Kitabı oku: «La riconquista di Monpracem», sayfa 9
11. La fuga dell’ambasciatore
La baia di Gaya, situata dinanzi alla foce del Kabatuan, è uno dei posti più meravigliosi per nascondervi una flottiglia, essendo quei paraggi tutti irti di scoglietti estremamente pericolosi e battuti sempre da una risacca violentissima, la quale rende l’approdo assai difficile.
Quantunque lo yacht fosse dotato di macchine abbastanza potenti, soltanto il giorno seguente dopo il mezzogiorno poté fare la sua entrata nella baia.
Non aveva ancora gettata l’àncora, che l’intera flottiglia mosse all’aperto in linea di battaglia, credendo di aver da fare con qualche nemico.
La bandiera delle tigri di Mompracem sventolante sul picco dello yacht rassicurò subito quei terribili scorridori del mare i quali senz’altro si accingevano a montare all’abbordaggio.
Un praho si arrestò sotto la scala di babordo della piccola nave a vapore e comparve un uomo, che dava segni della più violenta disperazione.
– Signore, – disse – giacché avete due pistole alla cintura, scaricatele contro il mio petto, poiché io ho meritato la morte.
– Che cosa dici, Ambong? – chiese Yanez al colmo dello stupore. – Credevo di trovarvi qui tutti occupati a cacciare i beccaccini ed ora tu mi domandi di passarti per le armi!
– Una grande disgrazia è accaduta, signor Yanez: l’ambasciatore inglese è fuggito.
– Corpo di Giove! – gridò il portoghese, facendo un salto indietro. – Che cosa mi racconti?
– La verità, signore.
– Come ha fatto a fuggire?
– Corrompendo due dei vostri indiani.
– È molto tempo che è fuggito? – chiese Yanez, il quale era rimasto sinistramente impressionato da quella notizia, che poteva avere più tardi conseguenze incalcolabili.
– Due sere or sono – rispose il capo della flottiglia.
– Su che cosa è fuggito?
– Su una scialuppa.
– Non hai mandato i tuoi legni ad inseguirla?
– L’abbiamo cercata tutta la notte, signor Yanez, ma con esito negativo.
Certo si sarà rifugiata a Labuan.
– Credi che abbia avuto il tempo necessario per raggiungere quell’isola?
– In quarant’otto ore, anche a remi, quando il mare è tranquillo, se ne fanno delle miglia!
– Quell’uomo mi è assolutamente necessario – disse Yanez. – Se ci denuncia, noi verremo considerati come pirati ed appiccati.
– Non ci hanno ancora presi, signore. E non ci prenderanno tanto facilmente. Ritornate a Varauni?
– Darò prima la caccia alla scialuppa dell’ambasciatore. Quell’uomo, libero, è più pericoloso di una squadra d’incrociatori.
Temo che le cose si complichino assai, prima della calata di Sandokan dai Monti del Cristallo. Ba’, andremo intanto un po’ in campagna col Sultano.
– In campagna?
– Non spira buon’aria per me a Varauni, e sarà meglio che mandi qui anche il mio yacht e che io tenti di avvicinarmi alla Tigre della Malesia.
Tieni raccolta la squadriglia e, se avrai qualche novità, mandami il praho di Padar il quale non tarderà a giungere.
– Dovremo rimanere inoperosi?
– Per ora è necessario.
– Quando dovremo raggiungervi?
– Ti manderò Padar ad avvertirti. Quello che ti raccomando è di tenere ben raccolta la flottiglia, poiché non si sa quello che può succedere da un momento all’altro.
Apri gli occhi; non ti lasciar sorprendere e non ti muovere. —
Lo yacht fischiò e si mosse verso l’uscita della baia, spingendosi assai al largo.
– Dobbiamo cercarlo – disse Yanez a Kammamuri. – In mano nostra sarà più prezioso di cento ostaggi.
Se è riuscito a raggiungere Victoria, è probabile che domani qualche novità succeda a Varauni.
– Vorreste dire?
– Che qualche incrociatore potrebbe fare la sua comparsa per chiedere mie notizie.
Chi sa: non disperiamo. —
Lo yacht filò lungo le scogliere esterne, contro le quali il mare si frangeva con impeto irrefrenabile, sollevando i fondi.
