Kitabı oku: «Le due tigri», sayfa 22
– Vattene! Questi uomini hanno reso al tuo paese un servigio tale, che nessuna ricompensa basterebbe a pagarli. Vattene e ricordati che è da vile assassinare delle donne.
Mentre i cavalleggeri uscivano precipitosamente, dai suoi fece rinchiudere la porta, dicendo:
– Aspettiamo la fine della battaglia, amici. Io son qui a proteggervi.
– Avrei amato meglio andarmene, – rispose Sandokan. – Non abbiamo piú nulla da fare qui.
– Domani, se le stragi saranno finite. Povera Delhi! Quanto sangue! Qui l’esercito inglese vi lascerà il suo onore!
CONCLUSIONE
Tre giorni durarono le stragi di Delhi, stragi orrende che strapparono un urlo d’indignazione non solo fra le nazioni europee, bensí nell’istessa Inghilterra.
Gl’indiani, sapendo la sorte che li attendeva, disputavano palmo a palmo il terreno, combattendo disperatamente nelle vie, nelle case, nei cortili, entro e fuori le cinte, sulle rive della Giumna.
Erano rimasti ancora in loro possesso il palazzo reale, il forte Selinghur e parecchi edifizi porticati, e opponevano una resistenza degna della piú alta ammirazione.
La sera però del 17, aperta una breccia nel muro del ben guarnito cortile dei magazzini, gl’inglesi espugnavano il palazzo reale, che era difeso da centoventi pezzi d’artiglieria e passavano a fil di spada tutti i difensori, compresi i figli dell’imperatore, caduti eroicamente colle armi in pugno.
Il 18 anche la batteria dei Kiscengange, che era armata di settantacinque cannoni e che costituiva l’ultima difesa degl’insorti, veniva oppressa sotto il fuoco formidabile dei grossi pezzi inglesi ed i difensori subivano egual sorte di quelli del palazzo reale.
Lo stesso giorno anche il kotuali o municipio della città cadeva e cento cinquanta indiani, fra i quali parecchi membri della famiglia imperiale, che si erano arresi dietro promessa d’aver salva la vita, venivano fucilati ed impiccati dinanzi all’edificio!
Il 20 Delhi era tutta in mano agl’inglesi e allora ne seguirono scene spaventevoli e carneficine inaudite, degne dei selvaggi della Polinesia e non di gente incivilita e di europei.
Migliaia e migliaia d’indiani furono massacrati dalle truppe ubriache di sangue e di gin, che piú nulla ormai rispettavano, né sesso, né età, e la città intera subí un saccheggio spaventevole. I valorosi difensori della libertà indiana caddero tutti, dopo d’aver trucidate colle proprie mani la moglie e le figlie perché non cadessero nelle mani dei vincitori.
Il 24 Sandokan ed i suoi compagni, dopo averne ottenuto il permesso dal generale Wilson, lasciavano la disgraziata città dove migliaia e migliaia di cadaveri cominciavano ad imputridire nelle vie e nelle case e dove gl’inglesi continuavano ad impiccare e fucilare i vinti. De Lussac, nauseato da quelle barbarie, aveva chiesto ed ottenuto il permesso di accompagnarli a Calcutta.
Ormai l’insurrezione era domata e solo il prode Tantia Topi, colla bellissima e fiera Rani di Jhansie ed un pugno di valorosi, teneva ancora alta la bandiera della libertà, fra le folte jungle e le immense foreste del Bundelkund().
Quindici giorni dopo, Sandokan, Yanez e Tremal-Naik con Darma, dopo d’aver ricompensato largamente Sirdar e d’aver lungamente abbracciato il valoroso francese, che li aveva cosí validamente aiutati nella terribile impresa, s’imbarcavano sulla Marianna, salpando per la lontana isola di Mompracem.
Surama, che aveva ormai conquistato interamente il cuore del flemmatico Yanez la tigre e Punthy li accompagnavano.