Kitabı oku: «Le tigri di Monpracem», sayfa 19
– Ah! sei tu, baronetto! – esclamò la Tigre precipitandosi contro di lui.
– Dov’è Marianna? – chiese l’ufficiale con voce soffocata dal furore.
– Eccola, – rispose Sandokan, – prendila!
Con un colpo di scimitarra lo atterrò, poi gettandosi su di lui gli piantò il kriss nel cuore, ma quasi nel medesimo tempo stramazzava sul ponte del legno, colpito al cranio col rovescio d’una scure…
I PRIGIONIERI
Quando tornò in sé, ancora semintronato dal fiero colpo ricevuto sul cranio, si trovò non più libero sul ponte del proprio legno, ma incatenato nella stiva della corvetta.
Dapprima si credette in preda ad un terribile sogno, ma il dolore che gli martoriava ancora il capo, le carni straziate in più luoghi dalle punte delle baionette e soprattutto le catene che gli serravano i polsi lo richiamarono in breve alla realtà.
Si alzò scuotendo furiosamente i ferri e gettò all’intorno uno sguardo smarrito, come se non fosse ancora ben sicuro di non trovarsi più sul suo legno, poi un urlo gli irruppe dalle labbra, un urlo da belva ferita.
– Prigioniero!… – esclamò digrignando i denti e tentando di torcere le catene.
– Cos’è accaduto adunque?… Siamo stati ancora una volta vinti dagli inglesi?… Morte e dannazione!… Qual terribile risveglio! E Marianna?… Cos’è successo a quella povera fanciulla? Forse è morta!…
Uno spasimo tremendo gli strinse il cuore a quel pensiero.
– Marianna! – urlò continuando a torcere i ferri. – Fanciulla mia, dove sei tu?… Yanez!… Juioko!… Tigrotti!… Nessuno risponde!… Siete tutti morti adunque?… Ma no è impossibile, io sogno od io sono pazzo!
Quell’uomo che non aveva mai saputo cosa fosse la paura, in quel momento la provò. Sentì che smarriva la ragione e si guardò intorno con ispavento.
– Morti!… Tutti morti!… – esclamò con angoscia. – Solo io sono sopravvissuto alla strage per venire forse trascinato a Labuan!…
«Marianna!… Yanez, mio buon amico!… Juioko!… Anche tu, mio valoroso, sei caduto sotto il ferro o il piombo dei massacratoti!…
«Meglio sarebbe stato che anch’io fossi morto e trascinato, col mio legno, nei baratri del mare.
«Dio, quale catastrofe!…»
Poi preso da un impeto di disperazione o di follia, si scagliò attraverso al frapponte, scuotendo furiosamente le catene e gridando:
– Uccidetemi!… Uccidetemi!… La Tigre della Malesia non può più vivere!… Ad un tratto s’arrestò udendo una voce a gridare:
– La Tigre della Malesia!… È vivo ancora il capitano? Sandokan si guardò intorno.
Una lanterna sospesa ad una punta, illuminava scarsamente il frapponte, però quella luce era sufficiente per poter distinguere una persona. Dapprima Sandokan non vide altro che delle botti, ma poi, guardando meglio, scorse una forma umana accovacciata presso lo scassero dell’albero maestro.
– Chi siete voi? – gridò.
– Chi parla della Tigre della Malesia? – domandò invece la voce di prima. Sandokan trasalì, poi un lampo di gioia gli balenò negli sguardi. Quell’accento non gli era ignoto.
– V’è uno dei miei uomini qui? – chiese. – Juioko forse?
– Juioko!… Mi si conosce adunque? Allora non sono morto!…
L’uomo si alzò scuotendo lugubremente delle catene e si fece innanzi.
– Juioko!… – esclamò Sandokan.
– Il capitano! – esclamò l’altro.
