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Kitabı oku: «La riconquista di Monpracem», sayfa 10

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Sembra un cretino, ma in fondo è un furbo.

– Che cosa fate allora?

– Aspettiamo la notte, e allora andrai alla baia per soccorsi. Che la flottiglia giunga tutta compatta, poiché saremo costretti a dare l’abbordaggio a quella nave che c’impedisce di uscire. —

Ridiscesero la roccia e tornarono verso lo yacht, dopo d’aver lasciato due uomini di guardia a terra.

Le artiglierie tacevano.

L’ultima cannoniera non si era sentita abbastanza forte da seguire lo yacht ed aveva preferito rimanere all’àncora in compagnia delle consorelle, sui cui pezzi potevano almeno ancora contare.

Durante il pomeriggio Yanez fece spingere una esplorazione verso la prima uscita della baia, temendo che le cannoniere nel frattempo avessero ricevuto dei rinforzi.

Le notizie riportate da Kammamuri erano state consolanti, poiché le tre piccole navi si tenevano ancorate una addosso all’altra colle artiglierie pronte a far fuoco per impedire allo yacht di battersela in pieno mare.

Verso il tramonto Yanez, non udendo nessuna cannonata, prese nuovamente terra e sul luminoso orizzonte poté finalmente scorgere la nave che lo aspettava per dargli battaglia.

Si trattava di un vero incrociatore, superiore per tonnellaggio allo yacht almeno quattro volte e certamente bene armato.

– Ecco un osso duro da rodere! – disse Yanez a Kammamuri, il quale lo aveva seguito. – Qui ci vuole assolutamente la flottiglia, o non usciremo di qua senza grossi guasti.

– Quando vorrete, io sono pronto a partire – rispose l’indiano. —

– Aspetta che scendano le tenebre. Il vento è propizio ed i prahos potranno essere qui prima dell’alba.

Non abbiamo per ora alcuna fretta. —

Per la seconda volta ritornarono a bordo, e poi l’indiano, appena il sole scomparve, s’imbarcò sulla baleniera accompagnato da dieci robusti remiganti, che al momento opportuno potevano diventare dei terribili fucilieri.

Lo yacht lasciò l’ancoraggio per accompagnarla fino all’uscita del canale e per proteggerla efficacemente coi suoi pezzi da caccia; poi quando Yanez ebbe vista la scialuppa scomparire sul mare tenebroso, tornò indietro.

Era diventato eccessivamente nervoso. Camminava con inquietudine sulla nave, distruggendo continuamente delle sigarette e borbottando.

La notte era scesa assai oscura, essendovi dei vapori in alto, i quali intercettavano completamente perfino la pallidissima luce di qualche astro che di quando in quando si mostrava occhieggiando sul mare.

Una leggera fosforescenza peraltro si manifestava presso le scogliere che la baleniera seguiva, tenendosi dietro ai frangenti.

– Si direbbe che tutto congiura contro di noi! – disse Yanez a Mati, il quale appariva non meno inquieto.

– Sperate che la baleniera possa passare?

– Io credo di sì.

– Forse noi abbiamo fatto male a non unirci alle bande della Tigre della Malesia che scendono dai Monti del Cristallo.

– E l’isola come avremmo potuto riprenderla? Camminando sull’acqua?

– È vero, signor Yanez.

– Una flottiglia era necessaria per conquistare l’isola.

– Credete che troveremo una grande resistenza da parte delle truppe del Sultano?

– Ai primi colpi di spingarda scapperanno come conigli, quantunque i rajaputi godano fama di essere dei guerrieri valorosi. Ah! questa impazienza angosciosa mi uccide – disse il portoghese gettando in acqua la sua ventesima sigaretta.

– È ancora presto, signore.

La baleniera non può essere ancora qui. —

Yanez era salito sul castello di prora e si era seduto sull’argano ricominciando a fumare sigarette su sigarette.

Le ore intanto passavano e la nave sospetta fumava sempre dinanzi alla seconda uscita della baia.

Girava lungo i frangenti con grande precauzione, badando di non toccare in qualche scoglio e spaccarsi, ciò che era facilissimo.

Verso le quattro del mattino gli uomini di guardia dello yacht tornarono precipitosamente incontro a Yanez.

