Kitabı oku: «La regina dei Caraibi», sayfa 13
«Alla mezzanotte ti troverai all’appuntamento.»
«Vi prometto che vi sarò, signore.»
«Va’!»
«Mi lasceranno il passo libero i filibustieri?»
Grammont chiamò un corsaro che era ritornato portando un cesto di verghe d’argento.
«Ehi, amico,» gli disse. «Accompagna questo prigioniero fino ai nostri avamposti. Dirai a Wan Horn che porta ordini del signor di Ventimiglia.»
Poi volgendosi verso il Corsaro che stava per uscire dietro al soldato:
«Siate prudente, cavaliere.»
«Lo sarò, di Grammont.»
«Spero di rivedervi prima dell’alba.»
«Se la sorte non avrà disposto diversamente.»
«In tal caso noi espugneremo la rocca e vi libereremo o vi vendicheremo.»
CAPITOLO XXI. LA SCALATA A S. GIOVANNI DE LUZ
Tre ore dopo, quando i filibustieri, stanchi di saccheggio, si accampavano alla meglio sui bastioni della città e nelle piazze maggiori, una piccola barca montata da quattro uomini si staccava dalla spiaggia, avanzandosi rapidamente nel piccolo golfo. La notte era oscurissima e cattiva. Un forte vento soffiava dalla parte del grande golfo, spingendo sopra le dighe delle grosse ondate, le quali andavano ad infrangersi, con lunghi muggiti, contro le navi ancorate lungo le calate e contro i numerosi barconi.
Quella scialuppa era montata dal Corsaro Nero e dai suoi tre valorosi marinai. Il primo si era coperto il viso con una piccola maschera di seta nera e si era avvolto il corpo in un ampio mantello pure nero; gli altri avevano indossati costumi spagnuoli. Tutti avevano la spada al fianco e alla cintura un paio di pistole. Moko alla sua, aveva aggiunta una scure.
Il Corsaro teneva la barra del timone; gli altri tre remavano vigorosamente per vincere la violenza delle onde.
Nel porto l’oscurità era completa, non brillando alcun lume sulle navi ancorate. Solamente all’estremità della diga, al disotto del forte, scintillava, ad intervalli, la luce verde e bianca del faro. Di quando in quando però, all’orizzonte, un rapido lampo illuminava fugacemente il mare tempestoso, seguito da un lontano rullìo.
Il Corsaro, ogni volta che quella luce livida rompeva le tenebre, alzava vivamente la testa guardando la massa imponente del forte di San Giovanni de Luz, giganteggiante in alto coi suoi formidabili bastioni, ed i suoi torrioni merlati.
La scialuppa rollava disperatamente sotto gli incessanti colpi di mare, ora affondando negli avvallamenti ed ora librandosi sulle creste spumeggianti. Certi momenti subiva tali scosse che i tre marinai correvano il pericolo di venire sbalzati fuori dal bordo.
Sotto però quei poderosi colpi di remo, riuscì a superare la bocca del porto, mettendosi tosto al riparo sotto la diga.
Giunta all’estremità, superò l’ultimo tratto, giungendo sotto le scogliere del forte, e precisamente alla base dell’alta torre di levante.
«Pronti a prendere terra,» disse il Corsaro.
Con un’ultima spinta la scialuppa si cacciò in una specie di caletta che s’apriva sotto il torrione.
Carmaux si slanciò sulla scogliera tenendo stretta la fune e la legò saldamente alla sporgenza d’una roccia.
Il Corsaro, Moko e l’amburghese sbarcarono.
In quel momento un lampo ruppe le tenebre, illuminando il porto.
«Il soldato!» esclamò Carmaux, il quale si era arrampicato su di una specie di piattaforma che s’estendeva alla base del torrione.
Un uomo si era alzato dietro una roccia, muovendo verso i filibustieri.
«Siete le persone che attendono al forte? – chiese.
«Sì, siamo noi,» rispose il Corsaro, facendosi innanzi. «Hai consegnata la lettera della marchesa a Diego Sandorf?»
«Sì, signore,» rispose il soldato.
«E che cosa ti ha detto?»
«Che è a vostra disposizione.»
«Dove ci aspetta?»
«Sulla terrazza del torrione.»
«Perchè non è venuto qui?»
«Non avrebbe potuto abbandonare il forte senza che venisse notata la sua assenza, ed essendo uno dei comandanti, non ha osato farlo.»
