Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4», sayfa 14
La fertile Provincia dell'Assiria582, che s'estendeva al di là del Tigri fino alle montagne della Media583, conteneva circa quattrocento miglia, dall'antica muraglia di Macepratta fino al territorio di Basra, dove le acque dell'Eufrate e del Tigri vanno insieme a scaricarsi nel golfo Persico584. A tutto quel tratto potrebbe darsi il particolar nome di Mesopotamia, mentre i due fiumi, che non son mai più distanti di cinquanta miglia fra loro, fra Bagdad e Babilonia si avvicinano alla distanza di venticinque. Una quantità di canali, scavati senza molta fatica in un suolo molle e cedente, congiungevano i fiumi, ed intersecavano il piano dell'Assiria. Gli usi di questi artificiali canali eran varj ed importanti: servivano a scaricare le acque superflue da un fiume nell'altro al tempo delle respettive loro innondazioni: suddividendosi in sempre più piccoli rami, rinfrescavano le aride terre, e supplivano alla mancanza della pioggia; facilitavano la comunicazione ed il commercio in tempo di pace; e siccome potevano prestamente rompersi le cateratte, somministravano alla disperazione degli Assirj i mezzi di opporre un subitaneo diluvio al progresso d'un esercito che gl'invadesse. La natura negato aveva al suolo ed al clima dell'Assiria alcuni dei suoi più scelti doni, come la vite, l'ulivo, il fico ec.; ma vi nasceva con inesauribil fertilità il cibo che sostiene la vita umana e specialmente il grano e l'orzo; e l'Agricoltore che gettava in terra il suo seme, veniva spesso premiato con una raccolta di due e fino di trecento volte maggiore. La superficie del paese era ornata di boschi d'innumerabili palme585; ed i diligenti abitatori celebravano sì in versi che in prosa i trecento sessanta usi, che potevano artificiosamente farsi del tronco, de' rami, delle foglie, del sugo e del frutto di esse. Varie manifatture, in specie di cuojo e di lino, impiegavan l'industria d'un numeroso popolo, e somministravano pregevoli materiali pel commercio straniero, il quale per altro sembra, che fosse fatto dai forestieri. Babilonia era stata ridotta ad un parco reale; ma presso le rovine dell'antica capitale erano in diversi tempi sorte novelle città, e la popolazione del paese s'era diffusa in una moltitudine di terre e di villaggi, che erano fabbricati di mattoni seccati al sole e fortemente collegati insieme con bitume, che è un naturale e special prodotto del suolo di Babilonia. Quando i successori di Ciro dominavan sull'Asia, la sola Provincia dell'Assiria manteneva per la terza parte dell'anno la lussuriosa abbondanza della tavola e della casa dei gran Re. Erano assegnati quattro considerabili villaggi per la sussistenza dei cani Indiani, ottocento stalloni e sedicimila cavalle continuamente si mantenevano a spese del paese per le stalle reali; e siccome il tributo quotidiano, che pagasi al Satrapo, ascendeva ad uno stajo Inglese d'argento, possiamo valutare l'annua rendita dell'Assiria più di un milione e dugentomila lire sterline586.