Vi erano con loro Kammamuri e Padar, il capo della flottiglia.

– Signor Yanez? – disse l’indiano – ecco i rinforzi che giungono.

La flottiglia si è già messa alla vela e sta per arrivare.

– Ti hanno cannoneggiato?

– Mi hanno sparato contro un solo colpo, che per buona fortuna è andato a vuoto.

– La nave è sempre al largo?

– Sì, signor Yanez. Sta in guardia e ci aspetta all’agguato per bombardarci.

– Padar!

– Signore!

– È completa la flottiglia?

– Tutti i prahos sono stati radunati ed anche qualche giong.

– Di quanti uomini disponi?

– Di una trentina sulla baleniera.

– Passali sul mio yacht e cominciamo la danza. Sarò io che darò il segnale della grande orchestra. —

In un momento i compagni di Padar salirono a bordo e le ancore furono salpate, mentre la scialuppa veniva issata alla grue di babordo.

– Forza in macchina! – comandò allora il portoghese. – Vedremo se vinceranno le tigri malesi od i leopardi inglesi.

Mati, prendi il comando del cannone poppiero, mentre io mi occupo di quello prodiero. —

Yanez aveva ritrovata la sua grande calma. Impartiva gli ordini senza fretta, incisivi, taglienti.

Montò sul castello di prora dove si trovava uno dei due grossi pezzi da caccia, e lanciò attraverso alla semioscurità un rapido sguardo.

Una massa spiccava dinanzi all’uscita del canale e manteneva i suoi fuochi sotto pressione, poiché di quando in quando salivano in alto delle scorie.

Dei prahos per il momento nessuna traccia. Dovevano essersi nascosti fra le scogliere dell’isola, pronti a precipitarsi all’abbordaggio al primo segnale di combattimento.

– Tutto va bene – mormorò il portoghese. – Vediamo di quali pezzi dispone quel notturno leopardo.

Avrà peraltro da fare i conti coi pezzi dei prahos e dei giongs e subirà una vera tempesta di fuoco, se non mi lascerà il passo libero.

Nemmeno questa volta io temo di lasciare la mia pelle sulle coste del Borneo. —

L’incrociatore aveva acceso i suoi tre fuochi: verde, rosso e bianco in alto sul trinchetto.

Doveva reputarsi ben forte per mostrarsi così e segnalarsi al tiro delle artiglierie nemiche.

Yanez fece un segno a Mati, il quale aspettava i suoi ordini a qualche passo di distanza: l’abilissimo cannoniere fece col capo un cenno affermativo e salì sul cassero collocandosi dietro al secondo pezzo da caccia.

Successe un breve silenzio.

Tutti gli uomini erano in coperta armati di carabine e di parangs, per montare all’abbordaggio al momento opportuno.

– Finiamola! – disse Yanez.

Un gran lampo squarciò le tenebre, seguito da un rimbombo assordante.

La detonazione non era ancora cessata, quando una moltitudine di lampi s’alzarono verso le scogliere dell’isola.

Yanez aveva fatto fuoco e la flottiglia correva ferocemente all’attacco.

L’incrociatore per un momento stette zitto, come se volesse rendersi conto di tutti quei velieri che gli si stringevano addosso, tempestandolo a colpi di lilà, di mirim e di spingarde.

Si udiva distintamente la mitraglia scrosciare sui fianchi di ferro del leopardo inglese.

Ad un tratto anche la nave si illuminò tutta, con un fracasso spaventevole.

Pezzi grossi e pezzi di medio calibro sparavano all’impazzata contro la flottiglia, senza riuscire a disorganizzare le sue linee.

Yanez e Mati avevano ripreso il fuoco. Lo yacht si era portato a cinquecento metri dall’uscita del canale e si trovava quasi di fronte all’incrociatore.

Dopo qualche minuto vi fu un’altra sosta, poi tutte le armi da fuoco si unirono per rendere la lotta più sanguinosa.

La flottiglia, che si batteva splendidamente, era già quasi sotto l’incrociatore e minacciava di prenderlo di assalto.

Guai se tutti quegli equipaggi fossero riusciti a salire sui ponti!

