Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 7», sayfa 14
Giustiniano moltiplicò le Fortezze dell'Europa e dell'Asia; ma la frequenza di tali timide ed infruttuose precauzioni espone ad un occhio filosofico la debolezza dell'Impero557. Da Belgrado fino all'Eussino, e dalla congiunzion della Sava col Danubio fino all'imboccatura di esso, estendevasi lungo le rive di questo gran fiume una catena di più di quaranta piazze fortificate. Le pure torri di guardia si mutarono in spaziose Cittadelle, le mura delle quali, che gl'Ingegneri estendevano o ristringevano secondo la natura del suolo, si riempivano di Colonie o di guarnigioni; una stabil Fortezza difendeva le rovine del Ponte di Traiano558; e più stazioni militari affettavano di spargere di là dal Danubio l'orgoglio del nome Romano. Ma questo nome aveva perduto il suo terrore; i Barbari nelle annue loro scorrerie, con disprezzo passavano e ripassavano avanti a quegl'inutili baloardi; e gli abitanti della frontiera, invece di riposare tranquilli sotto l'ombra della comune difesa eran costretti a guardar di continuo le separate loro abitazioni. Furono ripopolate le antiche Città; le nuove fondazioni di Giustiniano acquistarono, forse troppo presto, gli epiteti d'invincibili e di piene di gente; ed il bene augurato luogo della sua nascita tirò a se la grata reverenza del più vano fra' Principi. Sotto il nome di Giustiniana prima l'oscuro villaggio di Tauresio divenne la sede d'un Arcivescovo e d'un Prefetto, la giurisdizione del quale, s'estendeva sopra sette guerriere Province dell'Illirico559; e la corrotta denominazione di Giustendil tuttavia indica circa venti miglia al mezzodì di Sofia la residenza d'un Sangiacco Turco560. Si fabbricò speditamente una Cattedrale, un Palazzo, ed un Acquedotto per uso de' paesani dell'Imperatore; s'adattarono i pubblici e privati edifizi alla grandezza d'una Città Reale; e la fortezza delle sue mura, durante la vita di Giustiniano, resistè a mal diretti assalti degli Unni e degli Schiavoni. Ne furon talvolta ritardati i progressi, e sconcertate le rapaci speranze anche dagl'innumerabili castelli che nelle Province della Dacia, dell'Epiro, della Tessaglia, della Macedonia e della Tracia pareva, che cuoprissero tutta la superficie del Paese. E dall'Imperatore in vero fabbricati furono o riparati seicento di questi Forti; ma sembra ragionevole il credere che ognuno di essi per lo più consistesse solo in una torre di pietra o di mattoni, posta nel mezzo d'una piazza quadrata o circolare, ch'era circondata da una muraglia e da un fosso, ed in un momento di pericolo somministrava qualche difesa ai contadini, ed al bestiame de' vicini villaggi561. Ciò non ostante queste opere militari, ch'esaurivano il pubblico erario, non servivano a dissipare le giuste apprensioni di Giustiniano e dei suoi sudditi Europei. I Bagni caldi d'Anchialo nella Tracia si resero altrettanto sicuri, quanto erano salutari; ma la cavalleria scitica foraggiava nelle ricche pasture di Tessalonica; la deliziosa valle di Tempe, trecento miglia distante dal Danubio, era di continuo agitata dal suono di guerra562; e nessun luogo non fortificato, per quanto fosse remoto o solitario, poteva con sicurezza godere i vantaggi della pace. Lo Stretto delle Termopile che sembrava difendere la sicurezza della Grecia, ma che l'aveva tante volte tradita, fu diligentemente fortificato da' lavori di Giustiniano. Ei fece continuare dall'estremità del lido del mare, per mezzo di valli e di foreste, fino alla cima delle montagne di Tessaglia un forte muro, che impediva qualunque praticabile ingresso. Invece d'una tumultuosa folla di contadini pose una guarnigione di duemila soldati lungo di esso; provvide per loro uso de' granai e delle conserve di acqua; e per una precauzione che ispirava la poltroneria, ch'ei previde, fabbricò delle Fortezze adattate alla loro ritirata. Le mura di Corinto, rovesciate da un terremoto, ed i cadenti baloardi d'Atene e di Platea, furono con attenzione restaurati; si sconfortarono i Barbari dal prospetto di successivi e penosi assedj; e le aperte Città del Peloponneso furon coperte dalle fortificazioni dell'Istmo di Corinto. Il Chersoneso di Tracia, ch'è un'altra Penisola all'estremità dell'Europa, sporge per tre giornate di cammino nel mare, e forma co' lidi addiacenti dell'Asia lo Stretto dell'Ellesponto. Gl'intervalli, frammezzo ad undici ben popolate