Kitabı oku: «La regina dei Caraibi», sayfa 4
CAPITOLO VI. L’ARRIVO DEI FILIBUSTIERI
Dopo quello scambio di frasi ironiche e minacciose che dimostravano il buon umore degli assediati e la rabbia impotente degli assedianti, vi fu un breve silenzio che nulla di buono pronosticava. Si capiva che gli spagnuoli si preparavano ad un nuovo e più formidabile attacco per costringere quegli indemoniati filibustieri alla resa. Carmaux ed i suoi compagni, dopo essersi brevemente consigliati col loro capitano, si erano collocati intorno alla botola coi fucili armati, pronti a fare una buona scarica contro gli assalitori. Yara intanto, che s’era affacciata alla finestra, aveva recata la buona nuova che tutto era tranquillo nella piccola Baia di Puerto Limon e che le due fregate non avevano abbandonati i loro ancoraggi per tentare di dare addosso alla Folgore.
«Speriamo,» aveva detto il Corsaro. «Se possiamo resistere ancora cinque ore, forse verremo liberati dagli uomini di Morgan.»
Era appena trascorso un minuto, quando un secondo e più violento colpo risuonò sotto la botola, facendo trabalzare le casse che vi erano state accumulate sopra.
Certo gli assedianti avevano adoperata qualche grossa trave, servendosene come d’un ariete.
«Mille squali!» esclamò Carmaux. «Se la continuano così, manderanno in aria tutto il pavimento. C’è il pericolo di cadere sulla testa degli assedianti.»
Un terzo colpo, che scosse perfino il letto su cui trovavasi il Corsaro, rimbombò rovesciando parte delle casse e facendo saltare una tavola della botola.
«Fuoco là dentro!» gridò il Corsaro, che aveva impugnato le pistole.
Carmaux, Wan Stiller e Moko puntarono i fucili attraverso lo squarcio e fecero una scarica.
Al di sotto si udirono urla di rabbia e di dolore, poi dei passi precipitosi che si allontanavano.
Appena dispersosi il fumo, Carmaux guardò attraverso la spaccatura e vide disteso al suolo, colle gambe e le braccia rattrappite, un giovane soldato. Presso di lui si vedevano altre macchie di sangue, indizio certo che quella scarica aveva fatto qualche altra vittima e ferite altre persone.
Gli assedianti si erano affrettati a sgombrare la stanza rifugiandosi nel corridoio: però non dovevano essere molto lontani poichè si udivano a chiacchierare.
«Eh!… non fidiamoci troppo,» disse Carmaux.
Stava per levarsi, quando una detonazione rimbombò dietro la porta che metteva nel corridoio. Il berretto del filibustiere fu portato via netto.
«Mille diavoli!» esclamò Carmaux, alzandosi sollecitamente. «Pochi centimetri più in basso e quel proiettile mi scoperchiava il cranio.»
«Non sei stato toccato?» gli chiese premurosamente il Corsaro, che aveva udito il sibilo della palla.
«No, capitano,» rispose Carmaux. «Pare che il demonio non voglia cessare dal proteggermi.»
Gli spagnuoli, credendo di aver ucciso quel terribile avversario, si erano affacciati alla porta, tenendosi nascosti dietro i rottami della credenza. Vedendo Wan Stiller ed il negro coi fucili puntati, erano retrocessi, non ignorando l’esattezza di tiro di quei fieri scorridori del mare.
«Alzate quelle casse e disponetele in modo da coprirvi dalle scariche degli spagnuoli. Non mancheranno di far fuoco attraverso lo squarcio.» disse il Corsaro.
«L’idea è buona,» disse Wan Stiller.
«Costruiremo una barricata intorno alla botola.»
Manovrando con prudenza, onde evitare di ricevere qualche palla nel cranio, i tre filibustieri disposero le casse in modo da formare una specie di parapetto tutto intorno all’apertura, poi si sdraiarono al suolo, non perdendo di vista la porta del corridoio.
Gli spagnuoli si erano accampati nel corridoio, certi di far capitolare presto o tardi gli assediati. Forse ignoravano che Yara aveva approvvigionati i suoi amici.
