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Kitabı oku: «La tigre della Malesia», sayfa 30

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– Ho sete! Ho sete! Venite a prenderla se avete sangue nelle vene. La Tigre della Malesia difende la Perla di Labuan!

Ma, ad onta che le sue palle tempestassero il gran vascello con matematica precisione, le sorti volgevano alla peggio pei pirati.

La pioggia di ferro continuava a cadere più fitta che mai sdruscendo e rasando come pontoni i due poveri legni. Era da vedersi che fra pochi minuti tutto sarebbe stato finito. La Tigre della Malesia gettò un urlo disperato.

Egli fece imbarcare tutti gli uomini dell’altro prahos sul suo legno, poi traendo la scimitarra comandò risolutamente l’assalto.

– Su, miei prodi tigrotti – tuonò egli cercando dominare il crescente fracasso delle artiglierie. – All’abbordaggio! All’abbordaggio!

La disperazione centuplicava le sue forze come quelle dei compagni. Rispondendo coi due cannoni che rimanevano ai venti del piroscafo, i tredici pirati, manovrando ai remi, spinsero lo sdruscito legno sotto le tambure del vapore, assordando l’aria colle loro grida minacciando il nemico che non sostava un sol minuto dal mitragliarli per arrestarli.

– Non aver paura Marianna, io vengo! – urlò un’ultima volta Sandokan, mentre la giovanetta lo invocava.

Poi alla testa dei suoi uomini, intanto che il prahos del Portoghese più fortunato metteva la cannoniera fuor di combattimento, colla scimitarra in pugno e il kriss fra i denti, diede l’abbordaggio inerpicandosi sulle tambure, sciabolando i primi uomini che cercavano contrastare il passo. Egli si precipitò in coperta come un toro ferito.

– Sono la Tigre! Sono la Tigre! – urlò egli, facendo balzi da belva. – Guai chi mi tocca!

Dieci uomini lo seguivano con Inioko. Essi andarono a cozzare furiosamente contro i marinai, che correvano a loro incontro colle scuri alzate e si mescolarono assieme a loro, pugnalando i più vicini e sciabolando i più lontani.

Sandokan che si trovava fra i primi, sospinto dall’onda dei combattenti si trovò di fronte al comandante, che riconobbe subito.

– Dov’è Marianna? – chiese questi parando un colpo di scimitarra che sarebbe stato capace di fendere una rupe.

– Ah, sei tu, William! – urlò il pirata sprofondando il kriss nel ventre di un soldato che rotolò ai suoi piedi.

Fece un salto di tre metri sopra le armi del nemico, che l’incalzava, e piombò come una tigre sul baronetto che non ebbe il tempo di parare l’urto. La scimitarra gli spaccò il cranio e lo rovesciò fra i combattenti.

– Ammazza! Ammazza! – urlò il pirata, cercando aprirsi il varco fra i soldati a colpi di scimitarra.

Non vi riuscì. Sdrucciolò, cercò rialzarsi e tornò a sdrucciolare. Quel momento bastò. Ricevette una mazzata sul capo col rovescio di una scure e cadde mezzo morto fra i cadaveri che ingombravano il ponte.

CAPITOLO XXX. I prigionieri

Quando tornò in sé, ancora stordito dal terribile colpo ricevuto in mezzo al cranio, la Tigre della Malesia si trovò incatenata nella stiva del vascello nella impossibilità di muoversi.

In sulle prime si credette in preda a un terribile sogno, ma il dolore che gli martoriava il capo, le carni straziate qua e là dalle punte delle baionette e delle sciabole, le vesti lacerate e le catene che gli serravano i polsi e i piedi, lo richiamarono in breve alla realtà.

Nondimeno non volle credersi prigioniero e si rizzò, scuotendo furiosamente le catene che mandarono un suono lugubre. Si guardò d’attorno con occhi smarriti, ma non vide che le umide pareti della stiva e botti accavallate le une sulle altre che gemevano sotto il rollio lento e misurato della nave. Cercò il suo fedele kriss e la sua scimitarra, ma non trovò né l’uno né l’altra. Egli batté la testa addolorata contro le botti, come volesse svegliarsi. Fu allora che s’accorse di essere proprio sveglio e di essere prigioniero nel fondo del vascello. Emise un ruggito d’ira, di dolore e di vergogna.