Città, eran pieni di alti boschi, di be' pascoli, e di arabili campi; e l'Istmo di trentasette stadi era stato fortificato da un Generale Spartano, novecento anni prima del Regno di Giustiniano563. In un tempo di libertà e di valore, il più leggiero riparo può impedire una sorpresa; e sembra che Procopio non conosca la superiorità degli antichi tempi, allorchè loda la solida costruzione ed il doppio parapetto d'un muro, le lunghe braccia del quale s'estendevano da ambe le parti nel mare, ma di cui la forza fu creduta insufficiente a guardare il Chersoneso, se ogni Città e specialmente Gallipoli e Sesto, non si fossero assicurate con le particolari loro fortificazioni. La lunga muraglia, com'enfaticamente dicevasi, era un'opera tanto vergognosa per l'oggetto di essa, quanto rispettabile per l'esecuzione. Le ricchezze di una Capitale si spargono nella vicina Campagna: ed il territorio di Costantinopoli, ch'è un paradiso della Natura, era ornato con i lussuriosi giardini, e con le ville de' Senatori e degli opulenti Cittadini. Ma la lor opulenza non servì, che ad attirare gli arditi e rapaci Barbari; i più nobili dei Romani, che vivevano in seno ad una pacifica indolenza, furon condotti via schiavi dagli Sciti; ed il loro Sovrano potè dal suo Palazzo vedere le fiamme ostili, che insolentemente s'estesero fino alle porte della Città Imperiale. Anastasio fu costretto a stabilire un'ultima frontiera alla distanza di sole quaranta miglia da Costantinopoli; il lungo suo muro di sessanta miglia, dalla Propontide all'Eussino, manifestò l'impotenza delle sue armi; e siccome il pericolo divenne anche più imminente, dall'instancabil prudenza di Giustiniano, vi s'aggiunsero nuove fortificazioni564.
L'Asia minore, dopo che si furon sottomessi gl'Isauri565, restò senza nemici e senza fortificazioni. Questi audaci selvaggi, che avevano sdegnato di esser sudditi di Gallieno, continuarono per dugento trenta anni in una vita indipendente e rapace. I più intraprendenti Principi rispettarono la fortezza di quelle montagne, e la disperazione dei loro abitanti; il feroce loro animo veniva ora mitigato co' doni, ora tenuto in freno col terrore, ed un Conte militare con tre legioni fissò la sua permanente ed ignominiosa stazione nel cuore delle Province romane566. Ma appena si rilassava, o si distraeva la vigilanza della forza, scendevano gli squadroni leggiermente armati da' colli, ed invadevano la pacifica opulenza dell'Asia. Quantunque gl'Isauri non fosser notabili per la loro statura o valore, il bisogno gli rese arditi, e l'esperienza gli abilitò nell'esercizio della guerra predatoria. Con silenzio e velocità s'avanzavano ad attaccare i villaggi e castelli senza difesa; le volanti lor truppe talvolta sono arrivate fino all'Ellesponto, all'Eussino, ed alle porte di Tarso, d'Antiochia, o di Damasco567; e se ne mettevano in sicuro le spoglie nelle inaccessibili loro montagne, prima che le Truppe romane avesser ricevuto i lor ordini, o la distante Provincia saccheggiata, calcolato avesse il suo danno. Il delitto di ribellione e di latrocinio gli facea distinguere da' nemici nazionali: ed erasi ordinato a' Magistrati, per mezzo d'un Editto, che il processo o la punizione d'un Isauro anche nella solennità di Pasqua fosse un atto meritorio di giustizia e di pietà568. Se i prigionieri di quella Nazione si condannavano alla domestica schiavitù, con la loro spada o pugnale sostenevano le private contese de' loro padroni; e si trovò espediente, per la pubblica tranquillità, di proibire il servizio di tali pericolosi domestici. Quando per altro montò sul trono Tarcalisseo o Zenone loro compatriotto, invitò una fedele e formidabil truppa d'Isauri, che insultaron la Corte e la Città, e furon premiati con un annuo tributo di cinquemila libbre d'oro. Ma le speranze di fortuna spopolarono le montagne, il lusso snervò la durezza degli animi e de' corpi loro, ed a misura che si frammischiaron con gli uomini, divennero meno capaci di godere la povera e solitaria lor libertà. Morto Zenone, Anastasio suo successore soppresse le loro pensioni, gli espose alla vendetta del Popolo, gli bandì da Costantinopoli, e si apparecchiò a fare una guerra che lasciava loro solamente l'alternativa di vincere o di servire. Un fratello del defunto Imperatore usurpò il titolo d'Augusto; ne fu sostenuta efficacemente la causa dalle armi, da' tesori e da' magazzini raccolti da Zenone; ed