Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 7», sayfa 12
Costantinopoli adottò le follìe, non già le virtù dell'antica Roma, e le stesse fazioni, che avevano agitato il Circo, infierirono con maggior furore nell'Ippodromo. Sotto il Regno d'Anastasio fu infiammata questa popolar frenesia dallo zelo religioso, ed i Verdi, che avevano proditoriamente nascosto delle pietre e de' coltelli in alcune paniere di frutti, uccisero in occasione d'una solenne festa tremila degli Azzurri loro avversari490. Dalla Capitale si sparse questa peste nelle Province e Città dell'Oriente, e la giocosa distinzione de' due colori produsse due forti ed irreconciliabili partiti, che scossero i fondamenti d'un debol governo491. Le dissensioni popolari fondate sopra gl'interessi più serj ed i più santi pretesti, hanno appena potuto uguagliare l'ostinazione di una ludicra discordia, che attaccò la pace delle famiglie, divise fra loro gli amici e i fratelli, e tentò fino le donne, quantunque di rado si vedessero nel Circo, ad abbracciare le inclinazioni de' loro amanti, o a contraddire i desiderj de' loro mariti. Si calpestava ogni legge divina ed umana, e purchè prevalesse il partito, pareva, che i delusi di lui seguaci non curassero nè la privata nè la pubblica calamità. Si ravvivò in Antiochia ed a Costantinopoli la licenza senza la libertà della Democrazia, ed ogni candidato per conseguir gli onori civili o ecclesiastici avea bisogno d'esser sostenuto da una fazione. Ai Verdi imputossi un segreto affetto alla famiglia, o alla setta d'Anastasio; ma gli Azzurri erano fervidamente attaccati alla causa della Ortodossia e di Giustiniano492, ed il grato loro protettore sostenne per più di cinque anni i disordini di una fazione, i periodici tumulti della quale inondarono il Palazzo, il Senato, e le Capitali d'Oriente. Gli Azzurri, divenuti insolenti per il Real favore, affettavano d'incuter terrore mediante un abito particolare ed all'uso de' Barbari, con i capelli lunghi, con le maniche strette, e con le ampie vesti degli Unni, con un passo orgoglioso, ed una voce sonora. Il giorno celavano essi i loro pugnali a due tagli, ma la notte arditamente si adunavano armati, e intraprendevano in numerose truppe, qualunque atto di violenza e di rapina. I loro avversari della fazion Verde, o anche i cittadini innocenti venivano spogliati, e spesso uccisi da questi notturni ladroni, ed era pericoloso il portar de' bottoni o delle fibbie d'oro, o l'andare ad un'ora tarda per le strade di una pacifica Capitale. Eccitato quel fiero spirito dall'impunità giunse fino a violare la sicurezza delle case private; e s'adoperava il fuoco per facilitare l'attacco, o nascondere i delitti di questi, faziosi. Non v'era luogo immune o salvo dalle loro depredazioni; per soddisfar la propria avarizia o vendetta profondevano il sangue degl'innocenti, erano contaminate le Chiese e gli altari da atroci omicidj, e solevan vantarsi quegli assassini, che avevano la destrezza di far sempre una ferita mortale ad ogni colpo delle loro armi. La dissoluta gioventù di Costantinopoli adottò l'azzura insegna del disordine; tacevan le leggi, ed erano rilassati i legami della Società: i creditori venivan costretti a consegnar le loro obbligazioni; i giudici a rivocare le loro sentenze; i padroni a manomettere i loro schiavi; i padri a supplire alle stravaganze de' figli; le nobili matrone eran prostituite alla libidine dei loro servi; i bei garzoni erano strappati dalle braccia dei lor genitori, e le mogli, a meno che non preferissero una morte volontaria, venivano stuprate alla presenza de' loro mariti493. La disperazione de' Verdi, ch'erano perseguitati dai loro nemici, ed abbandonati da' Magistrati, s'arrogò il diritto della difesa, e forse della rappresaglia; ma quelli, che sopravvivevano al combattimento, eran tratti al supplizio, e gl'infelici fuggitivi, rifuggendosi ne' boschi e nelle caverne, infierivano senza misericordia contro la società, da cui