Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5», sayfa 7
LETTERA III
Chi ha del Vangelo la stranissima idea, che esso apra un infinito prospetto d'invisibili mondi, e spieghi la misteriosa essenza della Divinità, la quale abitando in mezzo ad una luce inaccessibile noi viatori non possiam vedere che di riflesso ed in enimma, non dee recar maraviglia se mal conosca e sfiguri i Dommi della nostra SS. Religione quantunque fondamentali. Tal è il Sig. Gibbon. Primieramente è suo disegno l'inculcare, che quello, che dai Cristiani si crede del Divin Verbo, altro non è se non se un Domma già maravigliosamente annunziato da Platone anzi il fondamental principio della Teologia di quel Filosofo: il quale però non si stabilì sufficientemente, come una verità, o trovossi in stato di restar sempre confuso con le filosofiche visioni dell'Accademia … finchè il nome, ed i divini attributi del Logos non furono confermati dalla celeste penna dell'ultimo e del più sublime fra gli Evangelisti.
Secondariamente si lusinga nella controversia Arriana di andare seguendo il progresso della ragione e della Fede, dell'errore e della passione in un modo da farsi credere uno storico, il quale tiri rispettosamente il velo del Santuario (p. 90.).
Nella presente lettera farò alcune riflessioni su questi due punti: e riguardo al λογος, asserisco I. che il Domma Cristiano del Divin Verbo non è maravigliosamente annunziato da Platone, e che verisimilmente neppure il nome λογος è stato preso da lui213. II. Che prima dell'Evangelo di S. Giovanni per divina rivelazione era stato scoperto al Mondo il sorprendente segreto, che il λογος, che era con Dio, fu dal principio, che era Dio ec. Si era incarnato ec.
Esaminando senza prevenzione le opere di Platone egli è ben difficile, per non dire impossibile, il persuadersi, che esso distinguesse l'idea, il λογος dal sommo Dio. Infatti in quel libro, in cui riferisce ciò che egli aveva appreso da Timeo Locrese, Pitagorico illustre, fissando che due son le cagioni di tutte le cose, stabilisce, che di quelle, le quali si fanno secondo la ragione ella è una mente Νὸον μἐν των κατὰ λογον γιγνομενων, la quale chiamasi Dio, è cagione delle cagioni θέον τε ὀνομαὶσερ θαι, ἀρχην τε τὦν ἀρχὦν, e che questo Dio è un Essere improdotto ed immutabile ed intelligibile esemplare di quante cose soggiacciono a mutazione καὶ τὸ μὲνεὶμεν αγενατον τε καὶ ἀχινάτον… νοατον τε καὶ παραδεῖγμα τὸν γεννωμένων, όπὸσα ὲν μετὰβολα ἑντε e per fine questa mente, questa Idea, questo Dio, questo Esemplare non stassi ozioso ma tien la ragione di maschio, e di padre ὥ τό μέν ἓιδος λόγος εχει ἆρρενος τε καί πὰτρος. Fin qui adunque non sembra aver neppur sospettato Platone, che l'Idea, il Verbo, od il λὸγος si distingua da Dio Sovrano. Indi prosegue a dire, che prima della disposizione dei Cieli fatta λὸγω altro non vi era che Idea, materia: ma che ο Φὲος δημιῦργος Iddio sommo Artefice: ordinò la seconda, sottoponendola a certe determinate leggi. Se adunque il Cielo od il Mondo secondo quel Filosofo è formato λὸγω, e questo λὸγος è l'idea ίδεα, e l'idea, la quale esso chiama in appresso, intelligibile essenza… ed esemplare, che in sè contiene tutti gli animali intellegibili τὰν νοητὰν ουσιὰν… καί τὸ παρὰδειγμα περὶεχον πὰντα τὰ νοατὰξῶα ὲν ὰυτῶ, e l'Idea, io dico non è punto distinta da Dio; si rende manifesto, che Platone non fa distinzione alcuna tra il Logos, e Dio.
Il Dialogo intitolato il Timeo, in cui più diffusamente si espongono i pensamenti di quel filosofo conferma ciò che abbbiamo veduto finora. E come non vedere che il Logos non è una persona distinta da Dio, ma o il raziocinio di lui λυγισμος θεοῦ214 o la Idea, la Nozione, il pensiero di Dio ἔξ οὔν λόγου καί διάνοιας θεου ec.215 è infine Dio stesso che avendo pensata λογισαμένος, e che per tal pensiero, o ragione διὰ τόν λογισμον τὸν δὲ216 formò l'Universo?
