Sadece LitRes`te okuyun

Kitap dosya olarak indirilemez ancak uygulamamız üzerinden veya online olarak web sitemizden okunabilir.

Kitabı oku: «Il bacio della contessa Savina», sayfa 6

Yazı tipi:

La scuola comunale era collocata a piccola distanza dalla mia casa. Io l'aveva aperta all'epoca indicata dal regolamento, e mi vi recavo esattamente ogni mattina. Poco prima di mezzogiorno, Bitto passava per andare a pranzo a casa Bruni, e al suo passaggio gli scolari si apparecchiavano alla partenza; alla comparsa del maestro si aprivano le lezioni, a quella del cane si chiudevano; il comune era servito a meraviglia da due individui, e non ne pagava che uno solo.

Io rientrava in casa, pranzavo, facevo un giro pel paese fumando un sigaro, poi mi chiudevo nel mio studio per raccogliere le ispirazioni, prender nota, e architettare i versi della tragedia. Passavo la sera in casa Bruni o alla farmacia, e scoprivo sempre dalle mie osservazioni che le medesime passioni agitavano gli uomini, cambiando forma ed importanza, ma restando sempre eguali nel fondo.

Dall'epoca della mia tragedia ai nostri giorni erano passati circa cinque secoli, e mutata anche la scena dalla città di Milano ad un piccolo villaggio della Valtellina, io trovava gli stessi uomini.

Però uomini e passioni erano ridotti a dose omeopatica. L'amante Ugolino Gonzaga, invece di correre le giostre colla lancia in resta, imbrandiva tranquillamente la spatola e faceva pillole; ma il suo amore colpevole aveva le stesse tendenze, le medesime astuzie, gli eguali ardori. Il Duca di Milano faceva il medico condotto, ma cavava sangue e denaro dai suoi soggetti, e condannava a morte gl'innocenti, come nel medio evo. La natura tollerante dell'arcivescovo Giovanni trovava il suo riscontro nella rassegnazione di Don Vincenzo Liserio, che cedeva ai fabbricieri il diritto d'amministrare la parrocchia, limitando la sua autorità alle cose ecclesiastiche. Uguccione della Fagiuola, abbandonato il suono dell'armi, si contentava di quello dell'organo, ma continuava la guerra ai guelfi, e li feriva colla lingua.

Pusterla congiurava sempre contro Lucchino celando accuratamente le spade, i bastoni, le coppe e i denari che dovevano abbatterlo. L'autorità del potere era contrastata da mille insidie, e minacciata da impreveduti stratagemmi che concentravano tutta l'attenzione del tiranno. Uguccione della Fagiuola sosteneva i ghibellini, l'Arcivescovo secondava il fratello; la lotta dei partiti era accanita, e il tarocco contrastato fino all'ultima carta. Frattanto Ugolino Gonzaga, approfittando dell'ardore della mischia, si allontanava dal campo, chiudeva lentamente la porta del suo laboratorio farmaceutico, e correva sotto ai balconi d'Isabella Fieschi!.. Io lo seguiva da lontano con prudenza: e lo udivo confabulare colla sua bella:

– Ove sono?

– Tutti intenti al tarocco!.. apri… siamo sicuri!..

Isabella chiudeva il verone, scendeva precipitosa, e nel buio della notte si vedeva il lumicino che percorreva le scale. L'uscio veniva aperto, e Ugolino entrava di soppiatto nel covo del tiranno.

Io ritornava tranquillamente in farmacia, Lucchino si dibatteva invano… la partita era perduta!..

O mondaccio perverso! è stato sempre così!.. una partita di tarocco!

Epoca del ferro o della carta, c'entrarono sempre le coppe e le spade, e i mariti dabbene, e le notti buie, e i capitani di ventura, e gli speziali. Da Eva alla sora Pasquetta le donne furono sempre tentate dal serpente e dal pomo. La virtù della resistenza è il prezioso prestigio della donna onesta, e beati i tiranni, i medici condotti e tutti i giuocatori di tarocco, le cui mogli non possono servir di modello nè alla commedia, nè alla tragedia.