Poi slanciandosi innanzi, cade ai piedi della Tigre della Malesia, ripetendo:
– Il capitano!… Il mio capitano!… Ed io l’avevo pianto come morto!…
Quel nuovo prigioniero era il comandante del terzo praho, un valoroso dayako che godeva fama grandissima fra le bande di Mompracem pel suo valore e per la sua abilità marinaresca.
Era un uomo di statura alta, bene proporzionato, come lo sono in generale i bornesi dell’interno, dagli occhi grandi ed intelligenti e la pelle giallo-dorata. Come i suoi compatrioti portava i capelli lunghi ed aveva le braccia e le gambe adorne d’un gran numero di anelli di rame e di ottone. Il brav’uomo, vedendosi dinanzi la Tigre della Malesia, piangeva e rideva ad un tempo.
– Vivo!… Ancora vivo!… – esclamava. – Oh, quale felicità!… Almeno voi siete sfuggito alla strage.
– Alla strage!… – gridò Sandokan. – Sono morti tutti dunque i valorosi che io trascinavo all’abbordaggio di questa nave?…
– Ohimè!… Sì, tutti – rispose il dayako con voce rotta.
– E Marianna? E scomparsa assieme al praho? Dimmelo Juioko, dimmelo.
– No, è viva ancora.
– Viva!… La mia fanciulla, viva!… – urlò Sandokan fuori di sé per la gioia.
– Sei certo di quello che tu dici?
– Sì, mio capitano. Voi eravate caduto, ma io, assieme ad altri quattro compagni, resistevamo ancora quando la fanciulla dai capelli d’oro fu portata sul ponte della nave.
– E da chi?
– Dagli inglesi, capitano. La fanciulla spaventata dall’acqua che doveva aver invasa la cabina, era salita sulla tolda chiamandovi ad alta voce.
«Alcuni marinai avendola veduta furono pronti a gettare in mare una scialuppa ed a raccoglierla. Pochi minuti che avessero tardato la fanciulla sarebbe scomparsa nel gorgo aperto dal praho.»
– Ed era ancora viva?…
– Sì, capitano. Ella vi chiamava ancora quando la portavano sul ponte.
– Maledizione!… Ed io non poter correre in suo aiuto.
– Lo abbiamo tentato, capitano. Non eravamo che in quattro ed avevamo intorno più di cinquanta uomini che c’intimavano la resa, pure ci avventammo contro i marinai che portavano la Regina di Mompracem. Eravamo troppo pochi per impegnare ancora la lotta. Io fui atterrato, calpestato e poi legato e trascinato qui.
– E gli altri?
– Si erano fatti uccidere dopo d’aver fatto strage di coloro che li accerchiavano.
– E Marianna si trova a bordo di questa nave?
– Sì, Tigre della Malesia.
– Non è stata trasbordata sulla cannoniera?
– Credo che la cannoniera navighi ormai sott’acqua – disse Juioko.
– Vuoi dire?
– Che è stata colata a fondo.
– Da Yanez?
– Sì, capitano.
– Allora Yanez è ancora vivo.
– Poco prima che mi trascinassero qui, vidi ad una grande distanza il suo praho fuggire a tutte vele spiegate.
«Durante la nostra pugna aveva messo fuori combattimento la cannoniera, frantumandole le ruote, poi l’ha incendiata. Ho veduto le fiamme alzarsi sul mare ed ho udito, poco dopo, un lontano rombo. Doveva essere la santabarbara che scoppiava.»
– E dei nostri, non è fuggito nessuno?
– Nessuno, capitano – disse Juioko con un sospiro.
– Tutti morti! – mormorò Sandokan con cupo dolore, prendendosi fra le mani la fronte. – E tu hai veduto a cadere Singal, il più prode ed il più vecchio campione della pirateria.
– È stramazzato al mio fianco con una palla di spingarda nel petto.
– E Sangan, il leone delle Romades?
– L’ho veduto cadere in mare colla testa sfracellata da una scheggia di mitraglia.