Una maggior somiglianza della dottrina Platonica con la Cristiana apparisce nella lettera, in cui Platone invita Ermia, Erasto, e Corisco ad unirsi in amicizia chiamando in testimone Dio regolatore delle cose tutte esistenti e future, e Padre Signore del Regolatore e Principio. καί τὸν τῶν πὰντον θεὸν ἡγέμονα τῶν τε οντῶνκαί τῶν μελλόνκων τε ἡγέμονός καί αιτίου πατέρα κυρίον νἓπομνύτας. Egli è però certo, che quel Filosofo per figlio di Dio, non intende altro che il Mondo, come ei dichiara nell'Epimonide, dicendo: E quale Dio mai vado io celebrando? Il Cielo senza fallo. τινά δη καί σεμνυνῶν ποτὲ λεγῶ θεον: σχὲδον ούράνον. Sì il Cielo od il Mondo, come si spiega in più luoghi del Timeo, lì è Figlio di Dio, del quale parla il filosofo Ateniese, generato dalla prima ed immutabile cagione217, figlio Unigenito, immagine di Dio, e Dio perfettissimo, perchè creduto da lui di una perfettissima somiglianza non colla sola eterna idea del sommo Fattore, ma col sommo Fattore medesimo. Di qui lo scherzo di Velleio Epicureo nel chiamare rotondo il Dio di Platone218. È poi ciò tanto vero, che Platone per prevenire l'obbiezione, che poteva farsegli contro la pretesa perfettissima somiglianza del Mondo con Dio, essendo questo sempiterno, e quello formato, soggiunge219 che siccome il solo prototipo Dio esiste da tutta l'eternità: così il Mondo è il solo ad essere stato, ad essere attualmente, e che sarà per tutto il tempo. Τό μέν γὰρ δὴ παρα. δειγμα πάντα ἄιωνα εδίν ον. ὸ δ’ αὺδιὰ τέλους τον απαντα χρονον γεγωνος (ουρα ος) τε και ῶν, καί ἔσομὲνος ἔδι μόνος. E poichè tuttavolta dopo la produzione del tempo mancava ancor qualche cosa al Mondo per essere somigliantissimo al suo esemplare Dio; questi al parer di Platone vi fece altrettante specie di animali, quante corrispondessero alle sue idee, essendo egli l'eterno animale. Aggiungete, che niuno degli antichi i più versati nelle opere di quel creduto Dio de' filosofi vi ha ravvisato giammai che il Logos sia figlio vero di Dio, ed una persona da lui distinta. Non Cicerone, il quale chiamando la vera legge: mentem omnia ratione aut cogentis, aut vetantis Dei: e dicendola nata simul cum mente divina, conchiude che ella è in sostanza Ratio recta summa Jovis220. Non Plutarco; poichè sebbene attribuisca il sistema di tre principi a Platone, cioè Dio, la materia, e l'Idea che egli chiama essenza incorporea; ciò nonostante non la distingue da Dio, ma la pone esistente nei concetti e nell'immaginazione del medesimo Dio ὲν νομάσι καὶ φαντάσιαις τοῦ θεοῦ221. Non Celso finalmente, il quale sebben sovente deridesse i Cristiani come plagiari di Platone, e mille volte li rampognasse della loro credenza intorno al Figlio di Dio G. C., confessa chiaramente, accennando senza dubbio Platone, che gli antichi chiamavano il Mondo figlio di Dio, perchè esso è prodotto da Dio: ὰνδρες παλαιοὶ τὸν δὲ τόν κόσμον ὡς ἑκ θεοῦ γεγομένον, παιδὰ τὲ αὐτοῦ ἤιθεον προσείπον222. Ciò presupposto, vi par egli che la fede Cattolica del Divin Verbo sia un Domma già maravigliosamente annunziato da Platone, anzi il fondamental principio della Teologia di quel filosofo? Quando non fosser giustissime le spiegazioni dei luoghi sopraccitati223, e si