Per tre ore nella torricella regnò una calma completa o quasi, non essendo stata interrotta che da qualche rado colpo di fucile sparato ora dagli assediati ed ora dagli assedianti, però verso le sei gli spagnuoli cominciarono a mostrarsi in buon numero presso la porta del corridoio, decisi, a quanto sembrava, a riprendere le ostilità.
Carmaux ed i suoi compagni, dai loro ripari avevano subito riaperto il fuoco, per tentare di ricacciarli nel corridoio; tuttavia dopo alcune scariche gli spagnuoli, pur perdendo qualche uomo, erano riusciti, con una rapida irruzione, a riconquistare la stanza, celandosi dietro i rottami della credenza e delle tavole.
I filibustieri, impotenti a far fronte alle nutritissime scariche degli avversarii, erano stati costretti ad abbandonare i ripari, riservandosi di tentare un supremo sforzo nel momento dell’assalto.
«La va male,» disse Carmaux. «E non ci manca che un’ora al tramonto!…»
«Prepariamo intanto il falò,» disse il Corsaro. «È piatta la torricella, Yara?»
«Sì, mio signore,» rispose la giovane indiana che si era rifugiata dietro al letto del capitano.
«Mi sembra però che non si possa raggiungere la cima.»
«Per questo non preoccupatevi, capitano,» disse Carmaux. «Moko è più agile d’una scimmia.»
«Che si deve fare?» chiese il negro. «Io sono pronto a tutto.»
«Devi rischiare la pelle, compare sacco di carbone,» disse Carmaux. «Intanto fa’ a pezzi la scala.»
Mentre i due filibustieri sparavano qualche fucilata contro gli spagnuoli per ritardare l’assalto, il negro con pochi e poderosi colpi di scure ruppe la scala, accumulando i rottami presso la finestra.
«È fatto,» disse.
«Ora si tratta di salire sulla torre per fare il segnale,» disse il Corsaro Nero.»
«La cosa non mi sembra difficile, capitano.»
«Bada di non cadere. Siamo a trentacinque metri dal suolo.»
«Non abbiate timore.»
Salì sul davanzale della finestra e allungò le mani verso l’orlo del tetto, provando dapprima la resistenza delle travi superiori.
L’impresa era quanto mai pericolosa, non essendovi punti di appoggio, però il negro era dotato d’una forza prodigiosa e di tale agilità da sfidare le scimmie. Guardò in alto per evitare l’attrazione pericolosa del vuoto, poi con una spinta si issò sul margine della piattaforma superiore, facendo forza di braccia.
«Ci sei, compare?» chiese Carmaux, che per un momento aveva abbandonato la barricata.
«Sì, compare bianco,» rispose Moko, con un certo tremolìo nella voce.
«Si può accendere il fuoco lassù?»
«Sì, passami la legna.»
«Lo sapevo io che il compare valeva meglio di una scimmia» mormorò Carmaux. «Ecco però una manovra da far venire la febbre anche ad un primo gabbiere.»
Si arrampicò sul davanzale e passò al negro i rottami della scala.
«Fra poco accenderai il falò,» gli disse. «Un fuoco ogni due minuti.»
«Benissimo, compare.»
«Io torno al mio posto.»
Gli assedianti raddoppiavano in quel momento gli sforzi per espugnare la stanza superiore. Già avevano appoggiate per ben due volte delle scale all’orlo della botola, tentando di spingersi fino al parapetto formato dalle casse. Wan Stiller, quantunque solo, fino allora era riuscito a respingerli, tempestando i primi comparsi con tremende sciabolate.
«Vengo, amico!» gridò Carmaux, slanciandosi verso le casse.
«E vengo anch’io,» urlò il Corsaro, con voce tuonante.
Impotente a frenarsi, si era gettato giù dal letto, impugnando le due pistole e tenendo fra le labbra la sua terribile spada. Pareva che in quel momento supremo avesse riacquistato il suo vigore straordinario.
Gli spagnuoli erano già arrivati al margine della botola e sparavano fucilate all’impazzata e vibravano furiose stoccate per allontanare i difensori. Un momento di ritardo e anche l’ultimo rifugio dei filibustieri sarebbe caduto nelle loro mani.
«Avanti, uomini del mare! – urlò il Corsaro, che pareva fosse diventato un leone.