– Quale massacro!… Poveri compagni!… Ah!… Triste fatalità pesava sulle ultime tigri di Mompracem!
Sandokan tacque, immergendosi in dolorosi pensieri. Per quanto si reputasse forte, si sentiva finalmente accasciato da quel disastro che gli era costato la perdita della sua isola, la morte di quasi tutti i prodi che l’avevano fino allora seguito in cento battaglie, e da ultimo la perdita della fanciulla amata. In un tale uomo però lo scoramento non doveva durare molto. Non erano trascorsi dieci minuti che Juioko lo vide balzare in piedi cogli sguardi sfavillanti.
– Dimmi – gli disse, volgendosi verso il dayako. – Credi che Yanez ci segua?
– Ho questa convinzione, mio capitano. Il signor Yanez non ci abbandonerà nella sventura.
– Anch’io lo spero – disse Sandokan. – Un altro uomo, al suo posto, avrebbe approfittato della mia sventura per fuggire colle immense ricchezze che tiene nel suo praho, ma lui non lo farà. Egli mi amava troppo per tradirmi.
– E che cosa volete concludere, capitano?
– Che noi fuggiremo.
Il dayako lo guardò con stupore, domandandosi in cuor suo se la Tigre della Malesia aveva perduta la ragione.
– Fuggiremo!… – esclamò. – E come? Non abbiamo nemmeno un’arma e per di più siamo incatenati.
– Ho il mezzo per farci gettare in mare.
– Non vi comprendo, capitano. Chi ci butterà in acqua?
– Quando un uomo muore a bordo d’una nave, cosa se ne fa?
– Lo si mette in un’amaca con una palla di cannone e lo si manda a tenere compagnia ai pesci.
– E di noi faranno altrettanto – disse Sandokan.
– Volete suicidarvi?
– Sì, ma in modo da poter ritornare poi in vita.
– Hum!… Ho i miei dubbi, Tigre della Malesia.
– Ti dico che noi ci sveglieremo vivi e liberi sul libero mare.
– Se voi lo dite, devo credervi.
– Tutto dipende da Yanez.
– Egli deve essere lontano.
– Ma se segue la corvetta presto o tardi ci raccoglierà.
– E poi?
– Poi torneremo a Mompracem o a Labuan a liberare Marianna.
– Io mi domando se sogno.
– Dubiti di quanto ti ho detto?
– Un poco, lo confesso, mio capitano. Penso che noi non possediamo nemmeno un kriss.
– Non ci sarà necessario.
– E che siamo incatenati.
– Incatenati! – esclamò Sandokan. – La Tigre della Malesia può spezzare i ferri che la tengono prigioniera. A me mie forze!… Guarda!…
Torse con furore gli anelli, poi con uno strappo irresistibile li aperse e gettò lontano da sé la catena.
– Ecco la Tigre libera!… – gridò.
Quasi nel medesimo istante il boccaporto di poppa si alzò e la scala scricchiolò sotto il passo di alcuni uomini.
– Eccoli!… – esclamò il dayako.
– Ora li mando tutti!… – urlò Sandokan, che era stato preso da un tremendo accesso di furore.
Vedendo al suolo una manovella spezzata, la prese e fece atto di scagliarsi verso la scala. Il dayako fu pronto ad arrestarlo.
– Volete farvi uccidere, capitano? – gli disse. – Pensate che sul ponte ci sono altri duecento uomini e armati.
– È vero – rispose Sandokan; gettando lungi da sé la manovella. – La Tigre è domata!…
Tre uomini si avanzarono verso di loro. Uno era un tenente di vascello, probabilmente il comandante della corvetta; gli altri due erano marinai.
Ad un cenno del loro capo, i due ultimi innestarono la baionetta e puntarono le loro carabine verso i due pirati.
Un sorriso sdegnoso comparve sulle labbra della Tigre della Malesia.