«Chi crede che noi siamo?»
«Spagnuoli, amici della marchesa di Bermejo.»
«Non ha alcun sospetto?»
«No, signore, di questo sono certo.»
«Come faremo a salire sul torrione?» chiese il Corsaro.
«Sandorf ha gettato una scala di corda.»
«Sta bene: saliremo.»
«Devi fare qualche segnale a Sandorf per annunciargli il nostro arrivo?»
«Sì, signore.»
«Affrettati a farlo, poi monterai la scala dinanzi a noi.»
Lo spagnuolo accostò due dita alle labbra e mandò un fischio acuto.
Un momento dopo sulla cima del torrione si udì un fischio simile, che si confuse tra il rullare del tuono.
«Ci aspetta,» disse il soldato.
«Cammina davanti a noi e non dimenticare che io non ti perderò di vista un solo istante» disse il Corsaro.
Attraversarono la piccola spianata e giunsero alla base del torrione. Colà scorsero una scala di corda che pendeva lungo le pareti massicce. Carmaux alzò la testa, guardando le merlature che si distinguevano vagamente fra le tenebre.
«Che scalata!» esclamò, rabbrividendo. «Non vi sono meno di quaranta metri dai merli alla base.»
Anche il Corsaro pareva che fosse rimasto un po’ impressionato dall’altezza di quel gigantesco torrione.
«Dobbiamo andare molto in alto,» disse.
Poi volgendosi verso Carmaux che esaminava, da uomo che se ne intende, la scala:
«È solida?» gli chiese.
«Le funi sono nuove e d’una notevole grossezza.»
«Ci potranno sopportare tutti?»
«Anche se fossimo in numero maggiore.»
«Monta,» comandò il Corsaro al soldato. «Se ci faranno fare un capitombolo, verrai anche tu nell’abisso.»
«Sandorf ignora chi voi siete,» rispose lo spagnuolo. «Mi sono guardato bene dal dirglielo, premendomi la pelle.»
Si aggrappò alla scala e cominciò a salire senza dar segni di esitazione. Il Corsaro gli si era messo dietro, poi venivano Carmaux, Wan Stiller e ultimo il negro.
La salita non era facile. Il vento che soffiava fortemente, investiva la scala facendola ondeggiare vivamente e sbattendo i cinque uomini contro la parete del torrione.
Di quando in quando essi erano costretti a fermarsi e puntare i piedi contro i mattoni per frenare quelle scosse.
Di passo in passo che s’alzavano, una viva ansietà s’impadroniva dei filibustieri. La paura di fare, da un momento all’altro, uno spaventevole capitombolo, si era fortemente radicata nei loro cuori, sapendo di trovarsi in piena balìa dei loro nemici.
Carmaux sudava freddo; l’ambughese aveva dei brividi che non riusciva a frenare; il negro era diventato pensieroso.
Anche il Corsaro non era tranquillo e quasi quasi si pentiva di aver intrapresa quell’audace spedizione.
A metà altezza si erano tutti arrestati. La scala aveva subita una oscillazione violentissima e che pareva provenisse dall’alto.
«Che sia questo il momento del capitombolo? – si chiese Carmaux, aggrappandosi disperatamente ad una pietra che sporgeva dalla muraglia.
«È il vento,» disse il Corsaro, tergendosi colla sinistra alcune stille di sudore freddo. «Avanti!»
«Aspettate un momento, signore,» disse lo spagnuolo la cui voce tremava. «Mi pare che la mia testa giri.»
«Stringi forte la corda se non vuoi precipitare nell’abisso.»
«Accordatemi un momento di riposo, signore. Io non sono un marinaio.»
«Un solo minuto, non di più,» disse il Corsaro. «Ho fretta di giungere sulla piattaforma della torre.»
«Ed anch’io, capitano,» disse Carmaux. «Amerei meglio trovarmi a cavalcioni d’un pennone di contrapappafico durante un abbordaggio, che qui!»
S’aggrappò strettamente alla scala e guardò giù.
L’abisso stava sotto di lui, pronto ad inghiottirlo, nero come il fondo d’un pozzo. Non si vedeva più nulla; si udivano solamente i muggiti delle onde che pareva fossero diventati più spaventosi.
Sopra la sua testa invece, il vento ululava sinistramente fra i merli del torrione e le corde della scala.