– Marianna! Marianna! – mugghiò lo sventurato pirata con accento disperato. – Dove sei tu, fanciulla divina, rispondi anima mia, dove sei?…

La Tigre della Malesia che non aveva mai saputo cosa fosse paura ebbe in quel terribile momento a provarla. Sentì smarrirsi la ragione, confondersi, si sentì alfine impotente; un eccesso di tremendo furore lo prese.

Si gettò a terra, contorcendosi disperatamente colla spuma alle labbra, gli occhi fuori dall’orbite. Ruggì, urlò, bestemmiò, maledì, invocò, supplicò.

– Marianna! Marianna! – ripeteva egli fuori di sé scuotendo i ferri e cercando di spezzarli. – Marianna! Dove sei tu, amor mio, anima mia, fanciulla adorata, mia felicità? Dove sei tu? Rispondi, rispondi al tuo Sandokan, alla sventurata Tigre della Malesia.

«Mompracem, mia isola, carne delle mie membra, mia patria, dove sei, che è avvenuto di te? Yanez, mio buon fratello, compagni, tigrotti miei, siete adunque tutti morti, proprio tutti? Oh! Non è possibile: non lo voglio credere… Io son pazzo!

Per dieci minuti, si rotolò per terra, empiendo la stiva delle sue urla disperate, poi si sollevò e cercò precipitarsi verso la scala che metteva capo al boccaporto, ma i ceppi lo fecero cadere sulle ginocchia. Mandò un gemito.

Tornò a guardarsi attorno con ispavento, col volto orribilmente contraffatto.

– Ma dove sono? – si chiese egli. – Che è successo dopo che caddi sul ponte del legno nemico?

«Che è accaduto di Marianna che abbandonai senza difesa sullo sdruscito e affondante prahos? È morta? È viva?… Che è avvenuto degli ultimi tigrotti di Mompracem! Sono io solo rimasto vivo fra tanti e per essere trascinato sul patibolo di Labuan?

«Ah! Ironia del destino!… Tutti morti! Morta la mia fidanzata, morto Yanez, morti i miei prodi, morto persino l’eroico Inioko? Fatalità, quanto sei terribile contro di me!

Egli s’arrestò di botto, sorpreso nell’udire una voce uscire dal vano lasciato fra due imbarcazioni rovesciate.

– Inioko! – diceva quella voce. – E chi dice che io son morto? Sandokan trasalì. Non era dunque solo in quella prigione?

Si rizzò, scuotendo le catene. Un analogo fragore rispose a poca distanza e la medesima voce di prima, riprese:

– E chi dice che io sia morto? Ho forse l’aspetto di un morto? Possibile che sia nel ventre di un vascello subissato?

– Inioko! – esclamò Sandokan che riconobbe la voce del bravo Dajacco. – Inioko!

Inioko colla testa fasciata, apparve fra le due imbarcazioni. Egli sbarrò tanto di occhi.

– Un altro morto! – diss’egli con profondo terrore. – Oh!… La Tigre della Malesia!… Capitano! Capitano!…

Il Dajacco vacillò come un ubbriaco, poi facendo salti da kanguro si precipitò verso di lui.

– Non è vero che siete morto, mio capitano? – esclamò egli, toccandolo. – La Tigre non può essere morta, era invulnerabile.

– No – rispose Sandokan curvandosi su di lui. – Non sono morto, la sola anima credo che abbia finito di vivere.

– Lo sapevo io che la Tigre l’avrei riveduta. Vi ho veduto cadere dopo di aver fatto macello di quelle canaglie, ma non potevano avervi ancora ucciso. Ah! mio capitano, io piango dalla gioia nel trovarvi qui vivo.

– Ah! tu mi hai visto cadere! Tu ti battevi ancora adunque quando mi hanno stordito! Racconta! Racconta! Io non mi rammento più di nulla, non ho veduto più nulla dopo la mazzata. Ne sai nulla di Marianna? È morta essa?

– Morta?! – esclamò Inioko sorpreso. – In fede mia, chi avrebbe potuto uccidere la regina di Mompracem?

– Ah, non è morta adunque! – urlò Sandokan. – Racconta Inioko, parla Dajacco mio, che ne hanno fatto di essa?

