Kitabı oku: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 7», sayfa 15
Verso quel tempo, in cui Pitagora inventò il nome di Filosofo, ebbe origine in Roma da Bruto il vecchio la libertà ed il Consolato. Nella presente Storia si sono a' suoi luoghi esposte le rivoluzioni dell'ufizio Consolare che può risguardarsi ne' successivi aspetti d'un corpo reale, d'un'ombra e d'un nome. I primi Magistrati della Repubblica erano stati eletti dal Popolo per esercitare nel Senato e nel Campo i diritti della pace e della guerra, che poi si trasferirono negl'Imperatori; ma la tradizione dell'antica dignità fu per lungo tempo rispettata da' Romani e da' Barbari. Un Istorico Goto applaudisce il Consolato di Teodorico quasi l'apice d'ogni temporal gloria e grandezza602; l'istesso Re d'Italia si congratula con quegli annui favoriti della fortuna, che godevano lo splendore senza le cure del Trono; ed in capo a mille anni si creavano tuttavia da' Sovrani di Roma e di Costantinopoli due Consoli al sol oggetto di dare una data all'anno ed una festa al Popolo. Ma le spese di questa festa, nelle quali l'opulento e vano titolare aspirava a sorpassare i suoi predecessori, appoco appoco s'accrebbero sino all'enorme somma di ottantamila lire sterline; i Senatori più saggi evitavano un inutile onore che portava seco la certa rovina delle loro Famiglie; ed a questa ripugnanza attribuirei le frequenti lacune che si trovano negli ultimi tempi de' Fasti consolari. I Predecessori di Giustiniano avevano sostenuto col pubblico tesoro la dignità de' candidati meno ricchi; ma l'avarizia di questo Principe antepose il meno dispendioso e più conveniente metodo dell'ammonizione e della regola603. Al numero di sette Processioni o spettacoli il suo Editto limitava le corse di cavalli e di cocchi, i divertimenti atletici, la musica ed i pantomimi del teatro, la caccia delle fiere; e piccole monete d'argento furono prudentemente sostituite alle medaglie d'oro che avevano sempr'eccitato il tumulto e l'ebrietà, quando venivano sparse a larga mano fra la plebe. Nonostanti queste precauzioni ed il suo proprio esempio, cessò finalmente la successione de' Consoli nell'anno decimo terzo di Giustiniano, il carattere dispotico del quale probabilmente gradì la tacita estinzione di un titolo, che rammentava a' Romani la antica lor libertà604. Pure tuttavia sussisteva il Consolato annuo nelle menti del Popolo; esso ansiosamente aspettava la pronta di lui restaurazione; applaudì alla graziosa condiscendenza de' successivi Principi, da' quali fu assunto nel primo anno del loro Regno; e passarono dopo la morte di Giustiniano tre secoli, prima che quell'antiquata dignità, ch'era stata già soppressa dall'uso, potesse abolirsi per Legge605. All'imperfetta maniera di distinguere ogni anno col nome d'un Magistrato, fu vantaggiosamente supplito con la data d'un'Era permanente: i Greci adottarono la creazione del Mondo, secondo la version de' Settanta606, ed i Latini, dal Secolo di Carlo Magno in poi, hanno computato il lor tempo dalla nascita di Cristo607.
CAPITOLO XLI
Conquiste di Giustiniano in Occidente. Carattere, e prime campagne di Belisario. Esso invade e soggioga il Regno Vandalico in Affrica. Suo trionfo. Guerra Gotica. Ricupera la Sicilia, Napoli e Roma. Assedio di Roma fatto da' Goti. Ritirata, e perdite de' medesimi. Resa di Ravenna. Gloria di Belisario. Sua vergogna, e disgrazie domestiche.