Io studiava coscienziosamente i miei modelli, e ne traevo partito. Quando il medico condotto mi compariva davanti col suo aspetto grave ed altero, le guancie sostenute dai solini bene inamidati, e il ciuffo irto sul capo come le aste dell'istrice, io diceva a me stesso:

– Ecco Lucchino Visconti.

Egli lamentava continuamente l'egoismo dei villani, l'ingratitudine di coloro, ai quali pretendeva d'aver salvata la vita, e che credevano sdebitarsi d'un tale beneficio, coll'offrirgli in dono una magra ricotta affumicata!.. Io afferrava subito il pensiero dominante, e lo traducevo in versi tragici:

 
« Popolo sconoscente… che le gravi
Cure del regno con l'oltraggio paghi
E con l'infame tradimento!.. »
 

Una domenica, dopo la messa solenne, i parrocchiani usciti di chiesa s'intrattennero sul piazzale in conversari amichevoli. Gaspare il farmacista si avvicinò alla signora Pasquetta, e mentre il dottore scambiava una presa di tabacco con un cliente, io udii la signora che diceva sotto voce all'amico:

– Questa sera fanno il tarocco in casa Bruni… io sarò sola…

– A rivederci… – l'altro rispose.

Ed io corsi subito a casa, e presa la penna scrissi:

 
« Al chiaror della luna, quando il suono
Dell'armi, nel vicino castel, chiama
I guerrieri, vien, mio diletto, involto
Nel tuo bruno mantel, che mi rammenta
I segreti misteri della notte. »
 

Un altro giorno Tobia corse da me tutto ansante per isfogare il suo dispetto contro il parroco, che avendolo ricevuto pranzando, aveva osato trinciargli sotto al naso un pollo arrosto fumante senza dargliene un boccone, e vuotare un intiero fiasco di vino senza offrirgliene un bicchiere… Egli declamava contro l'avidità del clero, ed io pronto col mio Uguccione della Fagiuola ad esclamare:

 
« Ingorda razza!.. che il feroce acciaro
Immergi in petto all'innocente! e bevi
Fino all'ultima stilla il sangue puro
Del mio amico fedel… forse tu ignori
Ch'io ti guardo fremente… e aspetto il giorno
Della vendetta!.. »
 

Uguccione della Fagiuola, non trovando nel mio sguardo quelle scintille di sdegno che secondo le sue idee avrebbero dovuto accendere un incendio al racconto dei casi suoi, andava dicendo in paese che io era uno scettico, un uomo senza cuore, un cervello balzano, un enigma vivente!

Così cavando dei versi tragici dalla prosa slombata del villaggio, osservando col microscopio gli omuncoli del mio tempo e vestendoli all'antica, io passai il primo inverno, col corpo in Valtellina, col pensiero nel medio evo, col cuore a Milano; diviso in tre parti, una che tremava dal freddo sotto le Alpi, l'altra sepolta fra le tenebre del passato, la migliore che, accovacciata alla finestra di mio zio canonico, aspettava il bacio della contessa Savina.

Finalmente venne la primavera, e coi tiepidi aliti dell'aprile io sentii nel mio cuore innalzarsi anche la temperatura dell'amore, assopito sotto le nevi del verno.

VIII

Chi nega l'influenza della primavera sull'amore non ha mai studiato la natura, e vivendo in un mondo artificiale non ha mai sentito il profumo delle prime mammole rifiorire nel suo cuore le aspirazioni alla suprema felicità. Colui che schiude il suo cuore nella stagione del gelo, ha vissuto certamente nell'atmosfera artificiale delle conversazioni, dei balli e dei teatri, e come una pianta esotica in serra calda ha fiorito precocemente per effetto dei caloriferi. Ma nel libero regno delle montagne, dei campi e dei mari, gli animali e i vegetali sono soggetti agli stessi fenomeni, dipendono dagli stessi agenti, subiscono la stessa influenza delle evoluzioni del globo. E quando nelle belle sere d'inverno si passeggia solitari al chiaro di luna per le strade deserte, mentre la brezza notturna forma delle stalattiti di ghiaccio sulle grondaie con l'acqua sgocciolata dalle nevi del tetto, quando la brina gelata sugli alberi li fa sembrare coperti di candida ciniglia, quando spira dalle gole dei monti quel zeffiretto del polo a dieci gradi sotto lo zero, che solidifica le cascate, io sfido qualunque innamorato lontano dalla sua bella, a non sentirsi il cuore indurito e la punta del naso rossa.

