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Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4», sayfa 16

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Gli amici di Giuliano avevano altamente annunziato il felice successo della sua spedizione. Erano essi fortemente persuasi, che si sarebbero arricchiti i tempj degli Dei con le spoglie dell'Oriente; che la Persia si sarebbe ridotta all'umile stato di una Provincia tributaria, governata dalle leggi e dai Magistrati di Roma; che i Barbari adottato avrebbero l'abito, i costumi e la lingua dei loro conquistatori; e che la gioventù di Ecbatana e di Susa venuta sarebbe a studiar la rettorica nelle scuole de' Greci650. I progressi delle armi di Giuliano interruppero la comunicazione di lui coll'Impero; e dal momento che passò il Tigri, gli affezionati suoi sudditi non seppero più la sorte e gli accidenti del loro Principe. La contemplazione degl'immaginati trionfi venne sturbata dalla trista fama della sua morte; e persisterono a dubitare della verità di quel fatale avvenimento, anche dopo che non potevano più negarlo651. I messaggieri di Gioviano promulgarono la speciosa novella di una prudente e necessaria pace: ma la voce della fama, più alta e più sincera, manifestò il disonor dell'Imperatore e le condizioni dell'ignominioso trattato. Gli animi del popolo si riempirono di stupore e di affanno, di sdegno e di terrore, quando seppero che l'indegno successor di Giuliano abbandonava le cinque Province, che acquistate aveva la vittoria di Galerio; e che vergognosamente rendeva ai Barbari l'importante città di Nisibi, ch'era il più stabile baloardo delle Province Orientali652. Nelle popolari conversazioni agitavasi liberamente la profonda e pericolosa questione, se la fede pubblica si dovesse osservare, quando essa è incompatibile con la pubblica sicurezza; ed avevasi qualche speranza, che l'Imperatore avrebbe rimediato alla pusillanime sua condotta con uno splendido atto di patriottica perfidia. Lo spirito inflessibile del Senato Romano aveva in altri tempi disapprovato le ingiuste condizioni estorte dalle angustie delle oppresse sue armate; e se vi fosse stato bisogno di soddisfare all'onore della nazione con dare il Generale colpevole nelle mani de' Barbari, la maggior parte de' sudditi di Gioviano avrebbe volentieri acconsentito a seguire l'esempio de' tempi antichi653.

Ma l'Imperatore, per quanto stretti fossero i limiti della sua costitutiva autorità, era padrone assoluto delle leggi e delle armi dello Stato; e gli stessi motivi, che l'avevan forzato a sottoscrivere il trattato di pace, lo affrettavano ad eseguirlo. Egli era impaziente d'assicurarsi un Impero a costo di poche Province; ed i nomi rispettabili di religione d'onore coprivano i timori personali e l'ambizion di Gioviano. Non ostanti le umili sollecitazioni degli abitanti, il decoro ugualmente che la prudenza impediron l'Imperatore dal prendere alloggio nel palazzo di Nisibi; ma la mattina dopo il suo arrivo, Binese, Ambasciatore di Persia, entrò nella piazza, spiegò dalla fortezza la bandiera del gran Re, e pubblicò in nome di esso la crudele alternativa della servitù o dell'esilio. I principali cittadini di Nisibi, che fino a quel fatal momento avevan confidato nella protezione del loro Sovrano, gli si gettarono a' piedi. Lo scongiurarono a non abbandonare o almeno a non consegnare una fedele colonia al furore d'un Barbaro tiranno, esacerbato da tre successive sconfitte ricevute sotto le mura di Nisibi. Essi avevano ancora armi e coraggio per rispingere gl'invasori della patria; chiedevano soltanto la permissione di servirsene in loro difesa; e tosto che avessero assicurata la propria indipendenza, avrebbero implorato il favore di essere nuovamente ammessi nel numero de' suoi sudditi. Gli argomenti, la eloquenza e le lacrime loro furono inefficaci. Gioviano con qualche rossore allegò la santità de' giuramenti; e quando la ripugnanza, con cui accettò il dono d'una corona d'oro, convinse i cittadini del disperato lor caso, l'avvocato Silvano proruppe in tal esclamazione: «O Imperatore, così possiate voi essere incoronato da tutte le città do' vostri Stati!» A Gioviano, che in poche settimane aveva preso le abitudini di Principe654, dispiacque la libertà, e si offese del vero; e poichè a ragione suppose che la malcontentezza del popolo