La battaglia non ebbe che la durata di pochi minuti.

Il leopardo, oppresso dal fuoco, sgangherato, con molti attrezzi caduti in coperta, aveva fatto macchina indietro, scomparendo abbastanza lestamente fra le ombre della notte, ciò che lasciava supporre che avesse avuto qualche guasto in macchina.

Seguì un cupo rimbombo di artiglierie grosse e piccole, poi la flottiglia che non aveva ricevuto nessun ordine di abbordare l’incrociatore, fuorché in caso disperato, si ripiegò abbastanza in buon ordine nel canale, con non poche attrezzature maltrattate.

Ambong, il capo, salì a bordo dello yacht, dove Yanez lo aspettava.

– Sono ai vostri ordini, signore. Dobbiamo dare la caccia alla nave?

– No: mi preme troppo conservare intatta la mia flottiglia – rispose il portoghese. – E poi non voglio distruggere quando non c’è necessità.

L’incrociatore è scappato? Se ne vada pure a Labuan a racconciarsi.

– E noi?

– Rimarrete sempre all’àncora nella baia. È probabile che fra pochi giorni io abbia bisogno di voi, nel qual caso ti manderò Padar con ordini precisi che non dovrai discutere. —

Stette un momento silenzioso, accarezzando il grosso pezzo da caccia, poi chiese al capo della flottiglia:

– Tu, Ambong, conosci il Kabatuan?

– L’abbiamo salito insieme, signore, per aiutare il rajah del lago.

– È probabile che noi facciamo una puntata fino alla base dei Monti del Cristallo, avanti le cateratte.

Di ciò parleremo. Ora ho bisogno di riposarmi un po’ e di divertirmi col Sultano.

– A quei divertimenti rinuncerei subito, signor Yanez, – disse Kammamuri. – Troverete più pericoli che soddisfazioni.

– Eppure un po’ di sosta ci vuole, per non scatenare contro di noi d’un colpo solo l’Inghilterra, l’Olanda ed il Sultano, quantunque Mompracem appartenga ormai a quest’ultimo.

– Ce la darà?

– Ce la prenderemo – rispose il portoghese. – Ambong, sciogli la flottiglia e ritorna ai tuoi ancoraggi. —

13. Un altro attentato

Sbarazzata l’uscita del canale, lo yacht, che in quel brevissimo combattimento non aveva riportato quasi alcuna avarìa, si spinse risolutamente al largo per raggiungere al più presto la baia di Varauni.

Delle gravi inquietudini avevano cominciato ad assalire Yanez, temendo un ritorno offensivo da parte degli olandesi di Pontianak, alleati forse colle cannoniere inglesi di Labuan e delle Tre Isole.

Sul fondo tenebroso del cielo i tre fanali dell’incrociatore spiccavano vivamente, rispecchiandosi nelle acque tenebrose.

Dei colpi di cannone sarebbero stati ancora possibili, ma Yanez ormai non aveva che una sola idea: rivedere il Sultano e sistemare i suoi affari, i quali erano purtroppo assai imbrogliati.

Caricò le macchine e si slanciò innanzi, imboccando audacemente il canale della baia che era stato completamente sgombrato dai prahos della flottiglia.

– Non dispero che tutto vada bene – mormorò il portoghese. – Tutto sta nel saper prendere il tempo, e per ora l’incrociatore non tornerà alla carica.

I miei cannoni da caccia devono averlo maltrattato molto seriamente. E poi chi può inseguire il mio legno una volta uscito in mare e col timone sotto la mia mano? Mi diano la caccia se hanno coraggio. —

Montò sul ponte di comando dove lo aspettava Mati, sempre pronto a far ruggire i due pezzi da caccia, prese la ribolla, si orizzontò sulla bussola e gridò:

– Macchina avanti! —

La piccola nave a vapore descrisse degli zig-zag ed uscì al largo coi suoi bravi fanali accesi per mostrare ai nemici che non aveva paura.

Superato il frangente che si stendeva dinanzi al canale, la nave a vapore sfilò sulla fronte degli ultimi prahos, che si ripiegavano verso Toga, in gruppo quasi serrato.

L’incrociatore era sempre in vista, poiché mostrava sempre i suoi fanali, ma si trovava ormai a più di dodici o quindici nodi dalla costa.