«Se esco sano e salvo da questa terribile situazione, manderò un cero alla cattedrale di Vera-Cruz,» mormorò.
«Avanti,» disse in quel momento il Corsaro.
Lo spagnuolo che si era un po’ riposato, riprese la scalata, aggrappandosi strettamente alle corde.
Il Corsaro si teneva pronto a sorreggerlo, temendo che da un momento all’altro lo cogliesse un capogiro.
Finalmente con un ultimo sforzo il soldato giunse sull’orlo superiore del torrione.
«Aiutatemi,» disse, vedendo apparire fra i merli un uomo. Questi stese le braccia e lo trasse sulla piattaforma. Il Corsaro che non soffriva le vertigini s’aggrappò all’orlo del merlo più vicino e balzò agilmente sulla torre, mettendo subito mano alla spada.
L’uomo che aveva aiutato il soldato, gli era mosso incontro, dicendogli:
«Siete voi l’amico della marchesa di Bermejo?»
«Sì,» rispose il Corsaro, tirandosi da un lato per lasciar posto ai suoi uomini già giunti fra i merli.
Si guardarono entrambi per qualche istante, con una certa curiosità. Diego Sandorf, il confidente del duca, era di statura piuttosto bassa, con spalle molto larghe, braccia muscolose. Dimostrava cinquant’anni. I suoi capelli e la sua barba erano brizzolati; i suoi lineamenti piuttosto duri; i suoi occhi piccoli e grigi come quelli d’un gatto, con un certo lampo color dell’acciaio.
Sbirciò il Corsaro dalla testa ai piedi, alzando una lanterna che aveva presa fra i merli, onde osservarlo meglio, poi disse con un certo malumore:
«Non era necessario che vi copriste il viso colla maschera; come vedete io mostro il mio volto.
«Le precauzioni non sono mai troppe,» si limitò a rispondere il Corsaro.
«Chi sono questi uomini? »chiese Sandorf, indicando Carmaux e gli altri.
«Miei marinai.»
«Ahi voi siete allora un capitano di marina.»
«Sono un amico della marchesa di Bermejo,» rispose asciuttamente il Corsaro.
«Che desiderate sapere da me?»
«Una cosa della massima importanza.»
«Sono ai vostri ordini, signore.»
«Io so che voi sapete qualche cosa della figlia del duca Wan Guld, della signorina Honorata.»
Diego Sandorf aveva fatto un gesto di stupore.
«Perdonate,» disse, «ma io desidererei prima sapere chi siete voi per interessarvi della figlia del duca.»
«Per ora sono un amico della marchesa di Bermejo; più tardi, in altro luogo, non qui, vi dirò chi io sono.»
«Sia pure. Ditemi allora cosa desiderate sapere.»
«Volevo chiarire se era vera la voce che la signorina Honorata sarebbe ancora viva.»
«Ed a quale scopo?»
«Ho una nave e degli uomini risoluti e potrei riuscire, meglio di qualunque altro forse, a rintracciare la giovane duchessa.»
«Allora voi siete un amico del duca per interessarvi tanto di sua figlia?»
Il Corsaro non rispose. Diego Sandorf interpretò quel silenzio come un’affermazione e prosegui.
«Allora ascoltatemi.
Due mesi or sono, io mi trovavo in missione all’Avana, quando un giorno venne da me un marinaio dicendomi di aver da farmi delle comunicazioni della massima importanza. Credetti dapprima che si trattasse di qualche confidenza riguardante i filibustieri della Tortue, invece si trattava di Honorata Wan Guld. Avendo saputo che io ero il confidente del duca, erasi deciso a venirmi a trovare per darmi delle preziose informazioni sulla giovane duchessa. Seppi adunque da lui che la tempesta, scoppiata la notte in cui il Corsaro Nero l’aveva abbandonata in una scialuppa per vendicarsi del duca, l’aveva risparmiata. La nave che montava quel marinaio aveva incontrata la giovane duchessa a sessanta miglia dalla costa di Maracaibo e l’aveva raccolta, non ostante l’infuriare delle onde. La caravella doveva recarsi nella Florida e la condusse con sé. Disgraziatamente era allora l’epoca degli uragani. La caravella, giunta presso le coste meridionali della Florida, naufragò sulle scogliere e l’equipaggio fu massacrato dai selvaggi. Solamente il marinaio che venne a trovarmi era sfuggito miracolosamente alla morte, essendosi tenuto nascosto fra i rottami della nave, cioè non lui solo. Anche la giovane duchessa era stata risparmiata. Quei selvaggi, colpiti forse dalla sua bellezza, invece di trucidarla le avevano manifestato segni non dubbi di un rispetto straordinario. Dal suo nascondiglio, il marinaio vide quei feroci antropofaghi inginocchiarsi dinanzi alla giovane duchessa, come se fosse qualche divinità del mare, quindi adagiarla su di un palanchino adorno di penne e di pelli di caimano e condurla con loro.
