Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4», sayfa 10
CAPITOLO XXIII
Religione di Giuliano. Tolleranza universale. Tenta di restaurare il culto Pagano: di rifabbricare il tempio di Gerusalemme. Persecuzione artificiosa de' Cristiani. Zelo ed ingiustizia vicendevole.
Il carattere d'Apostata ha oltraggiato la riputazione di Giuliano; e l'entusiasmo, che ne adombrò le virtù, ha esagerato la reale o apparente grandezza de' suoi difetti. La nostra parziale ignoranza ce lo può rappresentare come un filosofo Sovrano, che procurò di proteggere con ugual favore le religiose fazioni dell'Impero, e mitigare la teologica febbre, che aveva infiammato le menti del popolo, dagli editti di Diocleziano sino all'esilio d'Atanasio. Un esame però più accurato del carattere e della condotta di Giuliano ci toglierà questa favorevole prevenzione per un Principe, che non fu esente dal general contagio de' suoi tempi. Abbiamo il singolar vantaggio di poter confrontare fra loro le pitture, che ne sono state fatte, sì da' suoi più appassionati ammiratori, che dagl'implacabili suoi nemici. Le azioni di Giuliano son fedelmente riferite da un giudizioso e candido Istorico, imparziale spettatore della vita e della morte di esso. L'unanime testimonianza de' suoi contemporanei viene confermata dalle pubbliche e private dichiarazioni dell'Imperatore medesimo; ed i suoi varj scritti esprimono l'uniforme tenore de' religiosi sentimenti di lui, che la politica avrebbe dovuti fargli piuttosto dissimulare che affettare. Un divoto e sincero attaccamento agli Dei d'Atene e di Roma formava la dominante passion di Giuliano390; le facoltà d'un intelletto illuminato furon tradite e corrotte dalla forza d'un superstizioso pregiudizio; ed i fantasmi, ch'esistevano soltanto nella mente dell'Imperatore, produssero un reale e pernicioso effetto sul governo dell'Impero. Il veemente zelo de' Cristiani, che disprezzavano il culto, e rovesciavan gli altari di quelle favolose divinità, trasse il loro devoto in uno stato d'irreconciliabile ostilità con una numerosa porzione di sudditi; ed egli fu qualche volta tentato dal desiderio della vittoria, dalla vergogna della ripulsa, a violar le leggi della prudenza ed anche della giustizia. Il trionfo del partito, ch'egli abbandonò ed a cui s'oppose, ha stampato una macchia d'infamia sul nome di Giuliano; ed il disgraziato Apostata è stato oppresso da un torrente di pie invettive, il segnal delle quali fu dato dalla sonora tromba391 di Gregorio Nazianzeno392. L'interessante natura degli avvenimenti, ammucchiati nel breve regno di quest'operativo Imperatore, merita una giusta e circostanziata narrazione. I motivi, i consigli e le azioni del medesimo, in quanto sono connesse coll'istoria della religione, formeranno il soggetto del presente capitolo.