temesse di fare ingiuria ai Padri della Chiesa224 (scrupolo che se è potuto cadere nel Ch. Zaccaria, è del tutto fuori del carattere dei Sig. Gibbon) a non concedere a quel filosofo alcun'ombra d'idea dell'arcano, di cui ragiono; non basterebbe a smentire la proposizione dello storico, e mostrare che ei non conosce, o sfigura i nostri dommi veramente fondamentali, e la discordia che osservasi tra gl'interpreti più celebri della dottrina Platonica, Plotino, Numenio, Proclo, ed altri da quest'ultimo confutati, e quel che ne dice nella sua stupenda opera il P. Petavio, anzi quel che ne dice il Sig. Gibbon istesso? Il Logos di Platone è per il Sig. Gibbon una metafisica astrazione animata dalla sua poetica immaginazione, con cui rappresentosselo sotto il più accessibil carattere di Figlio di un Eterno Padre Creatore e Governatore del Mondo. Ma il Logos, di cui S. Giovanni ha sì chiaramente definita la precedente esistenza, e le divine perfezioni, è per Domma Cattolico vero figlio di Dio, ed è una Persona distinta dall'Eterno suo Genitore. Dove è dunque tanto maravigliosamente annunziato da Platone questo Domma Cattolico? Ella è poi un'altra quistione di pura critica, se S. Giovanni togliesse da Platone questo vocabolo λόγος: il che sebben sia facilissimo l'asserire, tanto è lontano da potersi provar chiaramente, che anzi le congetture son del tutto contrarie. Basti riflettere, che Platone era il favorito dei Farisei, e degli Eretici contemporanei degli Apostoli. Questi adunque per l'uno e per l'altro motivo dovevan guardarsi dal far uso a bella posta sì delle dottrine, che delle espressioni Platoniche. Vero è però, che in progresso di tempo Ammonio, fondatore della scuola Alessandrina, volendo formare un sincretismo universale filosofico e teologico, pretese che Platone avesse insegnata la Trinità: ed i Padri della Chiesa se ne persuasero per la lusinga di far ricevere ai Gentili i nostri misteri coll'autorità dei medesimi loro filosofi. Così le oscurissime idee di Platone furon determinate nel senso Cristiano. Ma quanto la Trinità di Platone sia lontana dalla nostra Cristiana pochi vi sono che nol sappiano, specialmente dopo la celebre opera del P. Mairan225.
Vediamo adesso, se prima del Vangelo scritto da S. Giovanni nel regno di Nerva226 fosse ancor rivelato, che il Logos che era con Dio fin dal principio, che era Dio, che aveva fatto tutte le cose, e per cui tutte le cose erano state fatte, si era incarnato nella persona di Gesù di Nazaret, era nato da una Vergine e morto sulla croce. Avvertite bene: io non metto in questione se S. Giovanni fosse primo tra gli Scrittori inspirati dalla nuova alleanza ad usare la voce λὸγος; pretendo solo contro il Sig. Gibbon, che il soggetto, o la persona, a cui l'applicò S. Giovanni fosse già nota per divina rivelazione, pretendo in somma, che la dottrina, che assegna a Dio un figlio da Lui distinto, eterno, ed a Lui eguale fosse rivelata bastantemente molto prima dell'ultimo Evangelista. Ciò poi dovrà intendersi dimostrato quando si provi, che in quel medesimo Gesù di Nazaret la rivelazione divina aveva fatto conoscere riuniti quegli stessi caratteri ed attributi, che si ravvisano nel Logos di S. Giovanni.