Il marinaio vagò parecchie settimane su quella costa inospitale, finchè, trovato un canotto abbandonato fra le sabbie, potè prendere il largo e farsi raccogliere da una nave che veniva da S. Agostino della Florida.
Ecco, signore, quanto ho potuto sapere.»
Il Corsaro Nero l’aveva ascoltato in silenzio, col capo chino sul petto e le braccia strettamente incrociate. Quando Diego Sandoff ebbe finito, alzò vivamente la testa, chiedendogli con un accento che tradiva una viva ansietà:
«Avete creduto a questa istoria?»
«Sì, signore. Quel marinaio non aveva alcuno iscopo per inventarla.»
«Ed il duca non ha subito mandata qualche nave a cercarla?»
«Egli si trovava qui in quell’epoca e non potei informarlo che pochi giorni fa, cioè subito dopo il mio arrivo.»
«Eppure don Pablo de Ribeira aveva pur saputo qualche cosa.»
«Come conoscete don Pablo?» chiese Sandorf, con stupore.
«Sono andato a trovarlo alcune settimane or sono.»
«L’avevo informato io,» disse il fiammingo. «Credendo che il duca si trovasse nei suoi possedimenti di Puerto Limon, mi ero prima recato colà, mentre egli invece era già partito per Vera-Cruz.»
«Mi hanno detto che il duca si è imbarcato l’altra notte per la Florida.»
«È vero, signore.»
«Non si fermerà in alcun luogo prima di recarsi laggiù?»
«Credo che si arresterà a Cardenas, nell’isola di Cuba, dove ha molte possessioni e molti interessi da regolare.»
«Voi mi avete detto che la caravella è naufragata sulle coste meridionali della Florida.»
«Sì, signore,» rispose Sandorf.
Il Corsaro gli stese la mano, dicendogli:
«Grazie: se domani scenderete a Vera-Cruz, vi dirò il mio nome.»
«Vi sono i filibustieri in città.»
«Domani non vi saranno più.»
Poi volgendosi verso i suoi uomini disse:
«Andiamo.»
Carmaux, che aveva già fatto il giro della piattaforma per accertarsi che non vi erano soldati nascosti, scese per primo, poi dietro di lui Wan Stiller, quindi il Corsaro e ultimo Moko.
Erano già discesi di dieci o dodici metri, quando un grido sfuggi a Carmaux.
«Fulmini!» esclamò. «Ed il soldato?»
«È rimasto sul torrione!» gridò Wan Stiller.
«Ci tradisce!»
Il Corsaro Nero s’era arrestato. Se il soldato, che doveva ricevere le piastre promessegli alla base del torrione non li aveva seguiti, v’era da temere un tradimento. La paura che la scala potesse venire tagliata, precipitandoli tutti nell’abisso che muggiva sotto i loro piedi, gelò il sangue nelle loro vene.
«Risaliamo!» gridò il Corsaro. «Presto, se vi preme la vita.»
S’aggrappano alla scala e rimontano precipitosamente.
Moko, che era il primo, s’aggrappò al merlo più vicino. Aveva appena appoggiate le mani quando udì una voce a dire:
«Siamo ancora in tempo per farli cadere!»
Il negro d’un balzo si slanciò fra i merli ed impugnò la scure.
Due uomini attraversavano in quel momento la piattaforma, dirigendosi precisamente là dove era legata la scala.
Erano il soldato spagnuolo e Diego Sandorf.
«Indietro, miserabili!» gridò il negro, alzando la scure.
Lo spagnuolo ed il fiammingo, sorpresi da quell’improvvisa apparizione, s’arrestarono. Quel momento bastò per lasciare tempo al Corsaro ed ai suoi due marinai di raggiungere le cime del torrione.