Quando Giustiniano salì sul trono, circa cinquant'anni dopo la caduta dell'Impero di Occidente, i Regni de' Goti e de' Vandali avevano acquistato un solido e, per quanto potrebbe sembrare, legittimo stabilimento sì in Europa, che in Affrica. I titoli che la vittoria Romana erasi attribuita, furono con ugual giustizia cancellati dalla spada de' Barbari; e la fortunata loro rapina trasse un più venerabil diritto dal tempo, dai trattati e da' giuramenti di fedeltà ripetuti già da due o tre generazioni di ubbidienti sudditi. L'esperienza ed il Cristianesimo avevan confutato la superstiziosa speranza, che Roma fosse fondata dagli Dei per regnare in perpetuo sulle Nazioni della Terra. Ma la superba pretensione di perpetuo ed invulnerabil dominio che i suoi soldati non poteron più sostenere fu costantemente difesa da' suoi Politici e Giureconsulti, le opinioni de' quali son talvolta risorte e si son propagate nelle moderne scuole di Giurisprudenza. Dopo che la stessa Roma fu spogliata della Porpora Imperiale, i Principi di Costantinopoli assunsero il solo e sacrato scettro della Monarchia; dimandarono come legittima loro eredità le Province, che erano state soggiogate da' Consoli o possedute da' Cesari; e debolmente aspiravano a liberare i fedeli lor sudditi d'Occidente dall'usurpazione degli Eretici e dei Barbari. A Giustiniano fu riservata in qualche parte l'esecuzione di questo splendido disegno. Per i primi cinque anni del suo Regno esso fece con ripugnanza una dispendiosa e svantaggiosa guerra contro i Persiani, finattantochè l'orgoglio non cedè all'ambizione di esso e comprò al prezzo di quattrocento quarantamila lire sterline una precaria tregua, che nel linguaggio di ambedue le Nazioni fu decorata col nome d'eterna pace. La sicurezza dell'Oriente lasciò l'Imperatore in libertà d'impiegar le sue forze contro i Vandali; e lo stato interno dell'Affrica somministrò un onorevol motivo, e promise un efficace aiuto alle armi Romane608.
Il Regno Affricano, secondo il testamento del suo Fondatore, era per retta linea pervenuto in Ilderico, maggiore in età fra' Principi Vandali. Una dolce indole fece inclinare il figlio d'un tiranno, ed il nipote d'un conquistatore a preferire i consigli di clemenza e di pace; ed il suo avvenimento al trono fu contrassegnato da un salutar editto, che restituì dugento Vescovi alle lor Chiese, e permise la libera professione del Simbolo Atanasiano609. Ma i Cattolici accettarono con fredda e passeggiera gratitudine un favore tanto inferiore alle lor pretensioni, e le virtù d'Ilderico offesero i pregiudizi de' suoi Nazionali. Il Clero Arriano cercò d'insinuare a' Vandali ch'egli aveva rinunziato alla fede de' suoi Maggiori, ed i soldati più altamente si dolsero, che avea degenerato dal coraggio di essi. Si sospettò ne' suoi Ambasciatori una segreta e vergognosa negoziazione alla Corte Bizantina: ed il suo Generale, che si chiamava l'Achille610 de' Vandali, perdè una battaglia contro i nudi e indisciplinati Mori. Gelimero, a cui l'età, l'origine e la fama militare dava un apparente diritto alla successione, esacerbò il mal contento: ei prese col consenso della Nazione le redini del Governo; ed il suo sfortunato Sovrano senza neppure un combattimento, precipitò dal trono in una prigione, dove fu rigorosamente guardato insieme con un fedel Consigliere, ed il suo malveduto nipote, l'Achille de' Vandali. Ma l'indulgenza che Ilderico avea dimostrato a' suoi sudditi Cattolici, lo raccomandò efficacemente al favore di Giustiniano, che per vantaggio della propria setta, poteva ammettere l'uso e la giustizia della tolleranza religiosa. Mentre il nipote di Giustino era tuttavia privato, si fomentò la loro alleanza col vicendevol commercio di doni e di lettere; e l'Imperator Giustiniano sostenne la causa della dignità reale e dell'amicizia. Egli ammonì l'usurpatore in due successive ambascierie a pentirsi del suo tradimento o almeno ad astenersi da ogni ulteriore violenza che provocar potesse l'ira di Dio, e de' Romani; a rispettare le leggi della parentela e della successione; ed a lasciar, che un uomo vecchio ed infermo terminasse in pace i suoi giorni, o sul trono di Cartagine, o nel palazzo di Costantinopoli. Le passioni, ovvero la prudenza di Gelimero lo costrinsero a rigettar queste domande, che venivan fatte con calore nell'altiero tuono di minacce e di comandi, ed ei giustificò la sua ambizione in un linguaggio, che di rado tenevasi alla Corte di Bizanzio, allegando il diritto, che aveva un Popolo libero di rimuovere o di punire il suo principal Magistrato che avea mancato nell'esecuzione dell'ufizio Reale. Dopo questa inutile intimazione il prigioniero Monarca fu trattato con più rigore; al suo nipote furono levati gli occhi, ed il crudel Vandalo, confidando nella sua forza e distanza derideva le vane minacce, ed i lenti preparativi dell'Imperatore d'Oriente. Giustiniano dunque risolvè di liberare, o vendicare il suo amico; Gelimero di sostener la sua usurpazione; e la guerra, secondo l'uso delle Nazioni incivilite, fu preceduta dalle più solenni proteste, che ciascheduna delle parti desiderava sinceramente la pace.