– Aspettate, capitano: ora mi ricordo. Voi eravate caduto, io mi batteva ancora alla testa di tre o quattro valorosi, cercando portarvi soccorso. Mi trovavo addosso alla murata di babordo quando vidi una decina di giacche rosse guidati da un luogotenente precipitarsi sul ponte del vostro prahos che stava per affondare. La giovanetta spaventata dall’acqua che aveva invaso la cabina chiamava disperatamente aiuto invocandovi, essi l’avevano riconosciuta.

– Era viva, ancora viva, ancora mi chiamava e io non poteva salvarla! – esclamò Sandokan. – Maledizione!

– Io li ho veduti risalire a bordo portandola fra le braccia. Doveva essere svenuta, ma non morta, poiché un momento prima la udii colle mie orecchie chiamarvi per nome. Eravamo quattro, feriti e accerchiati, ma credetelo, mio capitano, ci siamo avventati sul nemico colla speranza di liberarla. Non fu possibile, io caddi sotto un colpo di manovella che mi fece svenire, mentre essa veniva trasportata in una delle cabine ancora svenuta.

– È adunque a bordo di questo vascello? L’hai proprio veduta coi tuoi occhi che non era morta?

– Non è morta, capitano, posso affermarlo senza timore; come posso assicurarvi che essa è a bordo del piroscafo.

Sandokan mandò un urlo di gioia. La speranza di tentare la liberazione di Marianna, quantunque incatenato, e senza armi, gli balenò nella mente. Sentì le forze centuplicarsi e si sentì capace di infrangere i ceppi che lo imprigionavano.

– Marianna! Marianna! – esclamò egli, alzando le braccia verso il ponte. – Oh! ti libererò, sì, ti salverò fanciulla divina! Aspetta che io esca di qui, e vedrai che io tornerò a strapparti anche in mezzo a mille uomini, anche in mezzo a mille cannoni, a mille piroscafi.

– Ma come farete mai voi a liberarla? – chiese Inioko. – Non abbiamo un uomo su cui contare a bordo di questo legno, non abbiamo armi!

Lascia pensare a me, Inioko. Se occorre tornerò a diventare la sanguinaria Tigre della Malesia, rioccuperò Mompracem, chiamerò sotto le bandiere tutti i pirati della Malesia, truciderò mille uomini per farmi un nome ancor più terribile. Finché avrò una goccia di sangue nelle vene, la forza d’impugnare la scimitarra, pugnerò per liberare colei che chiamai mia moglie.

«Che importa se dopo avermi scacciato dalla mia isola, di avermi assassinato i miei tigrotti, mi hanno fatto prigioniero? Non sono io forse ancora Sandokan dalle leggendarie imprese, la temuta Tigre della Malesia? Che importa se oggi mi hanno strappato la mia fidanzata, quando ho veduto l’aborrito rivale ruinare fulminato ai miei piedi? Che la portino a Labuan o a Sarawak, in India o in Inghilterra, la raggiungerò a qualsiasi costo. Giurai nei boschi di Labuan e di poi sulle spiagge di Mompracem, che Marianna Guillonk diverrebbe mia sposa, e lo diverrà.

– Ma non vedete adunque che camminiamo verso la forca e che abbiamo le catene alle mani e ai piedi?

– Marciamo verso la forca! Credi tu, Inioko, che io non sappia trovare il mezzo per uscire da quest’orrida prigione? Siamo senz’armi, siamo senza aiuti, circondati da un nemico che ha giurato di trascinarci sulle forche di Labuan, ma la Tigre della Malesia ha mille risorse. Inioko, prima che abbiamo a giungere in vista delle coste maledette, noi saremo liberi.

Il pirata aveva pronunciato tali parole con tanta sicurezza da credere seriamente che avesse in mano i mezzi per tentare la fuga.

– Voi mi fate strabiliare, capitano – disse Inioko.

– Sarà possibile.

– E dite che ritorneremo in mare?

– Sì, e liberi sul libero mare.

– E una volta sui flutti, che si farà?

– Una domanda, prima, Inioko. Che ne fu del Portoghese? Io caddi nel momento che frantumava le ruote della cannoniera.

– La fortuna era con lui, capitano – rispose Inioko. – Aveva uomini di ferro a bordo del suo prahos e cannoni che ruggivano con matematica precisione. Spezzò le ruote alla cannoniera, la demattò dei suoi attrezzi, l’abbordò dopo averle distrutto tre quinti dell’equipaggio e l’incendiò. Quando il piroscafo lo inseguì egli era di già lontano e fuori di portata delle artiglierie.