Carmaux, vedendo una colubrina, d’un colpo solo la fece girare puntandola verso le piattaforme delle alte torri e accese rapidamente una miccia, mentre il Corsaro si slanciava verso Diego Sandorf colla spada in pugno.
«Cosa volete ancora?» chiese il fiammingo, che aveva pure snudata la spada.
«Dirvi che siete giunto troppo tardi per precipitarci nell’abisso,» rispose il Corsaro.
«Chi vi ha detto questo?» chiese Sandorf, fingendosi stupito.
«Vi ho udito, signor Sandorf, quando dicevate allo spagnuolo: Siamo ancora in tempo per farli cadere».
«Voi siete il Corsaro Nero, è vero?» chiese il fiammingo, coi denti stretti.
«Sì, il nemico mortale del duca vostro signore,» rispose il cavaliere, levandosi la maschera.
«Allora vi uccido!» gridò il fiammingo, caricandolo furiosamente.
Nel momento che lo attaccava, il soldato erasi gettato giù dalla piattaforma, saltando su di un ponte che comunicava con un secondo torrione.
«All’armi!» aveva gridato a piena gola. «I filibustieri!…»
«Ah!… canaglia!» gridò Wan Stiller, precipitandoglisi dietro.
Il Corsaro, a cui premeva sbarazzarsi del fiammingo per organizzare la difesa della piattaforma o tentare la discesa del torrione, se ne avevano il tempo, aveva caricato con grande impeto l’avversario, costringendolo a retrocedere verso il ponte.
Il fiammingo si difendeva vigorosamente, ma non era della forza del Corsaro, quantunque fosse un abile spadaccino.
Giunto presso il primo gradino del ponte, fu costretto a voltarsi indietro per non cadere. Il Corsaro, pronto come la folgore, gli allungò una stoccata fra le costole, facendolo ruzzolare giù dalla scala.
«Avrei potuto passarvi da parte a parte,» gli disse. «Vi ho risparmiata la vita perchè m’avete date delle informazioni preziose e perchè siete amico della marchesa.»
Era tempo che si fosse sbarazzato di quell’avversario. Moko e Wan Stiller, che non avevano potuto raggiungere il soldato, tornavano correndo, mentre su tutte le piattaforme e sui bastioni si udivano le sentinelle a gridare:
«All’armi!… All’armi!… I filibustieri!»
Il Corsaro aveva gettato attorno a sè un rapido sguardo. In un angolo della piattaforma aveva scorto una scala di pietra che pareva conducesse nell’interno del torrione.
«Cerchiamo un riparo,» disse. «Fra poco le artiglierie del forte fulmineranno questo luogo.»
«Se fuggissimo per la scala di corda?» chiese Carmaux. «Forse ne avremmo il tempo.»
«È troppo tardi,» rispose Wan Stiller. «Gli spagnuoli vengono!…»
«Signore,» disse Carmaux, volgendosi verso il Corsaro. «Salvatevi!…»
«Noi non ci arrenderemo finchè voi non sarete giunto nella scialuppa.
«Abbandonarvi!» gridò il Corsaro. «Mai!…»
«Affrettatevi, capitano,» disse Wan Stiller. «Siete ancora in tempo per salvarvi!…»
«Mai!» ripetè il Corsaro, con incrollabile fermezza. «Io rimango con voi. Venite, ci difenderemo come leoni e aspetteremo l’assalto dei filibustieri di Grammont.»
CAPITOLO XXII. FRA IL FUOCO E L’ABISSO
Il Corsaro aveva già messo un piede sul primo gradino, quando un pensiero improvviso lo trattenne.
«Io stavo per commettere una viltà!» esclamò volgendosi verso i suoi uomini.
«Una viltà!» esclamò Carmaux, guardandolo stupito.
«Gli spagnuoli e soprattutto Sandorf non perdonerebbero alla marchesa di Bermejo di aver protetto dei filibustieri e sopratutto me. Noi l’’abbiamo compromessa.»
«È necessario che uno vada ad avvertirla di quanto è successo onde possa mettersi al riparo dalle vendette dei suoi compatriotti.»
«Ragione di più per andarvi voi, capitano. Salvereste la marchesa e voi stesso.»
«Il mio posto è qui, fra voi,» disse il Corsaro. «Wan Stiller, affido a te l’incarico di andare dalla marchesa e poi di avvertire Grammont della nostra situazione.»
