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Kitabı oku: «La regina dei Caraibi», sayfa 3

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CAPITOLO IV. ASSEDIATI NELLA TORRICELLA

Cinque minuti dopo il Corsaro Nero, portato a braccia dai suoi fidi marinai, si trovava nella torricella della casa del signor de Ribeira. Anche la giovane indiana aveva voluto seguirlo, non ostante i consigli di Carmaux, a cui spiaceva molto esporre quella brava giovane ai pericoli d’un assedio. Quella torricella era una piccola costruzione, non molto alta e non molto resistente, divisa in due stanzette circolari e comunicanti, per mezzo d’una scala di legno, coi solai della casa. Quantunque non si elevasse molto, dalle finestre del piano superiore si dominava non solo tutta la cittadella, bensì anche il porto, in mezzo al quale si trovava ancorata la Folgore.

Carmaux, fatto adagiare il suo capitano su di un vecchio letto fuori d’uso, si era affrettato ad affacciarsi alla finestrina che guardava verso il porto. Vedendo i fanali della Folgore, non potè trattenere un grido di gioia.

«Per centomila balene!» esclamò. «Da questa fortezza noi potremo scambiare dei segnali colla nostra nave. Ah! miei cari signori spagnuoli, noi vi daremo ancora molto filo da torcere.»

«L’hai veduta la mia nave?» gli chiese il Corsaro, non senza una certa commozione.

«Sì, capitano,» rispose Carmaux che era rientrato.

«Allora bisogna cercare di resistere fino all’arrivo dei rinforzi che ci manderà Morgan.»

«Questa piccola fortezza non mi pare in cattivo stato.»

«Occupatevi della scala.

«Compare sacco di carbone e Wan Stiller stanno già spezzandola. Anzi ho raccomandato loro di portar qui i rottami.

«Cosa vuoi farne Carmaux?»

«Ci servirà per accendere un bel fuoco sulla torricella. Il signor Morgan comprenderà il segnale, spero.»

«Basterà accenderlo tre volte con un intervallo di cinque minuti,» disse il Corsaro. «Morgan saprà subito che noi siamo in pericolo e che abbiamo bisogno di aiuti.»

In quel momento udirono, giù nella via, un fracasso indemoniato. Pareva che delle persone cercassero di sfondare qualche porta o qualche finestra.

«Sono i nostri uomini che demoliscono la scala?» chiese il Corsaro.

«No, capitano,» rispose Carmaux che si era affacciato alla finestrina della torre. «Sono gli spagnuoli.»

«Forzano l’entrata?

«Sfondano la porta servendosi d’una trave.»

«Allora fra poco saranno qui.»

«Troveranno un osso duro da rompere,» rispose Carmaux. «Andiamo a barricare il passaggio della torricella. Mille balene!»

«Che hai? – chiese il Corsaro.

«Un assediato senza viveri è un uomo morto. Prima di barricarci pensiamo a procurarci qualche cosa da porre sotto i denti.»

«Non preoccupatevi,» disse la giovane indiana. «Ci penso io a procurarvi dei viveri.»

«La piccina ha del fegato, – disse Carmaux vedendola scendere tranquilla come se dovesse compiere una cosa semplicissima.

«Seguila,» gli disse il Corsaro. «Se gli spagnuoli la sorprendono a portarci dei viveri, potrebbero ucciderla.»

Carmaux snudò la sciabola e scese dietro alla giovane, deciso a proteggerla a qualsiasi costo. Wan Stiller e Moko, armati di scure, stavano per tagliare la scala onde impedire agli spagnuoli di salire al piano superiore, nel caso che fossero riusciti a sfondare la porta della torretta.

«Un momento, amici,» disse loro Carmaux. «Prima i viveri, poi la scala.»

«Aspettiamo i tuoi ordini,» rispose Wan Stiller.

«Intanto vieni con me. Cercheremo di provvederci di buone bottiglie. Don Pablo deve averne di quelle molto vecchie che faranno bene al nostro capitano.»

«Vi è qui una cesta che sembra fatta appositamente per contenerle,» disse l’amburghese, impadronendosi d’un grande paniere che si trovava in un angolo della stanzetta.