«Dove diavolo è andato a cacciarsi? Io l’ignoro, ma scommetterei la mia testa che egli alla lontana ci segue e che forse medita di abbordare il piroscafo.

– Non farà nulla, egli è troppo debole. E tutti gli altri sono morti adunque?

– Tutti morti colle armi in pugno – disse Inioko, asciugandosi di nascosto una lagrima.

– Morti! – mormorò con cupo dolore Sandokan prendendosi la fronte fra le mani. – Io non li vedrò più adunque quei miei prodi, quei miei figli!

– Non li rivedremo più mai – ripeté il Dajacco. – Erano duecento i tigrotti di Mompracem e duecento sono morti. Poveri compagni!

– E tu hai veduto cadere Singal, il prode Singal, uno dei più vecchi campioni della pirateria, che pugnò in cento abbordaggi?

– Sì, mio capitano, io l’ho veduto cadere al mio fianco spaccato da una palla di cannone.

– E il valoroso Saugau, il leone delle Romades, anch’egli hai veduto morire?

– È morto. Io l’ho veduto precipitare in mare colla testa sfracellata da una scheggia di mitraglia.

– Sono tutti morti, proprio morti adunque, quegli eroi che io traeva all’abbordaggio del piroscafo che ci vinse?

– Tutti. Io li ho veduti cadere ad uno ad uno sul ponte del prahos e più tardi sul ponte del vascello. La fatalità pesava su di noi.

– Fatalità! Fatalità! – ripeté Sandokan ferocemente. – E fui io a trarre alla morte quella schiera di prodi che si chiamavano i tigrotti di Mompracem!

Il pirata tacque e s’immerse in dolorose meditazioni. Inioko si accovacciò in un angolo della stiva, aspettando colla impassibilità propria dei selvaggi gli eventi, mentre il piroscafo, con lieve rollio, continuava la sua corsa verso Labuan sotto la poderosa spinta delle grandi ruote che turbinavano con crescente rapidità sui suoi fianchi.

Sandokan, passato il primo momento di commozione e ricacciati nel fondo del cuore i neri pensieri che lo assalivano, si mise a meditare per tentare la fuga.

Non ignorava che lo si trasportava a Labuan e che una volta giunto a Vittoria lo si avrebbe impiccato, e che né le preghiere di Marianna né l’influenza del lord, assai dubbia però, l’avrebbero salvato. Di qui la necessità di prendere il volo prima di giungere in vista dell’isola esecrata.

Uomo di ferro, coraggioso come il leone, feroce come la Tigre, astuto come un selvaggio, quantunque senza mezzi, aveva la sicurezza di riuscire nel suo piano.

– Non so su chi contare – mormorò egli seguendo il filo dei suoi pensieri, – ma sono ancora la Tigre della Malesia, l’uomo dalle mille risorse e dalle leggendarie imprese.

«Non ho meco nemmeno un’arma per tentare arditamente un assalto, non ho nemmeno le forze, ma mi rimane l’astuzia che sarà in mano un’arma potente. Oh! non aver paura, anima diletta, non tremare, adorata Marianna, non mi trascineranno, no, sul pennone infame degli assassini, non ti sacrificheranno, no, a un altro uomo.

«Essi sono forti, noi siamo deboli, ma aspetta che io sia libero da questi ceppi, che io nuoti libero sul mio mare, e poi verrò a salvarti a dispetto del lord e di tutti i tuoi compatrioti.

«Aspetta, fanciulla divina, che la falsa morte faccia di me un falso cadavere, che la Tigre si addormenti sull’onde, per risvegliarsi libera, e poi mi vedrai all’opera.

«Tremino allora coloro che cercheranno sbarrarmi la via che mi conduce a te, tremino quei rivali che avranno osato parlarti d’amore e tremino coloro che avranno ardito lanciarti un insulto. Il lord stesso sacrificherò se cercherà d’arrestarmi; cadrà fulminato ai miei piedi come vi cadde il maledetto William sul ponte di questo piroscafo.