Scaricò le sue due pistole in mezzo agli assedianti, poi, con alcuni colpi di spada bene aggiustati, rovesciò due soldati nella stanza inferiore. Quel colpo audace e, più di tutto, l’improvvisa comparsa del formidabile uomo, salvò gli assediati.
Gli spagnuoli, impotenti a far fronte alle archibugiate che sparavano Wan Stiller e Carmaux, balzarono precipitosamente giù dalle scale salvandosi, per la terza volta, nel corridoio.
«Moko, da’ fuoco alla legna! – gridò il Corsaro.
«E noi buttiamo giù le scale! – disse Carmaux a Wan Stiller. – Credo che per ora quei bricconi ne abbiano abbastanza.
Il Corsaro si era rialzato, pallido come un cencio lavato. Quello sforzo supremo pareva che lo avesse esaurito.
«Yara!» esclamò.
La giovane indiana aveva avuto appena il tempo di riceverlo fra le sue braccia. Il Corsaro vi si era abbandonato mezzo svenuto.
«Mio signore!» esclamò la giovane, con accento spaventato. «Soccorso, signor Carmaux!»
«Mille squali!» gridò il filibustiere accorrendo.
Lo prese fra le braccia e lo portò sul letto, mormorando:
«Fortunatamente gli spagnuoli sono stati respinti a tempo.»
Appena adagiato, il Corsaro Nero aveva subito riaperti gli occhi.
«Morte dell’inferno!» esclamò, facendo un gesto di collera.
Intanto Carmaux si era slanciato verso la finestra.
Un vivo bagliore si espandeva al di sopra della torricella, rompendo le tenebre già calate, con quella rapidità che è propria delle regioni intertropicali.
Carmaux guardò verso la piccola baia, dove si vedevano scintillare i grandi fanali rossi e verdi delle due fregate.
Un razzo azzurro s’alzava in quel momento dietro l’isolotto che celava la Folgore. Salì molto in alto, fendendo le tenebre con fantastica rapidità e scoppiò proprio in mezzo alla baia, lanciando all’intorno una pioggia di scintille d’oro.
«La Folgore risponde!» gridò Carmaux, con voce gioconda. «Moko, rispondi ancora al segnale.»
«Sì, compare bianco,» rispose il negro, dall’alto della torricella.
«Carmaux!» gridò il Corsaro. «Di che colore era il razzo?»
«Azzurro, signore.»
«Con pioggia d’oro, è vero?»
«Sì, capitano.»
«Guarda ancora.»
«Un altro razzo, capitano.»
«Verde?»
«Sì.»
«Allora Morgan sta per venire in nostro aiuto. Ordina a Moko di scendere. Mi pare che gli spagnuoli tornino alla carica.»
«Ora non li temo più,» rispose il bravo filibustiere. «Ehi, compare, lascia il tuo osservatorio e vieni in nostro aiuto.»
Il negro gettò sul fuoco tutta la legna che gli rimaneva, onde la fiamma servisse di guida agli uomini di Morgan, poi aggrappandosi alle travi del margine, si calò con precauzione sul davanzale della finestra. Carmaux fu pronto a dargli una mano, aiutandolo a scendere.
Gli spagnuoli erano tornati nella stanza inferiore, facendo una scarica tremenda contro le casse che formavano il parapetto della botola. Carmaux ed i suoi amici avevano avuto appena il tempo di gettarsi al suolo. Le palle, fischiando sopra le loro teste, andarono a scrostare le pareti, facendo cadere molto calcinaccio perfino sul letto del Corsaro. Subito dopo quella scarica avevano appoggiate due scale, slanciandosi intrepidamente all’assalto.
«Giù le casse!» urlò Carmaux.
Le cinque casse che formavano il parapetto furono rovesciate entro la botola, piombando addosso agli spagnuoli che stavano salendo le due scale.
Un urlo terribile seguì quella caduta. Uomini e scale andarono sottosopra, con un fracasso assordante.
Subito dopo si udirono a breve distanza delle detonazioni e delle grida.
«Avanti, uomini del mare!» aveva gridato una voce. «Il capitano è qui!»
Carmaux e Wan Stiller si erano precipitati verso la finestra.
Nella via, una banda di uomini munita di torce a vento s’avanzava a passo di carica verso la casa di don Ribeira, sparando fucilate in tutte le direzioni, forse coll’idea di terrorizzare la popolazione e di costringerla a starsene tranquilla nelle proprie abitazioni.