Lasciarono il loro rifugio ridiscendendo negli appartamenti di don Pablo. La giovane indiana era già entrata in una stanza dove si conservavano le provviste della casa e, riempito un paniere di ogni specie di vivande, tornava frettolosamente nella torretta.

Carmaux e Wan Stiller vedendo molte bottiglie polverose allineate su d’uno scaffale, s’affrettarono ad impadronirsene. Tuttavia ebbero anche il buon senso di prendere due secchi ripieni d’acqua.

Stavano per slanciarsi fuori, quando nel corridoio inferiore udirono dei passi affrettati.

«Vengono! – esclamò Carmaux, impadronendosi rapidamente del paniere.

Infilarono il corridoio che conduceva nella torricella, affrettando la corsa. Stavano per entrare nella porticina, dietro la quale li attendeva compare sacco di carbone, quando all’estremità opposta videro comparire un soldato.

«Ehi!… Alt o faccio fuoco!» gridò lo spagnuolo.

«Appiccati!» rispose.

Uno sparo rintronò e la palla andò a forare precisamente uno dei due secchi che portava l’amburghese. L’acqua zampillò attraverso il foro.

Carmaux chiuse in fretta la porta mentre delle urla di rabbia echeggiavano nel corridoio.

«Barrichiamoci! – gridò al negro.

In quella stanza vi erano parecchi mobili fuori d’uso; dei tavoli, una credenza monumentale, dei canterani e parecchie sedie molto pesanti.

In pochi minuti accumularono quei mobili dinanzi alla porta formando una barricata così massiccia, da sfidare le palle dei moschetti.

«Devo tagliare la scala?» chiese Moko.

«Non ancora,» rispose Carmaux. «Ne avremo sempre il tempo.»

«Assaliranno la porta.»

«E noi risponderemo, Compare sacco di carbone. Bisogna cercare di resistere più che si può. D’altronde le munizioni non ci fanno difetto.»

«Io ho cento cariche.»

«Ed io e Wan Stiller ne abbiamo altrettante, senza contare le pistole del capitano.»

In quel momento gli spagnuoli giungevano dietro alla porta.

«Aprite o vi uccideremo tutti!» gridò una voce imperiosa, martellando le tavole col calcio d’un moschetto.

«Adagio, signor mio,» rispose Carmaux. «Non bisogna avere tanta fretta, che diavolo! Un po’ di pazienza, mio bel soldato.»

«Sono un ufficiale e non un soldato.»

«Ho molto piacere di saperlo,» disse Carmaux con voce ironica.

«V’intimo la resa.»

«Oh!»

«E subito.»

«Uh! che furia!»

«Non abbiamo tempo da perdere noi.»

«Noi invece ne abbiamo molto,» disse Carmaux.

«Non scherzate; potreste pentirvi.»

«Parlo seriamente. Vi pare che questo sia il momento di scherzare?»

«Il comandante della città vi promette salva la vita.»

«Purchè ce ne andiamo? Ma se non desideriamo altro!»

«Ad una condizione però.»

«Ah! Vi sono delle condizioni?»

«Che cediate a noi la vostra nave, armi e munizioni comprese,» disse l’ufficiale.

«Mio caro signore, voi avete dimenticato tre cose.»

«E quali?»

«Che noi abbiamo le nostre case alla Tortue; che la nostra isola è lontana e finalmente che noi non sappiamo camminare sull’acqua come S. Pietro.»

«Vi si darà una barcaccia onde voi possiate andarvene.»

«Uhm! Le barcacce sono incomode, mio signore. Io preferisco tornarmene alla Tortue colla Folgore.»

«Allora vi appiccheremo,» gridò l’ufficiale che solamente allora erasi accorto dell’ironia del filibustiere.

«Sia pure, badate però ai dodici cannoni della Folgore. Lanciano certi confetti da buttar giù le vostre catapecchie e da radere al suolo anche il vostro forte.»

«La vedremo. Ohe! Buttate giù quella porta!»

«Compare sacco di carbone, tagliamo la scala,» – disse Carmaux, volgendosi verso il negro.