Può esser derivata la causa della strana e fatale apostasia di Giuliano dal tempo della sua più tenera età, in cui restò orfano nelle mani degli uccisori di sua famiglia. S'associarono tosto i nomi di Cristo e di Costanzo, le idee di schiavitù e di religione in una giovenil immaginativa, suscettibile delle più vive impressioni. Fu affidata la cura della sua puerizia ad Eusebio Vescovo di Nicomedia393, che gli era congiunto per parte di madre; e fino all'età di vent'anni ricevè da' Cristiani suoi precettori l'educazione non già da eroe, ma da santo. L'Imperatore, meno geloso della corona celeste, che della terrena, si contentava dell'imperfetto carattere di catecumeno, mentre largiva i vantaggi del battesimo394 a' nipoti di Costantino395. I quali furono ammessi fino agli uffizi minori dell'Ordine ecclesiastico; e Giuliano pubblicamente lesse le sacre scritture nella Chiesa di Nicomedia. Lo studio della religione, che assiduamente facevano, parve che producesse i più bei frutti di fede e di devozione396. Essi pregavano, digiunavano, dispensavano elemosine a' poveri, doni al Clero, ed oblazioni alle tombe de' martiri, e lo splendido monumento di S. Mamas a Cesarea fu eretto, o almeno intrapreso, congiuntamente per opera di Gallo e di Giuliano397; conversavan rispettosamente co' Vescovi più eminenti per la lor santità, e chiedevano la benedizione a' Monaci ed agli eremiti, che avevano introdotto in Cappadocia i volontari travagli della vita ascetica398. A misura che i due Principi s'avanzavano verso la virilità, dimostravano ne' religiosi lor sentimenti la differenza de' loro caratteri. Il tardo ed ostinato ingegno di Gallo con implicito zelo abbracciò le dottrine del Cristianesimo, che non influirono mai sulla sua condotta, nè moderarono le sue passioni. La mansueta indole del fratello minore fu meno ripugnante a' precetti del Vangelo, e la sua attiva curiosità potè restar soddisfatta da un sistema teologico, che spiega la misteriosa essenza di Dio, ed apre un infinito prospetto d'invisibili e futuri Mondi. Ma l'indipendente spirito di Giuliano ricusò di cedere alla passiva ed irresistente obbedienza, ch'esigevasi a nome della Religione dagli altieri Ministri della Chiesa. Imponevano essi le loro speculative opinioni come leggi positive, sostenute da terrori di eterne pene; ma mentre prescrivevano il rigido formulario de' pensieri, delle parole, e delle azioni del giovane Principe; mentre facevan tacere le sue obbiezioni; e severamente frenavan la libertà delle sue ricerche, segretamente provocavano l'impaziente suo ingegno a ricusar l'autorità delle sue ecclesiastiche guide. Era egli educato nell'Asia Minore fra gli scandali della controversia Arriana399. Le fiere contese de' Vescovi Orientali, le continue alterazioni de' loro simboli ed i motivi profani, che sembravano agire sulla lor condotta, insensibilmente fortificarono il pregiudizio di Giuliano, che essi non intendessero nè credessero la Religione, per la quale sì ardentemente combattevano. In vece di dar orecchio alle prove del Cristianesimo con quella favorevole attenzione che aggiunge peso alla testimonianza più rispettabile, egli ascoltava con sospetto, poneva in dubbio con ostinazione ed acutezza le dottrine, per le quali aveva già concepito un'avversione invincibile. Ogni volta che si faceva comporre ai giovani Principi qualche declamazione sopra le controversie allora correnti, Giuliano si dichiarava sempre avvocato del Paganesimo sotto lo spezioso pretesto, che la sua dottrina o cultura si sarebbe esercitata e spiegata più vantaggiosamente in difesa della causa più debole.
Appena Gallo fu investito dell'onor della porpora, venne permesso a Giuliano di respirar l'aria della libertà, della letteratura, e del Paganesimo400. La schiera de' sofisti, ch'erano attratti dal gusto e dalla liberalità del loro Allievo reale, avea formato una stretta lega fra il sapere e la religione della Grecia; ed i poemi d'Omero, invece d'esser ammirati come originali produzioni dell'ingegno umano, venivano seriamente attribuiti alla celeste inspirazione d'Apollo e delle Muse. Le deità dell'Olimpo, quali sono dipinte dal vate immortale, s'imprimono nelle menti anche le meno portate alla superstiziosa credulità. La famigliar cognizione, che abbiamo de' loro nomi e caratteri, le loro forme ed attributi, pare che diano a questi aerei soggetti una reale e sostanzial esistenza, ed il piacevol incanto produce un imperfetto e