Io non istarò ad insistere con il dotto Lamy227 sulle testimonianze di Filone228 per mostrar che gli antichi Giudei avevano la stessa nozione del Verbo Divino ιοῦ λόγου θεἰου, la qual ce ne danno gli scritti dei Cristiani, nè sulle parafrasi Caldaiche del V. T. le quali in cento luoghi insinuano, che il Membra corrispondente al λόγος dei Giudei Ellenisti è distinto da Dio Padre, è Dio, e mediatore tra Dio e gli uomini. Osserverò bensì col Ch. vostro Pocok nelle sue note ad Portam Mosis, che tutti gli antichi Ebrei interpretarono il secondo Salmo Davidico del Messia (e conseguentemente di G. C.) tenuto sempre per vero figlio di Dio229 finchè non si videro costretti ad interpretarlo altrimenti, ut respondeatur Minacis seu haereticis, cioè a noi Cristiani, secondo l'espressione di R. Jarchi. Mi unisco ancora col soprallodato Lamy a maravigliarmi come chi ha dato un'occhiata al Vangelo possa esser d'avviso, contro la testimonianza di S. Epifanio230, che fosse ignota ai buoni antichi Israeliti la Trinità: mentre l'Angelo Gabriele nell'annunziazion della Vergine abitante in Nazaret231, le ne ragiona come di cosa notissima. E notate che l'ossequio di lei alla fede era quale l'esige S. Paolo da tutti i Cristiani, non cieco, ma ragionevole. La difficoltà da lei opposta sulla propria fecondità ne sia la riprova. Eppur ella non chiese chi fosse lo Spirito S. fecondatore, non chi il figlio dell'Altissimo Salvatore, e Re Sempiterno, mistero per lo meno tanto sublime ed astruso, quanto la fecondità di una Vergine. Ma checchesia della credenza Giudaica prima della venuta di Gesù Cristo, certo è che S. Luca riferì molto prima232 del Vangelo di S. Giovanni questa celeste ambasceria, ed inserì ancora nella sua narrazione il Cantico di Maria, il colloquio di lei con Elisabetta, e l'altro Cantico di Zaccaria. Ora nel primo la Vergine esulta alla vista del suo Salvatore vicino233 σοτηρί μου, Elisabetta si umilia profondamente alla madre del suo Signore234, e Zaccaria chiama il suo neonato Profeta dell'Altissimo e Precursor del Signore235 disceso dall'alto de' Cieli ad illuminare l'uman genere sedente nelle tenebre e nell'ombra di morte. Lume illustratore delle nazioni e Salvatore fu detto Gesù ancora dal buon Simeone236, quando colle tremule braccia se lo strinse al seno, allorchè Maria presentollo al Tempio: come forse prima ancor di S. Luca, e certamente non molto dopo narrò S. Matteo237. E che diremo poi di quella voce celeste, che in occasione del battesimo di G. Cristo pubblicamente lo autenticò per figlio di Dio: Hic est filius meus dilectus in quo mihi bene complacui238? Mi si opporrà forse coi Sociniani, che si parla in quel luogo di una figliuolanza di adozione? Ma quelle parole, specialmente coll'enfasi del testo Greco ὸ υἰόςμου, ὁ ἀγάπητος ille est filius meus, ille dilectus239, non indicano la preesistenza della persona, a cui son dirette, ed alludendo chiaramente al Cap. VIII. dei Proverbi, ove parla la Sapienza medesima, o il λὸγος divino non coincidono con l'espression del Salmista240 Dominus dixit ad me: filius meus es tu, ego hodie genui te? Espressioni applicate a G. Cristo negli atti Apostolici241, e da S. Paolo nella sua sublime Epistola agli Ebrei242. Seguiamo pertanto la sicura traccia di quel gran Dottor delle genti. Egli è fuor di dubbio, che l'intenzion dell'Apostolo nel domandare: Cui enim dixit aliquando Angelorum, filius meus es tu, ego hodie genui te? Ella è di confermare, che Cristo è figlio di Dio in un modo distinto e del tutto singolare. Ma gli Angeli ancora son detti nelle Sacre Scritture figli di Dio243, perchè son tali per adozione. Dunque se Cristo è quell'unico figlio, che dicesi generato da Dio Padre, e generato hodie, avverbio attissimo ed usato nel sacro linguaggio244 ad esprimere l'eternità; egli debbe essere necessariamente figlio non adottivo, ma per natura245. Ed invero nel capo ottavo della lettera ai Romani, dove il medesimo Apostolo parla diffusamente della figliuolanza di adozione