Salirono entrambi al piano superiore e con pochi colpi di scure spezzarono la scala, ritirando i rottami. Ciò fatto chiusero la botola mettendovi sopra una vecchia e pesante cassa.

«Ecco fatto,» disse Carmaux. «Ora salite se ne siete capaci.»

«Sono già entrati gli spagnuoli?» chiese il Corsaro Nero.

«Non ancora, capitano,» disse Carmaux. «La porta è solida e ben barricata e avranno molto da fare per forzarla.»

«Sono in molti?»

«Lo credo capitano.»

Il Corsaro stette un momento silenzioso, poi chiese:»

«Che ora abbiamo?»

«Sono le sei.»

«Dobbiamo resistere fino alle otto di questa sera prima di fare il segnale a Morgan.»

«Resisteremo, signore.»

«Non perdete tempo, miei bravi. Quattordici ore sono lunghe.

«Andiamo, compare sacco di carbone,» disse Carmaux, prendendo l’archibugio.

«Sarò anch’io della partita,» disse l’amburghese. «Fra noi tre faremo prodigi e impediremo agli spagnuoli l’entrata, almeno fino a questa sera.»

I tre valorosi riaprirono la botola e appoggiata un’asta della scala si lasciarono scivolare nel piano inferiore, decisi a farsi uccidere piuttosto che arrendersi.

Gli spagnuoli intanto avevano cominciato ad assalire la porta, percuotendo le tavole coi calci dei loro moschetti, però fino a quel momento non avevano ottenuto alcun successo. Ci volevano delle scuri ed una catapulta per aprire una breccia in quella barricata massiccia.

«Appostiamoci dietro a questa credenza e appena vediamo una fessura, facciamo fuoco,» disse Carmaux.

«Siamo pronti,» risposero il negro e l’amburghese.

Dopo un quarto d’ora, si udì al di fuori una voce a gridare:

«Largo!»

«Qualche nuovo rinforzo?» chiese il negro, aggrottando la fronte.

«Temo qualche cosa di peggio,» rispose Carmaux, con accento inquieto.

«Cosa vuoi dire, compare bianco?»

«Odi!»

Un colpo tremendo, accompagnato da uno scricchiolìo prolungato, si fece udire.

«Adoperano la scure,» disse l’amburghese.

«Si vede che hanno fretta di prenderci,» disse il negro.

«Oh! La vedremo,» rispose Carmaux, armando l’archibugio. «Spero che noi terremo loro testa finchè le tenebre ci permetteranno di fare il segnale a Morgan.»

Gli spagnuoli continuavano a percuotere con maggior accanimento. Oltre la scure facevano anche uso dei calci dei moschetti e degli spadoni, cercando di schiodare le tavole della porta.

I tre filibustieri, non potendo pel momento respingere quell’attacco, lasciavano fare. Si erano inginocchiati dietro la credenza tenendo pronti gli archibugi e anche le loro corte sciabole.

«Che furia!» disse ad un tratto Carmaux. «Mi pare che abbiano già aperta una fessura.»

«Io vedo un buco,» disse Moko, allungando rapidamente l’archibugio.

Stava per far partire il colpo, quando una detonazione rintronò. Una palla, dopo d’aver smussato un angolo della credenza, andò a frantumare un vecchio candeliere che si trovava in un angolo della stanza.

«Ah! Cominciano!» gridò Carmaux, facendo un salto indietro.

«Per bacco! Bisogna che facciamo anche noi qualche cosa.» S’avvicinò all’angolo della credenza che era stato smussato dalla palla e guardò con precauzione, onde non ricevere una palla nel cranio.

Gli spagnuoli erano riusciti ad aprire uno squarcio nella porta ed avevano introdotto un altro moschettone.

«Benissimo,» mormorò Carmaux. «Aspettiamo che facciano fuoco.»

Con una mano afferrò l’archibugio e cercò di spingerlo da una parte. Il soldato che lo aveva puntato, sentendo quell’urto, lasciò partire il colpo, poi ritirò sollecitamente l’arma per lasciare il posto ad un altro.