Invece quando il nostro pianeta si avvicina all'equinozio di primavera, e le nevi si sciolgono sui monti gonfiando i torrenti, e la terra e gli alberi si vestono di fiori come per celebrare il risveglio della natura, si sente il sangue scorrere più rapido per le arterie, il cuore battere più forte, il cervello espandersi in soavi pensieri. In tale epoca io pure sentii farsi maggiore l'attrazione della lontana finestra del palazzo Brisnago.

Era magnetismo?.. non saprei dirlo, ma era un fatto in armonia col resto della natura: il risveglio del mio cuore si trovava all'unisono con quello delle piante; e alla sera, scartabellando l'Ortolano dirozzato, mi son trovato d'accordo colla fioritura delle carote.

Mio zio canonico mi scriveva regolarmente ai quindici d'ogni mese, senza mai alterare d'un giorno l'epoca precisa della sua corrispondenza periodica. Le sue lettere occupavano una pagina e un quarto di foglio, e credo anche che avessero lo stesso numero di linee. Il giorno 13 aprile ho ricevuto una sua lettera. Giorno nefasto! Al solo vederla mi si drizzarono i capelli sulla fronte. Era impossibile che mio zio avesse anticipato due giorni la sua corrispondenza mensile, senza un grave motivo. Apersi la lettera con mano tremante, essa portava un poscritto; un'altra novità minacciosa!.. Nel poscritto l'occhio mi corse subito sulla parola « Savina ». Mi appoggiai al muro per non cadere, e lessi: « Questa mattina, nella chiesa di S. Babila, venne celebrato solennemente il matrimonio della signora contessa Savina di Brisnago col signor conte Azzone di Montegaldo ».

Il foglio mi sfuggì dalla mano, dovetti sedermi, appoggiai la testa sullo scrittoio, e rimasi lungamente sbalordito, come allo scoppio d'un fulmine!.. Addio bei sogni della primavera che sorridevano ai miei pensieri, che illuminavano la mia mente come il sole che sorge i fiori sul prato! Addio speranze di supreme gioie!.. addio fede nell'amore della donna! addio vane illusioni giovanili!.. Ecco il primo disinganno… e il più amaro!.. Ah! mio zio aveva ben ragione di ridere delle mie stolte pretese!.. o vanità delle vanità!.. Io aveva creduto agli sguardi d'una fanciulla, come si crede alla santità d'un giuramento… ma quegli sguardi non erano che un inganno!.. il profumo d'un fiore che esala i suoi aromi, che imbalsama l'aria, che inebbria e svapora!.. Io avevo creduto sentire una voce arcana che mi parlasse d'amore… e non era altro che l'eco del mio cuore!.. Io aveva sognata una vita di paradiso, ove l'amore era melodia di due anime, che come due arpe unissone mandano lo stesso suono!.. Ahimè! vane illusioni dello spirito umano, che confonde i desiderii colla amara realtà!.. le due arpe dopo un soave preludio ruppero l'incanto – una ha stonato!.. Rotta l'armonia succedeva nel mio cervello un caos di suoni discordi, rauchi, reboanti, che mi davano il capogiro.

Per raccapezzarmi ripresi la lettera di mio zio, e rilessi quelle parole fatali, come l'annunzio funebre del mio cuore… esso era morto!.. morto… ucciso a tradimento!.. da chi?.. da chi?.. chi ha ucciso crudelmente il mio cuore?.. chi l'ha ucciso? io chiedeva – come un giudice inquisitore che cerca un assassino – chi ha ucciso il mio cuore?..

Una voce misteriosa mi rispondeva: – la contessa Savina!.. La contessa Savina?.. impossibile! quell'angelo di bontà!.. il sorriso della mia vita!.. il raggio della mia aurora!.. l'immagine soave della dolcezza… l'espressione sincera e profonda del primo affetto!.. impossibile, quella divina creatura non è capace d'uccidere un cuore… un cuore che l'adora… che confida nel suo amore!.. essa non è capace d'un tal delitto contro natura!.. essa mi ama… io lo sento… sì, quella voce arcana che parlava al mio cuore era la sua… no, non era un'eco del mio cuore, era l'espressione della sua anima ingenua… che si sentiva spinta da un impulso ineffabile ad incontrarsi coll'anima mia!