di tutti i credenti, quando rammenta Gesù Cristo, che ce l'ha meritata sottoponendosi alla morte di Croce, lo chiama in opposizione Figlio proprio dell'eterno Genitore. ὀς γε τοῦ ἰδίου υὕου ούκ ὲφείσατο246. Qui etiam proprio Filio (suo) non pepercit: espressione esattamente corrispondente a quella di S. Giovanni, là dove ei dice, che i Giudei cercavano di uccidere Gesù Cristo non tanto come violatore del Sabato, quanto perchè247 diceva Iddio πατέρα ἰδίον Padre proprio, agguagliandosi in tal maniera a Dio stesso: dritto però che secondo il medesimo Apostolo giustamente arrogavasi248: Qui cum in forma Dei esset non rapinam arbitratus est se aequalem Deo. E come non dovea credersi proprio, e natural figlio di Dio quello, che vien chiamato dall'istesso San Paolo assolutamente tale le tante volte249, Immutabile e Sempiterno250? Quello di cui dice: portans omnia verbo virtutis suae251, omnia per ipsum et in ipso creata sunt252, per quem fecit et saecula253? Quello che viene intimato agli Angeli di adorare254, ed è chiamato super omnia Deus benedictus in saecula, e Dio255 sedente sopra un eterno trono256? Ecco adunque manifestato per una divina rivelazione anteriore di non poco a quella fatta per mezzo di San Giovanni in Gesù di Nazaret un figlio di Dio, Luce vera, un figlio proprio e naturale, Dio ancor esso eguale al Padre, che ha fatto tutte le cose, e per cui tutte le cose sono state fatte, incarnatosi, e nato da una Vergine, e morto sulla Croce. Ma questi sono i caratteri del λόγος di S. Giovanni. Ecco adunque atterrata la proposizione del Critico: ed altro non si può per conseguenza conchiudere se non che l'ultimo Evangelista introdusse una nuova parola, ma esprimente l'idea comune, e ischiarò la materia, spiegando la generazione divina di G. Cristo contro l'oscura e scarsa setta degli Ebioniti, confusi a torto da Gibbon257 coi Nazareni, con quella esattezza, con cui gli altri tre Evangelisti ne avevano narrata la generazione carnale.
Ci resta ora ad esaminare, se il sig. Gibbon nel seguire il progresso della controversia Arriana abbia tirato il velo del Santuario con quel rispetto che vanta. Già voi sareste in grado di giudicarne sì dalla taccia di Sabellianismo, e da quella di fanatismo data ad un Santo, il cui zelo era temperato dalla discrezione (son parole dell'Autore), e che fu tanto alieno dal tumulto, che dovette perfino difendersi dalla calunnia di codardia che gli procurò la sua fuga258, come pure dalla caduta di Liberio asserita con tanta franchezza. Ma poichè trattasi del principal Capo di nostra fede, come osservarono ancora i Vescovi adunati in Ancira259, mi convien darvi una più chiara riprova del rispetto del nostro Storico pel Santuario.
Egli pertanto vuol proibito l'uso dell'Homoousion dal sinodo Antiocheno, e considera quel termine misterioso, che ognuno era libero d'interpretare secondo le proprie opinioni, come un temperamento politico della maggior parte dei Vescovi presenti al Concilio Niceno, alcuni dei quali inclinavano ad una Trinità nominale, ed altri che erano i Santi allor più alla moda, il dotto Gregorio Nazianzeno, e l'intrepido Atanasio favorivano il Triteismo. Quindi a scorno dei Consustanzialisti, che pel loro buon successo avevan meritato il nome di Cattolici reca in trionfo un passo di S. Ilario trascritto da Locke nel modello del suo nuovo repertorio, in cui si duole che tanti sinodi rigettassero, ammettessero, ed interpretassero quel celebre termine: e sembra che si compiaccia nel rammentar le furiose dispute, che quegli ebbero con gli Homoiousii i quali tanto accostavansi, al parer suo, alle porte della Chiesa, che narrando le crudeltà di Macedonio in difesa (com'ei dice) dell'ομοιουσιον, non può ritenersi dal rammentare che la differenza tra Homoiousion, e Homoousion è quasi invisibile all'occhio teologico più delicato: conchiudendo in fine che tutti erano egualmente agitati dallo spirito intollerante, che avevano tratto dalle pure e semplici massime dell'Evangelio.