Yanez, dopo d’aver rilevata esattamente l’uscita del canale, si slanciò risolutamente, piegando verso le coste occidentali del Borneo.

Per il momento nessun pericolo poteva minacciarlo, poiché le cannoniere si trovavano quasi immobilizzate dinanzi all’ultima uscita.

Ad ogni modo Yanez, sempre prudente, prese subito le sue precauzioni chiamando in coperta tutta la guardia franca aumentata dagli uomini di Padar, il cui praho aveva già perfino troppi fucilieri, se non puntatori cannonieri.

– Via! – gridò Yanez. – Andiamo a ritrovare quell’amabile Sultano dalla faccia color pan bigio e dagli occhi più falsi di quelli d’un gaviale. —

Le àncore erano salite fino alle grue di cappone e lo yacht si era messo in corsa velocissima, tutto avvolto da un gran fumo che non trovava abbastanza sfogo attraverso i camini.

Sfiorò per la seconda volta i frangenti, avanzando con estrema precauzione, poi si gettò impetuosamente al largo, balzando sulle onde del mar della Malesia.

Aveva percorsi appena sei o sette nodi, quando un lampo balenò sotto il fanale dell’incrociatore, seguito dal ben noto sibilo rauco d’un grosso proiettile.

L’incrociatore, quantunque fosse assai lontano, si provava ancora a sparare con un successo assolutamente negativo.

La palla attraversò lo yacht senza nemmeno intaccare l’alberatura e si tuffò in mare, sollevando un alto fiotto.

– Che debba pentirmi di aver impedito alle tigri di Mompracem di abbordarlo? – si chiese Yanez. – Ba’, deve avere le macchine guaste e per inseguire il mio legno ci vuole ben altro! —

Con un rapido colpo d’occhio abbracciò la situazione.

I prahos si allontanavano sempre, svanendo fra le tenebre, per raccogliersi nella baia di Toga; solo l’incrociatore si ostinava, quantunque battuto, a tenere ancora il campo, tenendosi bensì sempre fra i duemila e i duemila cinquecento metri e fumando sempre debolmente.

Yanez, che conosceva ormai la costa dell’isola, avendola rilevata esattamente sulla carta, lanciò risolutamente il suo yacht verso il sud sfiorando con pazza temerità i frangenti ed i banchi.

Era vero che Kammamuri e Mati sondavano senza tregua, dando esattamente la profondità dell’acqua.

Con poche volate passò al di fuori dell’isola, tuffandosi e mantenendosi nella risacca, per non farsi troppo scorgere dall’incrociatore, poi, raggiunta quasi la bocca meridionale dove si trovavano le cannoniere, virò prudentemente al largo.

Le piccole navi peraltro non avevano lasciato i loro ancoraggi, tanto più che due erano state gettate alla costa per impedire che affondassero.

– Ormai sono pulci! – mormorò Yanez. – Sarà bravo chi mi fermerà. —

La costa, sempre irta di frangenti pericolosissimi e di scogliere, si delineava abbastanza nettamente benché cominciassero le tenebre ad alzarsi.

Lo yacht, dopo d’aver fatto una rapida puntata verso l’uscita del canale, piegò risolutamente in direzione di Varauni, porto che contava di raggiungere dopo il mezzodì.

– Ebbene, signor Yanez, – disse Kammamuri, avvicinandosi al portoghese, il quale osservava distrattamente una coppia di delfini, che fuggiva dinanzi alla rapida nave, lasciandosi indietro una scia fosforescente – non potete lamentarvi di questa nottata.

– Finché mi trovo sul mare poco temo, perché ho sempre la speranza di scappare da una parte o dall’altra.

È la terra che comincia a farmi impressione e vorrei che Sandokan e Tremal-Naik fossero già qui.

– Che cosa temete ora?

– Quella barca olandese misteriosamente sparita non tarderà a produrre un certo effetto a Pontianak e quei pacifici coloni sono capaci di reclamare la mia testa anche non avendo nessuna prova contro di me.

– Siete pur sempre un console della grande Inghilterra – disse Kammamuri.