Carmaux aveva subito riconosciuto l’uomo che guidava quella banda.
«Il signor Morgan! Capitano, siamo salvi!»
«Lui!» esclamò il Corsaro, facendo uno sforzo per sollevarsi.
Poi aggrottando la fronte, mormorò:
«Quale imprudenza!»
Gli spagnuoli udendo però rimbombare degli spari nelle vie, sospettarono di venire assaliti alle spalle e tutto d’un tratto volsero in fuga precipitosa, salvandosi pel passaggio segreto.
I marinai della Folgore avevano intanto sfondato il portone e salivano le scale di corsa, gridando:
«Capitano! Capitano!»
Carmaux e Wan Stiller si erano lasciati cadere nella stanza inferiore e dopo d’aver appoggiata una scala s’erano slanciati nel corridoio.
Morgan, il luogotenente della Folgore, s’avanzava alla testa di quaranta uomini, scelti fra i più audaci ed i più vigorosi marinai della nave filibustiera.
«Dov’è il capitano?» chiese il luogotenente, che teneva la spada in pugno, credendo di aver dinanzi degli spagnuoli da respingere.
«È sopra, nella torricella, signore,» rispose Carmaux.
«Vivo ancora?»
«Ferito però.»
«Gravemente?»
«No, signore, ma non può reggersi in piedi da solo.»
«Rimanete a guardia della galleria voi,» gridò il luogotenente, volgendosi verso i suoi uomini. «Venti scendano sulla strada e continuino il fuoco contro le case.»
Poi, seguito da Carmaux e da Wan Stiller, salì nella stanza superiore della torricella.
Il Corsaro Nero, aiutato da Moko e da Yara, si era alzato. Vedendo comparire Morgan, gli tese la destra, dicendogli:
«Grazie Morgan, però non posso fare a meno di farvi un rimprovero. Il vostro posto non era qui.
«È vero, capitano,» rispose il luogotenente. «Il mio posto era a bordo della Folgore, tuttavia l’impresa richiedeva un uomo risoluto dovendo condurre i miei uomini attraverso una città pullulante di nemici. Spero che mi perdonerete questa imprudenza.»
«Tutto si perdona ai valorosi.»
«Allora partiamo subito, mio capitano. Gli spagnuoli possono essersi accorti della scarsità della mia banda e piombarci addosso da tutte le parti. Moko, prendi questo materasso, servirà per adagiare il cavaliere.»
«Lasciate a me quest’incarico,» disse Carmaux. «Moko, che è il più robusto, porterà il capitano.»
Il negro aveva già sollevato fra le robuste braccia il Corsaro, quando questi si rammentò di Yara.
La giovane indiana, accoccolata in un angolo, piangeva in silenzio.
«Fanciulla, non ci segui?» le chiese.
«Ah! mio signore!» esclamò Yara, alzandosi di scatto.
«Credevi che io mi dimenticassi di te?»
«Sì, mio signore.»
«No, mia valorosa fanciulla. Tu mi seguirai sulla mia nave, se nulla ti trattiene a Puerto Limon.»
«Sono vostra, mio signore,» rispose Yara, baciandogli le mani.
«Vieni, adunque. Sei dei nostri!»
Lasciarono frettolosamente la torretta e scesero nel corridoio. I marinai, scorgendo il loro capitano che avevano già creduto morto o preso dagli spagnuoli, proruppero in un grido immenso:
«Viva il Corsaro Nero!»
«A bordo, miei bravi!» gridò il signor di Ventimiglia. «Vengo con voi a dare battaglia alle due fregate!
«Presto, partiamo!» comandò il luogotenente.
Quattro uomini deposero il Corsaro sul materasso e, formata una specie di barella coi loro moschetti, scesero nella via, preceduti e seguiti dagli altri.
CAPITOLO VII. IL BRULOTTO
I venti uomini, che erano stati mandati dinanzi alla casa per tenere sgombra la via, avevano impegnata la lotta contro gli abitanti della città e contro i soldati che avevano cercato rifugio nelle case.
Dalle finestre partivano archibugiate in buon numero e venivano precipitate sedie, vasi di fiori, mobili e anche dei mastelli di acqua più o meno pura, ma i filibustieri non avevano cercato di dare indietro fino alla casa di don Ribeira.
