Kitabı oku: «La perla sanguinosa», sayfa 17
Ad un tratto due mascelle enormi emersero bruscamente a tribordo dell’imbarcazione, allungandosi rapidamente verso il quartiermastro che stava curvo sull’acqua.
Jody, che teneva il rampone alzato, vibrò un colpo furioso fra le fauci spalancate, spezzando al coccodrillo non pochi denti e lacerandogli il palato. L’anfibio mandò una specie di muggito, vomitò un getto di sangue e si tuffò prontamente, scomparendo agli sguardi di tutti.
«Che ne abbia avuto abbastanza? – chiese Jody. – Non ho mai veduto, nei fiumi dell’India, un coccodrillo così gigantesco.»
«Nemmeno io, – disse Will. – Quello lì deve misurare almeno otto metri.»
«Ritornerà all›attacco?»
«Hanno la pelle dura quei mostri, – rispose Palicur. – Se ci ha assalito vuol dire che è molto affamato, poiché ordinariamente non se la prendono colle scialuppe.»
«Da› un colpo all›elica, Jody, e raggiungiamo l›isolotto, – disse Will. – A terra potremo affrontarlo con minor pericolo.»
«È presto fatto e…»
Non aveva ancora finito la frase, quando Jody si sentì rovesciare addosso al quartiermastro che gli stava dietro. La scialuppa fu sollevata, quindi gettata impetuosamente su un fianco, e gli uomini che la montavano, compreso il malabaro, rotolarono l’uno sull’altro. Quasi nel medesimo istante si udì un lungo scricchiolio nel fasciame ed una tavola venne strappata d’un sol colpo.
Il gigantesco coccodrillo era ricomparso e tentava di fracassare la imbarcazione, troppo debole per resistere a quei denti, che sono solidi quanto l’acciaio meglio temprato.
Will si era prontamente risollevato. Aveva abbandonato la carabina per impugnare una pesante scure, arma meglio adatta per affrontare quei grossi e pericolosi rettili, che sono coperti di scaglie ossee così grosse da resistere anche alle palle delle migliori carabine.
La situazione intanto diventava terribile, perché il coccodrillo, reso furioso per la ferita ricevuta, scuoteva sempre la scialuppa come se fosse un fuscello, quantunque fosse tanto carica. I suoi denti enormi avevano già attraversato un’altra tavola e la sgretolavano.
Il malabaro a sua volta si era alzato, impugnando invece una carabina. Balzò sulle casse per non farsi stritolare dai denti del mostro e fece fuoco quasi a bruciapelo, in direzione d’un occhio.
La palla fracassò parte della scatola ossea, senza penetrare nella massa cerebrale. Era una ferita senza dubbio molto grave, eppure non sufficiente per abbattere un simile animale.
«Signor Will! Jody! Badate!» gridò Paficur, ricaricando precipitosamente l›arma.
«A te, prendi!» tuonò il quartiermastro, alzando rapidamente la scure e lasciandola ricadere con forza disperata.
S’udì un colpo secco e la scatola cranica del coccodrillo si fendette su una lunghezza di venticinque o trenta centimetri.
Quasi nel medesimo istante echeggiò un secondo sparo. Il malabaro aveva di nuovo scaricato l’arma fra le fauci spalancate del bestione, facendogli inghiottire contemporaneamente il proiettile, il fumo ed il fuoco.
Il ferito si volse col ventre in aria, vibrando alcuni poderosi colpi di coda, poi si lasciò affondare.
«Spero che avrà avuto il suo conto, – disse il quartiermastro. – Perbacco, che denti! Ha trapassato una tavola come se fosse un semplice foglio di carta e l›ha staccata di colpo.»
«Un danno che io riparerò presto, signor Will, – rispose Jody. – Vi è una cassetta contenente degli strumenti da carpentiere.»
«Approdiamo,» disse Palicur.
Il banco o meglio l’isolotto non era che a pochi passi. Jody con un colpo di manovella spinse la scialuppa, facendola arenare in mezzo alle piante acquatiche.
I tre ex-forzati balzarono a terra, dopo aver assicurato l’imbarcazione con una fune, onde la corrente, che era piuttosto forte, non la trascinasse via. Fatto il giro di quel brano di terra e assicuratisi che fra le erbe non si celavano dei cobra, prepararono l’accampamento, issando la tenda.