erano stati cacciati. Que' Ministri dei Tribunali, che avevano il coraggio di punire i delitti, e di non curar lo sdegno degli Azzurri, divenivano le vittime dell'indiscreto loro zelo: un Prefetto di Costantinopoli fuggì per asilo al santo Sepolcro, un Conte dell'Oriente fu ignominiosamente frustato, ed un Governatore di Cilicia fu per ordine di Teodora impiccato sulla tomba di due assassini, ch'esso avea condannati per l'omicidio del suo palafreniere, e per un temerario attacco della propria sua vita494. Un candidato, che aspira a pervenire a' posti più alti, può esser tentato a fabbricare sulla pubblica confusione la sua grandezza; ma è interesse non meno che dovere d'un Sovrano il mantenere l'autorità delle Leggi. Il primo Editto di Giustiniano, che fu spesso ripetuto, e qualche volta solo eseguito, annunziava la ferma sua risoluzione di sostener l'innocente, e di gastigare il colpevole di qualunque denominazione e colore si fossero. Pure la bilancia della giustizia era sempre inclinata in favore della fazione azzurra dalla segreta affezione, dall'abitudine, e da' timori dell'Imperatore; la sua equità, dopo un apparente contrasto, sottomettevasi senza ripugnanza alle implacabili passioni di Teodora, e l'Imperatrice non dimenticò mai, nè perdonò le ingiurie della commediante. La proclamazione d'uguale e rigorosa giustizia fatta nell'avvenimento al trono di Giustino il Giovane indirettamente condannò la parzialità del precedente Governo: «O Azzurri, non v'è più Giustiniano! Verdi, egli è sempre vivo495».
L'odio, che avevan fra loro le due fazioni, e la loro momentanea riconciliazione suscitò un tumulto, che ridusse quasi Costantinopoli in cenere. Giustiniano celebrò nel quinto anno del suo Regno la solennità degl'Idi di Gennaio: furono i giuochi continuamente disturbati dal clamoroso malcontento de' Verdi; fino alla ventesima seconda corsa l'Imperatore mantenne la tacita sua gravità; ma cedendo finalmente all'impazienza condiscese a tenere in brusca maniera, e mediante la voce d'un banditore il dialogo più singolare496 che mai si facesse fra un Principe ed i suoi sudditi. Le prime querele furono rispettose e modeste; accusarono essi i subordinati Ministri d'oppressione, ed espressero i lor desiderj per la lunga vita, e la vittoria dell'Imperatore. «Abbiate pazienza, e state attenti, o insolenti maledici, esclamò Giustiniano; tacete Giudei, Samaritani e Manichei». I Verdi tuttavia cercavano di risvegliar la sua compassione con queste voci: «Noi siamo poveri, siamo innocenti, siamo ingiuriati, non osiamo di andar per le strade: si usa una general persecuzione contro il nostro nome e colore. Moriamo, o Imperatore, ma moriamo per ordine vostro, ed in vostro servizio». La rinnovazione però di parziali ed appassionate invettive degradò a' loro occhi la maestà della porpora; negarono essi l'omaggio ad un Principe, che ricusava di render giustizia al suo Popolo; si dolsero che fosse nato il Padre di Giustiniano, e ne infamarono il figlio coi nomi obbrobriosi di omicida, d'asino, e di spergiuro tiranno. «Non curate le vostre vite?» gridò lo sdegnato Monarca: gli Azzurri s'alzarono con furore dai loro posti; risuonarono gli ostili loro clamori nell'Ippodromo: ed i loro avversari, abbandonando l'ineguale contesa, sparsero il terrore e la disperazione per le strade di Costantinopoli. In questo pericoloso momento eran condotti per la Città sette notorj assassini di ambedue le fazioni, ch'erano stati condannati dal Prefetto, e quindi trasportati al luogo dell'esecuzione nel subborgo di Pera. Quattro di questi furono immediatamente decapitati, e fu impiccato il quinto: ma nel tempo che gli altri due soggiacevano alla medesima pena, si ruppe la fune, essi caddero vivi sul suolo, il popolaccio applaudì alla loro liberazione, ed usciti dal vicino loro convento i Monachi di S. Conone gli portarono in una barchetta al santuario della loro Chiesa497. Siccome uno di questi rei era del partito degli Azzurri, e