Con scariche nutrite e anche ben aggiustate, avevano costretti gli abitanti a ritirarsi dalle finestre, poi avevano mandati innanzi alcuni drappelli di tiratori scelti, per tenere sgombre le vie laterali ed impedire delle sorprese.
Quando comparve il Corsaro Nero, un lungo tratto di via era caduto nelle mani delle avanguardie ed altri drappelli si erano slanciati più innanzi continuando a sparare contro tutte le finestre che vedevano ancora aperte od illuminate.
«Avanti altri dieci uomini!» comandò Morgan. «Altri dieci alla retroguardia e fuoco su tutta la linea!
«Badate alle vie laterali!» urlò Carmaux, che aveva assunto il comando della retroguardia.
La banda, sempre sparando e urlando a piena gola per spargere maggior terrore e per farsi credere in numero doppio, partì a passo di corsa, dirigendosi verso il porto.
Già non distava dalla piccola baia più di tre o quattrocento metri, quando verso il centro della città, si udirono alcune scariche. Poco dopo si videro gli uomini della retroguardia raddoppiare la corsa, rasentando le pareti delle case.
«Siamo assaliti alle spalle?» chiese il Corsaro Nero che veniva trasportato in una corsa rapidissima.
«Gli spagnuoli si sono radunati e ci danno addosso, capitano!» gridò Carmaux che lo aveva raggiunto, seguito da Moko e da Wan Stiller.
In quel momento verso la baia si udirono a rimbombare alcune cannonate.
«Buono!» esclamò Carmaux. «Anche le fregate vogliono prendere parte alla festa!»
«Morgan!» gridò il signor di Ventimiglia, vedendo ricomparire il suo luogotenente. «Cosa succede nella baia?»
«Nulla di grave, signore,» rispose il comandante in seconda. «Sono le fregate che sparano contro la spiaggia credendo forse che noi stiamo per abbordarle.»
Mentre la retroguardia, rinforzata da altri venti uomini, arrestava gli spagnuoli nella loro corsa, l’avanguardia affrettando il passo giungeva incolume sulla spiaggia e precisamente di fronte al luogo ove trovavasi la Folgore.
L’equipaggio, accortosi già della battaglia impegnatasi, aveva messe in acqua numerose scialuppe per raccogliere i camerati, mentre alcuni artiglieri, per nascondere l’imbarco, scaricavano i pezzi da caccia in direzione delle fregate e contro il fortino.
«Imbarcate!» comandò Morgan.
Il Corsaro Nero fu collocato in una baleniera assieme a Yara, a Carmaux e ad alcuni feriti e trasportato sollecitamente a bordo.
Quando egli si vide ancora sul ponte della sua valorosa nave, respirò a lungo, dicendo:
«Ora non mi prendete più, miei cari. La mia Folgore vale una squadra!»
Intanto gli uomini rimasti sulla spiaggia avevano fatto fronte al nemico che sbucava da tutte le vie e da tutti i viottoli, ingrossando di minuto in minuto.
Il Corsaro Nero però, che non aveva voluto lasciare il ponte, s’avvide del pericolo che correvano i suoi uomini e voltosi agli artiglieri dei due pezzi da caccia, gridò loro:
«Mitragliate quei nemici!… Giù una buona scarica.»
I due pezzi d’artiglieria furono volti verso la strada principale della città, dove si affollavano gli spagnuoli e fecero grandinare su di essa un nembo di mitraglia.
Quelle due scariche bastarono per disperdere, almeno momentaneamente, gli avversari. I filibustieri che erano rimasti a terra ne approfittarono per gettarsi confusamente nelle scialuppe.
Quando gli spagnuoli tornarono a mostrarsi, gli ultimi marinai stavano salendo a bordo.
«Troppo tardi, miei cari!» gridò Carmaux, facendo ai nemici un gesto ironico. «Vi avverto d’altronde che la mitraglia non ci fa difetto.»