Carmaux, pronto come il lampo, avanzò l’archibugio e lo puntò attraverso lo squarcio.

Si udì una detonazione seguita da un grido.

«Toccato!» disse Carmaux.

«E prendi questa!» urlò una voce.

Un altro sparo rimbombò al di fuori e la palla, passando pochi pollici sopra il capo del filibustiere, spaccò di colpo la cornice superiore della credenza.

Contemporaneamente alcuni colpi di scure, bene appioppati, staccavano una tavola della porta. Quattro o cinque archibugi ed alcune spade furono introdotte.

«Badate,» gridò Carmaux ai compagni.

«Stanno per entrare?» chiese Wan Stiller, che aveva impugnato l’archibugio per la canna, onde servirsene come d’una mazza.

«C’è tempo,» rispose Carmaux.

In quel momento una voce gridò:

«Vi arrendete sì o no?

«Per farci fucilare? No, signor mio, non ne ho nessun desiderio pel momento.»

«Sfonderemo anche questo mobile che c’impedisce di entrare!» urlò lo spagnuolo.

«Fate pure, mio caro signore. Vi avverto però che dietro la credenza vi sono anche dei tavoli, e dietro ai tavoli degli archibugi e degli uomini decisi a tutto.»

«Vi appiccheremo tutti!…»

«Avete almeno portato con voi la corda?»

«Abbiamo le cinghie delle nostre spade, canaglia!…»

«Ci serviranno per strigliarvi per bene!…» disse Carmaux.

«Compagni!… Fuoco su questi furfanti!…

Quattro o cinque spari rimbombarono: le palle andarono a conficcarsi nella credenza, senza riuscire ad attraversare le massicce tavole.»

«Che concerto clamoroso,» disse Wan Stiller. «Possiamo intuonare anche noi qualche pezzo rumoroso?»

«Siete liberi,» rispose Carmaux.

«Allora cercheremo di fare qualche cosa.»

Wan Stiller strisciò lungo la credenza e raggiunse l’angolo opposto nel momento in cui gli spagnuoli, credendo di fugare gli avversarii, facevano una nuova e più rumorosa scarica.

«Ci siamo,» disse. «Uno lo faccio partire di certo per l’altro mondo.»

Un soldato aveva introdotto attraverso lo squarcio il suo spadone tentando di far saltare una tavola della credenza. Certo di non venire importunato dagli assediati, non si era nemmeno presa la briga di tenersi nascosto dietro la porta.

Wan Stiller che lo aveva veduto, allungò rapidamente l’archibugio e lasciò partire il colpo.

Lo spagnuolo, colpito in pieno petto, lasciò cadere lo spadone, allargò le braccia e cadde addosso ai compagni che gli stavano dietro. La palla lo aveva fulminato.

Gli assalitori, spaventati da quell’inaspettata fucilata, retrocessero mandando urla di furore.

Nell’istesso momento in lontananza si udì a rombare cupamente il cannone.

Carmaux aveva mandato un grido:

«È un cannone da caccia della Folgore!…»

«Tuoni d’Amburgo!…» esclamò Wan Stiller, diventando pallido come un cencio lavato. «Cosa succede a bordo del nostro legno?»

«Che sia un segnale?» chiese Moko.

«O che stiano per assalire la nostra nave?» si chiese Carmaux, con angoscia.

«Andiamo a vedere!…» gridò Wan Stiller.

Stavano per slanciarsi verso la scala, quando nel corridoio s’udì una voce a tuonare.

«Addosso, camerati!… Il cannone tuona nella baia!… Non mostriamoci da meno dei soldati del forte!…»

«Per centomila squali!…» urlò Carmaux. «Non ci lasciano un minuto di pace!… Attenti all’attacco!…»

«Siamo pronti a riceverli,» risposero Moko e Wan Stiller.

Un secondo colpo di cannone rimbombò verso la costa, seguito da una nutrita scarica di fucileria.

Quasi nell’istesso momento i soldati del corridoio, come se avessero attinto novello coraggio in quelle scariche, si precipitarono addosso alla porta, martellandola furiosamente coi calci dei moschetti e cogli spadoni.