– Un uomo in vedetta sulla crocetta! Cinque sterline a chi riuscirà a segnalarmi la scialuppa.
Tu intanto, Mati, fa’ preparare le nostre artiglierie, poiché non sarà improbabile che incontriamo ancora le cannoniere. —
Colla promessa del premio abbastanza vistoso, non uno, bensì parecchi uomini erano saliti sull’alberatura, armati di forti cannocchiali di marina.
Lo yacht, dopo una breve corsa di venti o trenta nodi, cambiò rotta dirigendosi sollecitamente verso l’isolotto di Dehuan, il quale ha nascondigli quasi introvabili.
Passarono parecchie ore senza che nessun fatto accadesse a bordo del piccolo vapore, il quale continuava a divorare carbone senza risparmio per tenersi in alta pressione, nel caso che le cannoniere si fossero nuovamente mostrate.
Già sessanta miglia erano state percorse, ora verso il largo ed ora verso le coste del Borneo, sui cui frangenti si scorgeva ancora navigare il praho di Padar, quando le vedette gridarono:
– Scialuppa sottovento! —
Yanez era balzato sul ponte di comando col suo cannocchiale.
Un piccolo galleggiante, che non doveva essere che una scialuppa, costeggiava in quel momento l’isola di Dehuan.
– È strana! – esclamò il portoghese, il quale allungava macchinalmente i tubi dell’istrumento. – Non vedo che due uomini a bordo.
– Vi è almeno l’ambasciatore? – chiese Kammamuri.
– Non riesco a scoprirlo.
– Che sia già sbarcato in qualche luogo?
– È possibile; e ciò mi seccherebbe.
Mati!
– Signore!
– Ci arriveresti con una cannonata?
– Il bersaglio è piccolo, signor Yanez, tuttavia non dispero di colpirlo.
Fate largo a prora, voialtri. —
Salì sul castello dove era stato già caricato il cannone da caccia prodiero, corresse parecchie volte la mira, poi scatenò un uragano di fuoco, di fumo e di ferro.
In alto si udì il rombo del proiettile allontanarsi, seguito poco dopo da una sorda detonazione.
Il mastro, per essere più sicuro del fatto suo, aveva caricato il suo pezzo con una granata da trentadue e l’aveva scaraventata sotto la poppa della scialuppa, coprendo di chiodi i due uomini che la montavano.
– Mancato! – disse Yanez, il quale non staccava il cannocchiale dagli occhi.
– Un momento, signore, – rispose Mati. – Forse che non sono più il miglior artigliere della flottiglia? —
Passò all’altro cannone da caccia, pure caricato con una granata e fece fuoco alla distanza di sette od ottocento metri.
La scialuppa questa volta venne affondata, ma i due uomini che la montavano avevano avuto il tempo di gettarsi in acqua, prima che l’esplosione fosse avvenuta.
– Una baleniera in mare! – gridò Yanez. – In caccia, ragazzi! Mantengo il premio che ho promesso. —
Una scialuppa leggera e sottile fu subito calata, e otto uomini vi presero posto con Mati, Kammamuri ed il portoghese.
I due uomini che si erano gettati in acqua nuotavano vigorosamente, cercando di raggiungere l’isola la quale era vicinissima.
Per paura di venire salutati da qualche colpo di carabina, si tenevano più che fosse possibile sott’acqua, non facendo che delle rare apparizioni alla superficie.
– Birbanti! – esclamò Yanez. – Scappate pure, ma noi vi prenderemo egualmente.
Date dentro ai remi, ragazzi! —
I rematori non avevano proprio bisogno di alcun incoraggiamento, poiché lavoravano di gran lena, spingendo sempre più innanzi la baleniera.
In quel momento i due uomini approdarono e scomparvero in mezzo alle scogliere dell’isolotto, scappando con una velocità da far invidia alle lepri.
– Signor Yanez, – disse Kammamuri – pare che se ne vadano.
– Non lascerò loro il tempo di raccogliere troppi granchi di mare.
Li sorprenderemo questa sera, più tardi che ci sarà possibile.
Un fuoco che arda fra quelle scogliere si scorgerà facilmente. —
Dopo un quarto d’ora anche la baleniera approdava in fondo ad una piccola ansa, tutta circondata di scogliere gigantesche, coperta da legioni e legioni di uccelli marini.