i nativi dell'Isauria dovevan formare la più piccola parte de' cento cinquantamila Barbari, che militavano sotto le sue bandiere, le quali furono per la prima volta santificate dalla presenza d'un Vescovo combattente. Le disordinate loro milizie furono vinte nelle pianure della Frigia dal valore e dalla disciplina de' Goti; ma una guerra di sei anni quasi esaurì tutto il coraggio dell'Imperatore569. Gl'Isauri si ritirarono alle loro montagne; le loro Fortezze una dopo l'altra furono assediate e distrutte; fu tagliata la comunicazione, ch'essi avevan col mare; i più bravi de' loro Capitani morirono in battaglia; quelli che sopravvissero, avanti la loro esecuzione furon tratti in catene per l'Ippodromo; si trapiantò nella Tracia una colonia de' loro giovani, ed il restante del Popolo si sottopose al Governo Romano. Passarono però alcune generazioni prima che i loro animi si adattassero alla schiavitù. I popolati villaggi del monte Tauro eran pieni di soldati a cavallo e di arcieri; essi resistevano in vero all'imposizion de' tributi, ma somministravano reclute agli eserciti di Giustiniano, ed i suoi Magistrati Civili, come il Proconsole di Cappadocia, il Conte d'Isauria, ed i Pretori di Licaonia e di Pisidia, eran forniti di forza militare per frenare la licenziosa pratica delle rapine e degli assassini570.
Se diamo un'occhiata dal Tropico fino alla bocca del Tanai, potremo da una parte osservare le precauzioni di Giustiniano per reprimere i selvaggi dell'Etiopia571, e dall'altra le lunghe muraglie, ch'ei costruì nella Crimea per difesa de' Goti suoi amici, che formavano una colonia di tremila pastori e guerrieri572. Da quella Penisola fino a Trebisonda, erasi assicurata la curva orientale dell'Eussino per mezzo di Fortezze, di alleanze, o della Religione, ed il possesso di Lazica, ch'è il Colco dell'antica Geografia e la Mingrelia della moderna, divenne tosto l'oggetto d'una importante guerra. Trebisonda, in seguito sede d'un Impero romanzesco, dovè alla liberalità di Giustiniano una chiesa, un acquedotto, ed una Fortezza, di cui le fosse tagliate furono nella viva pietra. Da questa Città marittima può tirarsi fino alla Fortezza di Circesio, ultima stazione Romana sull'Eufrate573, una linea di confine di cinquecento miglia. Immediatamente sopra Trebisonda, per cinque giorni di cammino verso il mezzodì, è occupato il Paese da folti boschi e da monti scoscesi, tanto ispidi, quantunque non tanto alti, quanto le Alpi ed i Pirenei. In questo rigido clima574, dove rade volte si fondon le nevi, i frutti vengono tardi e senza sapore, fino il mele è velenoso, la più industriosa cultura si dovea limitare ad alcune piacevoli valli; e le tribù pastorali ricavavano uno scarso sostentamento dalla carne, e dal latte de' loro armenti. I Calibi575 traevano il nome e l'indole della ferrea qualità del suolo; e fino dal tempo di Ciro potevan allegare, sotto le varie denominazioni di Caldei e di Zanj, una prescrizione non interrotta di guerra e di rapina. Al tempo di Giustiniano essi riconobbero il Dio e l'Imperatore de' Romani, e furono fabbricate sette Fortezze ne' luoghi più accessibili per rispingere l'ambizione del Monarca Persiano576. La principal sorgente dell'Eufrate viene dalle Montagne de' Calibi, e sembra che scorra verso l'Occidente e l'Eussino; piegando poi questo fiume al sud-ovest passa sotto le mura di Satala o Melitene (che furono restaurate da Giustiniano come baloardi dell'Armenia Minore), ed appoco appoco s'accosta al mare Mediterraneo; finattantochè impedito dal Monte Tauro577, alla fine dirige il lungo e tortuoso suo corso al sud-est, ed al Golfo Persico. Fra le Città Romane di là dall'Eufrate ne distinguiamo due fondate recentemente, ch'ebbero il nome da Teodosio e dalle reliquie de' Martiri; e due Capitali, Amida ed Edessa, che sono celebri nell'Istoria di tutti i tempi. Alla pericolosa lor situazione Giustiniano proporzionar ne volle la forza. Un fosso ed una palizzata potea servire alla forza indisciplinata della cavalleria Scitica; ma richiedevansi opere più elaborate per sostenere un regolare assedio contro le armi ed i tesori del gran Re. Gli abili suoi Ingegneri sapevano le maniere di fare profonde mine e d'innalzar piattaforme al livello delle mura; egli scuoteva i più forti edifizi con le sue macchine militari; ed alle volte avanzavasi all'assalto con una linea di mobili torri sul dorso degli Elefanti. Nelle