Chi ci ha divisi?.. Essa non è colpevole… essa è una vittima al pari di me!.. Chi ha dunque ucciso i nostri cuori innocenti? Chi ha imposto l'atroce sacrifizio?.. ove sono dunque gli assassini?..

Io mi scontorceva nelle convulsioni, mi strappavo i capelli come un disperato! Ho passato ore spaventose chiedendo conto alla società della sua fellonia, poichè essa mi rapiva ciò che la natura mi aveva dato.

Ah, nell'abbattimento della stanchezza, quando la calma della prostrazione succedette alla lotta del cuore, meditando sulle umane sorti… ho trovato gli assassini!.. sì, li ho trovati. – Sono i milioni… quei maledetti milioni… quei miserabili milioni che, affluendo nelle casse forti dei Brisnago, incatenano quella fanciulla alla schiavitù, la sottomettono al loro dominio dispotico, la obbligano a rinunziare agli impulsi della natura, alle aspirazioni del cuore, ai desiderii dell'anima, per trascinarla alle gemonie dei ricchi, sulla strada fatale prescritta dalla sorte, condotti alla perdizione a quattro cavalli, lacerando i loro cuori, e gettandone i frammenti ad altri milionari, al pari di loro costretti dalla necessità a seguire le stesse vie, a formare delle famiglie senza inclinazioni naturali, senz'anima, senza amore… maledetti, miserabili, vili milioni!..

Gli abbaiamenti persistenti e reiterati di Bitto arrestarono il delirio del mio cervello esaltato, e la Rosa entrando nella stanza mi annunziò la visita del mugnaio Zaccheo, che voleva assolutamente parlarmi.

– Non sono in caso di parlare con nessuno!.. dite al mugnaio…

Ma il mugnaio, che l'aveva seguita con insistenza, forzava la consegna, e mi si presentava mio malgrado sulla porta, col suo cappello a larghe falde, le vesti e il volto infarinati come un pagliaccio.

Era impossibile evitarlo; dovetti subirlo.

– Venite avanti, – gli dissi.

– Signor maestro, scusi il disturbo, ma in due parole mi sbrigo… Siamo al quarto sacco di farina… e avrei assoluto bisogno che me ne pagasse l'importo.

– Capisco, avete ragione, ma oggi mi è impossibile soddisfarvi… Aspetto del denaro da Milano; quando mi sarà giunto vi pagherò…

– Mi dispiace, ci avevo contato sopra… l'ultima volta che sono venuto a trovarla mi aveva promesso il pagamento pei primi del mese… siamo alla metà… ho anch'io le mie spese…

– Avete ragioni da vendere… ma un povero maestro non ha il diritto di battere moneta… Se non ne ho, non ne ho… non c'è rimedio…

– Pazienza… pazienza… – ripeteva il mugnaio con impazienza, – ma siamo povera gente, l'aspettare ci molesta… tuttavia se oggi non può pagarmi, ritornerò domani…

– Domani!.. domani! potrebbe darsi che domani fossi nel caso d'oggi, in ventiquattr'ore non si fanno miracoli… diamine! per quattro sacchi di farina… non avete dunque fiducia nella mia onestà?..

– Ma che cosa dice? s'immagini!.. le domando scusa… se non si fosse povera gente… se non ne avessi proprio bisogno, non sarei venuto a disturbarla…

– Abbiate un po' di tolleranza per alcuni giorni… verrò io stesso al molino a soddisfare il mio debito…

– Non s'incomodi per questo… io passo due volte al dì, e non mi disturba fermarmi…

– Verrò io stesso, vi ripeto… fra pochi giorni… ve lo prometto…

– Come crede… dunque mi raccomando…

– Siamo intesi… che Dio vi benedica… e che il diavolo vi porti, mormorai fra i denti, quando quell'importuno se ne andava, e mi lasciava finalmente tranquillo.

E ritornato solo ripeteva fra me:

– Quattro sacchi di farina di debito, e non ho un soldo in saccoccia!.. io mangio il pane a credito, molestato dal mugnaio… e chi sa quanto denaro si sarà sprecato nei fiori e nei bomboni… per celebrare le nozze… senza amore… della contessa Savina!..