A. D. 363
Le campagne dell'Assiria furono condannate da Giuliano alle calamità della guerra, ed il filosofo vendicò sopra un innocente popolo gli atti di rapina e di crudeltà, che il loro superbo Signore avea commessi nelle Province Romane. I tremanti Assiri chiamarono in loro aiuto i fiumi, e con le proprie mani finiron di rovinare il loro paese. Le strade si rendettero impraticabili; si portò nel campo un diluvio di acque e per più giorni le truppe di Giuliano furon costrette a combattere coi travagli più intollerabili. Ma sormontossi ogni ostacolo dalla perseveranza dei legionarj, che erano indurati alla fatica ed al pericolo, e che si sentivano animati dallo spirito del loro Capo. Il danno era di mano in mano riparato; le acque ridotte a' loro canali; furono tagliati degl'interi boschi di palme, e posti lungo le rotture delle strade; e l'armata passava i larghi e molto profondi canali su ponti formati di fluttuanti zattere, ch'erano sostenute per mezzo di vesciche. Due città dell'Assiria pretesero di resistere alle armi dell'Imperatore Romano; ed ambedue pagarono severamente la pena della loro temerità. Alla distanza di cinquanta miglia dalla residenza reale di Ctesifonte teneva il secondo grado nella Provincia Perisabor o Anbar, città grande, popolata e ben fortificata con un doppio recinto di mura, quasi circondata da un ramo dell'Eufrate, e difesa dal valore di una numerosa guarnigione. Si rigettarono con disprezzo l'esortazioni d'Ormisda; e il Principe Persiano dovè udire coi proprj orecchi il giusto rimprovero, che dimenticatosi della reale sua nascita, conduceva un esercito di stranieri contro il proprio Sovrano e la patria. Gli Assiri mantennero la lor fedeltà mediante una ben intesa e vigorosa difesa, finattanto che avendo un forte colpo d'ariete aperto una larga breccia con aver danneggiato uno degli angoli della muraglia, essi precipitosamente si ritirarono nelle fortificazioni della cittadella interiore. I soldati di Giuliano si gettarono impetuosamente nella città, e dopo d'aver appieno soddisfatto ogni militare appetito, Perisabor fu ridotta in cenere; e furono piantate sulle rovine delle case fumanti, le macchine dirette contro la cittadella. Si continuò il combattimento per mezzo di perpetue vicendevoli scariche di dardi; e la superiorità, che i Romani potevano trarre dalla meccanica forza delle loro balestre e catapulte, veniva contrabbilanciata dal vantaggio del suolo dalla parte degli assediati. Ma tosto che fu eretta un'elepoli, che poteva attaccare ad ugual livello i più alti baloardi, il tremendo aspetto di una mobile torre, che non lasciava speranza veruna di resistenza o di pietà, ridusse gli spaventati difensori della rocca ad un umile sommissione; e la piazza si rendè dopo due soli giorni che Giuliano s'era presentato innanzi alle mura di Perisabor. Fu permesso a duemila cinquecento persone d'ambedue i sessi, deboli residui d'un florido popolo, di ritirarsi; le abbondanti provvisioni di grano, di armi e di splendide spoglie furono in parte distribuite fra le truppe, e in parte riservate per uso pubblico; gli arnesi inutili, distrutti furono dal fuoco, o gettati nell'Eufrate; e restò vendicata la caduta di Amida dalla total rovina di Perisabor.
Sembra che la città o piuttosto la fortezza di Maogamalca, che era difesa da sedici grosse torri, da un profondo fossato, e da due forti e solidi recinti di mura, fosse fabbricata alla distanza di undici miglia, come una salvaguardia della capitale della Persia. L'Imperatore, non arrischiandosi a lasciarsi dietro alle spalle tale importante fortezza, pose immediatamente l'assedio e Maogamalca; ed a tale oggetto l'esercito Romano fu distribuito in tre divisioni. Vittore alla testa della cavalleria e di un distaccamento di fanti di grave armatura, fu destinato a purgare la strada fino alle rive del Tigri ed ai sobborghi di Ctesifonte. Assunse la condotta dell'attacco Giuliano in persona, il quale pareva che lo facesse tutto consistere nelle macchine militari, che esso construiva contro le mura, nel tempo che segretamente immaginava un mezzo più efficace d'introdur le sue truppe nel cuore della città. Furono aperte le trincee sotto la direzione di Nevitta e di Dagalaifo ad una considerabil distanza, ed appoco appoco furon prolungate fino