«Mentre allestite la cena cercherò di abbattere qualche volatile, – disse il quartiermastro. – Ho veduto delle anitre bramine diguazzare nel canale che ci separa dalla riva.»
«Vi accompagno, signor Will, – disse il malabaro. – Jody può far cucina da solo.»
Presero due fucili da caccia e, approfittando degli ultimi bagliori del crepuscolo, fecero parecchi colpi contro i volatili acquatici che erano numerosissimi in quel luogo.
Avevano già raccolto sette od otto anitre e si preparavano a tornare verso l’accampamento, quando parve loro di scorgere un’ombra umana scivolare fra i cespugli che coprivano la riva opposta e scomparire velocemente.
«Un uomo?» chiese Will, che aveva armato frettolosamente il fucile.
«Mi parve infatti tale,» rispose il pescatore di perle, che scrutava attentamente le piante.
«Una scimmia?»
«Uhm! Così alta? Non ne ho mai vedute di così enormi, signor Will.»
«Che qualcuno ci spii?»
«Può essere qualche vadasso in cerca di selvaggina. Non preoccupiamoci, signor Will. Domani mattina partiremo per tempo e ci lasceremo indietro quello spione. Tuttavia veglieremo e faremo i nostri quarti di guardia cogli occhi bene aperti.»
10. L’attacco dei Vadassi
L’indomani i tre ex-forzati, dopo una notte tranquillissima, riprendevano il viaggio, risalendo la fiumana con notevole velocità, desiderosi di lasciarsi indietro l’individuo che avevano veduto comparire in mezzo alle piante.
L’acqua era sempre profonda, quantunque fosse di quando in quando interrotta da banchi di sabbia che obbligavano Will ad una continua sorveglianza ed il malabaro ad un incessante sondaggio.
Le due rive non accennavano a variare. Gli alberi si succedevano agli alberi, per lo più di dimensioni colossali, con foglie smisurate che impedivano ai raggi del sole di giungere fino a terra, popolati sempre da pappagalluzzi noiosi e da piccole bande di quadrumani che davano non poca noia ai naviganti, bersagliandoli con frutta e con pezzi di rami.
A mezzodì la scialuppa, superata una gran curva, si trovò improvvisamente dinanzi ad un raggruppamento di capanne, situato sulla riva destra.
«Alt!» gridò precipitosamente il malabaro, che non s›aspettava di incontrare in quel luogo delle abitazioni.
Era troppo tardi per retrocedere. Alcuni uomini, che sembravano più negri che cingalesi, intenti a pescare sulla riva, salutarono la comparsa della scialuppa con dei clamori assordanti.
«È inutile scappare, – disse Will. – D›altronde siamo bene armati e se vorranno importunarci li calmeremo a colpi di spingarda. Sono Vadassi?»
«Sì, signor Will,» rispose il pescatore di perle.
«Non sarà già il villaggio di quel terribile capo di cui mi hai narrato la storia sanguinosa.»
«No, quello é più lontano.»
«Approdiamo; con qualche regalo spero di ammansire quei selvaggi e forse di ottenere da loro qualche guida.»
La scialuppa si spinse risolutamente innanzi, arrestandosi dinanzi ad un pontile formato di tronchi d’albero infissi nel fango del fiume. Due o tre dozzine di selvaggi si erano radunati sulla riva, osservando con viva curiosità i tre ex-forzati e soprattutto il quartiermastro, la cui pelle bianca doveva produrre un certo effetto.
Erano tutti di statura piuttosto bassa, con capelli lanuti, il naso corto con pinne allargate, la bocca grande, le labbra grosse ma non sporgenti come quelle dei negri, gli occhi piccoli e orizzontali ed il corpo esile colle spalle un po’ incurvate.
Sembrava appartenessero a quella razza chiamata eta che s’incontra in quasi tutte le isole asiatiche e malesi, a Mindanao, alle Filippine, a Mindoro, a Palawan, occupando di preferenza l’interno di quelle terre, e che ancora s’ignora da quale parte sia venuta e come si sia dispersa.