potesse farlo inclinare a sottomettersi al governo Persiano, pubblicò un editto, che nel termine di tre giorni dovessero tutti, sotto pena di morte, lasciar la città. Ammiano ha descritto con vivaci colori la scena della disperazione universale, di cui sembra essere stato spettatore con occhio di compassione655. La vigorosa gioventù abbandonava con isdegnoso cordoglio le mura, che aveva sì gloriosamente difese; le sconsolate donne spargevano le ultime lagrime sulla tomba del figlio o del marito, che in breve doveva essere profanata dalle rozze mani di un Barbaro possessore; ed i vecchi cittadini baciavano le spoglie, e stavano attaccati alle porte delle case, dove passato avevano le care e liete ore della puerizia. Eran piene le pubbliche strade d'una tremante moltitudine; e nell'universale calamità non si faceva distinzione alcuna di grado, di sesso o di età. Ognuno procurava di portar via qualche frammento dal naufragio de' propri beni; e siccome non era possibile d'aver subito un sufficiente numero di cavalli o di carri, furono costretti a lasciarsi dietro la massima parte de' loro effetti preziosi. La dura insensibilità di Gioviano sembra che aggravasse i travagli di quegli esuli sfortunati. Furon posti però in un quartiere nuovamente fabbricato d'Amida; e quella rinascente città, col rinforzo d'una considerabil colonia, presto ricuperò il suo antico splendore, e divenne la capitale della Mesopotamia656. Si mandarono simili ordini dall'Imperatore per l'evacuazione di Singara e del castello de' Mori e per la restituzione delle cinque Province al di là del Tigri. Sapore godè la gloria ed i frutti della sua vittoria; e questa ignominiosa pace si è giustamente risguardata come una memorabile epoca nella decadenza e rovina del Romano Impero. I predecessori di Gioviano avevano alle volte abbandonato il dominio di lontane inutili Province; ma dalla fondazione della città, il Genio di Roma, il Dio Termine, che guardava i confini della Repubblica, non si era mai ritirato in faccia alla spada di un vittorioso nemico657.

Dopo che Gioviano ebbe adempito quelle obbligazioni, che la voce del suo popolo avrebbe potuto tentarlo a violare, s'affrettò di sottrarsi alla scena della sua vergogna, e passò con tutta la Corte a godere le delizie d'Antiochia658. Senza consultare i dettami di un religioso zelo, egli fu indotto dall'umanità e dalla gratitudine a prestar gli ultimi onori al corpo del suo defunto Sovrano659; e Procopio, che sinceramente piangeva la perdita del suo congiunto, fu rimosso dal comando dell'esercito sotto il decente pretesto di aver cura de' funerali. Fu trasportato il cadavere di Giuliano da Nisibi a Tarso, in una lenta marcia di quindici giorni; e nel passare che fece per le città dell'Oriente, veniva salutato dalle fazioni fra loro contrarie o con luttuosi lamenti o con grida d'insulto. I Pagani già collocavano il loro diletto Eroe nel grado di quegli Dei, de' quali aveva restaurato il culto; mentre le invettive de' Cristiani perseguitavan l'anima dell'Apostata fino all'inferno ed il corpo di esso fino al sepolcro660. Gli uni compiangevano l'imminente rovina dei loro altari; gli altri celebravano la maravigliosa liberazion della Chiesa. I Cristiani applaudivano, con alti ed ambigui cantici, al colpo della divina vendetta ch'era stata sì lungo tempo sospesa sopra il reo capo di Giuliano. Assicuravano che nell'istante in cui Giuliano spirò di là dal Tigri, era stata rivelata la morte del tiranno a' Santi dell'Egitto, della Siria e della Cappadocia661; ed invece di accordare che fosse perito per mezzo de' dardi Persiani, la loro indiscretezza attribuiva l'eroico fatto all'oscura mano di qualche mortale o immortale campion della fede662. Tali imprudenti dichiarazioni furono ardentemente adottate dalla malizia o dalla credulità de' loro avversarj663, che oscuramente insinuavano, o con sicurezza asserivano, che i Moderatori della Chiesa avevano instigato e diretto il fanatismo di un assassino domestico664. Più di sedici anni dopo la morte di Giuliano, tale accusa fu solennemente e con ardore sostenuta in una pubblica orazione, diretta da Libanio all'Imperatore Teodosio. I suoi sospetti non sono appoggiati su fatto o argomento veruno; e non possiamo far altro che stimare il generoso zelo del Sofista d'Antiochia per le fredde e neglette ceneri del suo amico665.