«Sono pronto a obbedirvi, capitano,» rispose l’amburghese.
«Noi resisteremo finchè tu sarai al sicuro. Va’, spicciati: il tempo stringe,» disse il Corsaro.
L’amburghese che non era abituato a discutere, scavalcò l’orlo superiore della torre, s’aggrappò alle corde e sparve nell’oscurità.
«Quando sarai sullo scoglio, ci darai il segnale con un colpo di pistola,» gli gridò Carmaux.
«Sì, compare,» rispose l’amburghese che discendeva a precipizio.
«Prepariamoci alla difesa,» disse il Corsaro. «Tu Carmaux alla colubrina e noi, Moko, difendiamo il ponte.»
«Gli spagnuoli vengono, capitano,» disse Moko. «Li vedo scendere il bastione che sta di fronte a noi.»
Gli spagnuoli avvertiti dall’allarme dato dalle sentinelle e dalle grida del soldato, si erano svegliati subito, afferrando le armi.
Avendo dapprima creduto che i filibustieri tentassero un assalto dalla parte delle torri e dei bastioni di ponente, s’erano precipitati confusamente da quella parte, lasciando così al Corsaro ed ai suoi compagni alcuni minuti di tregua. Avvertiti dal soldato del loro errore e saputo che si trattava di pochi filibustieri, il governatore del forte aveva dato ordine ad una compagnia di dare l’assalto alla piattaforma del torrione di levante e d’impadronirsi di quegli audaci. Cinquanta uomini, armati parte di fucili e parte d’alabarde, superati i bastioni, s’erano affrettati a muovere verso il ponte, mentre alcuni artiglieri puntavano due pezzi in quella direzione per sostenere la colonna d’assalto. Il Corsaro e Moko si erano appostati all’estremità del ponte, tenendosi riparati dietro l’angolo del parapetto, mentre Carmaux, che era stato un tempo un valente artigliere, aveva puntata la colubrina in modo da spazzare il passaggio.
Vedendo avanzarsi i soldati, il Corsaro colla destra impugnò la spada e colla sinistra una pistola, gridando:
«Chi vive?»
«Arrendetevi,» rispose l’ufficiale che comandava il drappello.
«È a voi che intimo la resa,» disse il Corsaro, audacemente.
In quell’istante in fondo alla scala si udì una voce fioca a dire:
«Addosso!… avanti!… È il Corsaro Nero!»
Era Diego Sandorf, il quale, quantunque non fosse stato gravemente ferito, non era ancora riuscito ad attraversare il ponte. Udendo quelle parole, gli spagnuoli si erano arrestati.
«Il terribile Corsaro!» avevano esclamato, con ispavento.
La fama del fiero scorridore del mare era diventata popolare in tutte le colonie spagnuole del golfo del Messico, e tutti conoscevano le audaci imprese di quell’uomo, come conoscevano il terribile odio che esisteva fra lui ed il duca fiammingo.
I soldati del forte, sapendo d’aver di fronte il formidabile Corsaro, si erano arrestati, titubando fra l’avanzarsi ed il retrocedere per chiamare nuovi rinforzi. Il Corsaro non lasciò loro il tempo di prendere la prima decisione, volendo innanzi a tutto guadagnar tempo.
«Avanti miei prodi!» aveva gridato. «Carmaux lancia venti uomini attraverso il ponte e tu, Moko, dà l’assalto a quel bastione con altri quindici!… Alla carica uomini del mare.»
E scaricò la sua pistola, slanciandosi verso il ponte.
Gli spagnuoli, ingannati da quei comandi, credendo davvero di aver dinanzi tanti uomini, retrocessero precipitosamente, rimontando confusamente il bastione non ostante le grida di Sandorf il quale ripeteva:
«Avanti!… Addosso!… Non sono che in quattro!
Carmaux vedendoli scalare il bastione e volendo far loro credere di essere in buon numero sul torrione, fece tuonare la colubrina, smantellando un merlo della seconda cinta e facendo piovere i rottami addosso ai fuggiaschi.
Un momento dopo due colpi di pistola rintronavano sulla scogliera.
«Wan Stiller è in salvo!» esclamò Moko.
«E noi abbiamo ottenuto il nostro scopo,» disse Carmaux.