– Avete paura forse? – chiese egli. – O siete sceso, signor tenente, per prestarmi quei due uomini armati?… Vi avverto che i loro fucili non mi fanno tremare, potevate quindi fare a meno di un così grottesco spettacolo,
– So che la Tigre della Malesia non ha paura – rispose il tenente. – Ho preso semplicemente delle precauzioni.
– Eppure sono inerme, signore.
– Ma non più incatenato, mi pare.
– Non sono uomo da tenere a lungo le catene ai polsi.
– Una bella forza, in fede mia, signore.
– Lasciate le chiacchiere, signore e ditemi cosa volete.
– Sono stato qui mandato per vedere se avevate bisogno di qualche cura.
– Non sono ferito, signore.
– Pure avevate ricevuto una mazzata sul cranio,
– Che il mio turbante è stato sufficiente a riparare.
– Quale uomo! – esclamò il tenente, con sincera ammirazione.
– Avete finito?
– Non ancora, Tigre della Malesia.
– Orsù, cosa volete?
– Mi ha mandato qui una donna.
– Marianna? – gridò Sandokan.
– Sì, lady Guillonk – riprese il tenente.
– È viva, è vero? – chiese Sandokan, mentre un’ondata di sangue gli montava in viso.
– Sì, Tigre della Malesia. Io l’ho salvata nel momento in cui il vostro praho stava per inabissarsi.
– Oh!… Parlatemi di lei ve ne prego!…
– A quale scopo? Io vi consiglierei di dimenticarla, signore.
– Dimenticarla! – esclamò Sandokan. – Oh!… Mai!…
– Lady Guillonk è perduta per voi. Quali speranze potete avere ancora?…
– È vero – mormorò Sandokan, con un sospiro. – Io sono un uomo condannato a morte, è vero?
Il tenente non rispose, ma quel silenzio valeva quanto un’affermazione.
– Così era scritto – rispose Sandokan, dopo alcuni secondi. – Le mie vittorie dovevano fruttarmi una morte ignominiosa. Dove mi conducete?
– A Labuan.
– E mi appiccherete?
Anche questa volta il tenente rimase silenziosa.
– Potete dirmelo francamente – disse Sandokan. – La Tigre della Malesia non ha mai tremato dinanzi alla morte.
– Lo so. Voi l’avete sfidata in cento e più abbordaggi e tutti sanno che voi siete l’uomo più coraggioso che viva nel Borneo.
– Allora ditemi tutto.
– Non vi siete ingannato, voi sarete appiccato.
– Avrei preferito la morte dei soldati.
– La fucilazione, è vero?
– Sì – rispose Sandokan.
– Io invece vi avrei risparmiata la vita e vi avrei dato un comando nell’esercito delle Indie – disse il tenente. – Uomini audaci e coraggiosi come voi sono rari al giorno d’oggi.
– Grazie della vostra buona intenzione, ma essa non mi salverà dalla morte.
– Pur troppo, signore. Cosa volete? I miei compatrioti, pur ammirando il vostro straordinario valore, hanno sempre paura di voi e non vivrebbero tranquilli anche se vi vedessero lontano da qui.
– Eppure, tenente, quando voi mi avete assalito io stavo per dare un addio alla mia vita di pirata ed a Mompracem.
«Volevo andarmene assai lontano da questi mari, non perché temessi i vostri compatrioti, poiché se l’avessi voluto, avrei potuto radunare nella mia isola migliaia di pirati e armare centinaia di prahos, ma solo perché io, incatenato da Marianna, dopo tanti anni di sanguinose pugne, desideravo la vita tranquilla accanto a colei che amavo. Il destino non ha voluto che io potessi realizzare quel caro sogno, e sia. Uccidetemi pure: saprò morire da forte.»
– Non amate più adunque lady Guillonk?