I giovani erano abbastanza piacevoli a vedersi; gli anziani invece erano brutti, molto magri, coi ventri gonfi e i volti rugosi che annunciavano una vecchiaia assai precoce.
Quasi tutti quei selvaggi, a qualunque isola appartengano, vivono come gli animali delle foreste, errando a capriccio senza ricoveri stabili, nutrendosi di miele, di radici e d’insetti, anche dei più ributtanti, e non indossando alcuna veste.
Quelli che si erano raccolti sul pontile non erano diversi dagli altri e, all’infuori di alcuni tatuaggi, non avevano né ornamenti né sottanini. Anche le loro armi erano affatto primitive, non avendo essi che pochi archi con frecce di legno dentellato e dei bastoni colle punte indurite al fuoco.
Il malabaro, che conosceva un po’ la lingua di quei selvaggi, offrì a quei miserabili alcuni biscotti che essi divorarono avidamente, poi chiese di parlare al capo.
«Sta per giungere con lo stregone della tribù, – rispose il più vecchio di quegli uomini. – Eccolo che viene.»
Un piccolo drappello di negritos era uscito da una capanna malamente costruita, più ammasso di foglie e di rami che dimora, e s’avanzava verso il fiume.
Precedevano due negri muniti d’un gura, bizzarro strumento musicale composto d’un arco fornito d’una corda, d’un tubo e d’una penna, e che a soffiarvi dentro manda dei suoni melodiosi come quelli d’un violino. Veniva in seguito un terzo suonatore che percuoteva furiosamente un pezzo d’albero scavato, alto tre piedi e coperto da un lato da una pelle che produceva molto fracasso.
Seguiva lo stregone della tribù, un omiciattolo alto appena quattro piedi, personaggio importantissimo perché dotato del potere di far passare l’anima d’un morto nel corpo d’un vivo, di far cadere a volontà la pioggia, salvando così i raccolti dalla siccità, di scongiurare qualsiasi maleficio e di combattere gli spiriti maligni abitatori delle selve. Il suo corpo era tutto imbrattato di pitture bizzarre che volevano raffigurare dei mostri, aveva i capelli intrecciati con penne, code e ossa di animali e portava monili e collane formate di conchigliette bianche.
Ultimo veniva il capo, un uomo più alto dei suoi sudditi, di tinta più oscura, cogli occhi foschi, che si pavoneggiava in un vecchio mantello rosso crivellato come una schiumarola, e aveva legato al collo una coda di tigre, insegna del potere e fors’anche della sua ferocia.
Palicur scese sul pontile portando una bottiglia di brandy, seguito da Will che per precauzione si era armato di due carabine a doppia canna, mentre Jody rimaneva a guardia della scialuppa dietro la spingarda che era stata caricata con grossi pallini, onde mitragliare i selvaggi nel caso che dimostrassero delle intenzioni ostili. Il capo, che si avanzava con una certa titubanza, tenendosi nascosto dietro lo stregone, vedendo Palicur si arrestò e si levò l’arco che portava appeso alla spalla.
«Siamo amici, – disse il malabaro, – e non abbiamo alcun desiderio di fare del male né a te, né ai tuoi uomini. Prendi e bevi.»
Il selvaggio, che doveva conoscere le bottiglie, con un colpo di bastone decapitò quella che gli veniva offerta, ne sparse a terra qualche goccia forse per rendere omaggio a chissà quale divinità, poi si mise a baciarla con tale trasporto da far andare in bestia lo stregone, il quale temeva evidentemente di rimanere a bocca asciutta.
«Questo liquore è meglio dell›altro, – disse finalmente, dopo averla vuotata più che mezza. – Voi siete più generosi.»
«Dell›altro! – esclamò il malabaro. – Ti hanno offerto qualche altra bottiglia?»
«Sì, ieri mattina.»
«Chi?»
«Degli uomini che montavano una barca da fuoco, simile alla tua,» rispose il selvaggio.
«Erano uomini bianchi?»
«Uno solo.»
«E gli altri?»
«Mi parvero Candiani.»
Palicur guardò il quartiermastro, traducendogli le risposte del vadasso.
«Che sia qualche inglese incaricato di esplorare il fiume? – disse Will. – Cerca di avere spiegazioni più chiare, Palicur.»