Il Corsaro Nero, visto che tutti i suoi uomini erano a bordo, compresi i feriti, si era finalmente lasciato trasportare nella sua cabina. Quel luogo era quanto si può immaginare di più ricco e di più comodo. Non era una delle solite stanzette che formano il così detto quadro degli ufficiali, bensì un salotto ampio assai, bene arieggiato, con due finestre sorrette da colonnine corinzie, riparate da tende di seta azzurra. Nel mezzo si vedeva un comodo letto, pure sorretto da colonnine di metallo dorato; negli angoli v’erano scaffali di stile antichissimo e dei divani, e alle pareti brillavano dei grandi specchi di Venezia con cornice di cristallo e panoplie d’armi d’ogni specie. Una grande lampada, d’argento dorato, con globi di vetro rosa, spandeva all’intorno una luce strana, che rassomigliava a quella proiettata dall’aurora durante le belle mattinate estive.
Il Corsaro si lasciò portare sul letto senza quasi fare un moto. Pareva che le lunghe emozioni provate e gli sforzi poderosi avessero finalmente fiaccato l’anima del formidabile scorridore del mare. Era stato preso dallo svenimento.
Morgan era pure sceso nella cabina seguito dal medico di bordo, da Yara e da Carmaux, l’aiutante di campo del filibustiere.
«Cosa ne dite?» chiese Morgan all’uomo di scienza, il quale aveva allora esaminato il ferito.
«Nulla di grave,» rispose il medico. «Sono ferite più dolorose che pericolose, quantunque una sia molto profonda. Tra quindici giorni il cavaliere sarà ristabilito.»
«Fate rinvenire il capitano,» disse Morgan. «Devo parlargli subito.»
Il dottore aprì una cassetta contenente una piccola farmacia, sturò una fiala e la fece fiutare al capitano. Un istante dopo il signor di Ventimiglia riapriva gli occhi, guardando ora Morgan ed ora il medico che stavano curvi su di lui.
«Morte dell’inferno!» esclamò. «Credevo di aver sognato! È vero che sono a bordo della mia nave?»
«Sì, cavaliere,» disse Morgan, ridendo.
«Ero svenuto?»
«Sì, capitano.»
«Maledette ferite!» esclamò il Corsaro con rabbia. «È la seconda volta che mi giuocano questo brutto tiro!… Devono essere state due belle stoccate!…»
«Guarirete presto, signore, – disse il medico.
«Grazie dell’augurio. Ebbene, Morgan, come stiamo?»
«La baia è sempre bloccata.»
«E la guarnigione del forte?»
«Pel momento si accontenta di guardarci.»
«Credete che si possa forzare il blocco?»
«Questa notte?»
«Sì, luogotenente. Domani sarebbe forse troppo tardi.»
«Le due fregate devono tenersi in guardia, capitano.»
«Oh!… Di questo non ne dubito.»
«E sono poderosamente armate. Una possiede diciotto cannoni e l’altra quattordici!»
«Venti più di noi!»
Stette alcuni minuti silenzioso, in preda ad una viva preoccupazione, poi disse improvvisamente:,
«Usciremo egualmente in mare. È necessario andarcene questa notte onde non correre il pericolo di venire abbordati dalle forze di mare e di terra.»
«Usciremo!» esclamò Morgan, con stupore. «Pensate che con tre o quattro bordate ben aggiustate possono demattare la nostra nave e sfondarci i fianchi.»
«Possiamo evitare queste bordate.»
«In quale modo, signore?»
«Preparando un brulotto. Non vi è alcuna nave in porto?»
«Sì, vi è una barcaccia ancorata presso l’isolotto. Gli spagnuoli l’hanno abbandonata subito dopo che noi abbiamo gettato l’ancora.»
«È armata?»
«Con due cannoni e porta due alberi.»
«È carica?»
«No, capitano.»
«Abbiamo delle materie infiammabili a bordo, è vero?»
«Non manchiamo nè di zolfo, nè di pece, nè di granate.»
«Allora date ordine che si prepari un buon brulotto. Se il colpo ci riesce, vedremo qualche fregata in fiamme. Intanto lasciatemi riposare sino alle due»
Morgan, Carmaux ed il medico uscirono, mentre il Corsaro tornava a coricarsi. Prima di chiudere gli occhi cercò la giovane indiana e la vide rannicchiata in un angolo della cabina.
«Cosa fai, fanciulla mia?» le chiese con voce dolce.
«Veglio su di te, mio signore.»