«Attenti,» gridò Carmaux ai suoi compagni. «Qui si giuoca la pelle o la libertà!»

CAPITOLO V. L’ASSALTO ALLA FOLGORE

Udendo quel primo colpo di cannone, il Corsaro Nero, che da qualche minuto, vinto dall’estrema debolezza causatagli dalla perdita del sangue, aveva chiuso gli occhi, erasi prontamente ridestato, alzandosi a sedere.

La giovane indiana, che fino allora era rimasta accoccolata presso il letto, senza mai staccare gli occhi dal volto del ferito, era pure balzata in piedi, indovinando già da qual parte veniva quella rumorosa detonazione.

«È il cannone, è vero, Yara?» le chiese il Corsaro.

«Sì, mio signore,» rispose la giovane indiana.»

«E tuona dalla parte del mare?»

«Sì, verso la costa.»

«Guarda cosa succede nella baia.»

«Temo che quella cannonata sia partita dalla vostra nave.»

«Morte dell’inferno!» esclamò il Corsaro. «Dalla mia nave!… Guarda Yara, guarda!»

La giovane indiana si slanciò verso la finestra e guardò in direzione della baia.

La Folgore stava ancorata nel medesimo posto, però aveva messa la prora verso la spiaggia, in modo da dominare coi suoi sabordi di tribordo il fortino della città. Sul suo ponte, lungo le murate e sul cassero, si vedevano numerosi uomini a muoversi, mentre altri salivano rapidamente le griselle per prendere forse posizione sulle coffe. Otto o dieci scialuppe, cariche di soldati, s’erano allora staccate dalla spiaggia e si dirigevano verso la nave, mantenendo fra di loro una notevole distanza.

Non era necessario essere pratici di cose guerresche, per comprendere che nella baia stava per avvenire un combattimento. Quelle scialuppe correvano rapide addosso alla nave, coll’intenzione di abbordarla e possibilmente di espugnarla.

«Signore,» disse la giovane indiana con voce alterata. «Si minaccia il vostro vascello.»

«La mia Folgore?» gridò il Corsaro, facendo atto di gettarsi giù dal letto.

«Cosa fate, mio signore?» chiese Yara, correndo presso di lui.

«Aiutami, fanciulla,» disse il Corsaro.

«Non dovete muovervi, mio signore.»

«Io sono forte, fanciulla mia.»

«Le vostre ferite si riapriranno.»

«Si rimargineranno più tardi odi!»

«Un altro colpo di cannone!…»

Senza attendere altro s’era avvolto in un ferraiuolo nero e con un potente sforzo di suprema volontà era disceso dal letto, mantenendosi ritto senza alcun appoggio.

Yara si era precipitata verso di lui, ricevendolo fra le braccia. Il Corsaro aveva fatto troppa fidanza sulle sue proprie forze e queste ad un tratto gli erano venute meno.

«Maledizione!…» esclamò, mordendosi le labbra a sangue. «Essere impotente proprio in questo momento, quando la mia nave corre forse un grave pericolo!… Ah!… Quel sinistro vecchio finirà col portare sventura a tutti quelli della mia famiglia!… Yara, fanciulla mia, lascia che mi appoggi alle tue spalle.»

Stava per spingersi verso la finestra, quando vide comparire Carmaux. Il bravo filibustiere aveva il viso molto oscuro e lo sguardo inquieto.

«Capitano!» esclamò, correndo verso di lui e stringendolo con ambe le braccia, onde meglio sorreggerlo.

«Si combatte in mare?»

«Sì, Carmaux.»

«Mille squali!… E noi siamo qui, assediati, impotenti a portare aiuto alla nostra nave e con voi ferito.»

«Morgan saprà difenderla, mio bravo. Vi sono dei valorosi a bordo e dei buoni cannoni.»

«Ma qui la nostra posizione è insostenibile, capitano.»

«Togliete la scala e salvatevi quassù.»

«È quello che faremo fra poco.»

«Alla finestra, amico. Si combatte fieramente nella baia.»

Un terzo, poi un quarto colpo di cannone erano rimbombati sul mare e si udivano pure frequenti scariche di moschetteria.