momentaneo assenso dell'immaginazione a quelle favole, che sono le più ripugnanti alla nostra ragione ed esperienza. Nell'età di Giuliano i magnifici tempj della Grecia e dell'Asia; le opere di quegli artefici, che avevano espresso colla pittura o colla scultura i divini concetti del Poeta; la pompa delle feste e de' sacrifizj; le arti fortunate della divinazione; le popolari tradizioni degli oracoli e de' prodigi, l'antica pratica di duemila anni, ogni circostanza in somma contribuiva ad accrescere e fortificar l'illusione. La debolezza del politeismo era in qualche modo scusata dalla moderazione di ciò che esigeva, e la devozione de' Pagani non era incompatibile col più libero scetticismo401. Invece d'un indivisibile e regolar sistema che occupa tutta l'estensione della mente che crede, la mitologia de' Greci era composta di mille sciolte e flessibili parti, ed il servo degli Dei poteva liberamente determinare il grado e la misura della religiosa sua fede. Il simbolo che Giuliano adottò per suo uso, aveva le più ampie dimensioni; e, per una strana contraddizione, sdegnò il giogo salutare del Vangelo, mentre fece una volontaria offerta della sua ragione su gli altari di Giove e d'Apollo. Una delle orazioni di Giuliano è consacrata in onore di Cibele, madre degli Iddii, ch'esigeva dagli effeminati sacerdoti suoi il sanguinoso sacrifizio, sì temerariamente fatto dalla pazzia del fanciullo di Frigia. Il pio Imperatore condiscende fino a riferire senza rossore e senza riso il viaggio della Dea da' lidi di Pergamo all'imboccatura del Tevere, e lo stupendo miracolo, che convinse il Senato ed il Popolo di Roma che il pezzo di terra, che i loro ambasciatori avean trasportato sul mare, avea vita e sentimento e divino potere402. Per la verità di tal prodigio egli si appella a' pubblici monumenti della città, e censura, con qualche acrimonia, l'infermo ed affettato gusto di quelli, che impertinentemente deridono le sacre tradizioni de' loro Maggiori403.
Ma il devoto Filosofo, che sinceramente abbracciava, e caldamente incoraggiava la superstizione del popolo, a se stesso riservava il privilegio di una libera interpretazione; e passava in silenzio dal piè dell'altare all'interior santuario del Tempio. La stravaganza della Greca mitologia proclamava con chiara ed intelligibile voce, che il pio investigatore invece di scandalizzarsi, o soddisfarsi del senso letterale, dovesse diligentemente esplorar la occulta sapienza che s'era nascosta dalla prudenza dell'Antichità sotto la maschera della favola e della follia404. I Filosofi della scuola Platonica405, Plotino, Porfirio, ed il divino Jamblico erano ammirati come i più dotti maestri di quest'allegorica scienza, che cercava di mitigare, e di render coerenti le deformi fattezze del Paganesimo. Giuliano medesimo, che fu diretto nella misteriosa ricerca da Edesio, venerabile successore di Jamblico, aspirava al possesso d'un tesoro, che (se dee credersi alle sue solenni asserzioni) egli stimava molto più dell'Impero del Mondo406. In fatti era un tesoro che traeva il suo valore solo dall'opinione; ed ogni artefice che si lusingava d'aver estratto il prezioso metallo dalle scorie che lo circondavano, avea un egual diritto di dargli la figura ed il nome, che più piaceva alla sua particolar fantasia. La favola d'Ati e di Cibele s'era già spiegata da Porfirio; ma le sue fatiche non servirono che ad animar la pietosa industria di Giuliano, che inventò e pubblicò la nuova sua allegoria di quella mistica ed antica favola. Questa libertà d'interpretazione, che parea soddisfare l'orgoglio de' Platonici, manifestò la vanità di lor arte. Senza un noioso ragguaglio, il moderno lettore formar non si potrebbe una giusta idea delle strane allusioni, delle forzate etimologie, delle solenni inezie e dell'impenetrabile oscurità di que' Savi, che si protestavan di rivelare il sistema dell'Universo. Siccome le tradizioni della mitologia Pagana si riferirono in varie maniere, i sacri interpreti erano in libertà di scegliere le circostanze più convenienti; ed interpretando essi una cifra arbitraria, da ogni favola potevan trarre ogni senso che si adattasse al lor favorito sistema di religione e di filosofia. La lasciva figura d'una Venere nuda riducevasi alla scoperta di qualche precetto morale o di qualche fisica verità; e la castrazione di Ati spiegava la rivoluzione del sole fra' tropici, e la separazione dell'anima umana dal vizio e dall'errore407.