– Se l’amo! – esclamò Sandokan con accento quasi straziante. – Voi non potete farvi un’idea della passione che quella fanciulla ha fatto nascere nel mio cuore. Ascoltatemi: ponete qui Mompracem e là Marianna ed io abbandonerò la prima per la seconda. Datemi la libertà colla condizione di non riveder più mai quella fanciulla e mi vedreste rifiutarla.
«Cosa volete di più?
«Guardate! Io sono disarmato, quasi solo, eppure se avessi la più piccola speranza di poter salvare Marianna, mi sentirei capace di qualsiasi sforzo, anche di aprire i fianchi di questo vascello per mandarvi tutti in fondo al mare!»
– Siamo più numerosi di quello che credete – disse il tenente con un sorriso d’incredulità. – Sappiamo quanto valete e di che cosa sareste capace ed abbiamo prese le nostre precauzioni per rendervi impotente.
«Non tentate quindi nulla; tutto sarebbe inutile. Una palla di fucile può uccidere l’uomo più coraggioso del mondo.»
– La preferirei alla morte che mi attende a Labuan – disse Sandokan con cupa disperazione.
– Vi credo, Tigre della Malesia.
– Ma noi non siamo ancora a Labuan e potrebbe succedere qualche cosa prima di giungervi.
– Cosa volete dire? – chiese il tenente guardandolo con una certa apprensione. – Pensereste a suicidarvi?
– Cosa importerebbe a voi? Che io muoia in un modo o nell’altro, il risultato sarebbe identico.
– Forse non ve lo impedirei – disse il tenente. – Vi confesso che mi rincrescerebbe assai vedervi appiccare.
Sandokan stette un momento silenzioso, guardando fisso fisso il tenente come se dubitasse della verità di quelle parole, poi chiese:
– Non vi opporreste voi se mi suicidassi?
– No – rispose il tenente. – Ad un valoroso come voi, non negherei un simile favore.
– Allora consideratemi come un uomo morto.
– Io però non vi offro i mezzi per finire la vostra vita!
– Ho con me il necessario.
– Qualche veleno forse?
– Fulminante. Prima però di andarmene all’altro mondo vorrei pregarvi d’un favore.
– Ad un uomo che sta per morire non si può rifiutare nulla.
– Vorrei vedere un’ultima volta Marianna.
Il tenente rimase muto.
– Ve ne prego – insistette Sandokan.
– Io avevo ricevuto l’ordine di tenervi separati, nel caso che fossi stato tanto fortunato di catturarvi. E poi credo che sarebbe meglio per voi e per lady Marianna, impedire di rivedervi. A quale scopo farla piangere?
– Me lo negate per un raffinamento di crudeltà? Io non credevo che un prode marinaio potesse diventare un aguzzino.
Il tenente impallidì.
– Vi giuro che ne ebbi l’ordine – disse poi. – Mi rincresce che voi dubitiate della mia parola.
– Perdonatemi – disse Sandokan.
– Non vi serbo rancore e per dimostrarvi che io non ho mai avuto alcun odio contro un valoroso vostro pari, vi prometto di condurvi qui lady Guillonk. Darete però a lei un grande dolore, lo vedrete.
– Non le farò parola del suicidio.
– Ed allora, cosa vorreste dirle?
– Io ho lasciato, in un luogo nascosto, degli immensi tesori e tutti lo ignorano.
– E vorreste donarli a lei?
– Sì, onde ne disponga come meglio le piacerà. Tenente, quando potrò vederla?
– Prima di questa sera.
– Grazie, signore.
– Promettetemi però di non parlarle del vostro suicidio.
– Avete la mia parola. Eppure, credetelo è atroce il dover morire, quando ormai credevo di godere la felicità a fianco di quella fanciulla che amo tanto.
– Vi credo.
– Avrei fatto meglio ad affondare il mio praho in alto mare. Almeno sarei sceso negli abissi marini abbracciato alla mia fidanzata.
– E dove andavate quando i nostri legni vi assalirono?
