stranezze, ma non sono mai stato un ipocrita: dico sempre quello che sento. Non mi vergogno d'aver amato un canonico… nè un cane. Entrambi mi diedero prove d'affetto, ed io sento riconoscenza eguale per chiunque mi fa del bene. Se taluno pretende che si devono distinguere gli uomini dalle bestie, mi provi che i primi furono sempre superiori alle seconde. Intanto, io che ho trovato molte volte la bestia superiore all'uomo, li metto insieme, e credo di non far torto a nessuno.

Deciso di morire onorato, diedi un addio alla vita, e non pensai più che a finirla con una morte dignitosa. Volli pulirmi e pettinarmi come un uomo che va ad una festa, e uscito tranquillamente di casa mi recai al luogo fissato. Poco dopo vidi comparire Tobia accompagnato dal signor Nicola Bruni, seguiti a piccola distanza dal farmacista e dal suo praticante. Mi sorprese alquanto la presenza del signor Nicola, che non mi sembrava uomo adatto a simili affari; ma l'impreveduto non succede che nel nostro cervello, perchè tutto quello che succede di fatto doveva naturalmente succedere.

Il signor Nicola mi diede una stretta di mano, annunziandosi con brevi parole per mio secondo testimonio.

– Vedendo il caso inevitabile, – mi disse, – quantunque con sommo rammarico, non ho voluto rifiutarvi la mia assistenza in questo momento…

Lo ringraziai cordialmente della sua bontà, e accennai a Tobia la mia soddisfazione per la scelta che aveva fatto.

A compiere la tragedia non mancava più che il tiranno.

– È capace di non venire, – disse Uguccione della Fagiuola.

– Sarete sempre una cattiva lingua, – soggiunse il farmacista, indicando col dito un gruppo d'alberi, dietro ai quali compariva il dottore.

– Domando scusa del ritardo… – disse il tiranno al suo arrivo… – ma anche gli affetti di famiglia hanno i loro diritti… e i loro doveri… ho dovuto ingannare mia moglie…

Tobia alzò le spalle, un impercettibile sorriso sfiorò le labbra del farmacista, mentre il dottore continuava:

– Ho dovuto assicurarla che ogni differenza s'era appianata amichevolmente, e che il signor Daniele non mi aveva rifiutata la sua mano… – e così dicendo mi stendeva la destra, in atto modesto e quasi supplichevole.

In quel momento, dimenticando ogni altra cosa, non vidi che il tiranno della mia tragedia divenuto affatto ridicolo, n'ebbi dispetto, e girando sui talloni gli voltai la schiena.

– Animo, alla decisione, – disse Uguccione.

Allora i padrini misurarono la distanza, caricarono le pistole, ce le consegnarono montate, e ci posero in guardia. In quel momento, avendo paura d'aver paura, io non pensava più a nulla. Guardai in faccia il dottore, che aveva i capelli irti, ed era pallido come un morto. Pareva che la sua testa si sostenesse più del solito sui solini, la sua bocca faceva uno sberleffo. Egli si teneva immobile colla pistola tesa. Io mi avanzai verso di lui lentamente, e giunto circa alla metà dello spazio che ci divideva, mi fermai e lo presi di mira. Eravamo a sei passi di distanza. Allora, sentendo il pericolo imminente, egli si decise a tirare pel primo, alzò la pistola all'altezza del mio petto, e fece partire il colpo. Io rimasi incolume, e immobile continuai ad osservarlo; egli era divenuto verdognolo. M'avanzai lentamente, colla mano ferma e l'indice sul grilletto; ad ogni passo che io facevo, i suoi lineamenti si alteravano, la tinta del suo volto si oscurava, ed io avanti, avanti, avanti. Egli era divenuto livido quando gli posai la bocca della pistola sul cuore. Chiuse gli occhi, alzò la testa, abbandonò le braccia come un uomo che sta per cadere. Allora gli dissi lentamente:

– Signor dottore, se io non fossi matto vi ucciderei, ma io sono matto e vi dono la vita. Imparate a rispettare i matti, e non occupatevi altro a guarirli. – E così dicendo gettai la pistola sull'erba e gli stesi la mano. Egli me la strinse fortemente colla sua che era fredda come quella d'un cadavere, e stava per profferire qualche parola, quando Uguccione della Fagiuola, raccolta la pistola carica, mi disse:

– Adesso tocca a me!.. io pure sono stato offeso dal dottore, ed esigo che mi domandi scusa… o si apparecchi a morire…

Il tiranno aggrottando le ciglia balbettava parole incomprensibili. Le sue mani avevano contrazioni nervose, e pareva che si sentisse stuzzicato a gettarsi al collo d'Uguccione… quando il farmacista saltò su a dire:

– Finiamola… basta così.

– No, – rispose l'ostinato, – è troppo orgoglioso, voglio castigarlo. Dottore, io rappresento in questo momento tutti i cadaveri che avete mandati al diavolo prima del tempo. Io rappresento la congiura dell'inferno contro l'omicida, raccomandate al cielo la vostra anima… e morite.