È verissimo che il Bull come ancora i nostri teologi si son creduti in dovere di conciliare fra loro i due sinodi Antiocheno e Niceno, osservando che i Santi Atanasio, Basilio ed Illario rammentano la proibizione della voce Ομόουσιον fatta dal primo; ma egli è vero egualmente, che niuno di essi attesta di averla letta nell'Epistola Sinodica: ond'è che essi ne parlarono solo in supposizione, che ella vi fosse, come andavano divulgando i Semi-Arriani, ma falsamente ed a solo oggetto di mostrar che gli Homoousiasti o Consustanzialisti, come per dispregio essi chiamavano gli Ortodossi260, avevan cambiato dottrina. Imperciocchè se otto, o nove anni prima di quel sinodo i Pentapolitani avevano accusato Dionigi Alessandrino lor Vescovo al Romano Pontefice del medesimo nome come impugnatore dell'Eternità, e Consustanzialità del Figlio col divin Padre, e tal dottrina aveva irritato quel Pontefice, ed il Concilio da esso a bella posta adunato in Roma: se l'accusato avevala rigettata siccome erronea prima in una lettera, e quindi più ampiamente in quattro Libri, rendendo palese la calunnia dei suoi malevoli; mi sembra chiaro, che la credenza della Consustanzialità del Figlio col Padre era fin d'allora comune, come potè sovente S. Atanasio rinfacciare agli Arriani. Or come è mai verisimile, che il sinodo Antiocheno Ortodosso volesse dar sospetto di opporsi in qualche maniera ed alla credenza comune, ed al Romano Pontefice, ed a tutto il suo sinodo condannando la voce Ομοόυσιον? Osservate inoltre che non cominciossi a rammentar tal decreto prima del Concilio Aneirano del 358, vale a dire intorno a novant'anni dopo. Vi par egli che i refrattarj al Concilio Niceno maestri d'inganni, intrighi e sofismi avesser taciuto per sì lungo tempo un Decreto, che gli avrebbe tanto, almeno apparentemente favoriti? L'avrebbe mai od ignorato o taciuto uno dei principali sostegni del partito Ariano, Eusebio di Cesarea, secondo Gibbon, il più dotto dei Prelati Cristiani? Anzi egli medesimo nel Lib. VII della sua storia inserì una gran parte della lettera dei PP. Antiocheni, eppure ivi non ne fa cenno: ed in una, che esso ne scrisse poco dopo al Concilio Niceno261, limpidamente confessa che i Padri antichi si eran serviti di quella voce. Che se realmente si fosse fatta in quel sinodo tal condanna, come mai pochi anni dopo S. Pamfilo nell'Apologia per Origene avrebbe inserito un intero Capitolo per dimostrare la Consustanzialità del Verbo? Ne volete di più? Nella professione di fede opposta dal sinodo Antiocheno medesimo agli errori di Paolo di Samosata più volte si adopera la voce Ομοουσιον. Apparisce al presente, non so negarlo, fatta in Nicea quella formula: ma che sia questo un errore degli Amanuensi il prova il silenzio di Gelasio Ciziceno presso Fozio, e l'espressa testimonianza del sinodo generale Efesino262.
Per quello poi che riguarda i motivi, che indussero i Padri Niceni ad adottare il vocabolo Ομοουσιον, egli è tanto difficile il persuader un animo non preoccupato da massime eterodosse a giudicar di quel venerando Consesso, come ne giudica il sig. Gibbon, quanto è malagevole l'atterrare i più stimabili fondamenti della certezza storica. «Erano dispostissimi, siccome attestano S. Atanasio263 e Teodoreto264, quei rispettabili Vescovi ad inserire nella professione di fede quelle espressioni soltanto, che si trovavano in termini nelle S. Scritture, cioè che Gesù Cristo è da Dio, è Verbo e Sapienza, e proprio Germe del divin Padre; ma non essendo possibile rinvenirne alcuna che gli Arriani non adattassero al Verbo egualmente, che alle creature, avvedutisi i Padri della lor frode ed empia astuzia furon costretti ad esporre con parole più chiare ciò che intendessero con quella espressione esser da Dio, ed a scrivere per conseguenza, che il Figlio è della sostanza di Dio: affinchè la detta espressione esser da Dio non si credesse accomunata al Figlio ed alle creature, e propria egualmente di loro. In fatti l'esser della divina sostanza non è proprio di creatura veruna, ma unicamente del Verbo… Parimenti quando trattossi d'inserir, nel formulario di fede, che il Figlio è la vera potenza ed immagin del Padre, a lui somigliante, immutabile onninamente, eterno, ed indiviso nel Padre, tanto bisbigliarono gli Eusebiani, tanto mostrarono di applaudirsi scambievolmente con le occhiate e con i cenni, che ben si comprese, che l'espressioni esser simile a Dio, essere in Dio, esser la potenza di Dio eran da essi accomunate al Figlio, ed agli uomini, leggendosi nelle Sacre Scritture, che l'uomo è l'immagine e la gloria di Dio… Quindi è che i Vescovi, considerata la loro ipocrisia e maliziosa indole, furono anch'essi COSTRETTI DALLA NECESSITÀ a raccogliere il senso di quelle espressioni dalle Scritture, ripetendo con più chiari termini ciò che avanti avevano detto scrivere che il Figlio è ομοουσιος Consustanziale al Padre ec.». Questo medesimo vien ripetuto dal S. Primate nella sua Epistola agli Affricani265, e da S. Gregorio Nazianzeno266. Adunque non per nascondere le lor differenze, non per sospendere le loro dispute, non per unire i loro partiti divisi tra il Sabellianismo ed il Triteismo i Padri Niceni adottarono l'Homoousion; ma per recidere COSTRETTI DALLA NECESSITÀ con un colpo solo la nefanda testa dell'Arrianesimo.