La notizia d'una guerra Affricana non fu grata che alla vana ed oziosa plebaglia di Costantinopoli di cui la povertà l'esentava da' tributi, e la poltroneria ben di rado l'esponeva al servizio militare. Ma i Cittadini più savi, che dal passato giudicavano del futuro, riflettevano all'immensa perdita, sì di uomini che di danaro, dall'Impero sofferta nella spedizione di Basilisco. Le truppe che dopo cinque laboriose Campagne si erano richiamate dalle frontiere della Persia, temevano il mare, il clima e le armi d'un incognito nemico. I ministri delle Finanze calcolavano, per quanto eran suscettibili di calcolo, i bisogni d'una guerra nell'Affrica; le tasse, che bisognava trovare ed esigere per supplire ai tali esorbitanti bisogni; ed il pericolo che le proprie lor vite, o almeno i loro lucrosi impieghi non fossero responsabili della mancanza di ciò ch'era necessario. Giovanni di Cappadocia, mosso da tali cagioni del proprio interesse (giacchè non può sopra di lui cadere il sospetto d'alcuna sorte di zelo del pubblico bene), si avventurò ad opporsi in pieno consiglio alle inclinazioni del suo Signore. Confessò in vero, che una vittoria di tale importanza non potea mai comprarsi a troppo caro prezzo; ma ne rappresentò in un grave discorso le difficoltà certe, e l'incerto evento. «Se intraprendete, disse il Prefetto, l'assedio di Cartagine per terra, la distanza non è minore di cento quaranta giorni di cammino, e per mare bisogna che passi un intero anno611, prima che voi possiate avere alcuna nuova della vostra flotta. Soggiogando l'Affrica, essa non potrebbe conservarsi senza la conquista anche della Sicilia, e dell'Italia. Il buon successo vi obbligherà a nuovi travagli; ed una sola disgrazia attirerà i Barbari nel cuore dell'esausto vostro Impero». Giustiniano sentì il peso di questo salutevol consiglio; restò confuso dall'insolita libertà di un ossequioso servo; e forse si sarebbe abbandonato il disegno di far quella guerra, se non si fosse ravvivato il suo coraggio da una voce, che fece tacere i dubbi della profana ragione: «Ho avuto una visione (gridò un artificioso o fanatico Vescovo d'Oriente): è volere del Cielo, o Imperatore, che non abbandoniate la vostra santa impresa di liberare la Chiesa Affricana. Il Dio degli Eserciti precederà le vostre bandiere, e dispergerà i vostri nemici che sono i nemici del suo Figlio». L'Imperatore potè facilmente tentarsi, ed i suoi consiglieri furon costretti a dar fede a questa opportuna rivelazione: ma essi trassero una più ragionevole speranza dalla rivolta, che gli aderenti di Ilderico o Atanasio avevano già eccitato a' confini della Monarchia Vandalica. Pudenzio, suddito affricano, aveva segretamente manifestato le sue fedeli intenzioni, ed un piccol soccorso militare fece tornar la Provincia di Tripoli all'ubbidienza de' Romani. Era stato affidato il Governo di Sardegna a Goda, valoroso Barbaro, che sospese il pagamento del tributo, negò di prestar omaggio all'usurpatore, e diede orecchio agli emissari di Giustiniano, che lo trovaron padrone di quella fertile Isola, alla testa delle sue guardie, e superbamente rivestito delle insegne Reali. Si diminuiron le forze dei Vandali dalla discordia e dal sospetto; e gli eserciti Romani furono animati dal coraggio di Belisario, uno di que' nomi eroici, che son cogniti ad ogni tempo e ad ogni Nazione.