Sembra che il sistema Teologico di Giuliano contenesse i sublimi ed importanti principj della religion naturale. Ma siccome la fede, che non è fondata sulla rivelazione, dee rimaner priva d'ogni stabile sicurezza, il discepolo di Platone imprudentemente ricadde nell'abitudine della volgar superstizione: e pare che si confondessero insieme l'idea popolare e la filosofica della Divinità nella pratica, negli scritti ed eziandio nello spirito di Giuliano408. Riconosceva e adorava il pio Imperatore l'Eterna Causa dell'Universo, alla quale attribuiva tutte le perfezioni, d'un'infinita natura, invisibile agli occhi, ed inaccessibile all'intelletto de' deboli mortali. Il supremo Dio, secondo lui, avea creato, o piuttosto, nel linguaggio Platonico, avea generato la successiva serie dogli spiriti dipendenti, degli Dei, de' demonj, degli eroi e degli uomini; ed ogni ente, che immediatamente traeva la propria esistenza dalla Prima Cagione, riceveva inerente a sè il dono dell'immortalità. Affinchè sì prezioso vantaggio non cadesse sopra indegni soggetti, il Creatore affidato aveva all'abilità ed al potere degl'inferiori Dei l'incumbenza di formare il corpo umano, e d'ordinar la bell'armonia de' regni animale, vegetabile e minerale. Alla condotta di tali divini Ministri commise il governo temporale di questo basso Mondo; ma l'imperfetta loro amministrazione non va esente dalla discordia o dall'errore. Si dividon fra loro la terra ed i suoi abitanti, e si posson distintamente rintracciare i caratteri di Marte o di Minerva, di Mercurio o di Venere nelle leggi e ne' costumi de' particolari loro devoti. Finchè le immortali nostre anime sono confinate in una prigione mortale, è nostro interesse e dovere di sollecitare il favore, ed allontanar l'ira delle potestà celesti, l'orgoglio delle quali si compiace della divozione degli uomini; e può supporsi, che le loro parti più grosse ricevan qualche nutrimento dal fumo de' sacrifizi409. Gli Dei minori potevano alle volte condiscendere ad animare le statue, e ad abitare i tempj dedicati al lor culto. Potevano accidentalmente visitare la terra, ma i Cieli erano il proprio trono, ed il simbolo della lor gloria. L'ordine invariabile del sole, della luna, e delle stelle fu precipitosamente ammesso da Giuliano come una prova della eterna loro durata; e tal eternità era una sufficiente contrassegno, ch'essi eran l'opera non già d'una Divinità inferiore, ma del Re onnipotente. Nel sistema de' Platonici, il Mondo visibile era una figura dell'invisibile. I corpi celesti essendo animati da uno spirito divino, si potevan considerare come gli oggetti più degni del Culto religioso. Il Sole, di cui la lieta influenza penetra e sostien l'universo, giustamente esigeva l'adorazione degli uomini, come lo splendido rappresentante del Logos, viva, ragionevole e benefica immagine del Padre intellettuale410.
In ogni tempo si supplisce alla mancanza d'una genuina inspirazione colle forti illusioni dell'entusiasmo e colle comiche arti dell'impostura. Se, al tempo di Giuliano, queste arti non si fossero praticate che da' sacerdoti Pagani per sostenere una causa spirante, si potrebbe forse usar qualche indulgenza all'interesse ed all'abitudine del carattere sacerdotale. Ma può esser soggetto di sorpresa e di scandalo, il vedere che i Filosofi stessi contribuissero ad ingannar la superstiziosa credulità dell'uman genere411, e che fossero sostenuti i misteri Greci dalla magia o teurgia de' moderni Platonici. Essi arrogantemente pretendevano di sconvolger l'ordine della natura, d'esplorare i segreti del futuro, di comandare agli spiriti inferiori, di goder della vista e della conversazion degli Dei superiori; e sciogliendo l'anima da' materiali suoi vincoli, di riunir quell'immortal particella allo Spirito infinito e divino.