Ma vi era poi realmente quel gran numero di fautori di una Trinità nominale magnificato da Gibbon nell'assemblea, che introdusse quella voce nel simbolo? I Santi, che a detta del nostro rispettosissimo Critico, erano più alla moda al tempo degli Arriani Atanasio, Gregorio Nazianzeno, a cui si aggiungono il Nisseno e Cirillo l'Alessandrino267 favorirono veramente l'ipotesi delle tre menti, o sostanze, e dei tre esseri coeguali e coerenti mediante la perpetua concordia di loro amministrazione e l'essenzial conformità del loro volere? Dio buono! E come può essere ignoto al sig. Gibbon, che presentatosi S. Illario al Sinodo di Seleucia268 primum quaesitum est ab eo, quae esset Gallorum fides; quia tum Arrianis prava de nobis vulgantibus ab Orientalibus suspecti habebamur TRINONYMAM SOLITARII DEI UNIONEM secundum SABELLIUM credidisse? Ma quando ancora egli ignori un tal fatto, da quelle oscure dispute, e certi notturni combattimenti da lui rammentati coi termini stessi di Socrate, non credo di fargli ingiuria a dedurne, che esso abbia letto il Cap. VIII del I Libro di quello storico. Ivi dunque avrà letto altresì le parole: qui του ομοουσιοου την λεξιν Consubstantialis vocem aversabantur SABELLII DOGMA ab iis qui vocem illam probabant, induci arbitrabantur. Atque idcirco impios illos vocabant, utpote qui Filii Dei existentiam tollerent269. Or perchè non inferirne, che quel Sabellianismo è una mera calunnia, di cui i nemici della divina natura di Gesù Cristo, od almeno di quella voce, che tanto ben l'esprimeva, caricarono i Padri Ortodossi difensori dei termini precisi del Concilio Niceno? Come può dunque vantar rispetto pel Santuario chi rinnova le antiche calunnie contro di quelli, che sì gelosamente ne conservarono lo splendore? E non è un rinnovare con Clerc le antiche calunnie il tacciare di fautori del Triteismo i due Gregori, Atanasio e Cirillo l'Alessandrino a cui (non già a S. Basilio) vuolsi attribuire il Libro Περι της αγιας Τριαδος ec. de S. Trinitate ec. Tres Deos a nobis coli causantur… eamque CALUMNIAM probabiliter struere non intermittunt… Sed veritas pugnat pro nobis270. Sia pure un actum agere, come dice il sig. Gibbon il provare, che Homoousios significhi una sostanza in specie, che secondo Aristotele le stelle sono homoousie, e che tre uomini sono consustanziali in quanto appartengono alla medesima specie; sarebbe ancora per altro un actum agere il dimostrare, che i Padri Niceni affissero a quel celebre termine una significazione diversa da quella, in cui usavasi o nel comune linguaggio, od in quello della filosofia dei Gentili, come fin d'allora S. Atanasio rispondeva agli Arriani271: Haec sunt Ethicorum interpretationes, nosque nihil eorum egemus, quae ipsi afferunt; essendo già state raccolte le chiarissime testimonianze di Socrate272, di S. Atanasio medesimo273, e dell'istesso Eusebio di Cesarea274, il quale scrisse: Homoousion esse Filium Patri, cum adlatis rationibus discussum esset (nel sinodo di Nicea) convenit non juxta corporum modum, neque instar mortalium animantium accipi debere275. Sarebbe molto più un actum agere l'allegare una lunga serie dei luminosissimi resti di quei Santi amatori della dottrina Apostolica, non della moda, che apertamente dimostrarono la loro Ortodossia intorno al mistero della Santissima Trinità, specialmente scrivendo a Voi, che sì di proposito vi applicate agli studi Sacri con la guida di dotti Maestri, e sotto gli auspicj di un illuminato e religiosissimo Cardinale Protettore della vostra nazione. Sarò pertanto