Maledetti milioni!.. sono la rovina del genere umano… la rovina di chi li ha… e di chi non li ha!..

E ripensavo al mugnaio che, gettandomi in faccia i suoi quattro sacchi di farina, mi faceva vedere più chiaramente la mia posizione!.. Io era un uomo assurdo!.. un uomo che nell'amore non vedeva che la donna, senza guardarsi in saccoccia!.. un uomo che si permetteva un affetto… senza farina!.. con una donna milionaria!.. un cieco che aspirava alla luce… senza chiederne il prezzo alla direzione del gas!.. Un aspirante a diventar milionario, senza saperlo… che adora un angelo, e si trova davanti una barricata di milioni!.. – Miserabile!.. la società si burla di tali insanie, essa mi avrebbe chiamato ambizioso, avido, ingannatore, astuto… ed io non sono che un imbecille!.. che credeva all'amore ideale, segreto, ignoto, misterioso, imprevidente, senza altre aspirazioni che d'uno sguardo… senza altro desiderio che d'un bacio… l'amore per l'amore… imbecille!..

Forse, nell'assurda ingenuità del mio spirito, avrei trovato naturale che una moglie milionaria pagasse un po' di farina al marito povero!.. quale aberrazione! il superfluo che provvede il necessario!.. La società condanna severamente tali aspirazioni!.. Meno male ch'io non ci aveva pensato, e davanti la mia coscienza era innocente. Ma il mondo non lo avrebbe creduto. Il mondo avrebbe creduto il mio amore un pretesto, e vero scopo i milioni; e la società crede che lo sposo ricco domandi la mano della fanciulla pei suoi begli occhi? È tutto il contrario che è vero… ma andate mo' a dire alla gente che un povero diavolo può innamorarsi d'una ricca signora senza ambizione. Nessuno gli presterebbe fede. Così vuole il mondo che l'oro vada sopra l'oro, e i cenci e la miseria si mettano insieme. Questi sono i matrimoni bene assortiti. Il mio amore mi conduceva direttamente all'infamia!.. la società non mi avrebbe mai perdonato di diventar milionario senza averci pensato; mio zio mi aveva mostrato il precipizio, ma io camminava cogli sguardi rivolti al cielo, io non vedeva che in alto, la mia stella, e la terra col suo fango sfuggivano alla mia vista!

Quel mio primo amore, ingenuo, fervente, celeste, non è stato che un viaggio aereo. La punta d'uno spillo aveva forato il globo che mi trasportava in aria, il gas era uscito dal forellino, io era precipitato al suolo, restando morto sul colpo!.. morto!

– Meglio così! – esclamai, – tutto è perduto, meno l'onore.

Ma se l'anima è volata all'empireo, la materia rimane. Eccomi ancora al mondo senz'anima. Eccomi solo davanti la nuda realtà, solo!.. in un mondo scellerato… in mezzo a quattro sacchi di farina da pagarsi… e colla borsa vuota. – Senz'anima e senza denaro!.. solo!.. quale parola spaventosa!..

IX

Bitto, venendomi incontro con aria carezzevole, con mille affettuose dimostrazioni, guardandomi co' suoi grandi occhi pietosi, girandomi d'intorno, fregandosi alle mie gambe, e lambendomi le mani, pareva mi accusasse d'ingratitudine verso la sua razza, e mi dicesse: – Non diffidare della vita, gli uomini sono egoisti, le donne sono leggiere… ma i cani sono fedeli!..

Uscimmo insieme come due veri amici che non si abbandonano nel dolore, e intendono dividere le amarezze della vita. Vagando pel villaggio, io dissimulava agl'indifferenti la burrasca che mi agitava tutte le passioni dell'animo. Il mio cuore, ch'io credeva morto, non era che ferito mortalmente, e dava dei guizzi turbinosi, come una balena moribonda che si rotola nelle convulsioni, e intorbida la profondità dell'oceano, mentre la superficie ne rimane tranquilla. Guai però al bastimento che naviga in quei paraggi! mentre scorre a piene vele in un mare senz'onde e sotto un cielo sereno, la balena con uno slancio supremo s'innalza dal fondo e manda in aria la nave. Toccava al dottore il rappresentare la parte del bastimento. L'incontrai per via, che andava a fare le sue visite, colla sua aria soddisfatta di sè stesso e del mondo. Il suo miele mi fece sembrare più amaro il mio assenzio. Mi arrestò per raccontarmi i suoi trionfi. Il momento era cattivo, anzi pessimo.