l'altro de' Verdi, le due fazioni furono eccitate ugualmente dalla crudeltà del loro oppressore, o dall'ingratitudine del loro avvocato, e fu conclusa una breve tregua ad oggetto di liberare i prigionieri, e di soddisfare la propria vendetta. Fu ad un tratto bruciato il Palazzo del Prefetto, che si opponeva al sedizioso torrente, ne furono trucidati gli ufiziali e le guardie, si aprirono a forza le prigioni, e si restituì la libertà a quelli che non potevan farne uso, che per la pubblica distruzione. Un distaccamento militare, ch'era stato mandato in aiuto del Magistrato Civile, fu fieramente rispinto da una moltitudine armata, di cui continuamente cresceva il numero e l'arditezza; e gli Eruli, i più selvaggi tra' Barbari al servizio dell'Impero, rovesciarono i sacerdoti e le loro reliquie, che per un motivo di religione imprudentemente s'erano interposti per separare il sanguinoso conflitto. S'accrebbe il tumulto per tal sacrilegio: il Popolo combatteva con entusiasmo nella causa di Dio; le donne facevan piovere da' tetti e dalle finestre le pietre sopra i soldati, che scagliavano de' tizzoni accesi contro le case; e le varie fiamme, che si erano accese per le mani dei Cittadini e degli stranieri, si diffusero senza contrasto su tutta la Città. L'incendio comprese la cattedrale di S. Sofia, i Bagni di Zeusippo, una parte del Palazzo, dal primo ingresso fino all'altare di Marte, ed il lungo Portico, dal Palazzo fino al Foro di Costantino; restò consumato un vasto Spedale insieme con gli ammalati, che v'erano; si distrussero molte Chiese, e sontuosi Edifizi, e si perdè o si fuse un'immensa quantità d'oro e d'argento. I savi e ricchi Cittadini fuggirono da tali spettacoli d'orrore e di miserie sul Bosforo dalla parte dell'Asia, e per cinque giorni Costantinopoli rimase in preda delle fazioni, e la parola Nika, cioè vinci, che usavan per distintivo, ha dato il nome a questa memorabile sedizione498.
Finattantochè furon divise le due fazioni, sembrava che tanto i trionfanti Azzurri, quanto i Verdi abbattuti riguardassero con la medesima indifferenza i disordini dello Stato. Ma in quest'occasione s'unirono a censurare la mal amministrazione della Giustizia e delle Finanze; i due Ministri, che n'erano responsabili, cioè l'artificioso Triboniano, ed il rapace Giovanni di Cappadocia, furono altamente accusati come gli autori della pubblica miseria. In tempo di pace non si sarebber curati i bisbigli del Popolo; ma quando la Città era in mezzo alle fiamme, si ascoltarono con rispetto, furono immediatamente deposti, sì il Questore, che il Prefetto, e furono a quelli sostituiti due Senatori d'irreprensibile integrità. Dopo questa popolar concessione, Giustiniano si portò all'Ippodromo a confessare i propri errori, e ad accettare il pentimento dei buoni suoi sudditi; ma questi non si fidarono delle sue proteste, sebbene pronunziate solennemente sopra i santi Vangeli; e l'Imperatore, sbigottito dalla lor diffidenza, precipitosamente si ritirò nella Fortezza del Palazzo. Allora imputossi l'ostinazione del tumulto ad una segreta ed ambiziosa cospirazione; e s'ebbe sospetto, che gl'insorgenti, specialmente i Verdi, fossero sostenuti con armi e danaro da due Patrizi Ipazio e Pompeo, i quali non potevano dimenticarsi con onore, nè ricordarsi con sicurezza di esser nipoti dell'Imperatore Anastasio. Capricciosamente ammessi alla confidenza del Monarca, quindi caduti in disgrazia, e dalla gelosa sua leggierezza ottenuto il perdono, si erano essi presentati come servi fedeli avanti al Trono; e per i cinque giorni del tumulto, ritenuti furono come ostaggi di grande importanza; ma finalmente prevalendo i timori di Giustiniano alla sua prudenza, egli risguardò i due fratelli come spie, e forse come assassini, e bruscamente comandò loro di partir dal Palazzo. Dopo una inutile rappresentanza, che l'ubbidire avrebbe potuto cagionare un involontario tradimento, si ritirarono alle loro case, e la mattina del sesto giorno Ipazio