Il pirata digrignò furiosamente i denti e strinse le pugna con gesto minaccioso. Stette un momento lì immobile e cupo, cogli occhi torvi fissi a terra, poi si volse bruscamente verso il Dajacco.

– Inioko! – gridò.

Il tigrotto accorse, saltellando come un kanguro, facendo stridere lugubremente le catene.

– Eccomi, capitano.

– Potresti tu assicurarmi che Yanez sia ancora libero?

– Vi occorrerebbe forse Yanez?

– Sì. Senza di lui, la fuga diverrebbe la nostra morte.

– Oh! – esclamò Inioko. – Avete di già progettato la fuga. Ma le armi?

– Lascia a me la cura di fabbricare le armi. Abbi fiducia nella Tigre della Malesia, che tutto può. Orsù, si tratta di sapere se il Portoghese è libero, ora.

– È mia opinione che ci segua a corta distanza. Ha con sé degli uomini bravi e un prahos, che sfida un vascello a vapore dei più rapidi.

– Ecco ciò che mi interessa sapere, prima di farmi gettare in mare. Una volta sulle onde, penserei io a salvare la mia fidanzata.

– Che diavolo andate dicendo, capitano! – esclamò Inioko spaventato.

– Hai paura di farti buttare in mare?

– Nemmen per sogno. Ma chi ci getterà?

– GI’Inglesi.

– Non capisco. A quale scopo?

– Che se ne fa di un cadavere?

– Lo si mette in un’amaca e lo si getta nel gran cimitero umido – rispose il Dajacco.

– Così faranno di noi, ma non aver paura che noi risusciteremo. Te lo giuro.

– E una volta risuscitati torneremo a fare i pirati? Ah! se ciò si avverasse, se noi tornassimo ancora a Mompracem!

Una nube oscurò la fronte di Sandokan; egli scosse con furore i ferri che lo incatenavano.

«Lascia i pirati! – esclamò con ira che poteva scambiarsi per disperazione. – I pirati non hanno più nulla da fare su questi mari che non appartengono più alla Tigre della Malesia. I forti sono spenti. Non risorgeranno più mai, e poi, a qual pro? Tiriamo un velo sul passato e guardiamo in faccia l’avvenire che è ancora oscuro, e forse terribile.

– Tutto è morto adunque? E tutto muore attorno a noi, perfino le speranze, e poi a chi toccherà morire? A noi forse?

– Sì, tutto è finito per la pirateria, Inioko – disse Sandokan con istrazio. – Non mi rimane più nulla da tentare su questi mari, fuorché la liberazione di Marianna, che sarà l’ultima impresa della Tigre della Malesia, se pur non seguirò nella tomba coloro che mi han preceduto.

– E se la liberate, dove andrete poi?

– Dove andrò? L’ignoro, né cercherò il saperlo; purché fugga da questi luoghi, non voglio altro… Andrò dove lei vorrà, se pur tornerà a esser mia!… Potessi ancora stringerla fra le mie braccia, potessi ancora sentire i battiti del suo cuore contro il mio petto, potessi ancora udire la sua voce, respirare il suo profumo che mi inebbriava e posare le mie labbra sulle sue!… Mille tuoni! Perché non proverò ancora quelle emozioni sublimi? Perché?…

– Voi nutrite sempre la speranza di rapirla – disse Inioko. – Ma non vedete che siamo circondati d’armati?

– Ma io le spunterò, le infrangerò queste armi – muggì Sandokan con furore. – Ah, credono loro di aver vinta per sempre la Tigre? Credono loro di averla domata incatenandola. No, ira di Dio! Guarda!…

Il pirata, raccogliendo la sua erculea forza, raddoppiata dall’esaltazione a cui era in preda, torse i ferri che gli stringevano i polsi, li aprì, li spezzò e li scagliò contro le pareti della stiva, poi abbassandosi con una violenta strappata separò la catena che gli univa i piedi. Egli si rizzò fieramente coi pugni stretti, la faccia truce.

– Guarda la Tigre libera! – esclamò egli.

In quel medesimo istante il boccaporto di poppa si sollevò e la scala gemette sotto il peso di un uomo che scendeva. Sandokan afferrò una manovella risoluto a difendersi prima di farsi incatenare; il Dajacco, quantunque in ceppi, raccolse l’aspa d’un argano.