L'Affricano della nuova Roma era nato, e forse educato fra' contadini della Tracia612 senz'alcuno di quei vantaggi, che avea formato le virtù del vecchio e del giovine Scipione, quali sono un'origine nobile, gli studj liberali, e l'emulazione d'uno stato libero. Il silenzio d'un loquace Segretario si può ammetter come una prova, che la gioventù di Belisario non potè somministrare alcun soggetto di lode: ei servì sicurissimamente con valore e riputazione fra le guardie private di Giustiniano; e quando il suo padrone divenne Imperatore, fu egli promosso al comando militare. Dopo un'ardita incursione nella Persarmenia, in cui divise la sua gloria con un collega, e ne fu arrestato il progresso da un nemico, Belisario si fermò nell'importante posto di Darà, dove preso la prima volta al suo servizio Procopio, fedele compagno, e diligente istorico delle sue imprese613. Il Miranne di Persia con quarantamila uomini delle migliori sue truppe avanzossi per gettare a terra le fortificazioni di Dara; e indicò il giorno e l'ora, in cui dovevano i Cittadini preparargli un bagno per rinfrescarsi dopo le fatiche della vittoria. Incontrò egli un avversario uguale a lui nel nuovo titolo, che aveva avuto di Generale dell'Oriente; superiore nella perizia della guerra; ma molto inferiore nel numero, e nella qualità delle sue truppe, che non erano più di venticinquemila fra Romani e stranieri, rilassati nella disciplina militare, ed umiliati da recenti disastri. Siccome la pianura di Dara non ammetteva alcuna sorte di strattagemma, o d'imboscata, Belisario difese la sua fronte con una forte trincera, che prolungò prima in linee perpendicolari e poi parallele, per cuoprire le ali della cavalleria, situata vantaggiosamente in luogo da poter dominare i fianchi e la retroguardia del nemico. Attaccato che fu il centro de' Romani, l'opportuno loro e rapido urto decise della battaglia: cadde la bandiera Persiana; gl'immortali fuggirono; l'infanteria gettò via gli scudi; ed ottomila de' vinti restarono morti sul campo di battaglia. Nella seguente campagna fu invasa la Siria dalla parte del deserto; e Belisario, con ventimila uomini corse da Dara in soccorso di quella Provincia. Per tutta la state le abili sue disposizioni resero vani i disegni del nemico: lo costrinse a ritirarsi; ogni notte occupava il campo, che quello aveva lasciato il giorno avanti; e si sarebbe assicurato una vittoria senza spargimento di sangue, se avesse potuto resistere all'impazienza delle proprie truppe. Queste però nell'ora della battaglia debolmente mantennero la promessa fatta di portarsi valorosamente; l'ala destra rimase esposta per la proditoria e codarda diserzione degli Arabi cristiani; gli Unni, che formavano una truppa veterana di ottocento guerrieri, furon oppressi dalla superiorità del numero; la fuga degl'Isauri fu impedita, ma l'infanteria Romana restò ferma nella sinistra, perchè Belisario medesimo, smontato da cavallo, dimostrò loro che un'intrepida disperazione poteva unicamente salvarli. Voltarono essi le spalle all'Eufrate, e la faccia al nemico; un'immensa quantità di dardi strisciò senza effetto su' loro scudi insieme stretti, ed ordinati a guise di tetto per ripararli; a' replicati assalti della cavalleria Persiana fu opposta un'impenetrabile linea di picche; e dopo una resistenza di più ore, le truppe che rimasero, col favor della notte furono abilmente imbarcate. Il comandante Persiano si ritirò con disordine e vergogna a rendere stretto conto delle vite di tanti soldati, ch'egli