– Un ambasciatore assai male piantato, poiché io credo che anche il Sultano abbia su di me dei gravi dubbi.

– Imbarchiamolo e portiamolo via.

– Là, là, non correte troppo, focoso indiano; la diplomazia non deve mai essere stata il tuo forte; e poi il colpo decisivo lo serberò in ultimo, quando si tratterà di costringerlo a restituire l’isola alle vecchie tigri di Mompracem.

– Ed ora che cosa andiamo a fare a Varauni?

– Andiamo in campagna – rispose Yanez. – Pare che il Sultano non abbia rifiutato una grande battuta fra le boscaglie dei Monti del Cristallo.

Ci spingeremo avanti più che ci sarà possibile, in modo da incontrare le avanguardie di Sandokan.

D’altronde un po’ di riposo farà bene a tutti.

Fa’ portare in coperta il thè e delle sigarette, spiega la bandiera inglese sul picco e lasciamo per ora che le cose seguano il loro corso. —

Il portoghese sorseggiò senza affrettarsi la profumata bevanda, accese la sigaretta e si mise a passeggiare fra l’albero di trinchetto e quello maestro, respirando di quando in quando a pieni polmoni la fresca brezza del mattino.

Pina era ormai lontana, ma la costa continuava a delinearsi sempre più rocciosa. Il mare, tormentato dagli alti e dai bassi fondi, si scagliava con tale impeto da gettare perfino in secco qualche mostruoso pescecane.

Come Yanez aveva previsto, non fu che verso le due del pomeriggio che lo yacht fece la sua entrata nella baia, immediatamente salutato da alcuni colpi di cannone.

L’eco dell’ultima detonazione non era ancora cessato, quando la solita barca rossa si staccò dalla spiaggia. Doveva condurre qualche individuo importante, poiché un grande ombrello di seta verde occupava quasi tutta la poppa.

– Per Giove! – esclamò Yanez, inarcandole sopracciglia. – Il Sultano! Questa visita non mi porterà delle buone nuove di certo.

Ma se vuole, venga pure a prendere il caffé con me. Chiacchiereremo di molte cose interessanti. —

Fu passato al cuoco l’ordine di preparare il moka, poi Yanez, dopo aver fatto schierare tutte le sue forze sul ponte per impressionare il tirannello orientale, mosse verso la scala.

Non si era ingannato. Era proprio il Sultano che per la seconda volta si degnava di visitare lo yacht, sempre accompagnato dai suoi ministri più o meno abbrutiti dai liquori e dalle orgie, che regnavano eterne nello splendido palazzo dalle meravigliose verande e dalle gallerie di purissimo stile arabo.

Sua Altezza salì lestamente a bordo, alzando i lembi della sua sottana di seta bianca attraversata alla cintura da un nastro di seta verde, e mosse col volto ilare incontro a Yanez, dicendogli:

– Vi aspettavo da molti giorni, milord, ed ero un po’ inquieto per la vostra sorte.

Sapete bene che i nostri mari non sono sempre sicuri.

– La nave è salda e bene armata, Altezza, e non ho l’abitudine di volgere le spalle al nemico.

– Vi vedo in forze!

– È vero, Altezza. La mia nave aveva bisogno di altri venti uomini di quarto, per non sfinire quelli che avevo e sono andato ad arruolarli.

– E dove?

– A Pontianak e col consenso del governatore olandese.

– Com’è finita dunque la vostra faccenda?

– Come doveva finire – rispose il portoghese. – Le mie credenziali sono state riconosciute esattissime e nessuno ha sollevato alcuna obiezione, poiché tutti sanno che la grande Inghilterra sta sempre pronta in difesa dei suoi sudditi.

– Eppure, milord…

– Spiegatevi, Altezza, mentre prendiamo il caffè insieme.

– Non più tardi di ieri sera è giunta in porto un’altra cannoniera olandese a chiedere conto di ciò che poteva essere accaduto ad una certa scialuppa che voi già conoscete.

– E che cosa avete risposto? – chiese il portoghese, mentre Kammamuri e Mati servivano il caffè in tazze d’argento cesellato.

– Che io non posso avere gli sguardi così lunghi da sapere quello che è successo in mare, fuori dalla mia baia.

– E l’olandese?