– Vediamo un po’ dove sono scappati quei furfanti – disse Yanez. – La costa è sabbiosa e non avranno perduto il loro tempo a cancellare le loro orme.
A terra il drappello da sbarco! —
Sei uomini, con Mati e Kammamuri, risposero all’appello, arrampicandosi lestamente su per la riva.
Con un solo sguardo il portoghese aveva scoperto le tracce dei due fuggitivi impresse ancora sulla sabbia, la quale aveva conservata l’umidità dei piedi.
– Lassù – disse, indicando un’altura coperta da una ricca vegetazione. – Cercheranno un rifugio nelle foreste.
– Che vi sia con loro anche l’ambasciatore? – chiese Kammamuri.
– Io non l’ho veduto, ma potrei essermi ingannato.
Preparate le armi e seguitemi. —
Attraversarono correndo la spiaggia sabbiosa, per paura di venire salutati da qualche colpo di fuoco e, tenendosi dietro le rocce, giunsero ben presto alla base dell’altura.
– Credo inutile spingere per ora l’inseguimento – disse Yanez. – Lasciamo che si accampino. —
La sera già cominciava a calare e le tenebre scendevano lungo i fianchi dell’altura, avvolgendola tutta.
Le tigri di Mompracem, che si tenevano sicurissime di catturare i fuggiaschi, si accamparono in mezzo ad una macchia, aspettando che qualche luce segnalasse loro la presenza dei due furfanti.
Nell’interno dell’isola regnava un profondo silenzio. Solamente dalla parte del mare si udivano le onde rumoreggiare cupamente e si vedevano sbalzare sopra le scogliere, coprendole di spuma talvolta fosforescente.
Trascorsero un paio d’ore, occupate da parte degli inseguitori a rilevare i primi scaglioni dell’altura, poi, finalmente, attraverso la limpidissima luce lunare, si vide alzare un pennacchio di fumo misto ad alcune scintille.
– Si scaldano o stanno preparandosi la cena – disse Yanez, dopo d’aver rilevata colla bussola la direzione della colonna di fumo. – La digestione sarà pessima, perché io ho l›abitudine di non perdonare mai i traditori, siano indiani, malesi o dayachi.
Su, ragazzi, in caccia! E guardatevi da qualche probabile colpo di fucile, poiché quegli uomini devono essere armati. —
Si disposero in fila indiana, con Mati alla testa, e cominciarono la scalata dell’altura, passando lestamente fra le grandi macchie che ne coprivano i fianchi.
La colonna di fumo era sempre visibile, poiché i fuggiaschi avevano scelto proprio la cima del cono.
Avanzando con precauzione, sovente carponi, tra le piante foltissime, verso le nove della sera il drappello raggiungeva una discreta altezza.
I fuggiaschi fino allora non avevano dato segno di vita, dopo il fuoco acceso nella boscaglia.
Non era però prudente assalirli direttamente, potendo darsi che avessero salvato qualche fucile.
A duecento metri sotto il cono Yanez divise il suo drappello in modo da impedire ogni scampo.
Erano ormai vicini, poiché delle faville, trasportate dal vento, cadevano in mezzo alle macchie occupate dalle tigri di Mompracem.
– Adagio – disse Yanez a Kammamuri. – I birbanti si terranno certamente in guardia e non si lasceranno prendere senza opporre resistenza. —
In mezzo alle piante un fuoco brillava vivissimo ed espandeva un profumo appetitoso, come se su quei tizzoni si cucinasse qualche testuggine marina o qualcuna di quelle gigantesche ostriche chiamate di Singapore, che s’incontrano spesso. Che degli uomini si fossero accampati sulla cima di quella specie di cono non vi era dubbio, poiché si udivano di quando in quando dei sommessi bisbigli e l’urto dei coltelli.
La linea delle tigri di Mompracem si era rapidamente ristretta per piombare compatta sull’accampamento e sorprendere i fuggiaschi, occupati certamente a cenare.
Il profumo di fritto di tartaruga o ragno di mare od ostrica gigante cominciava ad espandersi sotto le piante, cacciando attraverso ai raggi purissimi della luna dei piccoli getti di fumo.