Un soldato armato di carabina colla baionetta inastata comparve e dietro a lui un luogotenente e un marinaio armato sino ai denti. Nello scorgere Sandokan libero e colla manovella minacciosamente alzata, essi s’arrestarono.

– Oh! potete scendere – disse il pirata, ghignando e abbassando l’arma. – Ma che non vi salti in testa l’idea di volermi incatenare. La Tigre potrebbe diventare rabbiosa.

Il soldato e il marinaio lo presero freddamente di mira, nel mentre che il luogotenente colla sciabola sguainata gli si avvicinava.

– Gli è per presentarmi due uomini in sì ridicola posa che siete sceso in questa stiva? – chiese Sandokan beffardamente. – Potevate risparmiarmi questo grottesco divertimento.

– Non è per ciò che sono disceso nella gabbia della Tigre – rispose il luogotenente. – So che due fucili non sono capaci di spaventare un uomo come voi, il cui coraggio è popolare quanto la ferocia. Prendo solo delle precauzioni.

– Si ha paura adunque della Tigre della Malesia? Non lo avrei creduto dopo che se l’ebbe incatenata.

– E perché no? Chi ha veduto la Tigre combattere non potrà mai vantarsi di non aver avuto paura.

– Infine che volete?

– Ho avuto un ordine. Olà – disse volgendosi verso i suoi marinai, – liberate questi uomini dai loro ceppi.

– Non ho bisogno di voi, ho saputo spezzarli da me! – esclamò fieramente Sandokan, battendo i piedi sul tavolato.

– Lo vedo bene io: e chi non l’avrebbe indovinato? Incatenate una tigre con un filo di ferro, essa lo spezzerà.

Il pirata, un momento prima cupo, si raddolcì. Egli si avvicinò al luogotenente.

– Io sono un pirata – disse Sandokan, – voi siete un luogotenente. Una barriera è gettata fra di noi, un abisso senza fondo è scavato sotto, ma ciò non m’impedirà che per un lampo la distanza che ci separa abbia a scomparire. Ditemi, comandante, chi vi ha dato quest’ordine? Io lo indovino ma aspetto da voi il saperlo.

– Io l’ho avuto da una persona che me ne pregò, ecco tutto – rispose il luogotenente imbarazzato da quella domanda.

– Da Marianna Guillonk! – esclamò Sandokan con una fermezza che avrebbe assicurato chiunque. – Non potete negarlo.

– Ebbene, fu milady in persona, non lo negherò. Trovate forse che sia strano che io abbia ceduto alle sue preghiere?

Anziché rispondere il pirata gli si avvicinò maggiormente intanto che i soldati liberavano dai ferri il Dajacco. Il luogotenente, che non si fidava troppo di quel formidabile uomo che lo sapeva capace di tutto, indietreggiò vivamente.

– Non abbiate paura – disse Sandokan, gettando la manovella. – Non vi chiedo che una preghiera, l’ultima se volete.

– Potete parlare, io vi dissi di già che siete un valoroso quantunque un pirata e io amo i valorosi. Cercherò rispondervi.

Il pirata curvò il capo e incrociò le braccia sul petto fissando il luogotenente. Qualche cosa di umido gli brillava negli occhi.

– Comandante – diss’egli senza voler sembrare commosso. – Ditemi, che ne fu di milady? Che fa ella? E viva ancora?

– Milady! – mormorò il luogotenente, corrugando la fronte. – Essa è a bordo, non ve lo nasconderò, e sotto la mia salvaguardia, dal momento che è morto il baronetto in seguito alla ferita.

«L’ho salvata nel momento che il prahos affondava, senza ferite, malgrado la tempesta di ferro che ruggiva attorno a lei, ecco tutto. È viva, sofferente… credo che voi farete bene a non pensare più a lei né lei a voi.

Il pirata si sentì invadere da una voglia sfrenata di strangolare il luogotenente ma rattenendosi:

– È vero adunque che mi si trarrà a Labuan? – domandò egli con voce sorda, frenando l’ira che ruggivagli in core.

Il luogotenente non rispose e si accontentò di guardarlo, ma si leggeva chiaramente ciò che voleva dire.

– Oh! – esclamò Sandokan, cercando sorridere. – Non ho paura, potete parlare liberamente come si parlasse ad un altro; la Tigre che ha sfidato la morte in cento pugne ha l’anima inaccessibile. Posso indovinare la sorte che mi attende a Vittoria. Vi sono da tanti anni preparato, oh sì da tanti anni!