La devota e coraggiosa curiosità di Giuliano tentò i filosofi colla speranza d'una facil conquista; che, attesa la situazione del giovane loro proselito, poteva produrre le più importanti conseguenze412. Giuliano apprese i primi rudimenti delle dottrine Platoniche dalla bocca d'Esedio, che avea fissato a Pergamo la perseguitata e vagabonda sua scuola. Ma siccome la decadente forza di quel venerabile Savio non era corrispondente all'ardore, alla diligenza ed alla rapida penetrazione dello scolare, due de' suoi più dotti discepoli, Crisante ed Eusebio, supplirono, secondo il proprio desiderio di lui, all'attempato loro maestro. Sembra che questi filosofi avesser già preparate e si fosser distribuite le respettive lor parti; ed artificiosamente procurarono per mezzo di oscuri cenni e di affettate dispute d'eccitare le impazienti speranze dell'aspirante, finattanto che lo consegnarono al loro compagno Massimo, il più ardito ed il più abile maestro della scienza teurgica. Dalle sue mani Giuliano fu segretamente iniziato in Efeso, nel ventesim'anno della sua età. La permanenza, ch'ei fece in Atene, confermò questa non naturale alleanza di filosofia e di superstizione. Egli ottenne il privilegio d'esser solennemente iniziato a' Misteri d'Eleusi, che nella general decadenza del Culto della Grecia ritenevan qualche vestigio della primiera lor santità; e tale fu lo zelo di Giuliano, che in seguito invitò il Pontefice Eleusino alla Corte della Gallia, pel solo fine di perfezionare mercè di sacrifizi e di riti la grand'opera di sua santificazione. Poichè tali ceremonie si facevano in profonde caverne e nel silenzio della notte, e che la discretezza dell'iniziato conservò l'inviolabil segreto dei Misteri, io non pretenderò di descrivere gli orridi suoni o le apparizioni di fuoco, che si presentarono a' sensi o all'immaginazione del credulo aspirante413, insino a che non comparvero le visioni di conforto e di cognizione in una fiamma di celeste luce414. Nelle caverne d'Efeso e d'Eleusi la mente di Giuliano fu penetrata da un sincero, profondo ed inalterabil entusiasmo; quantunque dimostrasse alle volte le vicende della pia frode e dell'ipocrisia, che osservar si possono, o almen sospettarsi ne' caratteri de' più scrupolosi fanatici. Fino da quel momento esso consacrò la sua vita al servizio degli Dei, e mentre pareva che le occupazioni della guerra, del governo e dello studio richiedessero tutto il suo tempo, era invariabilmente riservata una certa porzione dell'ore della notte per l'esercizio della privata sua devozione. La temperanza, che adornava i rigorosi costumi del soldato e del filosofo, era accompagnata da varie frivole e strette regole di religiosa astinenza; e Giuliano, in onore di Pane e di Mercurio, d'Ecate o d'Iside, in certi giorni s'asteneva dall'uso di alcuni particolari cibi, che avrebber potuto dispiacere alle sue tutelari Divinità. Per mezzo di questi volontari digiuni egli preparava i sensi e l'intelletto alle frequenti e famigliari visite, colle quali veniva onorato dai celesti Poteri. Non ostante il modesto silenzio di Giuliano medesimo, possiamo apprendere dall'oratore Libanio, suo fedele amico, ch'egli viveva in perpetuo commercio con gli Dei e con le Dee; ch'essi discendevano in terra per godere la conversazione dell'eroe lor favorito; che interrompevan gentilmente i suoi sonni toccandogli la mano o i capelli; che l'avvertivano di ogni imminente pericolo, e lo dirigevano con la loro infallibil sapienza in ogni azione della sua vita; e che aveva egli acquistato un'intima cognizione sì grande de' celesti suoi ospiti, che facilmente distingueva la voce di Giove da quella di Minerva, e la figura di Apollo da quella d'Ercole415. Tali visioni, o nel sonno o nella vigilia, che sono gli effetti ordinari dell'astinenza e del fanatismo, abbasserebbero quasi l'Imperatore al livello d'un monaco Egizio. Ma le inutili vite d'Antonio e di Panomio si consumarono in queste vane occupazioni, laddove Giuliano potea dal sogno della superstizione passare ad armarsi per la battaglia, e dopo aver vinto in campo i nemici di Roma, tranquillamente ritirarsi nella sua tenda a dettare savie e salutari leggi a un Impero, od a secondare il suo genio in eleganti ricerche di letteratura e di filosofia.