– Lontano, assai lontano, forse in India o in qualche isola del grande oceano. Orsù, è finita. Si compia il mio destino.
– Addio, Tigre della Malesia – disse il tenente.
– Tengo la vostra promessa.
– Fra poche ore rivedrete lady Marianna.
Il tenente chiamò i soldati che avevano liberato dalle catene Juioko e risalì lentamente in coperta. Sandokan rimase lì a guardarlo, colle braccia incrociate e uno strano sorriso sulle labbra.
– Vi ha recato buone nuove? – chiese Juioko avvicinandosi.
– Questa notte noi saremo liberi – rispose Sandokan.
– Ma se la fuga riuscisse vana?
– Allora apriremo i fianchi di questo vascello e morremmo tutti; noi, ma anche loro. Speriamo però; Marianna ci aiuterà.
LA FUGA
Partito il tenente, Sandokan si era seduto sull’ultimo gradino della scala, colla testa stretta fra le mani, immergendosi in profondi pensieri.
Un dolore immenso traspariva dai suoi lineamenti. Se fosse stato capace di piangere, non poche lagrime avrebbero bagnate le sue gote.
Juioko si era accoccolato a breve distanza, guardando con ansietà il suo capo. Vedendolo assorto nei suoi pensieri, non aveva più osato interrogarlo sui suoi futuri progetti.
Erano trascorsi quindici o venti minuti, quando il boccaporto tornò ad alzarsi. Sandokan vedendo entrare uno sprazzo di luce, si era precipitosamente alzato guardando verso la scala.
Una donna scendeva rapidamente. Era la giovane dai capelli d’oro, pallida, anzi livida e lagrimante.
Il tenente l’accompagnava, tenendo però la destra sul calcio d’una pistola che aveva messa nella cintura.
Sandokan era scattato in piedi, mandando un urlo e si era slanciato verso la fidanzata stringendosela forsennatamente al petto.
– Amor mio – esclamò traendola dalla parte opposta della stiva, mentre il comandante si sedeva a mezza scala colle braccia incrociate e la fronte abbuiata.
– Finalmente ti rivedo!
– Sandokan – mormorò ella scoppiando in singhiozzi. – Credevo di non rivederti più mai!…
– Coraggio, Marianna, non piangere, crudele, tergi queste lagrime che mi straziano.
– Ho il cuore infranto, mio prode amico. Ah, non voglio che tu muoia, non voglio che ti separino da me! Io ti difenderò contro tutti, io ti libererò, io voglio che tu sia ancor mio.
– Tuo!… – esclamò egli emettendo un profondo sospiro. – Sì ritornerò tuo, ma quando?
– Perché quando?
– Ma non sai, sventurata fanciulla, che mi portano a Labuan per uccidermi?
– Ma io ti salverò.
– Tu, sì, forse se mi aiuterai.
– Hai un progetto adunque! – esclamò ella delirante per la gioia.
– Sì, se Iddio mi protegge. Ascoltami, amor mio.
Lanciò uno sguardo sospettoso sul tenente che non si era mosso dal suo posto, poi traendo la giovanetta più lontana che era possibile, le disse:
– Progetto una fuga e ho speranza di riuscire, ma tu non potrai venire con me.
– Perché, Sandokan? Dubiti che io non sia capace di seguirti? Temi forse che mi manchi il coraggio per affrontare i pericoli? Sono energica e non temo più nessuno; se vuoi pugnalerò le tue sentinelle o farò saltare questo vascello con tutti gli uomini che lo montano, se è necessario.
– È impossibile, Marianna. Darei mezzo del mio sangue per condurti meco, ma non posso. Mi è necessario il tuo aiuto per fuggire o tutto sarà vano, ma ti giuro che non rimarrai molto tempo fra i tuoi compatrioti, dovessi levare colle mie immense ricchezze un esercito e guidarlo contro Labuan.