fu circondato e preso dal Popolo, che senza riguardo alla virtuosa di lui resistenza, ed alle lacrime della sua moglie, lo trasportò al Foro di Costantino, ed invece di diadema gli pose un ricco collare sul capo. Se l'usurpatore, che di poi allegò a suo favore il merito della sua resistenza, avesse seguitato il consiglio del Senato, ed eccitato il furor della moltitudine, il primo irresistibile sforzo di essa avrebbe oppresso o scacciato il suo tremante competitore. Il Palazzo di Costantinopoli aveva una libera comunicazione col mare; stavan pronti i vascelli agli scali de' giardini; e si era già presa la segreta risoluzione di condurre l'Imperatore con la sua famiglia e tesori in un luogo sicuro a qualche distanza dalla Capitale.
Giustiniano era perduto, se quella prostituta, che egli aveva tolto dal Teatro, non avesse rinunziato alla timidità, non meno che alle virtù del suo sesso. In mezzo ad un consiglio, dove trovavasi Belisario, la sola Teodora dimostrò il coraggio di un Eroe; ed ella sola senza paventare la futura sua odiosità, potè salvare l'Imperatore dall'imminente pericolo, e dagl'indegni di lui timori. «Quand'anche la fuga, disse la moglie di Giustiniano, fosse l'unico mezzo di salvarsi, pure io sdegnerei di fuggire. La morte è la condizione apposta alla nostra nascita; ma chi ha regnato non dovrebbe mai sopravvivere alla perdita della dignità, e del dominio. Io prego il Cielo, di non potere essere mai veduta, neppure un giorno, senza il diadema e la porpora; che io non possa più vedere la luce, quando cesserò d'essere salutata col nome di Regina. Se voi risolvete, o Cesare, di fuggire, avete de' tesori; ecco qua il mare, avete delle navi; ma tremate, che il desiderio della vita non v'esponga ad un miserabile esilio, e ad una ignominiosa morte. Quanto a me, approvo quell'antica massima, che il trono è un glorioso sepolcro». La fermezza d'una donna fece risorgere il coraggio di deliberare e d'agire, ed il coraggio ben presto scuopre i rimedi nella situazione anche più disperata. Quello di ravvivar l'animosità delle due fazioni fu un mezzo facile e decisivo; gli Azzurri restaron sorpresi della propria colpa e follìa nell'essersi lasciati indurre per un'ingiuria da nulla a cospirare con gl'implacabili loro nemici contro un grazioso e liberale benefattore; proclamarono essi di nuovo la maestà di Giustiniano, ed i Verdi restarono soli col loro novello Imperatore nell'Ippodromo. Era dubbiosa la fedeltà delle guardie; ma la militar forza di Giustiniano sostenevasi da tremila Veterani, che s'erano formati al valore, ed alla disciplina nelle guerre Persiane ed Illiriche. Sotto il comando di Belisario e di Mondo, marciarono questi con silenzio in due divisioni dal Palazzo; si fecero strada per oscuri e stretti sentieri a traverso di fiamme spiranti, e di cadenti edifizi, e spalancarono in un istesso tempo le due opposte porte dell'Ippodromo. In uno spazio sì angusto la moltitudine disordinata e sorpresa non fu capace di resistere ad un fermo e regolare attacco da due parti; gli Azzurri segnalarono il furore del loro pentimento; e si conta, che restassero uccise trentamila persone nella promiscua e crudele strage di quella giornata. Ipazio fu tratto giù dal suo trono, e condotto insieme col fratello Pompeo a' piedi dell'Imperatore: implorarono essi la sua clemenza; ma la lor colpa ora manifesta, l'innocenza incerta; e Giustiniano s'era troppo spaventato per dare il perdono. La mattina seguente i due Nipoti d'Anastasio con diciotto illustri complici, di condizione Patrizia o Consolare, furono privatamente posti a morte da' soldati; e ne furon gettati i corpi nel mare, distrutti i Palazzi, e confiscate le facoltà. L'Ippodromo stesso fu condannato per più anni ad un tristo silenzio: ma colla restaurazione de' giuochi, risorsero gli stessi disordini; e le fazioni degli Azzurri e de' Verdi continuarono ad affliggere il regno di Giustiniano, ed a turbar la tranquillità dell'Impero d Oriente499.