– Sali alla mia destra tu, Kammamuri, – disse Yanez all’indiano. – Quegli uomini li abbiamo sottomano e credo che non ci fuggiranno più, a meno d’un miracolo.
Sali quella cresta che sta di fronte a te, mentre io monto l’opposta.
Li prenderemo in mezzo e non ne lasceremo scappare neppure uno.
– Sì, signor Yanez.
– Avverti i tuoi uomini di tenere la carabine pronte. Non si sa mai quello che può succedere e non vorrei che l’ambasciatore fosse scappato con qualche altro dei tuoi uomini.
– Ci terremo in guardia, signor Yanez, – disse Kammamuri.
– Spingiamoci avanti.
– Sono pronto.
– Non far rumore, perché si tratta di sorprenderli.
– E noi li sorprenderemo – rispose l’indiano.
Yanez, udendo gli accampati parlare sopra la sua testa, si era cacciato in mezzo ai foltissimi cespugli, premendogli di sapere che cosa dicevano i fuggiaschi.
Trascinandosi innanzi sui gomiti e sulle ginocchia, si diresse verso dove luccicava il fuoco, il quale lanciava di quando in quando getti di fumo e di faville.
Avanzatosi una quindicina di passi, il portoghese si trovò dinanzi ad un albero enorme che aveva un tronco colossale, e che doveva essere certamente un teck.
Dietro quella pianta due uomini stavano seduti intorno ad un fuoco, colle gambe allargate per meglio asciugarsi.
Sui tizzoni arrosoliva una gigantesca ostrica di Singapore, la quale aveva già aperto, al contatto col fuoco, le sue valve.
– Sono essi – mormorò Yanez. – Se non li prendiamo questa sera, non li prenderemo più; ed allora chi sa che cosa potrà succedere.
I testimoni pericolosi vanno soppressi e voglio dare a questi traditori una lezione indimenticabile. —
Raggiunse cautamente il grossissimo albero e si mise a girare intorno al tronco, tenendo le dita sul grilletto delle fide pistole.
Aveva appena compiuto il giro, quando un’ombra umana gli sorse dinanzi, gridandogli:
– Arrenditi o sei morto! —
Vedendo luccicare una canna di fucile, il portoghese si era gettato prontamente a terra, per evitare una scarica in pieno petto.
– Arrenditi! – ripeté la voce.
– A chi lo dici, a me? Ad una tigre di Mompracem? Avànzati e ti darò quello che meriti.
– Oh, signor mio – rispose il fuggiasco con fare altezzoso – qui non siamo a Varauni e nessun Sultano vi proteggerà.
– So difendermi da me, amico, – rispose il portoghese – e questa è la prova. —
Aveva mandato un grido: – Avanti tutti! prendiamoli! —
La fila indiana delle tigri di Mompracem si era in un lampo ristretta ed era piombata furiosamente sull’accampamento, colla carabina puntata, urlando ferocemente: – Arrendetevi, o siete tutti morti.
Un uomo, che stava tagliando l’ostrica gigante di Singapore, era balzato in piedi, tenendo in pugno un coltellaccio.
– Ah, cane! – gridò. – Ancora tu? Sei il diavolo, che vieni a scovarci dappertutto? —
Yanez che aveva la buona abitudine di non farsi mai sorprendere, spianò le sue due pistole, dicendo:
– Getta quell’arma, o ti uccido.
Io sono il tuo signore, e perciò ho diritto su di te di vita e di morte essendo tu un mio suddito.
– Adagio, signore! – gridarono diverse voci.
Intanto la scorta sbarcata dalla scialuppa era balzata in piedi e tentava di accerchiare il portoghese.
– Giù quell’arma o sparo, – ripeté Yanez. – Non vedi che sei ridicolo? Vorresti impegnare una lotta contro di noi tutti muniti di carabine e d’armi bianche?
Getta via il coltello! —
L’indiano digrignò i denti, si contorse come un serpente, poi lasciò cadere il coltellaccio, dicendo:
– Grazia, rajah.
– Dimmi innanzi tutto dov’è il tuo compagno.
– È qui il furfante! – gridò in quel momento Kammamuri spingendo innanzi a pugni e calci un uomo che aveva sorpreso nascosto fra due rocce.