Carmaux e Yara portarono, quasi di peso, il Corsaro, facendolo sedere dinanzi alla piccola finestra della torricella. Da quel luogo elevato lo sguardo spaziava liberamente su tutta la città e dominava interamente la baia ed anche un immenso tratto di mare.

La battaglia fra la Folgore e le scialuppe montate dalla guarnigione del fortino, era di già stata impegnata con molto slancio d’ambe le parti.

La nave, che non voleva abbandonare la baia senza aver prima imbarcato il suo capitano, s’era fortemente ancorata a trecento metri dalla spiaggia, presentando agli assalitori il suo tribordo mentre i suoi uomini s’erano sdraiati dietro alle murate, pronti a tempestare il nemico coi loro lunghi fucili.

I due cannoni da caccia della coperta avevano già tuonato ripetutamente contro i nemici ed i loro colpi non erano andati perduti. Una scialuppa, colpita in pieno da una palla, era stata già sommersa e si vedeva il suo equipaggio a nuotare verso la spiaggia.

Il Corsaro Nero con un solo sguardo si era subito reso conto della situazione.

«La mia Folgore darà molto da fare agli assalitori,» disse. «Fra un quarto d’ora ben poche scialuppe rimarranno a galla.»

«Temo però, mio capitano, che vi sia sotto qualche cosa di peggio,» disse Carmaux. «Non mi sembra naturale che quelle poche scialuppe muovano all’abbordaggio d’una nave così formidabilmente armata.»

«Anch’io ho questo sospetto, Carmaux. Vedi nulla al largo?»

«No, mio capitano. Come però vedete, la costa è molto alta e quelle scogliere possono nascondere qualche nave.»

«Tu credi?» chiese il Corsaro, con una certa ansietà.

«Che gli spagnuoli attendano qualche aiuto dalla parte del mare.»

«La mia Folgore presa fra due fuochi!…»

«Il signor Morgan è uomo da tenere testa a due avversari, signore.»

«Va’ a soccorrere i tuoi compagni, Carmaux. A me basta Yara.»

«Credo che abbiano bisogno di me,» disse il filibustiere, caricando precipitosamente il fucile.

Mentre Carmaux correva in soccorso dell’amburghese e del negro, i quali cominciavano a trovarsi a mal partito in causa dei furiosi e replicati attacchi degli spagnuoli, nella piccola baia la battaglia prendeva proporzioni tremende.

Le scialuppe, non ostante le terribili scariche della nave filibustiera, e le gravi perdite che subivano, correvano animosamente all’abbordaggio sostenendosi con un nutrito fuoco di fucileria ed incoraggiandosi con urla assordanti. Già tre scialuppe, sfondate dalle palle della filibustiera, erano andate a picco, pure le altre non si erano arrestate. Si erano disposte in forma di semicerchio per abbordare la nave da diverse parti e facevano forza di remi per giungere sotto i fianchi del legno e mettersi così al riparo dai due cannoni da caccia della coperta che le danneggiavano gravemente con incessanti scariche di mitraglia.

Anche il fortino, che dominava la parte meridionale della piccola baia, non era rimasto inoperoso. Quantunque la sua guarnigione non possedesse che piccoli pezzi di artiglieria, tuonava furiosamente, mandando parecchie palle sul ponte della nave. Non ostante quel doppio attacco, la nave filibustiera pareva se ne ridesse dei suoi avversarii. Sempre ferma sulle sue àncore, avvampava come un vulcano, coprendosi di fumo e di fiamme e facendo coraggiosamente fronte al fortino ed alle scialuppe. I suoi uomini, poi, aiutavano gli artiglieri, tirando con matematica precisione sugli equipaggi delle scialuppe e particolarmente sui rematori. Il Corsaro Nero, appoggiato al davanzale della finestra, seguiva attentamente i diversi episodii della battaglia. Pareva che non provasse più alcun dolore e talvolta si animava, minacciando col pugno ora il fortino ed ora le scialuppe.