all'orlo del fosso. Questo fu speditamente ripieno di terra; e mediante il lavoro continuo delle truppe, si fece una mina sotto i fondamenti delle mura sostenute a sufficienti distanze da puntelli di legno. Avanzandosi in una sola fila tre coorti scelte, tacitamente esploravano l'oscuro e pericoloso passaggio, finattanto che l'intrepido lor condottiero fece sapere a quelli che lo seguivano, che era vicino a sbucare da quelle angustie nelle contrade della nemica città. Giuliano frenò il loro ardore per assicurarne l'evento; ed immediatamente divertì l'attenzione del presidio col tumulto ed il clamor d'un generale assalto. I Persiani, che dalle loro mura guardavano con disprezzo il progresso d'un impotente attacco, celebravano con cantici di trionfo la gloria di Sapore; ed ardivano assicurare l'Imperatore, che egli avrebbe potuto salire nella stellata magione d'Ormusd, prima di potere sperar di prendere l'inespugnabil città di Maogamalca. Ma essa era già presa. L'istoria ci ha conservato il nome di un semplice soldato, che fu il primo ad uscir dalla mina in una torre abbandonata; fu slargato il passo dai suoi compagni, che progredivano con impaziente valore; ed erano già nel mezzo della città mille cinquecento nemici. La guarnigione stupefatta abbandonò le mura, unica loro speranza di salvezza; furono subito spalancate le porte; e si saziò con una tumultuaria strage la furia militare, dovunque non era sospesa dall'incontinenza e dall'avarizia. Il Governatore, che aveva ceduto sulla promessa di pietà, fu pochi giorni dopo abbruciato vivo per essere stato accusato di aver dette alcune poco rispettose parole contro l'onore del Principe Ormisda. Furono gettate a terra le fortificazioni; e non restò alcun vestigio che vi fosse mai stata la città di Maogamalca. Le adjacenze della capitale della Persia eran ornate di tre sontuosi palazzi magnificamente arricchiti d'ogni produzione, che soddisfar potesse il lusso e la vanità d'un Monarca Orientale. La piacevol situazione de' giardini lungo le sponde del Tigri, era migliorata, secondo il gusto Persiano, dalla simmetria de' fiori, delle fontane e degli ombrosi viali; ed eran chiusi di mura de' vasti parchi per contenere degli orsi, de' leoni e de' cignali, mantenuti con notabile spesa pel piacere della caccia reale. Questi recinti furono aperti, fu abbandonata la cacciagione ai dardi de' soldati, e per ordine del Romano Imperatore si ridussero in cenere i palazzi di Sapore. Giuliano dimostrò in quest'occasione di non sapere, o di disprezzare le leggi della civiltà, che la prudenza e coltura de' secoli inciviliti hanno stabiliti fra' Principi nemici. Pure queste capricciose devastazioni eccitar non debbono alcun forte movimento di compassione o di sdegno ne' nostri petti. Una sola statua nuda, perfezionata dalla mano d'un Greco artefice, è di maggior valore che tutti que' rozzi e dispendiosi monumenti di barbaro lavoro; e se ci sentiamo più mossi dalla rovina d'un palazzo che dall'incendio d'una capanna, la nostra umanità dee aver formato un ben falso giudizio delle miserie della vita umana587.
Giuliano fu pei Persiani un oggetto di terrore e di odio; ed i pittori di quella Nazione rappresentavano l'invasore del lor paese sotto la figura di furioso leone, che vomitava dalla bocca un fuoco divoratore588. Ai propri amici e soldati però compariva il filosofo Eroe in un aspetto più amabile; nè furon mai con maggior pompa spiegate le sue virtù, che nell'ultimo e più attivo periodo della sua vita. Egli praticava senza sforzo, e quasi senza merito, le abituali qualità della temperanza e della sobrietà. Secondo i dettami di quell'artificiale sapienza, che s'attribuisce un assoluto dominio sulla mente e sul corpo, fortemente negava a se stesso la soddisfazione dei più naturali appetiti589. Nel caldo clima dell'Assiria, che sollecitava un popolo lussurioso a soddisfare ogni sensual desiderio590, un giovane conquistatore mantenne pura ed inviolata la sua castità; nè Giuliano fu mai tentato neppure da un motivo di curiosità a visitar le sue schiave di squisita bellezza591, che invece di resistergli avrebber disputato fra loro l'onore de' suoi abbracciamenti. Con quella stessa fermezza, con cui resisteva agli allettamenti dell'amore, sosteneva le fatiche della guerra. Allorchè i Romani