– Ebbene, Tigre, vi condurrò a Labuan, l’ho promesso al lord, al baronetto e di più ho ordini formali. Siete coraggioso, ebbene non vi nasconderò che un pennone e una corda vi aspettano. Lo vogliono, non già perché siate un pirata, poiché voi siete uno di quegli uomini che non si possono chiamare tali dopo ciò che avete fatto, ma per liberare questi mari da un nemico che minaccia di continuo le sorti di Labuan. Vedete, se fossi io, vi darei un posto nell’esercito delle Indie anziché appiccarvi.

– Ve ne ringrazio, luogotenente, ne serberò ricordo di voi se la fortuna potrà, e chi sa, non ridete, farmi libero. Hanno torto di appendermi o forse di sperarlo, se essi come dite voi lo fanno pel solo scopo di schiacciare la Tigre che non si poteva domare, tuttavia non commento, né domanderò grazia. Sono ancora troppo orgoglioso di me stesso per abbassarmi sino a tal punto.

«Eppure, vedete, nel momento che voi ci davate la caccia, io abbandonava Mompracem per non ritornarvi mai più, non già perché avessi paura di Labuan né di Varauni, non già perché le forze mi fossero venute meno poiché sarei stato capace di sfidare entrambe le potenze e far sorgere armati sol battendo i piedi, ma solo perché la Tigre incatenata da Marianna Guillonk dopo tanti anni di guerra agognava il riposo. Mi hanno preso colle armi in mano, mi condannino, io non mi lamento.

– Non amate più dunque lady Guillonk? – domandò il luogotenente sorpreso di quello strano cangiamento.

– Non l’amo più? – esclamò Sandokan con uno slancio appassionato. – E chi potrebbe dire che la Tigre della Malesia non ama più la Perla di Labuan? Ascoltatemi, luogotenente, finché avrò una goccia di sangue amerò Marianna, finché avrò la forza di pronunciare una sillaba, dirò qui, come di fronte al patibolo, dinanzi a voi e in faccia al lord, che sarà mia moglie! Se voi sarete capace di appendermi, e credetelo ne dubito, nel momento che la corda stringerà la mia gola, ripeterò la medesima cosa.

«Ponete qua Mompracem e là Marianna e io abbandonerò la prima per la seconda. Datemi la libertà e imponetemi che io non veda mai più la giovanetta: e io rifiuterò. Concedetemi la vita e fate morire lei, io accetterò la morte. Che volete di più? Comprendete ora fino a qual punto io l’ami? Perché volete che io abbia tratto alla ruina la mia potenza, se non era per lei? Perché volete che abbia abbandonata quella vita d’avventure che amava sopra ogni cosa, se non avessi amato di più Marianna?

«L’amo, ma l’amo come non amò mai uomo alcuno, con tutte le forze della mia vita. La sola morte, e forse non ancora, potrebbe solo farmela dimenticare all’altro mondo. Mi sentirei capace per lei di sprofondare il piroscafo su cui mi trovo con tutti gli uomini che sonvi sopra, se fossi sicuro con tale sforzo di sottrarla ai vostri artigli e farla mia. Dite ad essa che mi preghi di renderla libera, e voi vedrete fare da me, ciò che non sarebbero capaci cento uomini!

– Vi crederò ma non del tutto – rispose il luogotenente con un sorriso incredulo. – Badate a me, noi siamo più numerosi di quello che nol crediate, più astuti di quello che supponete e più forti della Tigre stessa. Vedete, io ho la convinzione di portarvi a Labuan e di vedervi, non con gioia, credetelo, appeso a uno dei pennoni dei nostri incrociatori.

– Lo crederete voi? – chiese la Tigre con aria cupa.

– Ve lo giuro.

– E io no. Sapete che io, in un momento di disperazione, quando vedessi che ogni tentativo di lottare fosse vano…

– Che fareste?

– Chi sa. Potrei consegnarvi la Tigre morta anziché viva.

– Tentereste mai un suicidio? – esclamò il luogotenente spaventato. – E allora, che succederebbe di lady Marianna?

Sandokan lo guardò stranamente.