Ad un tratto due colpi di cannone rimbombarono sull’ultima torre di ponente e due palle passarono sopra la piattaforma. Una diroccò un merlo a soli cinque passi da Moko; l’altra fracassò una ruota della colubrina, perdendosi poi in mare.
«Venite,» disse il Corsaro.
Si slanciarono tutti e tre verso la scala di pietra, mentre una terza palla, e questa di grosso calibro, sollevava una delle pietre della piattaforma, mandandola in frantumi.
Discesi cinquanta gradini, i filibustieri si trovarono in uno stanzone a volta, con due feritoie difese da grosse sbarre di ferro e che guardavano una verso il mare e l’altra su di un cortile del forte che si trovava quasi a livello dell’apertura.
Una porta di quercia assai grossa e coperta di lamine di ferro chiudeva la scala.
«Pensiamo a premunirci le spalle, innanzi a tutto,» disse Carmaux.
Aiutato da Moko chiuse con fracasso la porta, sbarrandola con due spranghe di ferro.
«Per di qua non entreranno di certo,» disse. «È a prova di scure.»
«E le inferriate delle due finestre sono solide,» disse Moko.
Il Corsaro aveva fatto il giro dello stanzone per vedere se vi erano altri passaggi, ma non ne trovò.
«Forse potremo resistere fino all’arrivo dei filibustieri,» disse.
«Anche una settimana, signore,» rispose Carmaux. «Le pareti hanno un tale spessore da sfidare il cannone.»
«Non abbiamo nè un sorso d’acqua, nè un biscotto.»
«È vero!» esclamò Carmaux, con un gesto di scoramento.
«Consolati, Carmaux: ecco i vivandieri che arrivano. Disgraziatamente non ci offriranno che delle pagnotte di ferro.»
«Non mi piacciono perchè sono troppo indigeste.»
«Allora guardati!»
Il Corsaro Nero, che si trovava appostato dietro una delle due feritoie, aveva veduto un drappello di spagnuoli spingere un cannone verso l’estremità del cortile. Stava per ritirarsi dietro l’angolo del muro, quando dalla parte della scala si udirono dei passi.
«Pare che vogliano prenderci fra due fuochi,» disse. «Fortunatamente la porta è massiccia e la scala non permette di collocare un cannone e…»
Un colpo furioso dato contro la porta e che fece rintronare tutta la torre, gli troncò la frase.
«Aprite!» gridò una voce.
«Mio caro signore,» disse Carmaux, «bussate un po’ troppo forte voi.»
«Aprite!» ripetè la medesima voce.
«Ohe! Badate che siamo in casa nostra e che abbiamo il diritto di non venire disturbati da chicchessia, nemmeno dal re di Spagna.»
«Ah! siete in casa vostra!»
«Per bacco!… Abbiamo già pagata la pigione al signor Sandorf, con due pollici di vero acciaio di Toledo.»
«Non importa, arrendetevi.»
«A chi?» domandò il Corsaro Nero.
«Al comandante del forte, don Esteban de Joave.»
«Dite allora al signor de Joave che il cavaliere di Ventimiglia non ha per ora alcuna intenzione di arrendersi.»
«Pensate che noi siamo in cinquecento,» disse lo spagnuolo.
«E noi in tre, ma pronti a lottare fino all’estremo delle nostre forze.»
«Il governatore vi promette salva la vita.»
«Preferisco giuocarla in un combattimento. Andate e lasciateci tranquilli.
«Ah! desiderate di rimanere tranquillo! Me ne dispiace, cavaliere, ma noi non vi accorderemo un solo istante di tregua.»
Si udirono delle persone a rimontare le scale, poi più nulla.
«Pare che abbiano rinunciato a forzare la porta,» disse Carmaux, respirando a pieni polmoni.
«Ma non hanno rinunciato a bombardarci,» rispose il Corsaro. «Guarda!»
Lo spinse verso la feritoia che guardava sul cortile.
All’opposta estremità Carmaux vide, alla luce di parecchie torce, due pezzi d’artiglieria puntati verso la torre e numerosi soldati.
«Vedi?» chiese il Corsaro.
«Diavolo!» esclamò Carmaux, pizzicandosi gli orecchi. «La cosa si fa seria.»
«Indietro, Carmaux: soffiano sulle micce.
«Non mi lascierò cogliere, capitano,» rispose il marinaio facendo un salto indietro.
I tre filibustieri attesero lo sparo, ma i cannoni che parevano pronti a vomitare le loro masse metalliche contro la torre, rimasero muti.