marciavano per quella bassa e innondata pianura, il loro Sovrano, a piedi, alla testa delle legioni, era partecipe de' loro travagli, e ne animava la diligenza. Ad ogni util lavoro la mano di Giuliano era pronta e vigorosa; e la porpora Imperiale era immollata o coperta di fango ugualmente che la veste ordinaria dell'infimo soldato. I due assedj gli presentarono riguardevoli occasioni di segnalare il suo personal valore, che nel più perfetto stato dell'arte militare rare volte può dimostrarsi da un prudente Capitano. Stava l'Imperatore avanti la cittadella di Perisabor non curando l'estremo suo rischio, ed incoraggiava le truppe a gettar giù le porte di ferro, fino al segno di esser quasi oppresso da un nuvolo di dardi e di grosse pietre, ch'eran dirette contro la sua persona. Nel tempo che esaminava le fortificazioni esterne di Maogamalca, due Persiani, sacrificandosi alla loro patria ad un tratto gli corsero addosso con le scimitarre nude: l'Imperatore, alzato lo scudo, riparò destramente i lor colpi, e con un costante e ben inteso coraggio stese morto ai suoi piedi uno degli avversari. La stima di un Principe, che possiede le virtù che approva negli altri, è la più nobile ricompensa di un meritevole suddito; e l'autorità, che Giuliano traeva dal personale suo merito, lo rendea capace di restaurare ed invigorire il rigore dell'antica disciplina. Ei punì colla morte o coll'ignominia la cattiva condotta di tre truppe di cavalleria, che in una scaramuccia col Surenas avevan perduto l'onore ed uno dei loro stendardi; e con corone obsidionali592 distinse il valore dei primi soldati che salirono sulla città di Maogamalca. Dopo l'assedio di Perisabor fu esercitata la fermezza dell'Imperatore dall'insolente avarizia dell'esercito, il quale altamente lagnavasi che fosser premiati i suoi servigi con un piccol donativo di cento monete d'argento. S'espresse il giusto suo sdegno nel grave e virile linguaggio d'un Romano. «L'oggetto di vostre brame son le ricchezze? Si trovan queste nelle mani dei Persiani, e le spoglie di questo fertil paese sono il premio del vostro valore e disciplina. Crediatemi (continuò Giuliano) che la Repubblica Romana, la quale prima possedeva tanti immensi tesori, è presentemente ridotta al bisogno ed alla miseria, da che i nostri Principi si son lasciati persuadere da deboli ed interessati Ministri a comprare coll'oro la pace dei Barbari. Esausto è l'erario, le città rovinate, spopolate le Province. Quanto a me, l'unica eredità, che ho ricevuto dai miei reali antenati, è un animo incapace di timore; e finattanto che io sarò convinto, che ogni real vantaggio consiste nello spirito, non mi vergognerò di confessare un'onorevole povertà, che nei tempi dell'antica virtù era considerata come la gloria di Fabricio. Vostra può esser tal gloria e tal virtù, se presterete orecchio alla voce del Cielo e del vostro Generale. Ma se temerariamente volete persistere, se siete risoluti di rinnovare i vergognosi e colpevoli esempi delle antiche sedizioni, proseguite pure… Come conviene ad un Imperatore, che ha tenuto il primo grado fra gli uomini, io son pronto a morire da forte, ed a sprezzare una vita precaria, che può ad ogni momento dipendere da un'accidental malattia. Se mi trovate indegno del comando, vi sono adesso fra voi (io lo dico con ambizione e con piacere) vi sono molti Capi, il merito e l'esperienza dei quali è capace di regolare una guerra della maggiore importanza. La natura del mio regno è stata di tal sorta, che io posso ritirarmi senza dispiacere e senza timore nell'oscurità di uno stato privato593». Alla modesta risoluzione di Giuliano corrispose l'unanime applauso e la volonterosa ubbidienza dei Romani, che espressero la fiducia, che avevano, della vittoria, mentre combattevano sotto le bandiere dell'eroico lor Principe. Si accendeva il loro coraggio dai frequenti e famigliari detti di lui, giacchè in tali voti consistevano i giuramenti di Giuliano: «Così possa io ridurre i Persiani sotto il giogo; così possa io restaurare la forza e lo splendore della Repubblica». L'amor della fama era l'ardente passione dell'animo suo: ma non prima d'aver posto il piede sulle rovine di Maogamalca si credè permesso di dire: «che allora egli avea preparato qualche materiale pel Sofista d'Antiochia594».