III. Quest'Impero, dopo che Roma fu divenuta barbara, conteneva tuttavia le Nazioni ch'essa avea conquistate di là dall'Adriatico fino alle frontiere dell'Etiopia e della Persia. Giustiniano regnava sopra sessantaquattro Province, e novecento trentacinque Città500; i suoi dominj erano favoriti dalla natura coi vantaggi del suolo, della situazione e del clima; e si erano continuamente sparsi lungo le coste del Mediterraneo, e le rive del Nilo i raffinamenti dell'arte umana dall'antica Troia fino a Tebe d'Egitto. Abramo501 aveva tratto sollievo dall'abbondanza ben nota dell'Egitto; il medesimo piccolo e popolato tratto di paese era tuttavia capace di somministrare ogni anno dugento sessantamila sacca di grano per uso di Costantinopoli502, e la Capitale di Giustiniano riceveva le manifatture di Sidone, quindici secoli dopo ch'eransi le medesime rese celebri per i Poemi d'Omero503. Le annue forze della vegetazione in vece di restar esauste da duemila raccolte, si rinnovavano ed invigorivano per mezzo della buona cultura, del ricco ingrasso e dell'opportuno riposo. Le razze degli animali domestici s'erano infinitamente moltiplicate. Le piantagioni, le fabbriche e gl'istrumenti di lavoro e di lusso, che son più durevoli che la vita umana, s'erano accumulate per le cure di più successive generazioni. La tradizione conservava, e l'esperienza semplicizzava l'umile pratica delle arti; la società si arricchiva mediante la divisione de' lavori e la facilità del commercio; ed ogni Romano s'alloggiava, si vestiva, e sussisteva per l'industria di mille mani. Si è religiosamente attribuita agli Dei l'invenzione del filare e del tessere: in ogni tempo si sono abilmente lavorati molti prodotti animali e vegetabili, come crini, pelli, lana, lino, cotone ed alfine seta, per coprire o adornare il corpo umano; questi si tingevano con infusioni di durevoli colori, ed impiegavasi con successo il pennello a migliorare i lavori del tessitore. Nella scelta di que' colori504, che imitano le bellezze della natura, li favoriva la libertà del gusto e della moda; ma la porpora carica505 che i Fenicj estraevano da una conchiglia marina, era riservata alla sacra Persona ed al Palazzo dell'Imperatore; ed erano stabilite le pene di ribellione contro quegli ambiziosi sudditi, che ardivano usurpare la prerogativa del trono506.