Il malabaro si provò ad interrogare il selvaggio, ma questi, troppo occupato a sorseggiare il brandy, diede delle risposte così vaghe da non delucidare di molto il mistero. Tentò con lo stregone, senza miglior risultato.
«Era montata da quattro uomini fra i quali uno aveva la pelle bianca,» gli rispose lo stregone.
E fu tutto quello che poté sapere. Tuttavia il capo non si rifiutò di fornirli d’una guida onde potessero ottenere il libero passaggio sul fiume, mediante il compenso d’una scure, arma preziosissima giacché quei selvaggi non conoscevano la lavorazione dei metalli.
Scambiate alcune cianfrusaglie con frutta e polli, qualche ora dopo i tre ex-forzati abbandonavano il villaggio onde riprendere il viaggio. La guida fornita dal capo era un guerriero coperto di numerose cicatrici, brutto come una scimmia, dallo sguardo obliquo niente affatto rassicurante, che portava al collo, suo unico indumento, una coda di pantera nera, insegna di valoroso.
«Ecco un compagno che non m›ispira nessuna fiducia, – disse Jody. – Non poteva darci una scimmia peggiore.»
«Al primo villaggio ci sbarazzeremo di lui, se ci darà motivo di sospetto, – rispose il malabaro. – Chissà invece che non ci possa essere utile per farci passare dinanzi alle borgate senza avere fastidii.»
La scialuppa a vapore, che aveva fatto una larga provvista di legna, aveva ripreso la sua corsa, risalendo il fiume con notevole velocità. Il Vadasso, che pareva conoscesse perfettamente quel corso d’acqua, indicava di quando in quando la rotta avvertendoli con un grido gutturale della presenza dei banchi subacquei.
Anche quella giornata trascorse senza incidenti notevoli e senza che i naviganti incontrassero alcun essere vivente. I boschi si succedevano ai boschi, senza alcuna interruzione, popolati quasi esclusivamente da scimmie.
Stava per calare la sera e Will aveva dato ordine a Jody di dirigersi verso la riva per accamparsi sul margine della foresta, essendo la scialuppa troppo ingombra per dormirvi dentro, quando il selvaggio mandò un grido singolare, additando nel medesimo tempo un ammasso di piccoli banani le cui foglie si agitavano come se qualcuno cercasse di aprirsi il passo.
«Che cos›ha?» chiese Will, guardando Palicur.
Il malabaro interrogò il vadasso, il quale si limitò a dire:
«Sonar.»
«Che cosa vuol dire?» chiese il quartiermastro.
«Dice che vi è un orso là in mezzo,» rispose Palicur.
«Non avevo mai saputo che in quest›isola ve ne fossero.»
«Anzi abbondano, signore, e appartengono alla stessa razza di quelli che s›incontrano sulle montagne dell›India.»
«Sono assai pericolosi?»
«Non troppo.»
«Allora non lasciamolo scappare. I zamponi di quegli animali non sono da disprezzarsi. Presto, a terra, Jody!»
La scialuppa si arenò colla prora sulla sponda, che in quel luogo scendeva dolcemente, e il quartiermastro e il malabaro, prese le carabine, balzarono lestamente fra i cespugli che coprivano la riva.
L’orso doveva essersi accorto della presenza di quegli uomini, perché le foglie dei banani non si agitavano più. Certo doveva essersi allontanato cautamente per rifugiarsi nel folto della foresta.
«Affrettiamoci, signor Will, o ci sfuggirà, – disse il malabaro. – I sonar sono molto agili.»
Non era però cosa facile inoltrarsi rapidamente. Degli alberi enormi, che spingevano le loro radici fino nel fiume, formavano una specie di barriera quasi impenetrabile, essendo per di più collegati gli uni agli altri da ammassi di piante parassite che ricadevano in festoni colossali.
Si erano tuttavia avanzati d’un centinaio di passi, quando udirono un leggero sibilo e scorsero un’ombra scivolare rapidamente in mezzo ad un colossale gruppo di bambù che lanciavano le loro cime a diciotto o venti metri d’altezza.
«Hai veduto, Palicur?» chiese Will, il quale si era prontamente arrestato.