«Animo, uomini del mare! – gridava. – Giù una buona scarica su quella scialuppa che sta per abbordarvi! Là, così va bene!… Non sono che nove! Fuoco sul fortino! Smantellate i suoi bastioni e fate saltare le sue artiglierie!… Viva la filibusteria!»

«Mio signore, non animatevi così, – gli diceva Yara, tentando, ma invano, di farlo sedere. – Pensate che siete ferito.

Incoraggiava i suoi valorosi marinai, additava loro i pericoli ed ammoniva ora gli uni ed ora gli altri come si trovasse anche lui sul ponte della nave e come se potessero udire la sua voce. Si era perfino dimenticato di Carmaux, di Wan Stiller e del negro che battagliavano ferocemente contro gli spagnuoli del corridoio.

Ad un tratto un grido terribile gli sfuggì.

«Maledizione!»

Tre scialuppe, non ostante le tremende scariche dei filibustieri, erano giunte sotto la nave, mettendosi al riparo dalle artiglierie, mentre dietro la lunga penisola che si estendeva dinanzi alla baia erano improvvisamente comparse le altissime alberature di due navi.

«Signore!» gridò Yara che aveva pure scorto quei legni. «La vostra Folgore sta per venire presa fra due fuochi!»

Il Corsaro stava per rispondere, quando si videro irrompere nella stanza Carmaux, Moko e l’amburghese. Erano ansanti, trafelati e lordi di polvere da sparo. L’ultimo aveva anche il volto insanguinato, aveva ricevuto una puntata in mezzo alla fronte.

«Capitano!» gridò Carmaux, mentre Moko ritirava precipitosamente la scala e l’amburghese lasciava cadere la botola. «La barricata non tiene più!…»

«Sono già entrati gli spagnuoli?» chiese il Corsaro.

«Fra qualche minuto saranno sotto di noi.

«Morte dell’inferno! E la Folgore sta per venire presa fra due fuochi!

«Cosa dite, signore?» chiese l’amburghese, con spavento.

«Guardate!»

I due filibustieri e Moko s’erano precipitati verso la finestra.

Le due navi, poco prima segnalate dal Corsaro, erano comparse dinanzi alla baia chiudendo completamente il passo alla Folgore.

Non erano due semplici velieri, bensì due navi d’alto bordo, poderosamente armate e montate da numerosissimi equipaggi, due vere navi di combattimento insomma, capaci di misurarsi vantaggiosamente contro una piccola squadra.

I filibustieri della Folgore, guidati da Morgan, non si erano però perduti d’animo, nè si erano lasciati sorprendere. Con una celerità prodigiosa avevano issate le àncore e spiegato il trinchetto, la maestra e la gabbia nonchè alcuni fiocchi, mettendosi subito al vento.

Il Corsaro Nero ed i suoi compagni avevano dapprima creduto che Morgan avesse presa l’eroica risoluzione di scagliare la Folgore contro le due navi prima che si disponessero pel combattimento e tentare, con un attacco fulmineo, di guadagnare l’alto mare per sottrarsi all’impari lotta, ma s’erano subito accorti che tale non era l’intenzione dell’astuto luogotenente.

La Folgore, approfittando d’un colpo di vento, si era dapprima sottratta abilmente all’abbordaggio delle prime scialuppe che l’avevano di già raggiunta, poi con una bordata erasi spinta entro il piccolo porto, riparandosi dietro un isolotto che s’inalzava fra la costa e la penisola, formando una specie di diga.

«Ah! Bravo Morgan!» esclamò il signor di Ventimiglia, che aveva ormai capita l’ardita manovra della Folgore. «Egli salva la mia nave!»

«I due vascelli andranno però a scovarlo anche dietro l’isolotto,» disse Carmaux.

«T’inganni, amico,» rispose il signor di Ventimiglia. «Non vi è acqua sufficiente per navi di quella portata.»

«Più tardi impediranno l’uscita a noi, signore.»

«Questo lo si vedrà, Carmaux.»

Poi si chinò verso terra e parve che ascoltasse con profonda attenzione.

«Mi pare che gli spagnuoli abbiano già sfondata la barricata e che siano entrati.

«Bisogna impedire loro di entrare qui prima d’aver fatto il segnale,» disse il Corsaro. «È già mezzogiorno.»