brevissimo su questo articolo; ed in difesa del Nazianzeno riferirò solamente quelle parole dell'Orazione XXXVII, in cui ragiona quel Santo Padre della Trinità contro i Macedoniani e gli Arriani, le quali per esser decisive furono artificiosamente omesse dal Clerc, che ad inganno dei semplici non ebbe rossore di confermare il suo falso sistema con passi tratti da quell'Orazione medesima. Horum quodlibet Unitatem habet non minus ejus cum quo conjungitum, quam sui ipsius respectu propter essentiae et potentiae IDENTITATEM τω ταυτω της ουσιας, και της δυναμεως. Atque haec unionis hujus ratio est, quantum quidem ipsi percipimus. Questa non è certamente la pericolosa ipotesi delle tre menti o sostanze, o di tre esseri coeguali ec. Il Nazianzeno asserisce, che tra le Divine Persone non solo vi è uguaglianza di potenza e natura, ma IDENTITA'. Confermiamolo. Se l'Unità di natura nelle Divine Persone al parere del S. Padre consistesse in una mera coeguaglianza, e nella sola conformità del loro valore, quell'Unità resterebbe, quand'anche si concepisse mancante d'una delle tre Menti, o Sostante Divine. Ma egli nullo modo, soggiunge esclamando, UNAM ILLAM NATURAM, ac peraeque venerandam trunca. Alioqui si quid ex Tribus everteris, TOTUM everteris, imo a TOTO excideris. È dunque patente l'Ortodossia di S. Gregorio Nazianzeno. Può egli inoltre confessarsi più chiaramente, che il Figlio non è una seconda Mente o Sostanza, ma bensì il Verbo, o la Sapienza del Padre, ed una Sostanza istessa con lui di quello che lo confessi Cirillo l'Alessandrino? Si può mai più nettamente asserire, che la Divina sostanza è una sola, benchè distinta in tre Persone di quel che faccialo S. Atanasio? Ecco le parole del primo276: Intelligendum sic ex Patre natum Filium, ut Sapientia ex mente, quae sicut et alia quodammodo esse a mente per expressionem ipsius videtur, et in ipsa vere est; non enim SEPARABILITER ab ea prodit. I termini del secondo son questi277. Neque tres hypostases per se ipsas DIVISAS, ut in hominibus pro natura corporum accidit fas est in Deo cogitare: ne ut gentes Deorum multitudinem inducamus… Laudanda colendaque et adoranda Trinitas UNA et INDIVIDUA est, nec ullam figuram habet, sed sine confusione CONJUNGITUR; quemadmodum ejusdem UNITAS distinguitur sine DIVISIONE. Quindi è manifesto non potersi sfuggir la taccia di calunniatore da chiunque asserisce, che i Padri soprallodati favorissero il Triteismo. Egli è poi tanto falso che l'Homoousion potesse essere caro ed ai Triteisti, ed ai fautori di una Trinità nominale, che nel linguaggio Teologico a norma delle espressioni di G. Cristo medesimo Ego, et Pater unum sumus… Ego in Patre, et Pater in me est278, si credeva piuttosto capace di non conciliare i due supposti contrari partiti, ma di distruggerli. Vox ista ομοουσιον, et SABELLII impietatem corrigit, tollit enim hypostaseos identitatem, et perfectam Personarum intelligentiam introducit. Non enim aliquid idem est sibi ipsi Homoousion, sed alterum alteri. Itaque rectissime, et cum pietate conjunctissime hypostaseon dividuntur proprietates, et immutabilitas naturae inalterabilis repraesentatur. Così S. Basilio Magno279, a cui egregiamente uniformasi S. Ambrogio scrivendo280. Frustra autem verbum istud propter SABELLIANOS declinare se dicunt et in eo suam impietatem produnt. Homoousion enim aliud alii non ipsum est sibi. Recte ergo Homoousion Patri Filium dicimus quia eo verbo, et PERSONARUM DISTINCTIO (contro Sabellio), et NACTURAE UNITAS (contro i Politeisti e gli Arriani) significatur.