Non v'è bisogno di spiegare, che la seta507 in origine proviene dalle viscere di un baco, e che forma l'aurea tomba, da cui sorge fuori un verme in figura di farfalla. Fino al regno di Giustiniano i bachi da seta, che si nutriscono delle foglie del gelso bianco, erano confinati alla China; quelli del pino, della quercia e del frassino eran comuni nelle foreste sì dell'Asia che dell'Europa; ma siccome la loro educazione è più difficile, ed il prodotto più incerto, erano generalmente trascurati, fuori che nella piccola Isola di Ceos presso le coste dell'Attica. Si fece del loro tessuto un tenue velo e questa manifattura di Ceos, che fu inventata da una donna per proprio uso, fu ammirata per lungo tempo tanto in Oriente, quanto a Roma. Per quanto possano trarsi delle induzioni dagli ornamenti de' Medi e degli Assiri, Virgilio è lo scrittore più antico che faccia espressamente menzione della soffice lana, che si traeva dagli alberi de' Seri o Chinesi508; e quest'errore di Storia Naturale, meno maraviglioso anche del vero, si venne appoco appoco a correggere dalla cognizione di quel prezioso Insetto, ch'è il primo artefice del lusso delle Nazioni. Questo raro ed elegante lusso fu criticato al tempo di Tiberio da' più gravi fra Romani, e Plinio con caricate, quantunque forti espressioni, ha condannato la sete del guadagno, che faceva esplorar gli ultimi confini della Terra per il pernicioso oggetto di esporre agli occhi di tutti le trasparenti matrone, e le vesti che denudavan le donne509. Un abito, che mostrava il contorno delle membra, ed il color della cute, potea soddisfare la vanità, o eccitare i desiderj; i drappi di seta che si tessevano fitti nella China, furono assai diradati dalle donne Fenicie, e si moltiplicarono i preziosi materiali mediante una tessitura più rara, e la mescolanza di fili di lino510. Dugento anni dopo il tempo di Plinio l'uso delle vesti di seta pura o anche mescolata era limitato al sesso femminile, finattantochè gli opulenti Cittadini di Roma e delle Province non si furono insensibilmente famigliarizzati coll'esempio d'Elagabalo, il primo che con quest'abito effemminato contaminasse la dignità d'un Imperatore e d'un uomo. Aureliano si doleva che si vendesse a Roma una libbra di seta per dodici oncie d'oro: ma ne crebbe l'abbondanza per causa delle richieste, e coll'abbondanza scemossene il prezzo. Se qualche volta l'accidente o il monopolio ne alzò il valore anche sopra quello indicato da Aureliano, in virtù delle medesime cause le manifatture di Tiro e di Berito furono altre volte costrette a contentarsi d'un nono di quell'eccessivo prezzo511. Fu creduta necessaria una Legge per distinguer l'abito de' commedianti da quello de' Senatori, e la massima parte della seta, che veniva dal natio suo Paese, si consumava da' sudditi di Giustiniano. Meglio però conoscevano essi una conchiglia del Mediterraneo chiamata il baco da seta di mare: quella fina lana, o pelame, con cui la madre della perla s'attacca agli scogli, presentemente si lavora più per curiosità che per uso; ed una veste formata di questa singolare materia era il dono che l'Imperator Romano faceva a' Satrapi dell'Armenia512.
Una mercanzia di valore e di piccol volume è capace di soffrir le spese del trasporto per terra; e le Caravane traversavano tutta la larghezza dell'Asia, dall'Oceano Chinese fino alle coste marittime della Siria, in dugento quaranta tre giorni. La seta si consegnava immediatamente a' Romani dai Mercanti di Persia513, che frequentavan le fiere d'Armenia e di Nisibi; ma questo commercio, che negl'intervalli delle tregue veniva oppresso dalla gelosia e dall'avarizia, era totalmente interrotto dalle lunghe guerre di quelle rivali Monarchie. Il gran Re poteva orgogliosamente annoverar la Sogdiana, ed anche la Serica fra le Province del suo Impero, ma il suo vero dominio era limitato dall'Osso, e l'utile suo commercio con i Sogdoiti di là dal fiume dipendea dall'arbitrio de' loro Conquistatori, cioè degli Unni bianchi, e de' Turchi, che successivamente regnarono su quell'industriosa Nazione. Pure il più barbaro dominio non estirpò i semi dell'agricoltura e del