«Sì, un uomo è fuggito dinanzi a noi.»
«Ci ha lanciato una freccia?»
«Sì, signor Will.»
Quasi nel medesimo istante udirono un secondo sibilo e videro un’altra ombra fuggire entro la macchia.
«Diavolo!– esclamò Will.– Non sono orsi questi.»
«Che ci abbiano teso un agguato?» si chiese Palicur, gettandosi dietro il tronco d’un albero.
«O che siano invece cacciatori che spiavano, al pari di noi, l›orso?»
«Non era un motivo per lanciarci addosso delle frecce, signor Will. Non siamo già dei sonar noi.»
«Che cosa facciamo?»
«Vorrei vedere in viso quei bricconi e raggiungere nel medesimo tempo l’animale.»
«Avanti dunque,» disse il quartiermastro.
Ripresero la marcia, aprendosi un varco con molte difficoltà, poiché la foresta diventava sempre più folta man mano che si allontanavano dalla riva del fiume.
Le terre di Ceylon, ancora vergini nella loro maggior parte, sono d’una fertilità assolutamente prodigiosa. Le piante spuntano dovunque e si moltiplicano con una rapidità incredibile. Un campo non più coltivato, dopo sei mesi è una piccola foresta dove invano si cercherebbero le tracce dei solchi scavati dalla mano dell’uomo. Bambù, areca, palmizi, fichi, banani, cinnamomi, mimose e felci sorgono come per incanto, intrecciando rami e radici e formando dopo qualche anno un bosco quasi impenetrabile, che servirà di rifugio alle tigri, alle pantere, ai serpenti e qualche volta ai giganteschi elefanti ed ai brutali rinoceronti.
Il quartiermastro e Palicur, dopo essersi avanzati per altri tre o quattrocento metri, si arrestarono dinanzi ad una vera muraglia di tronchi d’albero di dimensioni colossali, cresciuti così strettamente l’uno accanto all’altro, da impedire loro il passaggio.
«È impossibile andare più avanti, – disse Will con malumore. – Dovremmo scivolare come i serpenti e col pericolo di venire sorpresi e di ricevere qualche freccia nei fianchi.»
«Dove si saranno nascosti quei bricconi?» chiese il malabaro, che scrutava le piante vicine senza poter scorgere nulla.
«A quest›ora saranno lontani. Devono esser agili come le scimmie.»
«E l›orso?»
«Oh! In quanto a quello, non saremo noi ad assaggiare i suoi zamponi.»
«Mi rincresce, – disse Palicur. – La carne di quegli animali è così deliziosa!»
«Torniamo: non è prudenza fermarsi troppo a lungo qui. Andremo ad accamparci sulla riva opposta.»
«Silenzio, signor Will.»
«C›è qualche altra novità?»
«Mi è sembrato d›aver udito un ramo spezzarsi.»
«Dinanzi a noi?»
«No, dietro.»
«Che sia il sonar?»
«Andiamo a vedere, signore, e apriamo gli occhi. So che certe tribù di Vadassi fanno uso di frecce avvelenate e non vorrei riceverne una.».
Si erano appena voltati, quando in aria si udì un sibilo leggero. Il quartiermastro curvò istintivamente la testa e vide passare sopra di sé una freccia, la quale andò a piantarsi profondamente nel tronco tenero d’un piccolo cinnamomo.
Si volse rapidamente e, scorgendo le punte di alcuni bambù muoversi, fece fuoco in quella direzione, tirando però rasente al suolo. Un grido rauco seguì lo sparo, seguito da un gemito. I bambù ondeggiarono vivamente per qualche istante, poi ripresero la loro immobilità.
«Avete colpito qualcuno,» disse il malabaro, il quale aveva alzato il fucile, pronto a far fuoco.
«Quel grido può essere stato mandato per ingannarci,» rispose: Wíll.
S’avvicinò all’albero e staccò la freccia, guardandola attentamente. Era una canna lunga due piedi, la quale terminava in un piccolo osso di forma cilindrica, munito lateralmente d’un uncino di ferro assai acuto. Appena toccato, l’osso si era staccato.