gran Città dell'Oriente, lo svantaggio della distanza e forse anche della situazione, veniva compensato dallo zelo del Popolo, che secondava la guarnigione in difesa della patria e della Religione, e la favolosa promessa del Figlio di Dio, ch'Edessa non sarebbe mai stata presa, empieva i Cittadini di valorosa fiducia, e scoraggiava e rendeva dubbiosi gli assediatori578. Furono diligentemente fortificate le minori Città dell'Armenia e della Mesopotamia, ed i posti che sembravano dominare sulla terra o sull'acqua, contenevano molti Forti fabbricati regolarmente di pietra o più in fretta con i più comuni materiali di terra e di mattoni. L'occhio di Giustiniano investigava ogni luogo, e le sue crudeli precauzioni tiravan la guerra anche in quelle remote valli; i pacifici abitanti delle quali, collegati fra loro per mezzo del commercio e del matrimonio, ignoravano le discordie delle Nazioni, e le querele de' Principi. All'occidente dell'Eufrate un arenoso deserto s'estende più di sei cento miglia fino al Mar Rosso. La Natura aveva frapposto una vuota solitudine fra l'ambizione di due Imperi emuli fra di loro; gli Arabi, fino al tempo di Maometto, non furon formidabili, che come ladroni, e nell'alta sicurezza della pace si trascurarono le fortificazioni della Siria nel lato più esposto.
Ma l'inimicizia nazionale, o almeno gli effetti di tale inimicizia si eran sospesi mediante una tregua, che continuò più di quarant'anni. Un Ambasciatore dell'Imperator Zenone accompagnò il temerario ed infelice Peroze nella sua spedizione contro i Neptaliti, ovvero Unni Bianchi, le conquiste de' quali si erano estese dal Mar Caspio nel cuore dell'India, della quale il trono rilucea di smeraldi579, e la cavalleria sostenevasi da una linea di duemila elefanti580. I Persiani furono due volte circondati in una situazione che rendeva inutile il valore, ed impossibil la fuga; e fu compita la doppia vittoria degli Unni per mezzo d'uno stratagemma militare. Essi rilasciarono il regio lor prigioniero, dopo ch'egli si fu sottomesso ad adorare la maestà d'un Barbaro; nè servì ad evitare tal umiliazione la casuistica sottigliezza dei Magi, che istruiron Peroze a diriger la sua intenzione al Sole nascente. Lo sdegnato successore di Ciro dimenticò il suo pericolo e la gratitudine, rinnovò con ostinato furore l'attacco, e vi perdè l'esercito non men che la vita581. La morte di Peroze abbandonò la Persia a' suoi esterni e domestici nemici; e passarono dodici anni di confusione, prima che il suo figlio Cabade, o Kobad potesse formare alcun disegno d'ambizione o di vendetta. La disobbligante parsimonia di Anastasio fu il motivo o il pretesto d'una guerra coi Romani582; marciarono sotto le bandiere de' Persiani gli Unni e gli Arabi; e le fortificazioni dell'Armenia e della Mesopotamia erano allora in una condizione imperfetta o rovinosa. L'Imperatore ringraziò il Governatore ed il Popolo di Martiropoli per aver subito reso una Città, che non poteva difendersi con buon successo, e l'incendio di Teodosiopoli potea giustificar la condotta dei prudenti di lei vicini. Amida sostenne un lungo e rovinoso assedio: al termine di tre mesi la perdita di cinquantamila soldati di Cabade non era bilanciata da verun prospetto di buon successo; ed in vano i Magi deducevano una lusinghiera predizione dall'indecenza delle donne, che dalle mura avevano esposte le più segrete lor parti agli occhi degli assedianti. Una notte alla fine tacitamente salirono sulla torre più accessibile, che non era guardata che da alcuni Monaci oppressi, dopo le funzioni d'una solennità, dal sonno e dal vino. Allo spuntar del giorno, furono applicate le scale alle mure, la presenza di Cabade, il terribile suo comando, e la sua spada sguainata costrinsero i Persiani a vincere, e prima che quella fosse rimessa nel fodero, ottantamila abitanti avevano espiato il sangue de' loro compagni. Dopo l'assedio d'Amida, la guerra continuò per tre anni, e l'infelice frontiera provò tutto il peso delle calamità, che essa apporta. Troppo tardi fu offerto l'oro d'Anastasio; il numero delle sue truppe era distrutto dal numero de' loro Generali; la Campagna restò spogliata de' suoi abitatori; e tanto i vivi, quanto i morti abbandonati furono alle fiere del deserto. La resistenza d'Edessa, e la mancanza di preda fece piegar l'animo di Cabade alla pace: ei vendè le sue conquiste a un prezzo esorbitante; e la medesima linea