– Ecco come i miei sudditi portano anche qua gli eterni tradimenti dell’India nera – disse Yanez con amarezza.
Piombò sui due miserabili e con due formidabili pugni li rovesciò l’uno sull’altro semistorditi.
– Miserabili! – gridò. – Dov’è l’ambasciatore inglese?
– È fuggito – rispose uno dei due indiani con voce rauca.
– Chi lo ha fatto evadere?
– Dinar.
– Ah, sei stato tu, buffone, che mi hai compromesso! Dov’è scappato l’ambasciatore? Voglio saperlo subito: mi capite, miserabili?
– Ci ha traditi, Altezza, – disse Dinar. – Ci aveva fatto mettere in mare due scialuppe ed una notte la sua scomparve, lasciando noi in pieno mare.
– Dove si è diretto? Io lo voglio sapere.
– Diceva di voler raggiungere Labuan.
– E a quest’ora l’avrà già raggiunta – disse il portoghese. – Io vi avevo condotto con me credendovi due persone fidate ed incorruttibili.
Bell’esempio che avete dato! —
Stette un momento silenzioso, poi volgendosi verso i suoi uomini, disse:
– Impadronitevi di queste canaglie e conducetele verso la spiaggia.
– Che cosa volete fare, signor Yanez? – chiese Kammamuri.
– Dare un esempio terribile.
Andiamo, amici. —
I due indiani furono afferrati, strettamente legati colle mani dietro il dorso e condotti giù dal cono sotto la sorveglianza del portoghese, di Kammamuri e di Mati.
Lo yacht bordeggiava lentamente intorno all’isola, fumando allegramente.
Al largo nessuna nave appariva. Anche le cannoniere erano scomparse.
Mancavano due o tre ore allo spuntare del sole, quando il drappello giunse sulla spiaggia, presso il luogo ove si era arenata la scialuppa.
– Scavate una fossa – disse Yanez. La rhani, mia moglie, ha condannati questi traditori per mia bocca.
Si eseguisca. —
Gli uomini della scialuppa erano scesi portando dei kampilangs e dei parangs, i quali potevano servire benissimo come zappe in suolo così sabbioso.
La buca fu scavata ai piedi dei traditori, i quali non osavano nemmeno guardare in viso il loro signore; poi un drappello armato prese posto dinanzi a loro.
Yanez, un po’ commosso quantunque ben deciso a dare una terribile lezione ai traditori, si volse per non vedere.
Sei spari rimbombarono.
I due assamesi, colpiti dal piombo, erano precipitati nella fossa, la quale era stata subito ricoperta.
– Giustizia è fatta! – disse Yanez. – Rammentatevi che coi traditori io sarò implacabile e che con me non conviene scherzare troppo.
– E l’ambasciatore? – chiese Kammamuri.
– Lasciamo che corra per ora, faremo tuttavia una puntata verso Labuan per tentare di catturarlo.
Prevedo dei grossi fastidi, eppure non dispero di sapermela cavare abbastanza bene.
– Che cosa contate di fare, ora?
– Di partire per la campagna. —
L’indiano guardò il portoghese con sorpresa:
– Per la campagna?
– Sì: ho promesso al Sultano di condurlo nelle grandi foreste dei Monti del Cristallo per farvi grosse cacce.
Lassù vi deve essere già Sandokan e sarà meglio che io cerchi di raggiungerlo, poiché ormai a Varauni comincia a spirare una pessima aria per noi. —
Balzò nella scialuppa e fece segno ai rematori di vogare subito.
Un quarto d’ora dopo Yanez ed i suoi compagni, un po’ rattristati, giungevano sullo yacht.
12. Tigri e leopardi
– Ehi, Mati ti sei addormentato sui tuoi pezzi?
– No, signor Yanez. Aspetto la buona occasione per fare un doppio colpo.
– Quella gente peraltro non scherza.
– Ci teniamo sempre fuori di portata.
– Come sono noiose quelle cannoniere! Non ne hanno avuto abbastanza dunque?
– Pare di no – rispose Mati, il quale si teneva ritto dietro al pezzo prodiero, pronto a scatenarlo.
Tre cannoniere filavano all’orizzonte, dando vigorosamente la caccia allo yacht, il quale era stato ritrovato.