«Coricati su di uno di quei sofà e cerca di riposare. Fra alcune ore qui pioveranno palle e granate e le fiamme dei cannoni faranno troppo chiaro pei tuoi occhi. Dormi, buona fanciulla e sogna la tua vendetta.»
«Me la darai, mio signore?» chiese la giovanetta, alzandosi di scatto, cogli sguardi sfavillanti.
«Te lo prometto, Yara.»
«Grazie, mio signore: la mia anima ed il mio sangue ti appartengono.»
Il Corsaro le sorrise e si rovesciò sui guanciali, chiudendo gli occhi.
Mentre il ferito riposava, Morgan era salito sul ponte per preparare il terribile colpo di testa che doveva dare ai filibustieri o la libertà o la morte.
Quell’uomo, che godeva l’intiera fiducia del fiero scorridore del mare, era uno dei più valenti lupi di mare che contasse allora la filibusteria, un uomo che doveva più tardi diventare il più celebre fra tutti i filibustieri, colla famosa spedizione di Panama e con quelle, non meno audaci, di Maracaibo e di Porto Cabello. Era meno alto del Corsaro, anzi si poteva dire che era al disotto della statura media, ma in cambio era membruto e dotato di una forza eccezionale e d’un colpo d’occhio di aquila.
Aveva già date molte prove di valore sotto il comando di filibustieri celebri, quali Montbar, nominato lo Sterminatore, Michele il Basco, l’Olonese ed il Corsaro Verde, fratello del Nero, e godeva perciò una fiducia immensa anche fra i marinai della Folgore, che l’avevano già potuto apprezzare in numerosi abbordaggi.
Appena salito in coperta, aveva ordinato ad un drappello di marinai di prendere a rimorchio la barcaccia designata a servire di brulotto e di condurla presso la Folgore.
Non si trattava veramente d’una barcaccia, bensì d’una caravella destinata al piccolo cabotaggio, già molto vecchia e quasi impotente a sostenere l’urto delle poderose ondate del Golfo del Messico. Come tutte le navi di quella specie, portava due altissimi alberi a vele quadre ed aveva il castello di prora ed il cassero assai elevati, sicchè di notte si poteva benissimo scambiarla per una grossa nave e fors’anche per la Folgore istessa. Il suo proprietario già l’aveva fatta scaricare al primo apparire dei filibustieri, per tema che il contenuto cadesse nelle mani di quei rapaci scorridori del mare, però a bordo era rimasta ancora una notevole quantità di tronchi di campeggio, legno adoperato per fare certe tinture molto pregiate anche in quell’epoca.
«Questo legname ci servirà a meraviglia,» aveva detto Morgan, il quale si era subito recato a bordo della caravella.
Chiamò Carmaux ed il mastro d’equipaggio e diede loro alcuni ordini, aggiungendo:
«Sopratutto fate presto e bene. L’illusione deve essere perfetta.»
«Lasciate fare a noi,» aveva risposto Carmaux. «Non mancheranno nemmeno i cannoni.»
Un momento dopo trenta marinai si calavano sul ponte della caravella, già stata ormeggiata a tribordo della Folgore.
Sotto la direzione di Carmaux e del mastro si misero subito al lavoro.
Innanzi a tutto coi tronchi di campeggio inalzarono presso il timone una robusta barricata per coprire il pilota, poi cogli altri, segati a certe lunghezze, improvvisarono dei fantocci che collocarono lungo le murate, come uomini pronti a slanciarsi all’abbordaggio e dei cannoni che misero sul castello di prora e sul cassero. Si capisce che quei pezzi d’artiglieria non dovevano servire che di spauracchio, componendosi puramente di tronchi d’albero appoggiati alle murate.
Ciò fatto, i marinai ammucchiarono sul boccaporto maestro alcuni barili di polvere, della pece, del catrame, dello zolfo e una cinquantina di granate disperdendone anche a prora ed a poppa, quindi bagnarono con resina e spirito le murate affinchè prendessero fuoco più facilmente.
«Per bacco!» esclamò Carmaux, stropicciandosi le mani. «Questo brulotto arderà come un ceppo di pino.»
«È una vera polveriera galleggiante,» disse Wan Stiller, che non aveva lasciato l’amico un solo momento.
«Ora piantiamo delle torce sui bordi e accendiamo i grandi fanali del cassero,» disse Carmaux.