L'importante segreto dell'apostasia di Giuliano era affidato alla fedeltà degl'iniziati, co' quali era egli unito pe' sacri vincoli dell'amicizia e della religione416. Cautamente spargevasi questo piacevol rumore fra' seguaci dell'antico culto, e la futura grandezza di lui divenne l'oggetto delle speranze, delle preghiere e delle predizioni de' Pagani in ogni Provincia dell'Impero. Dallo zelo e dalle virtù del loro reale proselito, essi ansiosamente aspettavano la medicina d'ogni male e la restaurazione d'ogni bene, ed invece di disapprovare l'ardore de' loro pii desiderj, Giuliano ingenuamente confessava d'esser ambizioso di giugnere a tal situazione da poter esser utile alla sua patria ed alla sua religione. Ma questa religione medesima si guardava con occhio nemico dal successore di Costantino, le capricciose passioni del quale alternativamente salvarono e minacciaron la vita di Giuliano. Eran severamente proibite le arti magiche e divinatorie sotto un governo dispotico, ch'era portato a temerle; e sebbene a' Pagani fosse di mala voglia permesso l'esercizio della loro superstizione, il grado di Giuliano l'avrebbe eccettuato dalla general tolleranza. L'apostata presto divenne l'erede presuntivo della Monarchia, e la sua morte solamente avrebbe potuto quietare le apprensioni de' Cristiani417. Ma il giovane Principe, che aspirava alla gloria d'eroe piuttosto che a quella di martire, provvide alla propria salvezza col mascherar la sua religione, e l'indulgente natura del politeismo gli permetteva d'unire ad esso il Culto pubblico d'una Setta, che internamente spregiava. Libanio ha risguardato l'ipocrisia del suo amico, come un soggetto non di censura, ma di lode. «Siccome le Statue degli Dei (dice quell'oratore) che sono state contaminate con lordure, vengono poste di nuovo in magnifici tempj; così la bellezza della verità era collocata nella mente di Giuliano, poscia che fu essa purificata dagli errori e dalle follie della sua educazione. Aveva mutato i sentimenti; ma siccome sarebbe stato pericoloso il manifestarli, continuò nell'istessa condotta. Molto diverso dall'asino di Esopo, che si cuoprì con la pelle d'un leone, il nostro leone fu costretto a nascondersi sotto la pelle d'un asino: e mentre abbracciava i dettami della ragione, dovè ubbidire alle leggi della prudenza e della necessità418». La dissimulazione di Giuliano durò più di dieci anni, dalla sua segreta iniziazione in Efeso fino al principio della guerra civile, allorchè si dichiarò nell'istesso tempo implacabil nemico di Cristo e di Costanzo. Questo stato di violenza potè contribuire ad avvalorar la sua devozione; ed appena egli avea soddisfatto all'obbligo d'assistere, nelle feste solenni, all'assemblee de' Cristiani, tornava coll'impazienza d'un amante ad ardere il libero e volontario incenso nelle domestiche sue cappelle di Giove e di Mercurio. Ma ogni atto di dissimulazione dee riuscir penoso per un animo ingenuo, ond'è che la professione del Cristianesimo accrebbe l'avversion di Giuliano verso una religione, che opprimeva la libertà di sua mente, e lo costringeva a tenere un contegno ripugnante alla sincerità ed al coraggio, che sono gli attributi più nobili della natura umana.
Potè l'inclinazione di Giuliano fargli preferire gli Dei d'Omero e degli Scipioni alla nuova fede, che il suo zio avea stabilito nel Romano Impero, e nella quale s'era egli santificato col sacramento del Battesimo. Ma come a filosofo, gl'incumbeva di giustificare il proprio dissenso dal Cristianesimo, ch'era sostenuto dal numero de' convertiti, dalla catena delle profezie, dallo splendor de' miracoli e dal peso della evidenza. L'elaborata opera419, ch'egli compose in mezzo a' preparativi della guerra Persiana, conteneva la sostanza di quegli argomenti, ch'esso avea lungamente meditati nell'animo. Ne trascrisse, e ce ne conservò alcuni frammenti il veemente Cirillo d'Alessandria420 suo nemico; e questi presentano una mistura ben singolare d'ingegno e di dottrina, di arte sofistica e di fanatismo. L'eleganza dello stile ed il grado dell'autore conciliarono a questi scritti l'attenzione del pubblico421; e nella lista de' nemici del Cristianesimo fu cancellato il celebre nome di Porfirio dal merito o dalla riputazione maggiore di Giuliano. Gli animi de' Fedeli furono o sedotti, o scandalizzati, o commossi a timore; ed i Pagani, che alle volte ardivano di impegnarsi in una disputa disuguale, trassero dalle popolari opere del loro Imperial Missionario un inesausto sussidio di fallaci obbiezioni. Ma nel continuo proseguimento di tali teologici studj, l'Imperator de' Romani contrasse gl'illiberali pregiudizi e le passioni d'un teologo polemico. Si credè irrevocabilmente obbligato a sostenere e propagare le sue religiose opinioni; e nel tempo stesso che segretamente applaudiva la forza e destrezza con cui maneggiava le armi della controversia, era tentato a diffidare della sincerità, o a disprezzare l'ingegno dei suoi antagonisti, che ostinatamente resistevano alla forza della ragione e dell'eloquenza.