aveva sacrificato in una steril vittoria; ma la fama di Belisario non fu contaminata da una disfatta, nella quale aveva egli solo salvato il suo esercito dalle conseguenze della temerità del medesimo. L'approssimarsi della pace lo dispensò dal guardare le frontiere Orientali, e la sua condotta nella sedizione di Costantinopoli ampiamente soddisfece alle obbligazioni, che aveva coll'Imperatore. Allorchè la guerra d'Affrica divenne il soggetto de' discorsi popolari, e delle segrete deliberazioni, ciascheduno dei Generali Romani temeva, piuttosto che ambisse, quel pericoloso onore; ma appena Giustiniano ebbe dichiarato la preferenza, ch'ei dava al merito superiore di Belisario, si riaccese la loro invidia dall'unanime applauso, che fu fatto a tale scelta. L'indole della Corte Bizantina può avvalorare il sospetto, che l'Eroe fosse segretamente assistito dagl'intrighi della bella e scaltra Antonina sua moglie, che alternativamente godè la grazia, ed incorse nell'odio dell'Imperatrice Teodora. Antonina era d'origine ignobile, discendendo da una famiglia di cocchieri, e n'era stata macchiata la riputazione con le più brutte accuse. Nonostante regnò con lungo ed assoluto potere sull'animo dell'illustre di lei marito; e se non curò il merito della fedeltà coniugale, dimostrò per Belisario un'amicizia virile, avendolo accompagnato con intrepida fermezza in tutti i travagli e pericoli d'una vita militare614.
I preparativi per la Guerra d'Affrica non furono indegni dell'ultima contesa fra Roma e Cartagine. L'orgoglio ed il fior dell'esercito consisteva nelle guardie di Belisario, che secondo la perniciosa indulgenza di que' tempi si obbligavano mediante un particolar giuramento di fedeltà al servizio del loro Capo. La loro forza e statura, per cause delle quali erano stati con gran cura scelti, la bontà de' loro cavalli e delle armi, e l'assidua pratica di tutti gli esercizi militari gli rendeva capaci d'eseguire tutto ciò, che il loro coraggio poteva proporre; e questo coraggio esaltavasi dal sociale onore del loro grado, e dalla personale ambizione di favore e fortuna. Quattrocento de' più bravi fra gli Eruli marciavano sotto la bandiera del fedele ed attivo Fara; l'intrattabile valore di questi si apprezzava assai più che la mansueta sommissione dei Greci e de' Sirj; e si crede di tale importanza l'avere un rinforzo di seicento Massageti o Unni, ch'essi furono con la frode e coll'inganno allettati ad impegnarsi in una spedizione navale. S'imbarcarono a Costantinopoli cinquemila cavalli e diecimila fanti per la conquista dell'Affrica; ma l'infanteria, per la maggior parte reclutata nella Tracia e nell'Isauria, cedeva all'uso, che più dominava, ed alla riputazione della cavalleria; e l'arco Scitico era l'arme, in cui gli eserciti Romani erano in quel tempo ridotti a porre la loro principal fiducia. Procopio, per un lodevole desiderio di sostenere la dignità del suo tema, difende i soldati del suo tempo contro gli austeri critici, che limitavano quel rispettabile nome a' guerrieri di grave armatura dell'antichità, e maliziosamente osservavano, che Omero adopera la parola Arciero come un termine di disprezzo615: «Tal disprezzo potè (dic'egli) forse meritarsi da que' nudi giovani, che comparivano a piedi ne' campi di Troia, e nascondendosi dietro a un sepolcro, o allo scudo d'un amico si tiravano al petto la corda dell'arco616, e scagliavano un debole e lento dardo. Ma i nostri arcieri (prosegue l'Istorico) cavalcano destrieri, ch'essi maneggiano