«Freccia dei Vadassi e per di più avvelenata, – disse il malabaro. – Guardate, signor Will: l’osso è coperto da una specie di mastice, formato da veleno estratto dai serpenti e mescolato al latte di qualche pianta. Un proiettile pericolosissimo, perché, una volta entrato nelle carni, non lo si può subito strappare a causa dell’uncino. Bricconi. Volevano proprio ammazzarci!»
«Mio caro Palicur, andiamo, prima che qualche freccia ci colpisca. Forse quei negri non erano soli.»
«Cominciarono tosto una prudente ritirata, fermandosi di quando in quando dietro i tronchi degli alberi per vedere se fossero seguiti e tenendosi lontani dalle macchie troppo folte, entro le quali potevano celarsi gli assalitori.
Un quarto d’ora dopo giungevano senz’altri incidenti sulla riva, nel momento in cui il mulatto stava per lasciare la scialuppa onde mettersi alla loro ricerca, temendo che fosse toccata loro qualche disgrazia. Vedendoli comparire, li raggiunse subito chiedendo loro contro chi avessero fatto fuoco.
Apprendendo l’inqualificabile aggressione, il suo volto si oscurò.
«C›è qui sotto qualche cosa che m›inquieta, – disse. – Avete incontrato il negrito che vi ho mandato incontro?»
«Non l›abbiamo veduto,» risposero ad una voce il quartiermastro e il malabaro.
«È partito appena ha udito lo sparo.»
«Avrebbe dovuto trovarci, perché non eravamo lontani più di trecento o quattrocento metri,» disse Will.
«È strano! Che quell›uomo ci abbia abbandonati? Le cose s›imbrogliano,» disse Palicur. Accostò due dita alle labbra e mandò alcuni fischi acuti, ma non ebbe risposta.
«Signor Will, – disse, – temo un tradimento. Andiamo via subito.»
«Quel negro può essersi smarrito,» osservò Jody.
«Un uomo come lui, pratico del paese! Oh no, – disse il malabaro. – Se non è tornato, significa che quella canaglia si è unita ai due Vadassi che hanno cercato di cacciarci un po’ di veleno in corpo.»
«Che il capo del villaggio c›entri in questo agguato?» chiese Will.
«Non mi stupirei, signore, – rispose Palicur. – Allontaniamoci subito e cerchiamo un rifugio, possibilmente su qualche isolotto.»
«Non sarà difficile trovarne,» disse Jody, facendo retrocedere la scialuppa.
«E tenete i fucili a portata di mano, – comandò il quartiermastro. – Vi possono essere dei selvaggi anche sulla riva opposta.» L›imbarcazione riprese il largo, rimontando la fiumana e tenendosi ad eguale distanza dalle due sponde le quali, per fortuna, erano abbastanza lontane l’una dall’altra per impedire che una freccia giungesse fino ai viaggiatori.
Will e Palicur si erano collocati a prora, tenendo le carabine sulle ginocchia e sondando di tratto in tratto la profondità dell’acqua. Nessun pericolo però pareva li minacciasse, almeno pel momento, perché fra le canne acquatiche si vedevano passeggiare tranquillamente alcuni grossi uccelli e altri stavano appollaiati sui rami degli alberi. Se vi fossero stati dei selvaggi nascosti fra i cespugli che coprivano le rive, non sarebbero certamente rimasti così calmi.
L’imbarcazione aveva già superato una gran curva, quando fra gli alberi si udirono improvvisamente echeggiare dei colpi metallici che parevano prodotti da un martello battente su una lastra.
«Da che proviene questo rumore?» chiese Will.
«È un uccello, una specie di piviero,» rispose il malabaro.
«Ah! Non lo crederò mai!»
«Allora questi sarebbero dei suonatori d’arpa, signor Will. Udite?»
Delle note dolci, che parevano veramente cavate da uno strumento a corda, si udivano sulla riva sinistra. Il quartiermastro guardò Palicur con sorpresa.
«Sono troghi scarlatti che cantano, – rispose il malabaro ridendo; – rispondono ai pivieri.»
«O meglio agli uomini,» disse in quel momento Jody.
«Come macchinista, tu credi che…»
«Dico che qui né i troghi scarlatti né i pivieri c›entrano affatto. Questo tintinnio metallico mi sembra prodotto da lame di zagaglia urtate le une contro le altre.»