«Per otto o nove ore possiamo tenerli lontani, – rispose Carmaux. – Animo, amici! Barrichiamo la botola e apriamo qualche buco per passare le canne dei nostri archibugi.

Mentre Carmaux ed i suoi compagni facevano i loro preparativi di difesa, le due navi d’alto bordo avevano gettato le àncore proprio dinanzi alla baia, tenendosi ad una distanza di duecento metri l’una dall’altra e presentando i tribordi verso la costa, onde scaricare delle intere bordate contro la Folgore, nel caso che questa avesse cercato di forzare il blocco.

Morgan però non aveva alcuna intenzione di dare battaglia a quei grossi avversari. Quantunque avesse sotto di sè un equipaggio incanutito fra il fumo delle artiglierie e deciso a tutto, non si sentiva tanto forte da gettarsi sotto ai quaranta e più cannoni delle fregate, tanto più che il capitano era ancora a terra.

Respinte, con alcune scariche bene aggiustate, le scialuppe che avevano tentato di abbordare la Folgore e ridotto al silenzio i pochi cannoni del fortino, aveva fatto calare le àncore dietro all’isolotto, tenendo però le vele basse sciolte, onde poter approfittare di qualsiasi avvenimento per forzare il passaggio o per assalire l’una o l’altra delle due fregate, se si fosse presentata l’occasione propizia.

Le due navi nemiche, dopo alcune cannonate inefficaci, avevano messe in acqua alcune imbarcazioni le quali si erano dirette verso il fortino. Probabilmente i loro comandanti andavano ad accordarsi colla guarnigione per un nuovo attacco contro la Folgore.

«La faccenda comincia a diventare seria,» mormorò il Corsaro, che le aveva seguite cogli sguardi. «Se riesco a liberarmi di questi soldati che ci tengono prigionieri, preparerò alle due fregate una ben brutta sorpresa. Vedo una grossa barca ancorata presso l’isolotto. Quella servirà magnificamente ai miei progetti. Yara, fanciulla mia, aiutami a tornare a letto.»

«Siete stanco, mio signore?» chiese premurosamente la giovane indiana.

«Sì,» rispose il Corsaro. «Più che le ferite, l’emozione mi ha sfinito.»

Si staccò da sè dalla finestra e appoggiandosi con una mano ad una spalla della fanciulla, tornò a coricarsi, mettendosi però dinanzi le pistole e la spada snudata.

«Ebbene, miei bravi, come va?» chiese a Carmaux ed ai suoi due compagni che erano occupati ad aprire dei buchi nella botola.

«Male, capitano, – rispose Carmaux. – Pare che questi dannati spagnuoli abbiano molta fretta di prenderci.

«Li vedi?»

«Sì, capitano.»

«Sono molti?»

«Una ventina per lo meno.»

In quel momento si udì un colpo così violento che la botola parve si spezzasse.

Carmaux, che stava coricato al suolo, spiando gli spagnuoli da una piccola fessura che aveva aperta nel tavolato, fu pronto ad alzarsi per afferrare l’archibugio.

Nella stanza inferiore si udì una voce imperiosa a gridare:

«Dunque, volete arrendervi sì o no?

Carmaux guardò il Corsaro ridendo.

«Rispondi,» gli disse questi.

«E per quale motivo volete che noi cediamo le armi?»

«Non vedete che siete già presi?»

«Veramente non ce ne siamo ancora accorti, » rispose Carmaux.

«Possiamo farvi saltare in aria.»

«E noi gettarvi addosso il pavimento e schiacciarvi tutti.»

«Vi avverto che vi prenderemo egualmente!» urlò lo spagnuolo.

«E noi vi aspettiamo.»

«E che la vostra Folgore è bloccata.»

«Ha dei cannoni che non sono carichi di bombe di cioccolata.»

«Camerati, sfondiamo la botola!» gridò lo spagnuolo.

«Amici, prepariamoci a buttare il pavimento sulla testa di quei signori,» gridò Carmaux. «Faremo di loro una superba marmellata!»

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 ağustos 2016
Hacim:
360 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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