Il fortunato valor di Giuliano aveva trionfato di tutti gli ostacoli, che si opponevano alla sua marcia fino alle porte di Ctesifonte. Ma era tuttavia lontana la presa o anche l'assedio della capital della Persia: nè può chiaramente vedersi la militar condotta dell'Imperatore senza una cognizione del paese, che fu il teatro delle ardite e ben dirette sue operazioni595. Venti miglia al mezzodì di Bagdad e sulla sponda Orientale del Tigri la curiosità dei viaggiatori ha notato le rovine dei palazzi di Ctesifonte, che al tempo di Giuliano era una grande e popolata città. Era totalmente estinto il nome e la gloria della vicina Seleucia; e l'unico quartiere che rimaneva di quella Greca colonia, aveva ripreso, insieme col linguaggio e co' costumi dell'Assiria, il primitivo nome di Coche. Questa era situata sulla parte occidentale del Tigri; ma naturalmente consideravasi come un sobborgo di Ctesifonte, con cui possiam supporre che fosse unita per mezzo d'un ponte permanente di barche. Le connesse parti contribuirono a formare il comun epiteto di al Modain, le città, che gli Orientali hanno dato alla residenza invernale dei Sassanidi; e tutta la circonferenza della capitale Persiana era fortemente difesa dalle acque del fiume, da alte mura e da lagune impraticabili. Il campo di Giuliano fu piantato vicino alle rovine di Seleucia, ed assicurato da un fosso e da un muro contro le sortite della numerosa ed intraprendente guarnigione di Coche. In questo fertile e piacevole paese, i Romani furono abbondantemente forniti di acqua e di provvisioni; ed alcuni Forti, che avrebber potuto imbarazzare i movimenti dell'esercito, si sottomisero dopo qualche resistenza agli sforzi del loro valore. La flotta passò dall'Eufrate in una artificiale diramazione di quel fiume, che versa una copiosa e navigabil quantità d'acqua nel Tigri ad una piccola distanza sotto la gran città. Se avessero seguitato quel real canale che si chiamava Nahar-Malcha596, l'intermedia situazione di Coche avrebbe separato la flotta e l'esercito di Giuliano; e la temeraria impresa di dirigersi contro la corrente del Tigri, e di forzare il passo in mezzo alla capitale nemica avrebbe dovuto produrre la total distruzione della flotta Romana. La prudenza dell'Imperatore previde il pericolo, e vi pose rimedio. Siccome aveva egli minutamente studiato le operazioni fatte da Traiano nell'istesso luogo, tosto si rammentò che il guerriero suo predecessore aveva scavato un nuovo e navigabil canale, che, lasciando Coche a diritta, portava le acque del Nahar-Malcha nel fiume Tigri a qualche distanza sopra la città. Presa informazione dai contadini, Giuliano ritrovò i vestigi di quell'opera antica, ch'erano quasi cancellati o a bella posta o per accidente. L'instancabil lavoro dei soldati prestamente scavò un largo e profondo canale per ricever l'Eufrate. Fu costrutto un forte argine per interromper l'ordinario corso del Nahar-Malcha; corse impetuosamente nel nuovo letto un diluvio di acque; e la flotta Romana dirigendo il trionfante suo corso nel Tigri deluse le vane ed inefficaci barricate, che avevano eretto i Persiani di Ctesifonte per opporsi al loro passaggio.