commercio in un Paese, che si celebra come uno de' quattro giardini dell'Asia; le Città di Samarcanda e di Bochara son situate vantaggiosamente per il cambiamento delle varie lor produzioni; ed i loro mercanti compravano da' Chinesi514 la seta greggia o lavorata, che poi trasportavano in Persia per uso dell'Impero Romano. Le Caravane Sogdiane venivano trattenute nella vana Capitale della China come supplichevoli Ambascerie di Regni tributari; e se tornavano salve, l'audace lor rischio aveva in premio un esorbitante guadagno. Ma il disastroso e pericoloso viaggio da Samarcanda fino alla prima Città di Shensi non si potea fare in meno di sessanta, ottanta, o cento giorni: tosto che avevan passato l'Iassarte, entravano nel deserto, e le Orde vaganti, lungi dall'esser tenute in freno dalle milizie e dalle guarnigioni, sempre consideravano i cittadini ed i viaggiatori come oggetti di legittima rapina. Per evitare i rapaci Tartari, ed i Tiranni Persiani, le Caravane della seta tentarono una strada più meridionale, traversaron le montagne del Tibet, scesero lungo la corrente del Gange o dell'Indo, e pazientemente aspettarono ne' porti di Guzerat e di Malabar le annue flotte dell'Occidente515. Ma si trovarono meno intollerabili i pericoli del deserto che la fatica, la fame, e la perdita di tempo; raramente fu rinnovato quel tentativo, e l'unico Europeo, che sia passato per quella strada non frequentata, applaudisce alla sua diligenza per essere arrivato in nove mesi dopo la sua partenza da Pekino all'imboccatura dell'Indo. Era però aperto l'Oceano alla libera comunicazione del Genere Umano. Le Province della China, dal Gran Fiume fino al Tropico di Cancro, furono soggiogate e incivilite dagl'Imperatori settentrionali; furono riempite verso il principio dell'Era Cristiana di città e di uomini, di gelsi e de' loro preziosi abitatori; e se i Chinesi, con la cognizione della bussola, avessero avuto il genio de' Greci o de' Fenicj, avrebbero potuto estendere le loro scoperte all'Emisfero meridionale. Io non sono in grado d'esaminare, e non son disposto a credere i distanti lor viaggi al Golfo Persico o al Capo di Buona Speranza: ma i loro Antichi poterono bene uguagliare i lavori, ed il successo della presente Generazione, ed estender la sfera della loro navigazione dalle Isole del Giappone fino allo Stretto di Malacca, le colonne, se ci è permesso d'usar questo nome, di un Ercole orientale516: senza perder di vista la terra, essi potevano navigare lungo le coste fino all'ultimo promontorio d'Achin, a cui vanno ogni anno dieci o dodici navi cariche di produzioni, di manifatture ed anche di artefici Chinesi; l'Isola di Sumatra e la Penisola opposta vengono leggiermente descritte517 come i paesi dell'oro e dell'argento; e le Città commercianti, nominate nella Geografia di Tolomeo, possono indicare che questa ricchezza non provenisse solo dalle miniere. La distanza in linea retta fra Sumatra e Ceylan è di circa trecento leghe; i navigatori Chinesi ed Indiani eran guidati dal volo degli uccelli, e da' venti periodici, e si poteva traversare con sicurezza l'Oceano in navi quadrate, che in luogo di esser connesse col ferro, eran cucite insieme col forte filo dell'albero del cocco. Ceylan, Serendib, o Taprobana era divisa fra due Principi nemici uno de' quali possedea le montagne, gli elefanti ed il luminoso carbonchio; e l'altro godeva le ricchezze più solide dell'industria domestica, del commercio estero, e dall'ampio porto Trinquemale, riceveva e rimandava le flotte dell'Oriente e dell'Occidente. In questa ospitale Isola, che era situata ad un egual distanza (come credevasi) dai rispettivi loro Paesi, i Mercanti di seta della China, che ne' loro viaggi avevan caricato aloe, garofani, noci moscate e sandalo, mantenevano un libero e vantaggioso commercio con gli abitanti del Golfo Persico. I sudditi del gran Re esaltavano senz'alcun rivale il suo potere e la sua magnificenza; e quel Romano, che confuse la lor vanità, paragonando il miserabil suo conio con una medaglia d'oro dell'Imperatore Anastasio, era passato a Ceylan in una nave d'Etiopia, come semplice passeggiero518.