«Come va questa faccenda?» si chiese Carmaux. «Che gli spagnuoli ci tengano a non guastare questo torrione o che vogliano prenderci vivi?»
«È probabile,» rispose il Corsaro, il quale s’era avvicinato alla feritoia a rischio di farsi spaccare in due da una palla di cannone. «Sì, pare che abbiano rinunciato a bombardarci. I soldati stanno confabulando fra di loro. Vi sono parecchi ufficiali con loro e fors’anche il comandante del forte.»
«Spereranno di farci capitolare senza ricorrere alla violenza e perdere un solo uomo.»
«Sanno che manchiamo di viveri.»
«Ma non sanno che i nostri amici all’alba verranno a liberarci.»
«Adagio, Carmaux,» disse il Corsaro. «Mancano ancora tre ore allo spuntare del sole ed in questo intervallo di tempo possono succedere mille cose.»
«Cosa temete, capitano?»
«Che gli spagnuoli ci costringano a capitolare prima che sorga il sole.»
«Io sono del vostro parere, padrone,» disse Moko, che fino allora erasi tenuto dietro la porta ferrata. «Gli spagnuoli sono occupati in qualche lavoro misterioso.»
«Cos’hai udito?» chiesero Carmaux ed il Corsaro, con inquietudine.
«Si direbbe che stanno rotolando dei barili.»
«Giù dalla scala?» chiese Carmaux impallidendo.
«Sì,» rispose Moko.
«Dei barili!» esclamò il marinaio. «Che siano pieni di polvere?»
«È probabile, Carmaux.»
«Noi non lo permetteremo, capitano.»
«Cosa vorresti fare, mio bravo?»
«Aprire la porta e piombare sugli spagnuoli prima che possano preparare la mina.»
«L’idea non mi sembra cattiva, però non credo che otterremo grandi cose.»
«Preferisco morire colle armi in pugno, piuttosto di saltare in aria come un sacco di stracci.»
«Allora venite, miei bravi,» disse il Corsaro, sguainando la spada.
Prima di dare il comando di levare le sbarre di ferro, accostò un orecchio alla porta e ascoltò a lungo.
«Giù le sbarre,» disse a Moko, a mezza voce.
Il negro le fece cadere d’un colpo solo e aprì violentemente la massiccia porta.
Il Corsaro s’era già scagliato sui primi gradini, urlando a piena gola:
«Avanti, uomini del mare!…»
A metà della scala quattro soldati, comandati da un sergente, stavano rotolando un barile.
Il Corsaro piomba in mezzo a loro e con una stoccata abbatte il più vicino, ma il sergente gli sbarra il passo attaccandolo vigorosamente colla spada in pugno, mentre i suoi compagni salgono a precipizio urlando:
«I filibustieri!… All’armi!»
Il barile, abbandonato a sè stesso, era rotolato giù dalla scala con gran fracasso, mandando Carmaux a gambe all’aria.
«Sgombra!» aveva gridato il Corsaro, al sergente. «Sgombra o ti uccido!»
«Sebastiano Maldonado muore sul posto ma non fugge, mio signore,» rispose lo spagnuolo, ribattendo con grande abilità una stoccata che avrebbe dovuto passarlo da parte a parte.
Moko e Carmaux si erano slanciati pure innanzi, però avevano dovuto subito fermarsi in causa della strettezza della scala e della inaspettata resistenza opposta dal sergente.
«Una pistola certe volte val meglio d’una spada,» disse Carmaux, levandosi l’arma dalla cintura.
Stava per far fuoco sul valoroso sergente, quando questi cadde mandando un grido. Il Corsaro lo aveva colpito in mezzo al petto.
«Avanti!» gridò.
In quel momento, allo svolto della scala comparvero gli spagnuoli. Accorrevano in buon numero per ricacciare i filibustieri.
Due colpi di fucile rimbombarono. Una palla tagliò netta la lunga piuma nera del Corsaro, mentre la seconda sfiorava la guancia destra di Moko, tracciando un leggero solco sanguinoso.
«In ritirata!» grida il Corsaro, scaricando la sua pistola contro gli archibugieri.
I tre filibustieri in due salti scesero la scala e si rinchiusero nello stanzone salutati da altri due colpi di fucile le cui palle rimbalzarono sulle piastre di ferro della porta.