Siccome bisognava trasportar l'esercito Romano di là dal Tigri, si rendea necessario un altro lavoro di minor fatica, ma di maggior pericolo del precedente. Il fiume era largo e rapido; la salita scoscesa e difficile; e le trincere, fatte sull'opposta riva, eran occupate da una copiosa armata di gravi corazze, di destri arcieri e di grossi elefanti, che (secondo la stravagante iperbole di Libanio) coll'istessa facilità calpestar potevano un campo di grano ed una legion di Romani597. A fronte di tal nemico era impossibile la costruzione d'un ponte; e l'intrepido Principe, che immediatamente vide l'unico espediente che potea prendersi, celò fino al momento dell'esecuzione il suo disegno alla cognizione de' Barbari, delle sue proprie truppe e fino de' suoi Generali medesimi. Sotto lo specioso pretesto d'esaminar lo stato de' magazzini, furono appoco appoco scaricati ottanta vascelli; e fu dato ordine ad uno scelto distaccamento, in apparenza destinato per una segreta spedizione, a star pronto sull'armi ad ogni cenno. Giuliano copriva l'occulta agitazion del suo spirito con sorrisi di fiducia e di gioja; e divertiva le nemiche nazioni con lo spettacolo di giuochi militari, ch'ei celebrava insultando sotto le mura di Coche. Il giorno fu destinato al piacere; ma tosto che fu passata l'ora di cena, l'Imperatore convocò i Generali nella sua tenda, e fece loro sapere che avea deliberato di passare il Tigri quella notte medesima. Furono essi sorpresi da un tacito e rispettoso stupore; ma quando il venerabil Sallustio fece uso del privilegio, che gli dava la sua età ed esperienza, gli altri capitani sostennero liberamente il peso delle prudenti sue rimostranze598. Giuliano si contentò d'osservare che dal tentativo dipendea la conquista e la salute; che il numero dei nemici, in vece di scemare, sarebbe cresciuto per causa dei successivi rinforzi; e che una maggior dilazione non avrebbe diminuita la larghezza del fiume, nè spianata l'altezza della sponda. Fu immediatamente dato il segno, ed eseguito; i più impazienti fra i legionarj saltaron su cinque vascelli, ch'erano i più vicini alla riva; e siccome con intrepida velocità maneggiavano i loro remi, si perderono dopo pochi momenti nell'oscurità della notte. Si vide sull'opposto lato una fiamma, e Giuliano, il qual chiaramente conobbe, che i suoi primi vascelli nel tentare di prender terra erano incendiati dal nemico, destramente cangiò l'estremo loro pericolo in un presagio di vittoria. «I nostri compagni (esclamò con ardore) sono già padroni dell'altra sponda; vedete… danno il segno fra noi convenuto: affrettiamoci ad emulare, e ad assistere il loro coraggio». L'unito e rapido moto d'una gran flotta ruppe la violenza della corrente, ed arrivarono in tempo all'Oriental parte del Tigri da poter estinguere le fiamme e liberare gli avventurosi loro compagni. Le difficoltà d'una ripida ed alta salita erano accresciute dal peso delle armi e dall'oscurità della notte. Continuamente si scaricava sulla testa degli assalitori una pioggia di pietre, e di dardi e di fuoco; essi però dopo un aspro combattimento si rampicarono sulla riva, e vittoriosi posero il piede sul muro. Tosto che si trovarono in un campo più uguale, Giuliano, che con la sua infanteria leggiera avea condotto l'attacco599, gettò un occhio perito e sperimentato lungo le file: secondo i precetti d'Omero600 furon distribuiti nella fronte e nella retroguardia i soldati più valorosi, e tutte le trombe dell'esercito Imperiale intuonarono la battaglia. I Romani, gettato un grido militare, avanzarono con passi misurati sulle animose note della marziale lor musica; lanciarono i lor formidabili giavellotti, e corsero avanti con le spade nude per privare i Barbari, mediante uno stretto combattimento, del vantaggio delle armi da scagliare. Tutto l'attacco durò più di dodici ore, finattanto che la gradual ritirata de' Persiani si mutò in disordinata fuga, di cui diedero vergognoso esempio i primi Duci ed il Surenas medesimo. Furono essi perseguitati fino alle porte di Ctesifonte, ed i vincitori avrebber potuto entrare nella sbigottita città601, se il lor generale Vittore, ch'era mortalmente ferito da un dardo, non gli avesse scongiurati a desistere da una temeraria impresa, che avrebbe dovuto riuscir fatale, se non andava felicemente. Dalla lor parte i Romani non trovaron che la perdita di settantacinque soldati; mentre asserivan che i Barbari avean lasciato sul campo due mila cinquecento o anche seimila dei loro più valenti guerrieri. La preda fu quale poteva aspettarsi dalla ricchezza e dal lusso di un campo Orientale; una gran quantità d'oro e d'argento, splendide armi e fornimenti di cavalli, letti e tavole d'argento massiccio. Il vittorioso Imperatore distribuì come premj di valore diversi doni e molte corone civiche, murali e navali, ch'egli (e forse era il solo) stimava più preziose delle ricchezze dell'Asia. Fu offerto un solenne sacrifizio al Dio della guerra, ma dalle osservazioni delle vittime si minacciarono i più infelici successi; e Giuliano tosto rilevò dai meno equivoci segni, ch'esso allora era giunto al termine della sua prosperità602.