Marianna si nascose il capo fra le mani e grosse lagrime inondarono il suo bel viso.
– Rimanere qui, senza di te – mormorò con voce straziante.
– È necessario, mia povera fanciulla. Ascoltami ora.
Si trasse dal petto una microscopica scatoletta e apertala mostrò a Marianna alcune pillole d’una tinta rossiccia e che tramandavano un odore acutissimo.
– Vedi queste pallottoline? – le chiese. – Contengono un veleno potente ma non mortale, che ha la proprietà di sospendere la vita, in un uomo robusto, per sei ore. È un sonno che somiglia perfettamente alla morte e che inganna il medico più esperto.
– E cosa vuoi fare?
– Io e Juioko ne inghiottiremo una ciascuno, ci crederanno morti, ci getteranno in mare, ma poi risusciteremo liberi sul libero mare.
– Ma non vi annegherete?
– No, poiché io conto su di te.
– Cosa devo fare? Parla, comanda Sandokan, sono pronta a tutto pur di vederti libero.
– Sono le sei – disse il pirata estraendo il suo cronometro. – Fra un’ora io e il mio compagno inghiottiremo le pillole e manderemo un acuto grido. Tu marcherai esattamente sul tuo orologio il minuto secondo in cui quel grido sarà emesso, conterai sei ore, e due secondi prima ci farai gettare in mare. Procurerai di lasciarci senza amaca e senza palla ai piedi, e cercherai di gettare qualche galleggiante in mare onde ci possa poi giovare e possibilmente vedrai di nascondere qualche arma sotto le nostre vesti. Mi hai compreso bene?
– Ho scolpito tutto nella mia memoria, Sandokan. Ma dopo dove andrai?
– Ho la certezza che Yanez ci segue ed egli ci raccoglierà. Poi radunerò armi e pirati e verrò a liberarti, dovessi porre Labuan a ferro e fuoco ed esterminare i suoi abitanti.
Si arrestò cacciandosi le unghie nelle carni.
– Maledetto sia il dì in cui mi chiamai la Tigre della Malesia, maledetto sia il giorno in cui divenni vendicatore e pirata, scatenando su di me l’odio dei popoli che si frappone, come orribile spettro, fra me e questa divina fanciulla!… Se non fossi mai stato l’uomo sanguinario, almeno non sarei stato incatenato a bordo di questo legno, né trascinato verso il patibolo, né mai diviso da questa donna che così immensamente amo!
– Sandokan!… Non parlare così.
– Sì, hai ragione, «Perla di Labuan». Lascia che ti contempli un’ultima volta – disse vedendo il tenente alzarsi e avvicinarsi.
Sollevò il biondo capo di Marianna e la baciò in viso come un forsennato.
– Quanto ti amo, sublime creatura!… – esclamò egli, fuori di sé. – E bisogna separarci!…
Soffocò un gemito e si terse rapidamente una lagrima che gli rotolava sulla bruna guancia.
– Parti, Marianna, parti – disse bruscamente. – Se tu rimanessi, io piangerei come un fanciullo!
– Sandokan!… Sandokan!…
Il pirata si nascose il viso fra le mani e fece due passi indietro.
– Ah! Sandokan! – esclamò Marianna, con accento straziante.
Volle slanciarsi verso di lui, ma le forze le vennero meno e cadde fra le braccia del tenente che si era avvicinato.
– Partite! – gridò la Tigre della Malesia, volgendosi altrove e celandosi il viso. Quando si rivolse il boccaporto era stato già abbassato.
– Tutto è finito! – esclamò con voce triste. – Non mi rimane che di addormentarmi sulle onde del mar Malese. Possa un giorno rivedere felice colei che tanto amo!…
Si lasciò cadere ai piedi della scala col viso fra le mani e rimase così quasi un’ora. Juioko lo strappò da quella muta disperazione.