con ammirabil perizia; hanno difeso il capo e le spalle da un elmo, o dallo scudo; portano delle difese di ferro alle gambe, e i loro corpi son guardati da una corazza di maglia; pende loro al fianco dalla destra parte una faretra, una spada dalla sinistra, e la loro mano è assuefatta nel combatter più da vicino a maneggiare una lancia, o un pugnale. I loro archi son forti e pesanti; scagliano in ogni direzione possibile, sì nell'avanzarsi, che nel ritirarsi, di fronte, per di dietro, e da ciaschedun lato; e siccome sono istruiti a tirar la corda dell'arco, non già al petto, ma all'orecchio diritto, bisogna, che sia bene stabile quell'armatura, che può resistere alla rapida forza del loro dardo». Si riunirono nel porto di Costantinopoli cinquecento navi da trasporto con ventimila marinari d'Egitto, di Cilicia e di Ionia. La più piccola di queste navi può valutarsi di trenta tonnellate, e la più grande di cinquecento; e potrà accordarsi con una liberale sì, ma non eccessiva condiscendenza, che la vera portata di esse ascendesse a circa centomila tonnellate617, ad oggetto di contenere trentacinquemila fra soldati e marinari, cinquemila cavalli, le armi, le macchine e provvisioni militari, ed una sufficiente quantità d'acqua, e di cibi per un viaggio forse di tre mesi. Le alte galere, che anticamente battevano il Mediterraneo con tante centinaia di remi, erano già da gran tempo sparite; e la flotta di Giustiniano fu scortata solo da novantadue piccoli brigantini, coperti da' dardi nemici, e montati da duemila bravi e robusti giovani di Costantinopoli. Vi si trovano nominati ventidue Generali, la maggior parte de' quali dipoi si distinse nelle guerre d'Affrica e d'Italia; ma il comando supremo, sì per terra che per mare, fu affidato al solo Belisario, con un'illimitata facoltà d'agire secondo il suo giudizio, come se fosse presente l'Imperatore medesimo. La separazione, che si è fatta della professione nautica dalla militare, è l'effetto nel tempo stesso e la causa dei moderni avanzamenti nella scienza della navigazione, e della guerra marittima.
Nel settimo anno del Regno di Giustiniano, e verso il tempo del solstizio estivo, fu disposta in marzial pompa tutta la flotta di seicento navi avanti a' giardini del Palazzo. Il Patriarca la benedì, l'Imperatore manifestò gli ultimi suoi ordini, la trombetta del Generale diede il segno della partenza, ed ognuno, secondo i propri timori o desiderj esplorò con ansiosa curiosità gli augurj della disgrazia, e del buon successo. Si fece la prima fermata a Perinto o Eraclea, dove Belisario aspettò cinque giorni per ricevere alcuni cavalli Tracj, ch'erano un dono militare del suo Sovrano. Di là proseguì la flotta il suo corso per mezzo della Propontide; ma mentre si affaticavano per passar lo Stretto dell'Ellesponto, un vento contrario gli trattenne quattro giorni in Abido, dove il Generale diede una memorabil lezione di fermezza e di rigore. Due Unni, che in una contesa, cagionata dall'ebrietà, avevano ucciso uno de' loro compagni, furono immediatamente mostrati all'armata sospesi da un'alta forca. I loro compatriotti, che non riconoscevan le Leggi servili dell'Impero, e adducevano il libero privilegio della Scizia, dove una piccola multa pecuniaria serviva per espiare i subitanei trasporti dell'intemperanza e dell'ira, si risentirono dell'ingiuria fatta alla Nazione. Erano speciose le loro querele, alti i loro clamori, ed a' Romani non dispiaceva l'esempio del disordine e dell'impunità. Ma fu quietato il nascente