Il giorno dopo la battaglia le guardie domestiche, i Gioviani e gli Erculei, ed il resto delle truppe, che componevan quelli due terzi di tutto l'esercito, furon trasferiti sicuramente di là dal Tigri603. Mentre i Persiani dalle mura di Ctesifonte miravano la desolazione dell'addiacente campagna, Giuliano spesso gettava un ansioso sguardo verso il Nord, aspettando che siccome aveva egli vittoriosamente penetrato fino alla capitale di Sapore, così la marcia e l'unione di Sebastiano e di Procopio, suoi luogotenenti, sarebbesi eseguita con ugual diligenza e coraggio. Restò delusa la sua aspettativa dal tradimento del Re di Armenia, che permise, e più probabilmente ordinò la diserzione delle ausiliarie sue truppe dal campo Romano604 e dalle dissensioni dei due Generali, che erano incapaci di formare o d'eseguire alcun disegno pel pubblico vantaggio. Quando ebbe l'Imperatore perduta la speranza di quest'importante rinforzo, condiscese a tenere un consiglio di guerra, ed approvò, dopo un lungo dibattimento, il parere di quei Generali, che dissuadevano l'assedio di Ctesifonte come un'impresa inutile e perniciosa. Non è facile per noi il concepire, per mezzo di quali arti di fortificazione una città, ch'era stata tre volte assediata e presa dai predecessori di Giuliano, si fosse potuta rendere inespugnabile a fronte di un esercito di sessantamila Romani sotto il comando d'un prode ed esperto Generale, ed abbondantemente forniti di navi, di provvisioni, di macchine per assedio e di arnesi militari. Ma possiamo assicurarci, atteso l'amor della gloria ed il disprezzo del pericolo che formavano il carattere di Giuliano, ch'ei non fu certamente scoraggiato da ostacoli di piccola importanza o immaginari605. Nel tempo stesso, in cui rinunziò all'assedio di Ctesifonte, rigettò con ostinazione e con isdegno le più lusinghiere offerte d'un trattato di pace. Sapore ch'era stato sì lungamente assuefatto alla tarda ostentazione di Costanzo, restò sorpreso dall'intrepida diligenza del suo successore. Fu ordinato ai Satrapi delle distanti Province, sino ai confini dell'India e della Scizia, d'unire le loro truppe, e di marciare senza dilazione in aiuto del proprio Monarca. Ma se ne prolungarono i preparativi, e lenti furono i lor movimenti; e prima che Sapore potesse condurre in campo un'armata, ebbe la trista novella della devastazione dell'Assiria, della rovina dei suoi palazzi e della strage delle più valenti sue truppe, che difendevano il passo del Tigri. Fu umiliato l'orgoglio della real dignità fino alla polvere; egli si cibò sulla nuda terra; e la scarmigliata sua chioma esprimeva il dolore e l'agitazione dello spirito. Forse non avrebbe ricusato di comprare con la metà del suo regno la sicurezza del resto; e volentieri si sarebbe dichiarato, in un trattato di pace, fedele e dipendente alleato del Romano conquistatore. Sotto pretesto di affari privati fu segretamente spedito un ministro di qualità e di confidenza ad abbracciare le ginocchia d'Ormisda per pregarlo, coll'espressione di un supplichevole, di poter essere introdotto alla presenza dell'Imperatore. O sia che il principe Sassanide prestasse orecchio alla voce dell'orgoglio o dell'umanità, o sia che consultasse i sentimenti della sua nascita o i doveri della situazione, egli era per ogni parte inclinato a promuovere un salutevole metodo per terminare le calamità della Persia, ed assicurare il trionfo di Roma. Restò sorpreso dall'inflessibil fermezza d'un Eroe, che, per disgrazia di se medesimo e dei suoi, rammentavasi che Alessandro avea ugualmente rigettato le proposizioni di Dario. Ma siccome Giuliano conosceva che la speranza d'una sicura ed onorevol pace avrebbe potuto raffreddar l'ardore delle sue truppe, istantemente richiese che Ormisda licenziasse privatamente il ministro di Sapore per toglier questa pericolosa tentazione alla cognizion dell'esercito606.