– Potrebbe darsi che mi ammazzassi – disse lugubremente. – Che ne sarebbe dipoi della mia fidanzata è facile indovinarlo. Io muoio, lei morrà. Ci ritroveremo ancora, in cielo o all’inferno poco monta. Sarò egualmente felice.

– E la pirateria?

– Non è spenta?

– Avete ragione – mormorò il luogotenente. – Guardate, se voi tentaste un suicidio, da uomo d’onore, ve lo giuro che non mi opporrei. Spenta la Tigre, Labuan non sarà più oltre inquietata né più avrà da temere. In quanto a lady Marianna sarà un’altra faccenda. Non lo permetterò mai che una sì vezzosa creatura abbia a troncare la bella sua vita.

– Avete forse fatto qualche progetto che riguardi la fidanzata della Tigre? – chiese Sandokan sordamente. – Non tentate nulla contro di lei! Potrebbe toccarvi la medesima sorte che toccò al baronetto William.

– Una volta che voi foste morto…

– Sarei capace di sorgere dalla tomba per venirvi a divorare il cuore e succiare il sangue delle vostre vene!

– Non vi crederò che in parte. Ho i miei dubbi per credere che siate tanto potente da uscire da un sepolcro ben chiuso.

– Come vi piace – disse Sandokan ironicamente. – Avrei a farvi ora un’ultima preghiera. Voi siete il comandante di questa nave, nessuno quindi potrà avere tanto coraggio di farvi osservazioni di sorta.

«Luogotenente, io sono sul punto di morire: vorreste lasciarmi vedere per l’ultima volta Marianna Guillonk? Non è il pirata che ve lo chiede, è il fidanzato della Perla di Labuan.

– Ho avuto l’ordine di tenervi rigorosamente separati, qualora la fortuna mi avesse dato di prendervi tutti e due. Credo d’altronde che sarebbe meglio per voi morire senza vederla. A qual pro farla piangere?

– È forse per un raffinamento di crudeltà che me lo negate? – disse con ira la Tigre. – Io non credeva che un onorato soldato scendesse a fare l’aguzzino!

Il luogotenente impallidì.

– Ve lo giuro – diss’egli, – n’ebbi l’ordine. Per darvi una prova dell’affetto che nutro per voi e per lady Marianna, vi accordo il permesso di vederla. Ritirate ora quelle parole che offendono un soldato mio pari.

– Le ritiro. E quando potrò vederla? Fate in modo che abbia a stringerla per l’ultima volta fra le mie braccia prima che la nave giunga a Labuan.

– Lo farò, ma non una sillaba di quanto è stato detto fra noi.

– Sarò muto come una tomba. Del resto fra poco io sarò morto, ve lo assicuro.

– Addio, allora. Avrò l’onore di farvi io i funerali: saranno semplici. Un tuffo in mare e buona notte.

– Era quello che desiderava: essere seppellito nell’umida tomba dei marinai. Grazie, capitano, di quanto avete fatto e farete per me. La Tigre anche nell’altro mondo non si scorderà mai di voi.

Il luogotenente si allontanò chiamando i soldati e salì in coperta. Sandokan rimase lì colle braccia incrociate, un diabolico sorriso sulle labbra e la faccia illuminata da un gran raggio di gioia.

Inioko lo scosse dalle sue meditazioni.

– Vi ha portato buone nuove? – chiese il Dajacco, facendosigli d’accanto. – Orsù capitano, voi mi sembrate felice.

– Sì, Inioko – rispose Sandokan, posando le mani sulle di lui spalle. – Sono felice, più felice di quanto lo sia stato in dieci anni di carnificine. Non sai tu dunque che fra poco rivedrò la mia adorata Marianna, che le parlerò, che la stringerò fra le mie braccia?

«Che importa se il cappio del boia pende sulla mia testa, quando le avrò detto ancora una volta che l’amo, quando udrò ripetere dalle divine sue labbra la medesima confessione, quando le dirò che neppur la morte sarà capace di separarci?

– E se la fuga riuscisse vana?

La Tigre della Malesia si raddrizzò fieramente e tendendo le mani raggrinzate verso il ponte della nave:

– Se tutto riuscisse inutile, aprirò i fianchi del vascello e ci seppelliremo tutti in fondo al mare. Sarà l’ultima vendetta della Tigre della Malesia!

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 ağustos 2016
Hacim:
580 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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