di confine, quantunque segnata di stragi e di devastazioni, continuò a separare i due Imperi. Per evitare simili danni, Anastasio risolvè di fondare una nuova Colonia sì forte, che sfidar potesse la potenza Persiana, e sì avanzata verso l'Assiria, che le stazionarie sue truppe fosser capaci di difendere la Provincia, mediante la minaccia o l'esecuzione d'una guerra offensiva. A tale oggetto fu popolata ed ornata la Città di Dara583 distante quattordici miglia da Nisibi, e quattro giornate di cammino dal Tigri; le precipitose opere d'Anastasio furono migliorate dalla perseveranza di Giustiniano; e senza fermarci su piazze meno importanti, le fortificazioni di Dara possono rappresentarci l'Architettura militare di quel secolo. Fu circondata la Città da due muri, e lo spazio ch'era fra questi di cinquanta passi, serviva di ritirata al bestiame degli assediati. La muraglia di dentro era un monumento di forza e di bellezza: s'alzava questa sessanta piedi sopra il suolo, e l'altezza delle torri era di cento piedi; i fori, dai quali poteva offendersi il nemico con armi da lanciare, erano piccoli, ma numerosi; i soldati stavano lungo il ramparo difesi da una doppia galleria, ed alzavasi una terza piattaforma, spaziosa e sicura, sopra la sommità delle torri. Il muro esteriore par che fosse meno alto, ma più solido; ed ogni torre era difesa da un baloardo quadrangolare. Un terreno duro e sassoso impediva i lavori delle mine, ed al sud-est, dove il suolo era più trattabile, venivano ritardati da una overa nuova, che s'avanzava in forma di mezza luna. I fossi duplicati, e triplicati eran pieni d'acqua corrente; e si profittò con la massima industria della comodità del fiume per supplire ai bisogni degli abitanti, per inquietar gli assalitori, e per impedire i danni d'una naturale o artificiale inondazione. Dara continuò più di sessant'anni a secondar le mire dei suoi fondatori, ed a provocar la gelosia dei Persiani, che non lasciavano di lagnarsi, che si era costruita quell'inespugnabil Fortezza con una manifesta violazione del Trattato di pace fatto fra' due Imperi.
Le Province di Colco, d'Iberia, e d'Albania fra l'Eussino ed il Caspio sono intersecate per ogni verso dalle diramazioni del monte Caucaso; e nella geografia, tanto degli antichi quanto de' moderni, si sono spesse volte confuse fra loro le due principali Porte, o passi, che vanno dal settentrione al mezzodì. Si è dato il nome di Porte Caspie o d'Albania propriamente a Derbend584, che occupa un breve declive fra le montagne ed il mare: questa Città, se prestiam fede alla tradizione del luogo, fu fondata da' Greci; e questo pericoloso ingresso venne fortificato da' Re di Persia con un molo, con doppie mura, e con porte di ferro. Le porte Iberie585 si formano da uno stretto passo di sei miglia nel monte Caucaso, che dal lato settentrionale dell'Iberia o della Georgia, s'apre nella pianura, che s'estende fino al Tanai ed al Volga. Una Fortezza, destinata forse da Alessandro, o da alcuno de suoi successori a dominare quell'importante posto, era pervenuta per diritto di conquista o d'eredità in un Principe Unno, che l'offerì per un moderato prezzo all'Imperatore; ma mentre Anastasio indugiava, mentre ne calcolava timidamente il prezzo e la distanza, vi si frappose un più vigilante rivale, e Cabade occupò per forza quel passaggio del Caucaso. Le porte Albanesi, ed Iberie escludevano la cavalleria degli Sciti dalle strade più brevi e più praticabili, e tutta la fronte de' monti era coperta dal riparo di Gog e Magog, o sia dalla lunga muraglia, ch'eccitò la curiosità d'un Califfo Arabo586 e d'un Conquistatore Russo587. Secondo una descrizione recente sono artificialmente unite insieme senza ferro o cemento alcuno molte gran pietre, grosse sette piedi, e lunghe o alte ventuno, per formare un muro, che dura più di trecento miglia dai lidi di Derbend sopra i monti, e per le valli del Daghestan e della Giorgia. Un'opera tale potea intraprendersi senz'alcuna visione dalla Politica di Cabade; e senz'alcun prodigio potè compirsi dal suo figlio, sì formidabile, a' Romani sotto il nome di Cosroe, e così caro agli Orientali sotto quello di Nushirwan. Il Monarca Persiano aveva in mano le chiavi sì della pace che della guerra; ma in ogni Trattato egli stipulava che Giustiniano contribuisse alla spesa della comune Barriera, che difendeva ugualmente i due Imperi dalle scorrerie degli Sciti588.