«E questi arpeggi?»
«Da un rabochino.»
«Puoi ingannarti, Jody,» disse Palicur.
«No, – rispose il mulatto. – Ascolta bene, malabaro, ti dico che dei negri corrispondono fra le due rive.»
«Che sperino d›impadronirsi della nostra scialuppa?» si chiese il quartiermastro.
«Sono capaci di tentarlo, – disse Palicur, che ormai condivideva l›opinione del macchinista. – Cerchiamo presto un isolotto, signor Will. Non ci conviene accamparci sulle rive.»
«Accelera un po› la marcia, Jody,» comandò l’inglese.
I segnali erano terminati. Nessuno piviero, né alcun trogo era comparso sulle rive, segno evidente che il mulatto non si era ingannato. Solamente delle grosse pelargopsia, uccelli chiamati dai negri luri, colle penne nere e il becco rosso come il corallo, volavano pesantemente presso i canneti.
La notte era calata e la luna stava sorgendo dietro le alte cime degli alberi. Enormi pipistrelli cominciavano a sbucare fra le piante, descrivendo sulle acque del fiume degli zig-zag molto accentuati.
La scialuppa avanzava rapidissima, lasciandosi dietro una scia gorgogliante, ma nessun isolotto appariva né presso la riva destra, né presso la sinistra.
Già i tre ex-forzati stavano per ancorarsi in mezzo al fiume, quando scorsero, qualche chilometro più innanzi, una punta di terra che era collegata alla sponda da una serie di banchi coperti da piante acquatiche, appena emergenti.
«Ci accamperemo colà, – disse Will, accennando a quella specie di penisoletta. Se i selvaggi vorranno assalirci, saranno costretti a passare sui banchi e allora li fucileremo facilmente.»
La scialuppa in pochi minuti superò la distanza e si arrestò dolcemente su quella punta, la quale era coperta da banani selvaggi e da mazzi di bambù altissimi. I tre ex-forzati affondarono l’ancorotto e legarono la prora con una doppia fune, poi presero possesso di quel lembo di terra facendo fuggire alcune coppie di alcede dalle penne turchine, i soli abitatori di quel luogo.
Jody e Palicur allestirono rapidamente la cena, fecero un’ampia raccolta di legna per mantenere il fuoco tutta la notte, poi si sdraiarono presso Will che aveva acceso la pipa.
«Addormentiamoci il più tardi possibile,» disse il malabaro.
«Temi che quei bricconi ci raggiungano?» chiese il quartiermastro.
«Non sono tranquillo, signor Will. Conosco la testardaggine e la crudeltà dei Vadassi. Sarei lieto di poter dare loro una dura lezione, per far comprendere a quelle canaglie che noi siamo persone capaci di difendere la nostra pelle e le nostre proprietà.»
«Preferisco non aver a che fare con quei demoni.»
«Spero che ci lasceranno tranquilli.»
Attesero fino a mezzanotte, poi non vedendo comparire nessuno verso la riva a cui la punta era collegata dai banchi, Jody, che non era ancora completamente guarito dalle sue ferite, si ritirò sotto la tenda, promettendo di montare il quarto delle quattro del mattino.
Il malabaro e il quartiermastro si collocarono invece uno dalla parte del fiume, l’altro dalla parte dei banchi, onde poter dominare collo sguardo il maggior spazio possibile. La luna stava per scomparire in mezzo ad una fitta nube, quando Will vide apparire il pescatore di perle.
«Hai qualche novità?» gli chiese.
«Sì, signor Will. Giurerei di aver veduto un punto luminoso brillare sulla riva opposta e poi spegnersi subito.»
«Dunque siamo spiati?»
«Lo sospetto, signore.»
«Che cosa aspettano per assalirci?»
«Ecco quello che ignoro.»
«Se non approfittano dell›oscurità, non so quando potrebbero agire.»
«Udite?»
Un urlo lugubre, simile a quello d’un lupo, si era fatto udire in quel momento verso la riva opposta.
«Un bighama?» chiese il quartiermastro.
«Uhm!» fece il malabaro, scuotendo la testa.
«Non credi che sia un lupo cingalese?»
«No, signor Will, – rispose il malabaro. – Quell›urlo era troppo breve.»