Quando la seta divenne d'un uso indispensabile, l'Imperator Giustiniano vide con rammarico, che i Persiani avevan occupato per terra e per mare il monopolio di quest'importante prodotto, e che la ricchezza dei propri sudditi esaurivasi di continuo da una Nazione di nemici e d'idolatri. Un Governo attivo avrebbe ristabilito il commercio di Egitto, e la navigazione del Mar Rosso, ch'era decaduta con la prosperità dell'Impero; ed avrebber potuto le navi Romane, ad oggetto di provvedersi di seta, approdare a' porti di Ceylan, di Malacca, o anche della China. Giustiniano però s'apprese ad un espediente più basso, e sollecitò l'aiuto degli Etiopi d'Abissinia, Cristiani suoi alleati, che avevano di fresco acquistato l'arte della navigazione, lo spirito di commercio, ed il Porto d'Aduli519, tuttavia decorato dei trofei d'un conquistator Greco. Lungo le coste dell'Affrica essi penetravano fino all'Equatore in cerca dell'oro, degli smeraldi e degli aromati; ma questi saviamente evitarono una disugual competenza, in cui dovevano sempre esser prevenuti per la vicinanza de' Persiani a' mercati dell'Indie; e l'Imperatore soffrì quell'incomodo, finattantochè non furono soddisfatti i suoi desiderj da un avvenimento non aspettato. S'era predicato il Vangelo agl'Indiani; già un Vescovo governava i Cristiani di S. Tommaso sulla costa del pepe di Malabar; erasi piantata una Chiesa in Ceylan; ed i Missionari seguitavano le tracce del Commercio fino all'estremità dell'Asia520. Due Monaci Persiani avevan dimorato per lungo tempo nella China, probabilmente nella Real Città di Nankino, residenza d'un Monarca addetto alle superstizioni straniere, e che in quel tempo ricevè un'ambasceria dall'Isola di Ceylan. In mezzo alle pie loro occupazioni osservarono con occhio curioso l'abito commune de' Chinesi, le manifatture di seta, ed i milioni di bachi, l'educazione de' quali (o all'aria aperta sugli alberi o nelle case) una volta si considerava come opera propria delle Regine521. Tosto essi conobbero che non era possibile trasportare un insetto di sì corta vita, ma che nel seme poteva conservarsene una numerosa generazione e propagarsi in lontani Paesi. La religione o l'interesse potè più sopra i Monaci Persiani, che l'amore della loro patria: dopo un lungo viaggio arrivarono a Costantinopoli, comunicarono il loro progetto all'Imperatore, e furono generosamente incoraggiati da' doni, e dalle promesse di Giustiniano. Gl'Istorici di questo Principe han creduto che una campagna al piè del monte Caucaso meritasse una più minuta relazione, che il lavoro di questi Missionari di commercio, i quali tornarono alla China, ingannarono quel Popolo geloso nascondendo il seme de' bachi da seta in una canna vuota, e vennero di nuovo trionfanti con le spoglie dell'Oriente. Sotto la lor direzione, alla stagione opportuna, si fecero dal seme coll'artificial calore del letame nascere i bachi; furon questi nutriti con foglie di gelso; essi vissero e fecero il loro lavoro in un clima straniero; si conservò un sufficiente numero di farfalle per propagarne la specie; e si piantaron degli alberi, atti a somministrare il cibo alle future generazioni. L'esperienza, e la riflessione corressero gli errori d'una nuova intrapresa, e gli Ambasciatori Sogdoiti, nel Regno seguente, confessarono, che i Romani nell'educazion degl'insetti, e ne' lavori di seta522 non erano inferiori a' nativi Chinesi; nel che sì la China che Costantinopoli furono vinte dall'industria dell'Europa moderna. Io non nego i vantaggi del lusso elegante; ma rifletto con qualche pena, che se i trasportatori della seta avessero introdotto l'arte della stampa già in uso presso i Chinesi, si sarebbero, nelle edizioni del sesto secolo perpetuate le Commedie di Menandro e tutte le Deche di Livio. Una più estesa veduta del Globo avrebbe almeno aumentato i progressi della scienza speculativa; ma la Geografia Cristiana forzatamente si traeva dai testi della Scrittura, e lo studio della natura era il più sicuro sintomo d'uno spirito miscredente. La fede degli Ortodossi limitava il Mondo abitabile ad una zona temperata, e rappresentava la Terra come una superficie bislunga di quattrocento giorni di cammino in lunghezza e di dugento in larghezza, circondata dall'Oceano, e coperta dal solido cristallo del Firmamento523.