VII. Giustiniano soppresse le scuole d'Atene, ed il Consolato di Roma, che avevano dato al Mondo tanti Saggi ed eroi. Ambedue queste Istituzioni erano da gran tempo degenerate dalla primitiva lor gloria; pure si può con ragione dar qualche taccia d'avarizia e di gelosia ad un Principe, per mano del quale furon distrutti que' venerabili avanzi.
Atene, dopo i trionfi Persiani, adottò la Filosofia della Jonia, e la Rettorica della Sicilia; e tali studj divennero il patrimonio di una Città, gli abitanti della quale, ascendenti a circa trentamila maschi, condensarono nel periodo d'una sola generazione il genio di molti secoli, e di molti milioni di uomini. Il sentimento, che abbiamo della dignità della natura umana s'esalta alla semplice riflessione, che Isocrate589 fu compagno di Platone e di Senofonte; ch'ei si trovò presente, forse insieme coll'Istorico Tucidide, alle prime rappresentazioni dell'Edipo di Sofocle, e della Ifigenia d'Euripide; ed i suoi allievi, Eschine e Demostene, contesero per la corona del patriottismo alla presenza d'Aristotele, Maestro di Teofrasto, che insegnò in Atene al tempo de' Fondatori della Setta Stoica e dell'Epicurea590. L'ingenua gioventù dell'Attica godeva i vantaggi della domestica educazione, che fu comunicata senza invidia alle Città sue rivali. Duemila scolari udirono le lezioni di Teofrasto591; le scuole di Rettorica dovevano essere anche più numerose di quelle di Filosofia; ed una rapida successione di studenti sparse la fama dei loro Maestri fino agli ultimi confini dell'idioma e del nome Greco. Questi confini furono estesi dalle vittorie di Alessandro; le arti d'Atene sopravvissero alla libertà, e al dominio di essa; e le Colonie Greche, da' Macedoni piantate nell'Egitto, e sparse per l'Asia, intrapresero de' lunghi e frequenti pellegrinaggi per venerare le Muse del favorito lor tempio sulle rive dell'Elisso. I conquistatori Latini rispettosamente ascoltavano le istruzioni de' loro sudditi e prigionieri; furono registrati nelle scuole d'Atene i nomi di Cicerone e d'Orazio; e dopo il perfetto stabilimento del Romano Impero, gl'Italiani, gli Affricani e i Britanni conversarono ne' boschetti dell'Accademia coi loro condiscepoli Orientali. Gli studj della Filosofia e dell'Eloquenza s'accordano col genio d'uno Stato popolare, che incoraggisce la libertà delle ricerche, e non si sottomette che alla forza della persuasione. Nelle Repubbliche di Grecia e di Roma l'arte di parlare era la potente macchina del patriottismo o della ambizione, e le scuole di Rettorica somministrarono una colonia di Politici e di Legislatori. Quando fu soppressa la libertà delle pubbliche discussioni, l'Oratore potè nell'onorevole impiego d'Avvocato difendere la causa dell'innocenza e della giustizia; potè abusare de' suoi talenti nella più lucrosa negoziazione de' panegirici; e gli stessi precetti continuarono a dettare le fantastiche declamazioni del Sofista, e le più pure bellezze della composizione Istorica. I sistemi, che si proponevano di scuoprir la natura di Dio, dell'Uomo e dell'Universo, occupavano la curiosità dello studente filosofico; e secondo l'indole della sua mente poteva o dubitar con gli Scettici, o decidere con gli Stoici, o levarsi con Platone alle sublimi speculazioni, o rigorosamente argomentare con Aristotele. L'orgoglio delle contrarie Sette avea stabilito un termine inaccessibile della morale felicità e perfezione: ma la strada per giungervi era gloriosa e salutare; gli scolari di Zenone, e quelli anche d'Epicuro venivano istruiti tanto ad agire quanto a soffrire; e la morte di Petronio fu efficace non meno che quella di Seneca ad umiliare un tiranno, manifestando la sua impotenza. Infatti la luce della scienza non potè limitarsi alle mura d'Atene. Gl'incomparabili suoi Scrittori s'indirizzarono all'uman Genere; si trasferirono de' Maestri ancor viventi nell'Italia, e nell'Asia; Berito ne' tempi posteriori fu consacrato allo studio della Legge; l'Astronomia e la Fisica si coltivarono nel Museo d'Alessandria; ma