tumulto per l'autorità ed eloquenza del Generale, che rappresentò alle truppe adunate l'obbligo della giustizia, l'importanza della disciplina, i premj della pietà e della virtù, e l'imperdonabil delitto dell'omicidio, che a suo giudizio veniva piuttosto aggravato che scusato dal vizio dell'ebrietà618. Nella navigazione dall'Ellesponto al Peloponneso, che i Greci dopo l'assedio di Troia avevan fatto in quattro giorni619, la flotta di Belisario era guidata nel suo corso dalla principal Galera di esso, visibile di giorno per le vele rosse, e di notte per mezzo di torcie accese sulla cima dell'albero. Era ufizio de' Piloti, quando navigarono fra le Isole, e girarono i promontori di Malea e di Tenaro, il mantenere un ordine giusto, e delle regolate distanze fra tante navi; e siccome il vento fu piacevole e moderato, le loro fatiche riuscirono bene, e furono felicemente sbarcate le truppe a Metono sulla costa della Messenia, per farle riposare alquanto dopo i travagli del mare. In quest'occasione esse provarono quanto può l'avarizia, investita dell'autorità, prendersi giuoco delle vite di migliaia di Uomini, che valorosamente s'espongono pel servizio pubblico. Secondo l'uso militare il pane o biscotto de' Romani era cotto nel forno due volte, e volentieri si soffriva la diminuzione d'un quarto per la perdita del peso. Per guadagnare questo miserabil vantaggio, e risparmiar la spesa delle legna, il Prefetto Giovanni di Cappadocia diede ordine, che si cuocesse il pane leggermente al medesimo fuoco, che faceva scaldare i bagni di Costantinopoli: e quando s'apriron le sacca fu distribuita una molle e muffita pasta all'esercito. Questo cibo insalubre, unito al caldo del clima e della stagione tosto produsse una malattia epidemica, che portò via cinquecento soldati. La diligenza di Belisario, che provvide dell'altro pane a Metona, e liberamente manifestò il suo giusto ed umano risentimento, rimediò alla loro salute: l'Imperatore ascoltò i suoi lamenti; fu lodato il Generale; ma il Ministro non fu punito. Dal porto di Metona i Piloti fecero vela lungo la costa occidentale del Peloponneso fino all'Isola di Zacinto o del Zante, prima d'intraprendere il viaggio (a' loro occhi difficilissimo) di cento leghe sul mare Ionio. Poichè la flotta fu sorpresa da una calma, si consumarono sessanta giorni in quella lenta navigazione; ed anche l'istesso Generale avrebbe sofferto l'intollerabile ardor della sete, se l'ingegno d'Antonina non avesse conservato dell'acqua in boccie di vetro, ch'essa nascose profondamente nella sabbia in una parte della nave dove non potevano arrivare i raggi solari. Finalmente il porto di Caucana620 nella parte meridionale di Sicilia diede loro un sicuro ed ospitale rifugio. Gli Ufiziali Goti, che governavano l'Isola in nome della Figlia e del Nipote di Teodorico, ubbidirono agl'imprudenti loro ordini di ricever le truppe di Giustiniano come amiche ed alleate: furono loro generosamente date delle provvisioni, fu rimontata la cavalleria621, e Procopio presto tornò da Siracusa con un'esatta informazione dello stato e dei disegni de' Vandali. Queste notizie determinarono Belisario ad affrettar le sue operazioni, e la savia di lui impazienza fu secondata da' venti. La flotta perdè di vista la Sicilia, passò davanti all'Isola di Malta, scuoprì i promontori dell'Affrica, scorse lungo le coste con un forte vento di nord-est, e gettò finalmente l'ancora al Promontorio di Caput vada, circa cinque giornate di cammino al mezzodì di Cartagine622.