– Ha alzato le spalle, mi ha bevuto un paio di bottiglie di harak, poi se n’è andato non so da qual parte.

– Vi ha fatto delle minacce?

– Velatamente sì.

– Ah! – esclamò il portoghese. – Ignorava dunque che qui vi era uno yacht inglese?

– Lo sapeva e anzi lo cercava.

– Per darmi battaglia forse?

– Nelle mie acque non lo permetterò mai. Voi siete sotto la protezione della bandiera del Sultano di Varauni.

– Altezza, qui cominciano a seccarvi. Volete che riprendiamo il nostro vecchio progetto di andarcene in campagna per qualche tempo?

Durante la nostra assenza tutti si calmeranno a riavrete la pace e la tranquillità. Nessuna notizia dalle frontiere?

– Si dice che delle bande di selvaggi percorrano le cime dei Monti del Cristallo, distruggendo tutte le kotte che incontrano sul loro cammino.

– Andiamo a cercarli – disse Yanez. – Noi abbiamo forze sufficienti per fronteggiare qualunque pericolo.

Accettate? —

Il Sultano stette un momento pensieroso, poi disse bruscamente:

– Domani mattina vi aspetto al mio palazzo. Faremo delle grosse battute.

Una volta ero un bravo cacciatore, ma poi la vita dell’harem mi ha istupidito.

Grazie, milord, respirerò con piacere l’aria purissima di quelle foreste che godono fama di essere le più salubri del Borneo. —

Vuotò la sua tazza e ridiscese nella sua barca, mentre Yanez si stropicciava allegramente le mani. —

– Prima di domani mattina bisogna che io veda il cinese, – mormorò. – È necessario tenere radunate tutte le nostre forze per il grande colpo finale.

Compiuta la nostra congiunzione con Sandokan e con Tremal-Naik, ci rovesceremo attraverso il Sultanato e guai a chi tenterà chiuderci il passo!

Apriamo gli occhi e soprattutto gli orecchi, poiché in queste corti orientali il tradimento regna almeno trecento giorni dell’anno. —

Fece armare la baleniera con otto uomini e si diresse verso il quartiere cinese, premendogli di vedere prima Kien-Koa, il quale poteva al momento buono scatenare cinquecento uomini contro la capitale e terrorizzarla di colpo.

Per evitare la curiosità degli oziosi che stazionavano in gran numero sulle calate, masticando noci d’areca e di betel, di tutto parlando fuorché del magnifico Sultano, la baleniera fece un largo giro ed approdò alla estremità meridionale del kampong dei figli del Celeste Impero, fra un caos di giunche ammassate strettamente le une addosso alle altre.

Yanez sbarcò con Kammamuri e due uomini di scorta, temendo sempre le furie di John Foster, e si cacciò in mezzo a quelle vie tortuose e fangose, che nessuna mano umana aveva mai riparato, forse fino dalla fondazione di Varauni.

A destra ed a sinistra si aprivano delle oscure botteghe, che parevano tane, dove i mercanti cinesi, con un paio d’occhiali di dimensioni esagerate, stavano impassibili, assisi su un pezzo di stuoia, in attesa che l’avventore cadesse da sé nella trappola e si lasciasse pelare per bene.

Yanez ed i suoi uomini non ebbero nessuna difficoltà a raggiungere la taverna del cinese, essendo in quel momento le vie molto spopolate.

Kien-Koa era alla testa dei suoi guatteri, con un grembiule di seta cruda dinanzi e con due coltellacci, chiusi in guaine di cuoio giallo alla cintura.

Vedendo il portoghese, licenziò bruscamente la sua orda, affidandola al capo cuoco e condusse gli amici in una stanzetta deserta.

– Vi aspettavo con impazienza, milord – disse il cinese. – Delle gravi notizie corrono attraverso il Sultanato.

– Di già? – chiese Yanez.

– Come? Voi sapete qualche cosa?

– E perché no?

– Si dice che i dayachi siano in armi e che si preparino a forzare le frontiere del Sultanato. Pare che abbiano già espugnato parecchie kotte.

– Meglio! – disse Yanez. – Lasciali fare.

– Li conoscete?