le scuole Attiche di Rettorica e di Filosofia mantennero la superiore lor fama, dalla guerra del Peloponeso fino al Regno di Giustiniano. Atene, quantunque situata in un suolo sterile, aveva però un'aria pura, una libera navigazione ed i monumenti delle arti antiche; quel sacro ritiro veniva raramente disturbato dagli affari del commercio o del Governo: e l'infimo degli Ateniesi distinguevasi per i vivaci suoi sali, per la purità del suo gusto e linguaggio, per le socievoli maniere, e per alcuni vestigi, almeno nel discorso, della magnanimità de' suoi Padri. Ne' sobborghi della Città l'Accademia de' Platonici; il Liceo de' Peripatetici, il Portico degli Stoici, ed il Giardino degli Epicurei erano sparsi di alberi, e decorati di statue; ed i Filosofi, invece di star rinchiusi in un Chiostro, davano le loro lezioni in piacevoli e spaziosi viali, che in diverse ore si destinavano agli esercizi dell'animo e del corpo. In quelle venerabili sedi vivea tuttavia il genio de' Fondatori; l'ambizione di succedere ai Maestri della ragione umana eccitava una generosa emulazione: e ad ogni vacanza si determinava il merito de' candidati da' liberi voti di un Popolo illuminato. I Professori Ateniesi eran pagati da' loro discepoli: secondo i vicendevoli bisogni e l'abilità loro, sembra, che il prezzo variasse da una mina fino ad un talento; e lo stesso Isocrate, che deridea l'avarizia de' Sofisti, esigeva nella sua scuola di Rettorica circa trenta lire sterline da ciascheduno dei cento suoi allievi. Le rimunerazioni dell'industria son giuste ed onorevoli; pure il medesimo Isocrate sparse lacrime al primo ricever che fece d'uno stipendio; lo Stoico doveva arrossire, quando si vedeva pagato per predicare il disprezzo del danaro; e mi dispiacerebbe di scuoprire, che Aristotile o Platone fossero talmente deviati dall'esempio di Socrate, che cambiato avesser le cognizioni per l'oro. Ma con la permissione delle Leggi, e per i legati di vari amici defunti, furono assegnate delle possessioni di terre e di case alle Cattedre filosofiche d'Atene. Epicuro lasciò a' suoi scolari i Giardini che egli aveva comprato per ottanta mine, o per dugento cinquanta lire sterline con un fondo sufficiente per la frugale lor sussistenza e per le solennità mensuali592; ed il patrimonio di Platone somministrò un'annua rendita, che in otto secoli appoco appoco s'accrebbe da tre fino a mille monete d'oro593. Le scuole d'Atene furon protette dal più saggio e virtuoso fra' Principi Romani; la libreria che fondò Adriano, fu collocata in un Portico adorno di pitture, di statue, e d'un tetto d'alabastro, e sostenuto da cento colonne di marmo Frigio. L'animo generoso degli Antonini assegnò de' pubblici stipendi; ed ogni Professore di Politica, di Rettorica e di Filosofia Platonica, Peripatetica, Stoica ed Epicurea ne aveva uno di diecimila dramme, o di più di trecento lire sterline594. Dopo la morte di Marco, questi liberali doni, ed i privilegi annessi alle Cattedre delle scienze, furono aboliti e restaurati, diminuiti ed estesi; e sotto i successori di Costantino possono anche trovarsi dei vestigi di Real bontà; ma l'arbitraria loro scelta di qualche indegno soggetto potè indurre i Filosofi di Atene a desiderare i tempi d'indipendenza e di libertà595. Egli è da osservarsi che l'imparzial favore degli Antonini fu accordato ugualmente alle quattro fra loro contrarie Sette di Filosofi, ch'essi risguardarono come ugualmente utili, o almeno come ugualmente innocenti. Socrate negli antichi tempi era stato la gloria e la vergogna del suo Paese; e le prime lezioni di Epicuro scandalizzaron talmente le pie orecchie degli Ateniesi, che mediante l'esilio di esso e de' suoi Antagonisti poser silenzio a tutte le vane dispute intorno alla natura degli Dei. Ma nel seguente anno rivocarono quel precipitoso decreto, restituirono la libertà delle scuole, e si convinsero con l'esperienza de' secoli, che nel moral carattere dei Filosofi non influisce la diversità delle Teologiche loro speculazioni596.