Se Gelimero fosse stato informato dell'avvicinarsi del nemico, egli avrebbe sicuramente differito la conquista della Sardegna per l'immediata difesa della propria persona e del Regno. Un distaccamento di cinquemila soldati, ed uno di cento venti galere si sarebbero uniti alle altre forze de' Vandali, ed il discendente di Genserico avrebbe potuto sorprendere ed opprimere una flotta di navi da trasporto, molto cariche, incapaci d'agire, e di piccoli Brigantini, che sembravano solo atti alla fuga. Belisario aveva tremato internamente quando sentì, che i suoi soldati, nel passaggio, s'animavano l'uno coll'altro a confessare le loro apprensioni. Dicevano essi, che se potevano una volta porre il piede sul lido, speravano di sostenere il decoro delle loro armi; ma se fossero stati attaccati per mare, non arrossivano di confessare, che mancava loro il coraggio per combattere nell'istesso tempo coi venti, co' flutti, e co' Barbari623. La cognizione de' loro sentimenti fece decidere Belisario a prender la prima occasione, che gli si presentò, di sbarcarli sulla costa dell'Affrica; ed in un Consiglio di guerra prudentemente rigettò la proposizione di entrare insieme con la flotta e l'esercito nel porto di Cartagine. Tre mesi dopo la loro partenza da Costantinopoli, furono felicemente sbarcati gli uomini ed i cavalli, le armi e gli arnesi militari, e si lasciaron cinque soldati per guardia su ciascheduna delle navi, che furon disposte in forma di semicerchio. Le altre truppe occuparono un campo sul lido del mare, che si fortificò secondo l'antico uso con un fosso e con un riparo; e la scoperta d'una fonte d'acqua fresca nel tempo che servì a smorzarne la sete, eccitò la superstiziosa fiducia de' Romani. La mattina seguente, furono saccheggiati alcuni de' giardini più prossimi; e Belisario, dopo aver gastigato i rei, prese quella occasione leggiera per se stessa, ma che si presentò in un momento decisivo, per inculcar le massime di giustizia, di moderazione, e di vera politica: «Quando accettai la commissione di soggiogar l'Affrica, disse il Generale, io contai molto meno sul numero, o anche sulla bravura delle mie truppe, che sull'amichevol disposizione degli abitanti, e sull'immortale lor odio contro de' Vandali. Voi soli potete privarmi di questa speranza, se continuate ad estorcer con la rapina quel che potrebbe comprarsi per poco prezzo: tali atti di violenza riconcilieranno fra loro quest'implacabili nemici, e gli uniranno in una giusta e santa lega contro gl'invasori del loro paese». Quest'esortazioni furono avvalorate da una rigorosa disciplina, della quale i soldati medesimi provaron ben tosto, e lodaron gli effetti. Gli abitanti invece di abbandonare le loro case, o di nascondere il loro grano, aprivano a' Romani un comodo e copioso mercato; gli Ufiziali civili della Provincia continuarono ad esercitar le loro funzioni a nome di Giustiniano; ed il Clero, per motivi sì di coscienza che d'interesse, continuamente si affaticava a promuovere la causa d'un Imperatore Cattolico. La piccola Città di Sullette624, distante una giornata di cammino dal campo, ebbe l'onore d'esser la prima ad aprir le porte, ed a riassumer l'antica sua fedeltà: le altre maggiori Città di Leptis, e di Adrumeto ne imitaron l'esempio, subito che comparve Belisario; e questi senza opposizione avanzossi fino a Grasse, palazzo de' Re Vandali, alla distanza di cinquanta miglia da Cartagine. Gli stanchi Romani si abbandonavano al sollievo di ombrosi boschi, di fresche fontane e deliziosi frutti; e la preferenza, che Procopio accorda a questi giardini sopra tutti quelli, ch'esso aveva veduto tanto in Oriente quanto in Occidente, si può attribuire o al particolar gusto, o alla fatica dell'istorico. In tre generazioni la prosperità, ed un clima caldo avevan rilasciato il duro valore dei Vandali, che a poco a poco divennero i più lussuriosi del Mondo. Nelle loro ville e giardini, che potevano ben meritare il nome Persiano di Paradisi625, essi godevano un fresco ed elegante riposo; e dopo il quotidiano uso del bagno, i Barbari s'assidevano ad una mensa, profusamente imbandita con le delizie della terra e del mare. Le loro vesti di seta liberamente ondeggianti all'uso de' Medi erano ricamate d'oro: l'amore e la caccia erano le occupazioni della loro vita, e nelle rimanenti ore si divertivano con pantomimi e corse di cocchi, con la musica e le danze del Teatro.