I Cristiani, che vedevano con orrore e con isdegno l'apostasia di Giuliano, avevano molto più a temere dalla sua potenza che da' suoi argomenti. I Pagani, che erano consapevoli del fervente suo zelo, aspettavano forse con impazienza, che immediatamente s'accendesser le fiamme della persecuzione contro i nemici degli Dei; e che l'ingegnosa malizia di Giuliano inventasse crudeli e raffinate maniere di morti e di tormenti, che non si fosser conosciute dal rozzo ed inesperto furore de' suoi predecessori. Ma, in apparenza, deluse rimasero le speranze ugualmente che i timori delle religiose fazioni, dalla prudente umanità di un Principe422, che aveva a cuore la sua fama, la pubblica pace e i diritti del genere umano. Istruito dall'istoria e dalla riflessione, Giuliano era persuaso che se i mali del corpo si possono qualche volta curare con una salutevol violenza, nè il ferro nè il fuoco valgono a sradicar dalla mente l'erronee opinioni. Può strascinarsi la ripugnante vittima a piè dell'altare; ma il cuore sempre abborrisce e disapprova il sacrilego atto della mano. La religiosa ostinazione s'indura e si esacerba per l'oppressione; e tosto che la persecuzione cessa, quelli che hanno ceduto, ricevono il perdono come penitenti, e quelli che han resistito, vengono onorati come martiri e santi. Se Giuliano avesse adottato l'infruttuosa crudeltà di Diocleziano e de' suoi colleghi, sentiva bene che avrebbe infamato la sua memoria col nome di tiranno, ed avrebbe accresciute nuove glorie alla Chiesa Cattolica, che avea tratto forza ed aumento dalla severità de' Magistrati Pagani. Mosso da questi motivi, e temendo di turbare il riposo d'un regno non ancora ben fermo, Giuliano sorprese il Mondo con un editto non indegno d'un politico o d'un filosofo. Egli estese a tutti gli abitanti del Mondo Romano i benefizi d'una libera ed ugual tolleranza; e l'unico aggravio, che impose a' Cristiani, fu di privarli del potere di tormentare gli altri sudditi, a' quali davano gli odiosi titoli d'idolatri e di eretici. Ai Pagani si diede graziosamente permissione, o piuttosto un ordine d'aprire tutti i lor tempj423; e furono ad un tratto liberati dalle leggi oppressive e dalle arbitrarie vessazioni, che avevan sofferto sotto il regno di Costantino e de' suoi figli. Nel medesimo tempo i Vescovi e Cherici, ch'erano stati banditi dall'Arriano Monarca, furon richiamati dall'esiglio, e restituiti alle respettive lor Chiese, i Donatisti, i Novaziani, i Macedoniani, gli Eunomiani, e quelli che con miglior fortuna aderivano alla dottrina del Concilio Niceno ebbero una sorte medesima. Giuliano che intendeva e derideva le lor teologiche dispute, invitò alla reggia i Capi delle Sette contrarie per poter godere il piacevole spettacolo de' loro furiosi conflitti. Il clamor della controversia qualche volta eccitò l'Imperatore a gridare: «Uditemi; i Franchi e gli Alemanni mi hanno ascoltato»; ma presto conobbe, che allora trattava con nemici più ostinati ed implacabili, e quantunque impiegasse la forza dell'eloquenza a persuaderli di vivere in concordia, o almeno in pace, avanti di licenziarli dalla sua presenza restò perfettamente convinto, ch'ei non aveva che temere dall'unione de' Cristiani. L'imparziale Ammiano attribuì quest'affettata clemenza al desiderio di fomentar l'interne divisioni della Chiesa, ed infatti l'insidioso disegno di sottominare il Cristianesimo era inseparabilmente connesso con lo zelo che Giuliano professava, di restaurar l'antica religion dell'Impero424.