Alle scuole d'Atene furon meno fatali le armi dei Goti, che lo stabilimento d'una nuova Religione, i Ministri della quale impedivano l'esercizio della ragione, risolvevano ogni questione con un articolo di fede, e condannavano l'infedele o lo scettico ad eterne fiamme. In molti volumi di laboriose controversie i medesimi esposero la debolezza dell'intelletto, e la corruzione del cuore, insultarono la natura umana nei Savi dell'antichità, e condannarono lo spirito di ricerca Filosofica tanto ripugnante alla dottrina, o almeno al carattere d'un umil credente. La setta che restava dei Platonici, e che Platone si sarebbe vergognato di riconoscer per sua, fece uno stravagante miscuglio di una sublime teoria con la pratica della superstizione e della magia; e siccome questi rimasero soli in mezzo ad un Mondo cristiano, fomentarono un segreto rancore contro il governo della Chiesa e dello Stato, che tenevano sempre sospesi i rigori sulle lor teste. Circa un secolo dopo il Regno di Giuliano597, fu permesso a Proclo598 d'insegnare nella Cattedra filosofica dell'Accademia, e tale fu la sua industria, che spesso pronunziò nel medesimo giorno cinque lezioni, e compose settecento versi. La sagace sua mente esplorò le più profonde questioni della morale e della metafisica, e s'avventurò a proporre diciotto argomenti contro la dottrina Cristiana della creazione del Mondo. Ma negli intervalli di tempo che gli lasciava lo studio, ei diceva di conversare personalmente con Pane, con Esculapio e con Minerva, ne' misteri de' quali era segretamente iniziato, e de' quali adorava le abbattute statue nella devota persuasione che il Filosofo, ch'è un cittadino dell'Universo, dovesse essere il sacerdote delle sue varie divinità. Un ecclisse del Sole annunciò la prossima di lui morte; e la sua vita con quella di Isidoro suo scolare599, compilate da due de' loro più dotti discepoli, presentano una deplorabil pittura della seconda puerizia della ragione umana. Pure l'aurea catena, com'era enfaticamente chiamata, della successione Platonica continuò per altri quarantaquattro anni, dalla morte di Proclo fino all'Editto di Giustiniano600, che impose un perpetuo silenzio alle scuole d'Atene, ed eccitò il dispiacere e lo sdegno de' pochi che vi rimanevano devoti della scienza e della superstizione greca. Sette amici e filosofi, Diogene, Ermia, Eulalio, Prisciano, Damascio, Isidoro e Simplicio, che dissentivano dalla Religione del loro Sovrano presero la risoluzione di cercare in un Paese straniero quella libertà, che loro negavasi nella propria Patria. Essi avevano udito dire, ed avevan bonariamente creduto, che si fosse realizzata la Repubblica di Platone nel dispotico Governo di Persia, che ivi regnasse un Re patriottico sulla più felice e virtuosa delle Nazioni. Ma restaron ben presto sorpresi quando in fatti trovarono, che la Persia era simile agli altri paesi del globo; che Cosroe, il quale affettava il nome di Filosofo, era vano, crudele ed ambizioso: che fra i Magi dominava la bacchettoneria e lo spirito d'intolleranza; che i Nobili eran superbi, i Cortigiani servili, ed i Magistrati ingiusti; che il reo talvolta fuggiva la pena, e che l'innocente soventi fiate era oppresso. Defraudati i Filosofi nella loro espettativa, trascurarono le reali virtù de' Persiani, e furono scandalizzati più di quel che forse conveniva alla lor professione, della plurità delle mogli e concubine, de' matrimoni incestuosi, e dell'uso di lasciar esposti i cadaveri a' cani ed agli avvoltoi, invece di seppellirli sotto terra o di consumarli col fuoco. Un precipitoso ritorno dimostrò il lor pentimento, e dichiararono altamente che sarebber piuttosto morti su' confini dell'Impero, che goder la ricchezza ed il favore del Barbaro. Da questo viaggio nonostante essi trassero un vantaggio, che riflette il lustro più puro sul carattere di Cosroe. Ei domandò, che i sette Savi che avevan visitato la Corte di Persia, fossero liberi dalle leggi penali, che Giustiniano avea fatte contro i Pagani suoi sudditi; e tal privilegio, espressamente stipulato in un trattato di pace, fu mantenuto, attesa la vigilanza d'un potente mediatore601. Simplicio ed i suoi compagni terminaron la vita in pace e nell'oscurità; e non avendo lasciato discepoli, finisce in essi la lunga lista de' Filosofi Greci, che nonostanti i loro difetti possono giustamente lodarsi come i più saggi e virtuosi fra' loro contemporanei. Gli scritti di Simplicio tuttavia esistono: i suoi Commentari fisici e metafisici sopr'Aristotele col tempo sono andati in disuso, ma la sua interpretazione morale d'Epitteto si conserva nelle Biblioteche delle Nazioni come un libro classico il più acconcio a diriger la volontà, a purificare il cuore ed a consolidar l'intelletto, mediante una giusta fidanza nella natura tanto di Dio quanto dell'uomo.