Dei colpi di cannone rimbombavano di quando in quando con un crescendo pauroso, ma non producevano nessun effetto, poiché le tigri di Mompracem si guardavano bene, approfittando della maggior velocità, di lasciarsi prendere nel campo di tiro.
Lo yacht per la seconda volta aveva avuto la disgrazia di trovare sulla sua rotta le cannoniere di Labuan le quali avevano saputo trarsi abbastanza d’impiccio dai frangenti colla perdita d’una sola nave.
La caccia era cominciata furiosa, terribile, accanita, attraverso le scogliere dell’isola che si profilavano verso il sud, formando dei vasti gruppi.
Mati non dormiva però sui suoi pezzi. Come abbiamo detto, aspettava la buona occasione per fare uno splendido tiro.
Una palla era già arrivata fino allo yacht, attraversandolo in tutta la sua lunghezza, senza colpire le parti vitali della nave.
– Mati! – gridò Yanez, il quale cominciava ad impazientirsi – vuoi che ti surroghi?
– Un momento ancora, signore. Aspetto le cannoniere sulla mia traversa.
– Cominciano a colpirci.
– Ed io colpirò loro. —
Un colpo di cannone risuonò, facendo tremare lo yacht dalla carena fino ai pomi dell’alberatura.
Mati aveva fatto fuoco e da buon artigliere aveva portato via il fumaiuolo della prima cannoniera.
Un fumo intenso si era sparso per il ponte, avvolgendo tutta la piccola nave.
– Bravo Mati! – gridò Yanez.
– Questo non è ancora niente, signore. Una granata da trentadue pollici attraverso le tambure basterà ad arrestare quel volteggiatore del malanno.
– Sbrigati, prima che giunga qualche incrociatore. Siamo troppo vicini a Labuan.
Queste cannonate possono essere udite a Victoria e gl’inglesi ci lanceranno dietro qualche altro pezzo grosso che ci darà dei fastidi.
– È pronto il pezzo poppiero? – chiese Mati.
– Sì – risposero gli artiglieri, i quali stavano caricandolo.
– A me – disse il mastro dello yacht.
Un’altra palla aveva attraversata la piccola nave, smussando un pennone e troncando alcune sartie.
Mati fissò le cannoniere con occhi feroci, si curvò sul pezzo, regolò la mira, poi diede fuoco.
La detonazione non era ancora terminata di rombare sul mare e di ripercuotersi fra le scogliere, quando la cannoniera che teneva la fila della colonna si arrestò bruscamente.
La granata l’aveva colpita sotto la tambura di babordo, sgangherandole le pale e le ferramenta.
Un grande evviva aveva salutato quel colpo maestro.
– Ecco Mati che si risveglia, – disse Yanez, il quale fumava la sua eterna sigaretta dietro il pezzo ancora fumante. – Questo non è che il principio, mio bravo cannoniere. Vedi di aprirci il passo da questa parte e dare addosso a quella nave sospetta che abbiamo scorto avvicinarsi all’isola. —
La situazione dell’yacht era tutt’altro che brillante. Yanez, contrariamente alle sue abitudini, si era lasciato sorprendere dentro una profonda baia dell’isola di Pina, la quale però per la sua speciale conformazione lasciava supporre che avesse due uscite.
Una nave, non ancora bene identificata e che tuttavia aveva l’apparenza d’un incrociatore inglese e di buon tonnellaggio, era stata scorta a ronzare verso le coste settentrionali dei frangenti e ad avanzarsi con estrema prudenza.
Doveva aver scoperta la seconda uscita ed aspettava che l’yacht, stretto dalle cannoniere, si mostrasse, per dargli battaglia.
– Lesto, Mati, – gridò Yanez. – Ricordati che oggidì il miglior cannoniere deve sparare tutti i suoi pezzi.
Fracassami quella trottola, dunque. —
Un altro colpo di cannone rimbombò a bordo dell’yacht, avvolgendo di fumo tutta la prora.
Yanez si era curvato innanzi come se avesse voluto seguire la marcia fulminea del proiettile.
– Bene, Mati! – esclamò. – Un altro colpo come questo e noi avremo ragione di queste mignatte. Una volta al largo non temo più nessuno, essendo la mia nave la più rapida di tutte. —
Mati aveva fatto infatti un colpo più meraviglioso del primo.