V'era un costume antico ne' funerali, non meno che ne' trionfi de' Romani, che la voce degli encomj venisse corretta da quella della satira e del ridicolo; e che in mezzo alle splendide pompe, che spiegavan la gloria del vivente o del defunto, non fosser nascoste agli occhi del Mondo le sue imperfezioni666. Tale uso fu praticato anche nell'esequie di Giuliano. I Comici, ch'erano irritati dal disprezzo ed avversione di lui pel teatro, rappresentarono con applauso dell'udienza Cristiana la viva ed esagerata pittura delle follie e de' difetti del morto Imperatore. Il vario carattere ed i singolari costumi di lui fornirono ampia materia di motteggi e di ridicolo667. Nell'esercizio de' propri non ordinari talenti, spesse volte, abbassava la maestà del suo posto. Alessandro trasformavasi in Diogene, il Filosofo diveniva Sacerdote. La purità della sua virtù era macchiata da un'eccessiva vanità; la sua superstizione disturbò la pace, e pose in rischio la salute d'un vasto Impero; e gl'irregolari trasporti di lui tanto meno eran degni d'indulgenza, che sembravano laboriosi sforzi dell'arte o dell'affettazione. Il cadavere di Giuliano fu sepolto a Tarso nella Cilicia; ma il magnifico sepolcro, che gli fu innalzato in quella città sulle rive del fresco e limpido Cidno668, dispiacque agli amici fedeli, che amavano e rispettavano la memoria di quell'uomo straordinario. Il filosofo dimostrò un desiderio assai ragionevole, che il discepolo di Platone riposasse in mezzo a' giardini dell'Accademia669; mentre il soldato esclamò in più forti accenti, che le ceneri di Giuliano dovevano unirsi a quelle di Cesare nel campo di Marte, e fra gli antichi monumenti del Romano valore670. L'istoria dei Principi non somministra frequentemente esempi di tale contrasto.

FINE DEL VOLUME QUARTO
650.Liban. Orat. parent. c. 145. p. 366. Tali erano le speranze e i desiderj naturali d'un retore.
651.Il Popolo di Carre, città addetta al Paganesimo, seppellì sotto un mucchio di pietre l'inaugurato apportator di tal nuova (Zosimo l. III. p. 196). Libanio, quando ne ricevè la fatal notizia, gettò gli occhi sopra la spada: ma si rammentò, che Platone aveva condannato il suicidio, e ch'ei doveva vivere per comporre il panegirico di Giuliano (Liban. de vita sua Tom. II. p. 45, 46).
652.Possono ammettersi Ammiano ed Eutropio come buoni e credibili testimoni de' discorsi e de' sentimenti pubblici. Il popolo d'Antiochia inveiva contro un'ignominiosa pace, che l'esponeva sopra una nuda e non difesa frontiera alle armi Persiane.
653.L'Ab. della Bleterie (Hist. de Jovien p. 211-227) quantunque rigoroso casista, decise che Gioviano non era obbligato ad eseguire la sua promessa; poichè non poteva smembrare l'Impero, o alienare l'omaggio del suo popolo senza il consenso di esso. Io non ho mai trovato gran diletto o istruzione in tali politici Metafisici.
654.A Nisibi egli fece un atto indegno di Re. Un bravo Uffiziale, che avendo il suo stesso nome, era stato creduto degno della porpora, fu tratto da cena, gettato in un pozzo, e lapidato senza alcuna forma di processo o prova di delitto. Ammiano XXV. 8.
655.Vedi XXV, 9 e Zosimo l. III. p. 194, 195.
656.Chron. Paschal. p. 300. Posson consultarsi le Notizie Ecclesiastiche.
657.Zosimo l. III pag. 192, 193. Sesto Rufo de Provinc. c. 29. Agostin. De Civ. Dei l. IV. c. 29. Si dee però applicare ed interpretare questa generale proposizione con qualche cautela.