– Sentite, – mi disse, – un bel caso d'alienazione mentale.

– Un bel caso!..

– Sì, un caso di pazzia furiosa… con assalti convulsi da rompere le corde più grosse, superando le forze riunite di quattro guardiani…

– Un bel caso!

– Bellissimo. Sangue, doccie e deprimenti… ho potuto domarlo… abbatterlo… risanarlo… non si muove più dal suo letto… è tranquillo come un fanciullo…

– Lo credo bene, se lo avete svenato!

– Non fa niente, il sangue ritorna… ma la pazzia è svanita. Figuratevi che il pover'uomo s'era fissato in mente d'essere un Dio!..

– E voi lo avete guarito! – io esclamai.

– Guarito perfettamente, – soggiunse con albagia.

– Ebbene! – io gli dissi, – il matto siete voi!..

Il dottore rimase per un istante sbalordito, poi mi fissò in faccia con due occhi di civetta, e fattosi tutto rosso, alzò la testa, e m'interrogò come un giudice alle assisie:

– Che cosa intendete dire?..

– Intendo dire che colui che d'un Dio ha fatto un uomo, è un malfattore. Voi avete trovato un essere felice, e ne avete fatto un disgraziato, un meschino. L'uomo non è realmente che quello che crede di essere. Tutte le umane felicità non sono che sogni! Chi risveglia l'uomo felice non è che un idiota o un briccone!.. La vostra scienza non è che malvagità… La vostra pretesa guarigione non è che un'insania. Dunque adesso avrete inteso che cosa ho voluto dire. Il sapiente è scomparso, il vostro trionfo non è che una corbelleria, avete fatto un infelice di più, ecco la vostra opera… il matto sussiste sempre… è colui che d'un Dio ha fatto un uomo… il matto siete voi!.. Ad ognuna delle mie frasi, il medico dava uno sbalzo, e i suoi occhi mi fulminavano.

– Signor Daniele Carletti?..

– Signor Marco Canziani?..

– Voi avete bisogno d'un salasso… non vi dico altro… i vostri occhi sono iniettati di sangue, la vostra ragione vacilla… la vostra vita è in pericolo…

– Andate al diavolo… voi… i vostri salassi… e la vostra pazzia!.. ma lasciate dunque vivere e morire in pace la gente, abbiate un po' di rispetto per l'umanità sofferente che vi serve di zimbello. Risanate voi stesso della vostra mania, della vostra presunzione, che vi spinge a credere di dar vita alle vostre vittime. Voi non siete che un flagello sociale, la malattia delle malattie, il tiranno della natura… che vi rinnega. Vero tiranno in carne ed ossa, coll'eroismo di meno, e il ridicolo di più!.. Un povero tiranno in caricatura, coi solini inamidati, il cappello a cilindro, i ciondoli dell'orologio che battono sulla pancia l'ora perpetua della dabbenaggine! Un vero matto che intende guarire i matti felici, ed è più matto di loro… mille volte più matto di tutti!..

La balena aveva dato il suo balzo alla superficie.

Il dottore, barcollante come un naviglio che sta per affondare, mi faceva veramente pietà. Lo piantai sulla strada, in quella posizione disastrosa, e ritornando sui miei passi rientrai in casa; dissi alla Rosa che un urgente affare mi obbligava a partire sul momento, che non sapevo quando sarei ritornato, e camminando rapidamente, per non rispondere alle sue inquiete interrogazioni, sempre in preda d'una grande esaltazione, mi misi a correre pel villaggio, seguito dal cane, e presi un sentiero che s'inerpicava sui monti.