– Ho delle relazioni d’amicizia fra quei dayachi e mi avvertono di quello che succede. —

Yanez mentiva, ma ormai era certo che Sandokan con Tremal-Naik e le tribù del lago stavano scendendo i Monti del Cristallo per strappare al Sultano la retrocessione di Mompracem, e ne sapeva più del bisogno.

– E voi, milord? – chiese il cinese.

– Vado incontro ai ribelli, insieme col Sultano.

– Al Sultano, avete detto?

– Per il momento siamo buonissimi amici e non abbiamo che un solo pensiero: quello di annoiarci il meno possibile a Varauni.

Sono pronti i tuoi uomini?

– Non domandano che un capo e delle armi da fuoco.

– Avranno l’uno e le altre – rispose il portoghese. – Sul mio yacht ho armi da fuoco in abbondanza e posso regalarti qualche lilà.

– Che andrà bene contro i rajaputi – disse il cinese. – Se non vi fosse qualche guardia, a quest’ora il Sultano sarebbe stato spazzato via non so quante volte, poiché tutti siamo stanchi di tirannie.

Avete altro da dirmi, milord?

– Per ora, no: tieni sempre sotto mano i tuoi uomini e al momento opportuno mi vedranno comparire alla loro testa.

Addio, amico, io vado in campagna col Sultano per qualche tempo. Se avremo delle notizie importanti, ti manderò un corriere. —

Yanez si alzò, ma proprio in quel momento vide affacciarsi ancora uno degli ultimi naufraghi.

Era un pezzo d’uomo di forme perfino troppo erculee, pesante come un ippopotamo, una di quelle persone che in America si vantano di essere metà cavalli e metà coccodrilli.

– Permettete? – chiese spingendo violentemente l’uscio.

– Che cosa volete, voi? – chiese Yanez balzando in piedi.

– Ah, ah – esclamò il naufrago. – Il pirata!… Lo sapevo che una volta o l’altra vi avrei trovato qui e che avrei avuta così l’occasione di vendicare il mio capitano.

– E che cosa vorreste? – chiese Yanez, scattando.

– Avrei potuto attendervi una notte oscura sull’angolo di qualche viuzza e piantarvi fra le spalle il mio coltello, che ha sterminato un bel numero di pelli rosse del grande ovest.

– Ah!… Siete californiano – disse Yanez un po’ ironico. – Razza brutale e violenta, che peraltro conserva ancora, non si sa in qual modo, una certa lealtà.

Che cosa volete dunque?

– Vendicare il mio capitano, possibilmente – rispose il californiano mettendo le mani sui fianchi con un gesto provocante e levando dalla cintura una rivoltella.

– Volete parlare a colpi di fuoco? – esclamò il portoghese. – Vi avverto che non sarò da meno di voi.

– Ah, ba’… Un californiano! – esclamò l’americano, fingendo di puntare la rivoltella.

– Volete una prova?

Yanez levò una delle sue famose pistole e, puntandola contro l’insolente che continuava a minacciare, gli disse:

– Guardate se io non potrei ammazzarvi costì!

– Avete detto?

– Che sono pronto ad uccidervi! – urlò Yanez.

– Io non sono il capitano.

– Ehi, amico, non vi scaldate troppo! – gli disse Yanez. – Se gli uomini del gran nord-ovest americano sparano benissimo, vi sono qui delle persone che potrebbero dare loro dei punti.

– Mentite!

– A me del mentitore? Una simile offesa non si tollera in America signor mio. Che il diavolo porti all’inferno tutto il grande nord-ovest ed una buona parte dei banditi che lo popolano.

– Voi offendete l’America intera, signor mio. Mi pare peraltro che abbiamo ciarlato anche troppo e penso che fra me e voi si potrebbe finirla subito.

– Eccovi servito – disse Yanez, armando rapidamente una delle sue pistole e puntandola verso il tavolo, occupato dal californiano. – Fate questo colpo se siete capace! —

La candela che illuminava la tavola, presso cui il californiano si trovava, si spense d’un tratto. Yanez con un colpo meraviglioso ne aveva portato via il lucignolo.

– Aho! – esclamò il californiano. – Bisogna che vi uccida!

– È un quarto d’ora che lo dite, signor grande uomo del nord-ovest americano.