Appena salito sul Trono, secondo il costume de' suoi predecessori, assunse il carattere di Pontefice Massimo non solo come il più onorevole titolo della grandezza Imperiale, ma eziandio come un sacro ed importante uffizio, i doveri del quale era egli risoluto d'eseguire con pia diligenza. Poichè gli affari dello Stato impedivano all'Imperatore d'unirsi ogni giorno negli atti di pubblica devozione co' suoi sudditi, dedicò una cappella domestica al Sole suo Dio tutelare; i suoi giardini eran pieni di statue e di altari degli Dei; ed ogni appartamento del Palazzo avea l'apparenza d'un magnifico tempio. Ogni mattina ei salutava il padre della luce con un sacrifizio; si spargeva il sangue d'un'altra vittima nel momento, in cui il Sole cadeva sotto l'orizzonte; e la Luna, le Stelle ed i Genj della notte ricevevano i lor respettivi ed opportuni onori dall'instancabile devozione di Giuliano. Nelle feste solenni regolarmente visitava il tempio del Dio o della Dea, a cui quel giorno era particolarmente dedicato, e procurava d'eccitar la religione de' Magistrati e del Popolo coll'esempio del suo proprio zelo. Invece di sostener l'alto stato d'un Monarca, distinto dallo splendor della porpora, e circondato dagli aurei scudi delle sue guardie, Giuliano con rispettoso ardore s'esercitava ne' minimi uffizi che appartenevano al culto degli Dei. In mezzo alla sacra ma licenziosa folla di Sacerdoti, d'inferiori ministri e di femmine danzanti, ch'erano addette al servizio del tempio, l'occupazione dell'Imperatore era quella di portar le legna, di soffiar nel fuoco, di prendere il coltello, d'uccider la vittima, e ponendo le sanguinose sue mani nelle viscere dello spirante animale, di tirar fuori il cuore o il fegato per leggervi, con la consumata abilità d'un aruspice, gl'immaginari segni degli eventi futuri. I più savj fra' Pagani censuravano tale stravagante superstizione, che affettava di disprezzare i ritegni della prudenza e del decoro. Nel regno d'un Principe, che praticava le rigide massime d'economia, la spesa del Culto religioso consumava una gran parte dell'entrata; si trasportava continuamente una quantità de' più rari e più begli uccelli da remoti paesi per ucciderli sugli altari degli Dei; frequentemente si sacrificavano da Giuliano cento bovi nel medesimo giorno; e presto si sparse un detto scherzoso fra il popolo, che se tornava dalla guerra di Persia colla vittoria, la razza del bestiame cornuto insensibilmente sarebbesi estinta. Pure questa spesa può sembrare di niun conto, qualora si paragoni con gli splendidi donativi, che offerti furono dalle mani dell'Imperatore, o per ordine di lui, a tutti i luoghi celebri di devozione nel Mondo Romano; e con le somme concesse per restaurare ed ornare gli antichi tempj, che avevan sofferto o la tacita decadenza del tempo, o le recenti ingiurie dello zelo Cristiano. Incoraggiate dall'esempio, dall'esortazione e dalla liberalità del pio loro Sovrano, le città e le famiglie ripresero la pratica delle trascurate lor ceremonie. «Ogni parte del Mondo (esclama Libanio con devoto trasporto) spiegava il trionfo della Religione, il grato prospetto di altari ardenti e di uccise vittime, il fumo dell'incenso; ed un solenne ordine di Sacerdoti e di Profeti senza timore e senza pericolo. S'udivan sulla cima delle più alte montagne il suono delle preci e della musica, ed il medesimo bove serviva di sacrifizio agli Dei, e di cena pe' lieti loro devoti425.»