La sua granata aveva colpito la seconda cannoniera, quasi alla linea di immersione, costringendola ad imbarcare acqua in grande quantità.
Il piccolo legno, che non poteva più manovrare, avendo il suo compagno di testa ricevuto un terribile urto nelle ruote, raccolse le sue ultime forze e si gettò sulla scogliera per non andare a picco.
I pezzi erano però ancora in buono stato e poteva perciò far passare alle tigri di Mompracem un angoscioso quarto d’ora.
Le tre cannoniere, appoggiandosi alla costa, avevano ripreso il fuoco, alternando proiettili e scariche di mitraglia di nessuna efficacia a tanta distanza.
Soli i grossi cannoni da caccia dell’yacht potevano avere ancora ragione.
Qualche palla era passata attraverso alla tolda, cadendo in mare a brevissima distanza, essendo i pezzi degl’inglesi troppo deboli.
Yanez salì sul castello di prora e si rese un esatto conto della situazione.
Dei tre legni, due erano stati messi fuori di combattimento, però rimanevano intatte le artiglierie.
– La faccenda s’imbroglia, – mormorò il portoghese. – Se tentassimo l’altra uscita, appoggiandoci sulla flottiglia?
Orsù, non lasciamoci prendere in trappola come sorci.
Qui ci vuole un colpo di testa, Kammamuri! —
L’indiano, che si trovava sul ponte di comando, accorse alla chiamata.
– Amico, – gli disse il portoghese, – io ho bisogno da te d’un grande piacere. —
– Parlate, signor Yanez. —
– Questa baia a quanto pare deve avere due uscite. Vorrei che tu ti recassi al secondo sbocco per dirmi qual’è la nave che cerca di tenerci prigionieri.
Prendi la baleniera e otto uomini con un lilà: ti potrà servire. —
– Va bene, signor Yanez. Potete tener duro qualche ora? —
– Anche fino a stasera. —
– Allora tutto andrà bene. —
La baleniera era stata messa in acqua: Kammamuri si mise al timone e la leggiera imbarcazione partì rapidissima, mentre si riprendeva, da una parte e dall’altra, il cannoneggiamento.
Delle palle di tratto in tratto fioccavano nello specchio d’acqua battuto dalla scialuppa, ma erano palle ormai morte che non potevano più offendere.
– Mati, – disse Yanez al mastro dello yacht – cerca di mettere fuori combattimento anche la terza cannoniera.
– Sarei ben lieto di servirvi, signore, ma il tiro non è più diretto, poiché essa si tiene celata dietro le scogliere.
– Spara egualmente: abbiamo abbondanza di munizioni e poi vi è la flottiglia che è pure ben fornita.
– Proviamo – rispose il cannoniere.
I due pezzi da caccia spararono un paio di colpi senza alcun esito, poiché la cannoniera si teneva ostinatamente nascosta dietro le altissime scogliere e dietro le consorelle, le quali si frapponevano generosamente fra lei e i colpi dello yacht.
– La va male! – mormorò Yanez, il quale aveva gettata via con rabbia la sua sigaretta. – Eppure bisogna uscire a qualunque costo.
Aspettiamo Kammamuri. —
Il duello d’artiglieria continuava da una parte e dall’altra, con un grande fracasso ed un grande spreco di polvere e di proiettili. Le palle rombavano raucamente attraverso alla baia, cadendo fra le scogliere. Di quando in quando un pezzo di roccia saltava sotto lo scoppio d’una granata ed era tutto quello che potevano ottenere le tre cannoniere.
– Mati, – disse Yanez – lascia il posto a me allora.
– Non ancora, signore.
– Ti concedo tre colpi.
– Troppo pochi, signor Yanez. Tuttavia farò il possibile per accontentarvi…
Si nasconde: proviamo il fuoco indiretto. —
Stava per salire sul castello di prora, quando fu annunciato il ritorno della baleniera.
Spinta da dieci remi avanzava con velocità fulminea, movendo verso lo yacht.
– È lui – gridò Mati, mentre sparava un’altra cannonata, il cui proiettile era andato a spaccarsi contro una roccia, scrostandone un pezzo.
Yanez era balzato verso la scala.
L’indiano ormai aveva abbordata la piccola nave a vapore e montava i gradini a quattro a quattro.