E così dicendo lo prese di mira a soli quattro passi di distanza, e fece partire il colpo. Io pensai che l'organista fosse diventato pazzo improvvisamente; feci un salto per isviare il suo braccio, ma giunsi troppo tardi, il colpo era partito. Quando il fumo mi permise di vedere il dottore, esso traballava… e colle mani strette sul petto, come un uomo che si sente gravemente ferito, esclamava con voce semispenta e interrotta:

– Sono as…sas…si…nato!..

Tobia dava in uno scroscio di risa sgangherate.

– È un brutto scherzo, – soggiunse il signor Nicola, – ma non è un assassinio.

– Ma io sono ferito… – disse il medico con voce lamentevole…

– Dal semplice stoppaccio… – rispose il signor Nicola… – perchè le pistole non erano caricate che a polvere…

Io alzai la testa sdegnato a tale notizia, e non volevo accettare la burla, ma il signor Nicola, mettendomi una mano sulla spalla, mi costrinse a tacere.

– Giovinotto, – mi disse, – basta così. Nessuno di noi sarebbe venuto ad assistere ad un omicidio. Se voi avete perduta la testa, non l'ho perduta io. Le ciarle sono ciarle, ma la vita è cosa seria, nè deve togliersi per così poco. Noi ci dobbiamo tutti alla famiglia ed al paese. Il diritto di morire da galantuomini si acquista studiando, lavorando, affaticando pel bene comune; morire da fanfaroni è una leggerezza colpevole, uccidere il proprio simile è un delitto. In ogni questione ci sono torti e ragioni, bisogna chiarirli colla giustizia e ripararli coll'onestà. Nel nostro caso il maestro offese il dottore coi suoi soliti paradossi, il dottore offese il maestro accusandolo di vigliaccheria… ebbero torto tutti due… Il medico fa il suo dovere curando i malati, il maestro è un giovane incapace d'una viltà. Le offese si complicarono per imperizia dei testimoni; non era più possibile calmare i contendenti, bisognava dare qualche soddisfazione da ambe le parti, e finirla alla meno peggio. Ma non ci potevano essere scuse per permettere un omicidio. Bisognava salvare l'onore e la vita di tutti due. Io ho accettato d'essere padrino a tali condizioni, e gli altri secondarono la proposta con animo lieto. Gaspare per il primo si prestò con ogni argomento a convincere Tobia della necessità di non commettere delitti nè imprudenze, a non versar sangue, a risparmiare le lagrime alle famiglie, e a non dar motivo ai Tribunali di aprire processi togliendo la pace al nostro tranquillo villaggio.

Tobia è un po' mordace talvolta, è una testa calda, ma ha buon cuore, e non si fece troppo pregare per deporre i rancori e finirla a modo nostro. D'altronde, siccome i duellanti ignoravano completamente il nostro piano, così il duello fu leale e soddisfacente anche per gli scrupolosi e pei battaglieri. I campioni non hanno certo passato una buona notte, nè l'uno nè l'altro; dico questo senza offendere il loro onore, perchè sul terreno si mostrarono coraggiosi e decisi. Per altro è stata una buona lezione, e vi furono momenti terribili… Non ne parliamo più, l'onore è intieramente soddisfatto… stringetevi tutti la mano… e come siete stati avversari leali, siate in seguito amici costanti, e noi, salvando due vite, egualmente utili alla società, abbiamo fatto il nostro dovere.

Ci stringemmo tutti la mano, e la pace fu fatta.

Tuttavia mi restava un dubbio nell'animo, cioè se quella mistificazione fosse lodevole o censurabile, se i più validi argomenti contro il duello potessero autorizzare una burla. Mi pareva di no. Impedire un duello sta bene, ma renderlo fittizio mi pareva poco decoroso. Solo le circostanze eccezionali potevano giustificare la condotta dei nostri padrini. Le cose erano spinte a tal punto, che una prova di coraggio era divenuta indispensabile per togliere ogni sospetto che potesse offendere il nostro onore. Fecero dunque bene mettendoci alla prova, e salvandoci in pari tempo da ogni pericolo.

Mentre tali pensieri mi giravano pel cervello, udimmo i tocchi della campana maggiore che annunziavano un funerale. E infatti poco dopo entrava in cimitero il morto portato dai becchini, seguito dagli amici e parenti che lo accompagnavano mestamente all'estrema dimora.

Quel nero drappo che copriva la bara, le preci dei sacerdoti, la fossa aperta che attendeva il cadavere, mi fecero passare un brivido per le ossa, e furono l'argomento finale che mi persuase dell'infamia del duello, che non appiana veruna questione, ma uccide spietatamente, ciecamente, ingiustamente, leggermente, impunemente. Una sola parola, un malinteso, un atto fortuito basta per condannare un uomo alla morte, mentre sommi filosofi e giureconsulti accumulano argomenti incontrastabili a provare la necessità di abolire la pena di morte, anche per gli assassini!.. Ci arrestammo tutti con tacito consenso davanti a quella fossa, ed assistemmo col cappello in mano alla mesta cerimonia, pensando che l'indomani uno di noi avrebbe potuto subire la stessa sorte, non chiamato dalla natura, ma da un fatale pregiudizio, il quale continua a mietere le sue vittime alla luce di civili costumi.