– Capitano – disse. – Coraggio, non disperiamo ancora. Sandokan si alzò con un gesto energico.
– Fuggiamo.
– Non domando di meglio.
Estrasse la scatoletta e levò due pillole porgendone una al dayako.
– Bisogna inghiottirla al mio segnale – disse.
– Sono pronto.
Estrasse l’orologio e guardò.
– Sono le sette meno due minuti – riprese Sandokan. – Fra sei ore noi torneremo in vita sul libero mare.
Chiuse gli occhi e inghiottì la pillola mentre Juioko lo imitava. Tosto si videro quei due uomini contorcersi come sotto un violento e improvviso spasimo, quindi stramazzare al suolo emettendo due acute urla.
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Quelle grida, malgrado lo sbuffare della macchina e il fragore delle onde sollevate dalle possenti ruote, furono udite in coperta da tutti e anche da Marianna che già le attendeva in preda a mille ansie.
Il tenente discese precipitosamente nella stiva seguito da alcuni ufficiali e dal medico di bordo. Ai piedi della scala urtò contro i due creduti cadaveri.
– Sono morti – disse. – Quello che temevo è avvenuto.
Il medico li esaminò, ma quel brav’uomo non potè far altro che constatare la morte dei due prigionieri.
Mentre i marinai li sollevavano, il tenente risalì in coperta e si avvicinò a Marianna che si teneva appoggiata alla murata di babordo, facendo sforzi sovraumani per soffocare il dolore che l’opprimeva.
– Milady – le disse. – Una disgrazia è toccata alla Tigre e al suo compagno.
– La indovino… Sono morti.
– È vero, milady.
– Signore – diss’ella con voce rotta ma energica. – Vivi appartenevano a voi, morti appartengono a me.
– Vi lascio libera di fare di loro ciò che meglio vi aggrada, ma voglio darvi un consiglio.
– Quale?
– Fateli gettare in mare prima che l’incrociatore giunga a Labuan. Vostro zio potrebbe far appendere Sandokan sebbene morto.
– Accetto il vostro consiglio; fate portare i due cadaveri a poppa e mi si lasci sola con loro.
Il tenente s’inchinò e diede gli ordini necessari, onde si eseguisse la volontà della giovane lady.
Un momento dopo i due pirati venivano collocati su due tavole e portati a poppa, pronti ad essere gettati in mare.
Marianna s’inginocchiò accanto a Sandokan irrigidito e contemplò mutamente quel volto scomposto dalla potente azione del narcotico, ma che conservava ancora quella maschia fierezza che incuteva timore e rispetto. Attese che nessuno facesse a lei osservazione e che le tenebre fossero calate, poi si trasse dal corsetto due pugnali e li nascose sotto le vesti dei due pirati.
– Almeno potrete difendervi, o miei valorosi – mormorò ella con profonda emozione.
Poi si assise ai loro piedi, contando sull’orologio ora per ora, minuto per minuto, secondo per secondo, con pazienza inaudita.
Alla una meno venti minuti si alzò pallida ma risoluta. S’avvicinò alla muratura di babordo e non vista staccò due salvagente che gettò in mare, poi si diresse verso prua e fermandosi dinanzi al tenente che pareva l’attendesse:
– Signore, – disse, – si compia l’ultima volontà della Tigre della Malesia.
Ad un ordine del tenente quattro marinai si recarono a poppa e alzarono le due tavole, su cui posavano i cadaveri, fino al capo di banda.
– Non ancora – disse Marianna rompendo in pianto.
S’avvicinò a Sandokan e posò le labbra su quelle di lui. Sentì a quel contatto un lieve tiepore e una specie di fremito. Un momento di esitazione e con voce soffocata disse:
– Lasciate andare!
I marinai alzarono le due tavole e i due pirati scivolarono in mare inabissandosi nei neri flutti, mentre il vascello si allontanava rapidamente portando la sventurata giovanetta verso le coste dell’isola maledetta.