658.Ammiano XXV. 9 Zosimo l. III. p. 196. Per quanto egli fosse edax, et vino venerique indulgens, io convengo con la Bleterie (Tom. I. p. 148-154) in rigettare il pazzo racconto d'un baccanale disordine (Ap. Suid.) fatto in Antiochia dall'Imperatore, dalla sua moglie e da una truppa di concubine.
659.L'ab. della Bleterie (Tom. I. p. 156, 209) espone leggiadramente il brutal desiderio del Baronio, che avrebbe voluto che Giuliano fosse gettato ai cani ne cespititia quidem sepultura dignus.
660.Si confronti il Sofista col Santo (Libanio Monod. T. II. p. 251. et Orat. parent. c. 145. p. 367. c. 156. p. 377, con Gregorio Nanzianz. Orat. IV. p. 125, 132). L'oratore Cristiano insinua qualche debol'esortazione alla modestia ed al perdono; ma egli è ben contento che i reali patimenti di Giuliano siano molto maggiori de' tormenti favolosi d'Issione o di Tantalo.
661.Tillemont (Hist. des Emper. Tom. IV p. 549) ha raccolto queste visioni. Fu osservato, che qualche santo o angelo era assente nella notte per una segreta spedizione ec.
662.Sozomeno (l. VI. 2) fa applauso alla dottrina Greca del tirannicidio; ma tutto quel passo, che un Gesuita volentieri avrebbe tradotto, è prudentemente soppresso dal Presidente Cousin.
663.Subito dopo la morte di Giuliano, si sparse un incerto romore, ch'egli telo cecidisse Romano. Alcuni disertori lo portarono fino al campo Persiano; ed i Romani furon tacciati come assassini dell'Imperatore da Sapore e da' suoi sudditi (Ammiano XXV. 6. Liban. de ulcisc. Julian. nece c. XIII. p. 162, 163). Adducevasi come una decisiva prova, che nissun Persiano erasi presentato per chiedere il promesso premio (Liban. Orat. parent. c. 141. p. 363). Ma il cavaliere che scagliò fuggendo il fatal giavellotto, potè ignorar l'effetto di esso, o nella medesima azione restare ucciso. Ammiano non ne dà indizio, nè ispira sospetto veruno.
664.Ος τις εντολην τληρων ῳ σφων αυτων αρχουτι; chiunque fu che adempì la commissione ricevuta da chi presedeva loro. Tale oscura e dubbiosa espressione può riferirsi ad Atanasio, ch'era senza rivale il primo del clero Cristiano (Liban. De ulcisc. Juliani nece c. 5. p. 149. La Bleterie Hist. de Jovien Tom. I. p. 179).
665.L'Oratore (ap. Fabric. Biblioth. Graec. Tom. VII p. 145-179) sparge sospetti, domanda un processo, ed insinua che potrebbero tuttavia trovarsene delle prove, egli attribuisce i progressi degli Unni alla colpevole negligenza di vendicar la morte di Giuliano.
666.Nel funerale di Vespasiano, il comico che rappresentava quel frugale Imperatore domandò ansiosamente quanto costava tal funzione… Ottantamila lire (centies)… «Datemi, rispose, la decima parte di questa somma, e gettate il mio corpo nel Tevere». Sveton. in Vespasian. c. 19. con le note del Casaubono e del Gronovio.
667.Gregorio (Orat. IV. p. 119. 120.) paragona tal supposta ignominia e ridicolezza agli onori funebri di Costanzo, il corpo del quale fu portato sul monte Tauro da un coro di Angeli.
668.Q. Curzio l. III. c. 4. Si è censurato più volte il lusso delle sue descrizioni. Era però quasi un dovere dell'Istorico il descrivere un fiume, le acque del quale erano state quasi fatali ad Alessandro.
669.Liban. Orat. parent. c. 156. p. 377. Riconosce però con gratitudine la liberalità dei due reali fratelli nel decorare la tomba di Giuliano: De ulcisc. Juliani. nec. c. 7. p. 152.
670.Cujus suprema et cinerea, si qui tunc juste consuleret, non Cydnus videre deberet, quamvis gratissimus amnis et liquidus: sed ad perpetuandam gloriam recte factorum praeterlambere Tiberis, intersecans urbem aeternam, divorumque veterum monumenta perstringens. Ammiano XXV. 10.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
28 eylül 2017
Hacim:
430 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
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