Gli uomini m'erano venuti in uggia, le donne in odio, la società mi faceva paura, io correva in cima alle Alpi colla speranza di trovare una tribù d'orsi fra i quali potessi eleggere domicilio, e vivere in pace e libertà. Il silenzio e la solitudine delle montagne erano i soli farmachi convenienti ai miei mali. L'Alpe è opportuna a tutte le vittime umane, ai rejetti ed ai profughi, ai derelitti che piangono, agli innamorati nell'abbandono, che cercano delle scene corrispondenti all'immensità dei loro dolori. Lo spettacolo che presentano i secoli accumulati davanti i grandi fenomeni geologici rende più tollerabile ogni affanno mortale, i disinganni della politica, dell'ambizione, dell'amore, l'ingratitudine della patria e dell'innamorata. In cima delle montagne anche i molluschi diventano fossili, il tempo e l'alito delle ghiacciaie possono forse pietrificare anche il cuore. Così pensando io vagava per le cime deserte, cercando la mia tribù degli orsi per diventare selvaggio. Non trovai che pastori, i quali, pascolando gli armenti come gli antichi patriarchi, viveano in solitudine e in contemplazione davanti le opere più sublimi della natura. Mi sedetti con loro, guardando in silenzio l'orizzonte lontano che si perdeva nella nebbia, e si confondeva col cielo. La natura parla un linguaggio che calma l'anima esagitata, e consola gl'infelici con sublimi ispirazioni.

L'acre sentore delle piante alpine sembra assopire i dolori morali, come i loro succhi sanano le ferite.

Vagai lungamente in quei deserti col mio povero Bitto, riposandomi all'ombra aromatica dei boschi, dormendo sulle foglie secche, assopito dal suono monotono delle cascate, risvegliato dal fischio acuto degli uccelli di rapina, cibandomi di latte e pane inferigno nelle capanne dei pastori. Ma l'uomo non è fatto per vivere lungamente ramingando nella solitudine; la società lo reclama, il suo destino lo condanna a lottare co' suoi simili, ad impiegare le sue forze per il bene comune. Tali saggie riflessioni mi vennero suggerite dalla cura debilitante del latte, che raccomando caldamente a tutti i giovani innamorati senza speranze.

Ritornai a casa, sfinito dalla fatica e dalla fame; gli innamorati che hanno perduto l'appetito possono tentare una salita sul Monviso o sul Monte Rosa con molta probabilità di riacquistarlo.

Appena rientrato in casa, la fantesca mi disse che il farmacista, venuto per parlarmi, era ritornato più volte per sapere se fossi di ritorno, mostrando gran bisogno di vedermi il più presto possibile, e dichiarando che mi aspettava con impazienza.

Ma io mi trovava nell'assoluta necessità di rimettere le forze esauste con qualche alimento sostanzioso: ordinai alla Rosa di farmi da pranzo, e rimisi ad altro momento la visita alla farmacia. Dopo pranzo sentii il bisogno d'un liquido corroborante, che in casa mi faceva difetto, e andai a cercarlo dove sapevo che i bevitori più intelligenti del paese lo trovavano eccellente. Mi rammentavo benissimo che anche a Como avevo trovato un valido conforto ai miei affanni amorosi nel fondo d'una bottiglia; e volli ritentarne la prova.

Aprendo la porta dell'oscura osteria, i fumi del vino e del tabacco mi resero esitante, e sarei retrocesso se la voce rauca d'Uguccione Della Fagiuola non avesse pronunciato il mio nome con accento di sorpresa.

– Oh!.. oh!.. avanti, avanti, caro maestro… non abbia paura… il dottore non è qui… egli sfugge questi luoghi tenebrosi… venga avanti, l'asilo è sicuro…

E tutti ridevano in coro.

Io entrai, ordinai all'oste il vino migliore, e mi sedetti sorridendo tranquillamente, come un idiota che non capisce nulla di quanto gli succede dintorno.

– Via da bravo, non faccia il gnorri… tutti abbiamo cara la nostra pelle…

– Ma di che cosa si tratta? – io chiesi.

– Ah! vuol fare proprio il misterioso! ma è troppo tardi, caro lei! tutto il villaggio sa che ella ha insultato il dottore… poi è fuggito, per paura di un duello!..

E giù tutti d'accordo con una nuova risata.