«E spiegheremo a poppa il grande stendardo dei signori di Ventimiglia e di Valpenta.
«Quello è necessario, amico Stiller.»
«Credi tu che le fregate cadranno nel laccio?»
«Ne sono certissimo,» rispose Carmaux. «Vedrai che cercheranno di abbordarci.»
«Chi guiderà il brulotto?»
«Noi con tre o quattro camerati.»
«Avete finito?» chiese in quel momento Morgan, curvandosi sopra il bordo della Folgore.
«Tutto è pronto, signore,» rispose Carmaux.
«Sono già le tre.»
«Fate imbarcare i nostri uomini, luogotenente.»
«E tu?»
«Reclamo l’onore di guidare il brulotto. Lasciatemi Wan Stiller, Moko e altri quattro uomini.»
«Tenetevi pronti a bracciare le vele. Il vento soffia da terra e vi spingerà subito addosso alle fregate.»
«Non attendo che i vostri ordini per tagliare gli ormeggi.»
Quando Morgan salì sul ponte di comando della Folgore, il Corsaro Nero si era di nuovo coricato su due grandi cuscini di seta che erano stati stesi sopra un tappeto persiano. Yara, la giovane indiana, non ostante il divieto del Corsaro, aveva pure lasciata la cabina, decisa a sfidare la morte a fianco del suo signore.
«Tutto è pronto, capitano» disse Morgan.
Il Corsaro Nero si alzò a sedere e guardò verso l’uscita della baia.
La notte non era tanto oscura, quantunque la luna fosse tramontata da qualche ora, perchè si potevano discernere distintamente le due fregate. Sotto i tropici e sotto l’equatore, le notti hanno una trasparenza straordinaria. La luce proiettata dagli astri basta per scorgere un oggetto qualsiasi, anche minuto, ad una distanza notevole, quasi incredibile.
Le due grosse navi non avevano lasciati i loro ancoraggi e le loro masse spiccavano distintamente sulla linea dell’orizzonte. Il flusso però le aveva un po’ ravvicinate, lasciando a babordo ed a tribordo uno spazio sufficiente perchè una nave potesse manovrare liberamente.
«Passeremo senza troppo soffrire il fuoco di quei trentadue cannoni,» disse il Corsaro. «Tutti gli uomini a posto di combattimento.»
«Ci sono di già, signore.»
«Un uomo di fiducia al comando del brulotto.»
«Vi è Carmaux.»
«Un valoroso: sta bene,» rispose il Corsaro. «Direte a lui che appena dato fuoco alla caravella imbarchi i suoi uomini sulla scialuppa e che venga subito a bordo colla maggior celerità possibile.
Un ritardo di pochi minuti può essere fatale. Ah!…»
«Cosa avete, signore?»
«Vedo dei lumi presso la spiaggia.»
Morgan si volse, aggrottando la fronte.
«Che gli uomini del presidio cerchino di sorprenderci?» si chiese.
«Giungeranno troppo tardi,» disse il Corsaro. «Fate salpare le àncore e orientate le vele.»
E volgendosi verso la giovane indiana, le disse:
«Ritirati nel quadro, Yara.»
«No, mio signore.»
«Qui fra poco grandineranno palle e granate.»
«Non le temo.»
«La morte può sorprenderti.»
«Morrò al tuo fianco, mio signore. La figlia del cacico del Darien non ha mai temuto il fuoco degli spagnuoli.»
«Tu allora hai anche combattuto?»
«Sì, a fianco di mio padre e dei miei fratelli.»
«Giacchè sei una valorosa, rimani presso di me. Forse tu mi porterai fortuna.»
Con uno sforzo s’alzò sulle ginocchia e impugnando la spada che teneva sguainata presso di sè, gridò con voce tuonante:
«Uomini del mare! A posto di combattimento! Rammentatevi del Corsaro Verde e del Corsaro Rosso!»
«Al largo il brulotto, Carmaux!» gridò Morgan.
La caravella era già stata liberata dagli ormeggi.
Carmaux si era posto al timone e la guidava verso le due fregate, mentre i suoi compagni accendevano le due grandi lanterne del cassero e le torce che erano state legate lungo i bastingaggi onde gli spagnuoli potessero vedere il grande stendardo dei signori di Ventimiglia che ondeggiava sul coronamento di poppa.