– Il passaggio esiste, signor Yanez, – disse. – Vi è un’altra uscita verso il settentrione.
– Chi la guarda?
– Una nave assai più grossa d’una cannoniera.
– Un incrociatore?
– Credo.
– È solo?
– Sì, signor Yanez.
– Il passo è accessibile al mio yacht?
– Lo scandaglio ha dato dovunque otto e nove piedi.
– Ne abbiamo più del bisogno.
È verso il settentrione la bocca, mi hai detto?
– Sì, signor Yanez.
– Giacché non si possono smontare quelle cannoniere, daremo battaglia all’altra nave. Dei miei cannoni sono sicuro, come sono sicuro della velocità.
Kammamuri!
– Signore!
– Un’altra gita ancora.
– Anche dieci, se volete.
– Sarà una spedizione un po’ pericolosa, perché tu devi andare a rilevare la squadriglia dei nostri prahos.
– Chi volete assalire?
– Nessuno per ora, ma in caso disperato daremo l’abbordaggio e vedremo come finiranno queste cose.
I forti siamo ancora noi.
– Quella nave mi prenderà d’infilata, signor Yanez.
– Guarderò io la baleniera ed anche terrò d’occhio lo yacht.
Perduto per perduto dobbiamo tentare tutto per non finire in questa baia i nostri giorni.
Se vedrò che l’affare sarà serio, aspetterò questa notte per dare una grossa battaglia.
Andiamo, Kammamuri: i minuti sono preziosi e siamo ancora molto lontani dalla riconquista di Mompracem. —
Scese nella baleniera e diede ordine di avanzare nel canale, tenendosi prudentemente al riparo delle altissime scogliere che sorgevano sulle due rive.
Anche lo yacht si era mosso per proteggere i fuggiaschi, i quali correvano il pericolo di finire male in quella specie di trappola, con due aperture guardate.
Dei colpi di cannone si succedevano di quando in quando, ora sparati dallo yacht ed ora dalle cannoniere, ma più che altro per far comprendere che vigilavano e che erano pronti a difendersi, poiché tutti i proiettili cadevano al di là delle rocce.
L’acqua era abbastanza profonda e veniva spinta dalla marea che rumoreggiava cupamente dentro le caverne marine, con un frastuono talvolta impressionante.
Kammamuri e Mati per precauzione sondavano continuamente per non dare dentro a qualche banco di sabbia.
Il canale diventava di momento in momento più tortuoso, pur conservando sempre una larghezza rispettabile.
– Siamo ancora lontani? – chiese Kammamuri.
– Una mezz’ora.
– Dove hai scorto quella nave?
– Da un’altura.
– Sbarchiamo anche noi ed andiamo a vedere. —
Presero terra sulla riva destra, mentre lo yacht gettava le sue àncore verso quella sinistra e si arrampicarono lestamente sulle rupi che in quel luogo apparivano assai alte.
– Guardiamoci da qualche colpo di cannone – disse Yanez.
Se si tratta di un incrociatore avrà dei pezzi non meno potenti dei miei.
– Se si potesse avvertire la squadriglia… – disse Kammamuri.
– Ci penso già da qualche tempo – rispose il portoghese, il quale pareva che avesse perduto il suo solito buon umore.
– Potrà la baleniera uscire inosservata?
– Sì, se aspetteremo la notte. La luna si alzerà molto tardi.
– M’incarico io di raggiungere la flottiglia, signor Yanez.
– Non sarà una cosa facile.
– Dove non può passare una nave, una piccola imbarcazione sfugge all’attenzione degli uomini di guardia. —
Avevano raggiunta la cima di un’altissima roccia, la quale dominava un gran tratto di canale.
Un pennacchio di fumo che si alzava sopra una grossa macchia nera, colpì subito il portoghese.
– Quella non è una cannoniera – disse aggrottando la fronte. – Si tratta di un incrociatore ed anche molto grosso, mio caro Kammamuri.
– Tenterete la battaglia?
– No, senza l’aiuto della flottiglia. Lo yacht mi preme troppo e non vorrei ritornare a Varauni con degli squarci e con gli attrezzi rovinati.
Il Sultano potrebbe insospettirsi di più e dei sospetti ne ha già abbastanza su di noi.