Allora compresi finalmente l'enigma, balzai in piedi d'un tratto, diedi un pugno sul tavolo, e dissi, con volto risoluto:

– Se il dottore è offeso delle mie parole, sono pronto a dargli qualunque soddisfazione. Io non sono mai fuggito in veruna occasione, perchè non ho paura di nessuno, e ne sia prova che dichiaro vile chi sostiene il contrario, pronto subito a battermi con qualunque arma, fosse anche il coltello. Invito a levarsi in piedi chi non mi crede!..

Tutti rimasero seduti e in silenzio. Allora io narrai semplicemente la mia diatriba col medico, dissi che lo credevo abbastanza punito del suo fallo dalle mie parole, che ero andato a fare un'escursione sui monti, ignorando il resto; che se il dottore non era contento, io era disposto a fare a piacer suo quanto fosse possibile per soddisfarlo.

Allora pensando alle visite reiterate del farmacista, sospettai che avessero qualche rapporto col fatto, e pregai l'organista a seguirmi per avere le prove delle mie asserzioni.

Egli si rifiutava, ma io insistetti, e dopo d'aver bevuto un bicchiere di vino, ci recammo insieme alla farmacia. Il farmacista ci raccontò come era passata la storia. Dapprima il dottore credeva ch'io vaneggiassi, e supponendomi minacciato di congestione cerebrale mi propose un salasso; ma poi, ferito sul vivo dalle mie risposte impertinenti, se n'era offeso altamente, ed esitava sul partito da prendersi… in questo punto la balena lo aveva colpito, e andò a naufragare in farmacia.

– È entrato barellando come un briaco!.. – diceva il farmacista, – ed è caduto su questa sedia con tale precipitazione, che l'ho creduto colpito d'apoplessia. Gli portai subito dell'acqua fresca, volevo bagnargli la fronte, egli me lo impedì, e tutto ansante mi raccontò le vostre invettive… a dire il vero un po' troppo vivaci!.. Poi, – continuò il farmacista, – mi chiese consiglio sulla condotta da tenersi. Cercai di calmarlo, gli dissi che siete un giovane dabbene, alquanto strano di carattere, ma onesto nel fondo, ch'io non dubitavo punto che ogni cosa si sarebbe accomodata senza scandali nè rancori. Egli si mostrava inquieto, agitato e ripeteva:

– È un cervello balzano!.. è stata una vera provocazione!.. Chi sa! Avrà forse bisogno di fare una prodezza, e mi ha scelto come capro espiatorio…

Questa idea dì capro espiatorio mi ha fatto sorridere; il farmacista abbassò gli occhi, e continuò:

– Esso ha forse sete del mio sangue! – egli esclamava, – il duello è divenuta una mania del giorno, un atto indispensabile per la gioventù alla moda… questi giovinotti milanesi se ne fanno una necessità, guai a colui che non ha da vantare una simile fanfaronata!.. È certo ch'io diventerò il suo trofeo, la vittima della sua ambizione… io sarò assassinato!!.. – Aveva gli occhi stravolti, i lineamenti alterati, la faccia accesa e il sudore gli grondava dalla fronte a goccioloni.

Per tranquillarlo mi incaricai di mettermi di mezzo, e terminare ogni cosa senza lesione d'onore e senza disgrazie…

– Andate, andate, – egli mi diceva, – cercatelo in casa, procurate di raggiungerlo prima che nascano ciarle, pettegolezzi, complicazioni… è un esaltato, procurate di abbonirlo… chiedetegli una ritrattazione semplice… dichiari ch'io non sono matto… che non ha inteso di offendermi… non domando altro che di salvare il decoro… che mi rispetti, ecco tutto… tutti abbiamo il diritto d'essere rispettati… non gli domando altro… andate… andate subito.

Corsi a casa vostra, e la Rosa mi disse che siete rientrato per un solo momento, molto agitato, inquieto, annunziandole un viaggio repentino… impreveduto… e che vi siete posto a correre, senza nemmeno prendere un sacco da notte… e non sapeva quando sareste di ritorno. Tornai più volte per vedere se foste rientrato; ma essa mi ripeteva le stesse cose, aggiungendo ogni volta qualche nuova espressione d'inquietudine, di dubbio, sulla vostra precipitosa partenza, senza indicare nè il tempo dell'assenza, nè il luogo… infatti, a dire il vero, le parole della vostra fantesca indicavano piuttosto una fuga che un viaggio, ed io era costretto di riferire l'avvenuto.