– Bill, il Buffalo, manterrà la sua parola. Avrei potuto aspettarvi sull’angolo di qualche strada e fulminarvi con un po’ di piombo.

Ringraziate Iddio che io non ho fretta.

– Che cosa vorreste dire? – chiese Yanez, il quale teneva sempre impugnate le pistole ancora cariche.

– Che se voi non mangerete fino all’ultimo questi granchiolini di terra che sono sul tavolo e che voi avete cosparso di cera, io non vi lascerò uscir vivo di qui, signor mio.

Non conoscete gli americani!

– Forse più di quello che credete.

– Allora – urlò il californiano – sedetevi di fronte a me e cominciate a cenare.

Se la frittura sarà pessima non sarà colpa mia.

Là signor mio o mi scateno!…

– Ho degli uomini qui che saranno sempre pronti ad incatenarvi, – disse Yanez, facendo un gesto ai malesi.

Kammamuri per primo era balzato avanti, puntando sull’insolente californiano la sua grossa carabina da mare.

– Good God! – esclamò lo yankee – mi si vuole assassinare!

– Se avessi voluto mandarvi all’altro mondo, a quest’ora vi trovereste già in poco allegra compagnia.

Avete veduto come io tiro! —

L’americano era rimasto esitante, ma sempre brandendo la sua rivoltella. Tutte quelle armi da fuoco puntate contro di lui dovevano aver calmato i suoi bollori.

– Mangiate! – ruggì finalmente, facendo un gesto di minaccia. – Granchiolini conditi con della cera! Voglio vedervi fare delle brutte smorfie, signor mio. —

Non aveva fatto attenzione ad un’ombra umana che gli scivolava dietro le spalle e che impugnava uno di quei terribili kriss serpeggianti usati al Borneo.

Ad un tratto il californiano stramazzò a terra, mandando una orribile imprecazione.

Il cinese aveva fatto il suo colpo ed aveva piantato ben dentro l’arma fra le due spalle del Buffalo, troncandogli netto la spina dorsale.

– Andate, milord, – disse il figlio del Celeste Impero. – Penserò io a far scomparire quest’uomo.

A Varauni vi sono parecchi canali; e con una simile coltellata non si tira molto innanzi.

– Che ci aspettino fuori i compagni di quest’uomo? – chiese Yanez.

Il cinese stava per rispondere, quando un baccano assordante si fece udire dinanzi alla taverna.

Decisamente i naufraghi avevano preso di mira quel luogo, colla speranza di sorprendervi il portoghese.

– Non uscite, milord, – disse il cinese. – Potete andarvene egualmente facendo un salto di soli due metri.

– Dove finiremo?

– Nel mio giardino, milord.

– È recinto?

– Tutto ed anche guardato da uomini armati. Comincio ad essere assai seccato di quegli inglesi che vengono a importunare i miei avventori.

– E quest’americano?

– Ci penserò io a farlo seppellire nel giardino. Lo cerchino, dopo, i suoi compagni. —

Il baccano aumentava. Pareva che degli uomini questionassero coi guatteri e cercassero di forzare le porte delle varie salette, a giudicare dai calci che tempestavano.

– Fuggite, milord, – disse il cinese, aprendo la finestra, la quale dava su di un ampio e pittoresco giardino, coltivato quasi tutto a magnolie e lilla.

Yanez esitava: non voleva fuggire sempre dinanzi a quegli insolenti che lo provocavano continuamente in attesa della buona occasione di fargli la pelle.

– Andiamo – disse Kammamuri. – Non vale la pena d’impegnare qui una battaglia che attirerebbe sul luogo tutti gli abitanti del quartiere cinese e fors’anche i rajaputi.

– È vero – rispose il portoghese. – Ci siamo compromessi fin troppo e non ci conviene spingere oltre le cose.

Orsù, andiamo in campagna a fare strage di tigri, di rinoceronti e di elefanti, in compagnia di quell’imbecille di Sultano.

Poi vedremo che cosa succederà. —

Scavalcò il davanzale della finestra, si lasciò cadere nel giardino, seguito dai suoi uomini, e scomparve fra i lilla.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 ağustos 2016
Hacim:
300 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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