L'onore non meno che l'interesse di Giuliano lo distoglievano dal consumare il tempo sotto le inespugnabili mura di Ctesifonte; ed ogni volta ch'egli sfidava i Barbari, che difendevano la città, a venirgli contro in campo aperto, essi prudentemente rispondevano, che se desiderava d'esercitare il proprio valore, potrebbe andare in cerca dell'esercito del Gran Re. Ei fu mosso dall'insulto, ed accettò il consiglio. Invece di limitare servilmente la sua marcia alle rive dell'Eufrate e del Tigri, risolvè d'imitare il rischioso coraggio d'Alessandro, e d'arditamente avanzarsi nelle Province interiori, finattanto che potesse forzare il nemico a combattere seco, forse nelle pianure d'Arbella, per l'Impero dell'Asia. La magnanimità di Giuliano fu approvata ed applaudita dagli artifizj d'un nobil Persiano, che per amor della patria erasi generosamente indotto a fare una parte piena di pericolo, di falsità e di vergogna607. Con una truppa di fedeli seguaci portossi al campo Imperiale; espose in un artificioso discorso le ingiurie che avea sofferte; esagerò la crudeltà di Sapore, la malcontentezza del popolo e la debolezza del regno: e confidentemente offrì sè stesso per ostaggio e per guida della marcia Romana. Dall'accortezza e dall'esperienza d'Ormisda si rappresentarono inutilmente i motivi più ragionevoli di sospetto; ed il credulo Giuliano, ammettendo il traditore alla sua confidenza, si lasciò persuadere a dare precipitosamente un ordine, che nell'opinione del Mondo parve che fosse contrario alla prudenza, e ponesse in rischio la sua salute. Distrusse in un'ora tutta la flotta, ch'erasi trasportata per più di cinquecento miglia a spese di tanti travagli, di tanto danaro e di tanto sangue. Si serbarono dodici o al più ventidue piccole barche per seguitare su' carri la marcia dell'esercito, e formare alle occorrenze de' ponti pel passaggio de' fiumi. Fu conservata la provvisione di venti giorni pe' soldati; e per assoluto comando dell'imperatore il resto de' magazzini con una flotta di mille cento vascelli che stavano all'ancora sul Tigri, abbandonossi alle fiamme. I Vescovi Cristiani Gregorio ed Agostino insultano la pazzia dell'apostata, ch'eseguiva con le proprie mani la sentenza della divina giustizia. La loro autorità, che in una questione militare potrebbe reputarsi per avventura di piccolo peso, vien confermata dal freddo giudizio d'un esperto soldato, che fu spettatore di quell'incendio; e che non potè disapprovare il repugnante mormorio delle truppe608. Ciò nonostante non mancano speciose, e forse anche sode ragioni, che potrebbero giustificare la risoluzione di Giuliano. L'Eufrate non era navigabile al di là di Babilonia, nè il Tigri oltre Opis609. La distanza di quest'ultima città dal campo Romano non era molto grande; e Giuliano avrebbe dovuto ben presto rinunziare alla vana ed ineseguibile impresa di condurre a forza una gran flotta contro la corrente d'un rapido fiume610, che in molti luoghi era impedito da cateratte o naturali o fatte ad arte611. Non potea servire la forza delle vele e dei remi; bisognava rimorchiar le navi contro il corso del fiume; si sarebbe impiegata l'opera di ventimila soldati in quel tedioso e servil travaglio; e se i Romani continuavano a marciar lungo le sponde del Tigri, potevan solo aspettarsi di tornare alla lor case senza aver fatto alcuna impresa degna del genio o della fortuna del lor capitano. Se per l'opposto era buon progetto quello di avanzarsi nell'interno del paese, la distruzione della flotta o dei magazzini era l'unico mezzo di togliere quella preziosa preda dalle mani delle copiose ed attive truppe, che potevano improvvisamente sortir dalle porte di Ctesifonte. Se le armi di Giuliano fossero state vittoriose, adesso noi ammireremmo la condotta non men che il coraggio d'un Eroe, che privando i soldati della speranza di ritirarsi, non lasciò loro che l'alternativa fra la morte e la conquista612.