«Dunque lo credi un segnale?» chiese il marinaio.
«Ne ho la convinzione. Eh! Ve lo dicevo io?»
Un riso stridulo, beffardo, ruppe il silenzio della notte, vibrando per qualche tempo fra le tenebre.
«Sì, – disse il quartiermastro, – tu hai ragione, Palicur. I negritos corrispondono fra loro. Organizzano qualche tradimento contro di noi.»
«Ripartiamo, signor Will?»
«Preferisco rimanere qui e vedere in viso i nostri assalitori, – rispose il marinaio. – Meglio sbarazzarci ora di loro che averli sempre addosso. Leviamo le casse dei viveri e formiamo una barricata. Dobbiamo guardarci dalle loro frecce, se è vero che i Vadassi fanno uso del veleno.»
«È micidialissimo, signor Will.»
«All›opera, Palicur.»
Nella scialuppa vi erano otto casse contenenti viveri, vesti di ricambio, attrezzi diversi e oggetti vari, oltre a tre materassi e ad alcuni barili. I due ex-forzati sbarcarono ogni cosa ed innalzarono intorno alla tenda una specie di trincea, sufficiente a metterli al coperto dai dardi, che rinforzarono poi con bambù e ammassi di foglie. Possedendo quei selvaggi degli archi piuttosto deboli, quegli ostacoli potevano bastare.
«S›avanzino pure ora, – disse Will, che pareva soddisfatto di quel lavoro. – Colle nostre carabine e coi fucili da caccia non abbiamo più nulla da temere. Tu sei certo che non possiedono armi da fuoco?»
«Almeno fino a due anni or sono ne ignoravano l’uso, – rispose il malabaro. – Non credo che i Candiani e gl’Inglesi abbiano insegnato loro il modo di servirsene, né che ne abbiano venduti.»
«Facciamo il giro della punta, amico mio. Tu procedi da destra a sinistra; io m’avanzerò in senso contrario.»
Il pescatore di perle e il marinaio, dopo aver armato le carabine, eseguirono l’esplorazione, incontrandosi a metà via.
«Nulla?» chiese Will.
«Ho udito un tonfo, signore.»
«Dove?»
«Verso la riva opposta.»
«Allora un uomo deve essersi gettato in acqua.»
«Purché non sia stato un coccodrillo.»
Il quartiermastro si spinse verso la riva e guardò il fiume, ma l’ombra proiettata dalle piante era così fitta che non poté discernere nulla.
«Avete scorto qualche cosa?»
«No,» rispose il marinaio.
«Eppure è impossibile che io mi sia ingannato.»
Come per confermarlo, in quello stesso momento s’udì per la seconda volta l’urlo triste e monotono d’un bighama. Quasi subito sulla riva opposta si videro vagamente delle ombre scendere attraverso i cespugli, scomparendo fra i canneti che ingombravano parte del fiume.
«Sveglia subito Jody, – disse il quartiermastro. – Quei furfanti. cercano di sorprenderci.»
«E ripieghiamoci subito verso la tenda, signore, – disse il pescatore di perle. – Essi giungeranno nuotando fra due acque, essendo agili come pesci.»
In quattro salti raggiunsero la barricata, spensero il fuoco e scossero il macchinista.
«Su, ragazzo mio, – disse Will. – Questo non è il momento di sognare.»
«Vengono, signore?» chiese il macchinista, sbadigliando.
«Sì, fregati gli occhi e non sprecare cartucce.»
«Si stava meglio sulla chiglia del vascello. Là almeno non vi aerano negri pronti a saettarci con delle frecce avvelenate.»
«Silenzio, arma la carabina e guarda verso i banchi tu. Possiamo venire assaliti d’ambo le parti.»
Si gettò dietro una cassa, a fianco del malabaro, mentre il mulatto si appostava dietro la tenda per sorvegliare la penisoletta.
I negritos avevano cessato di fare segnali, però sulla riva opposta si udivano le canne agitarsi e si scorgevano delle ombre umane avanzarsi verso il fiume e poi retrocedere, scomparendo in mezzo ai cespugli.
«Cercano di vedere se siamo desti o se dormiamo, – disse il quartiermastro. – Saranno in molti?»