Kitabı oku: «Le tigri di Monpracem», sayfa 20
YANEZ
La sospensione della vita, come aveva detto Sandokan, doveva durare sei ore, né un secondo di più, né un secondo di meno, e così infatti doveva essere, poiché appena inabissatisi, i due pirati tornarono prontamente in loro senza provare la menoma alterazione di forze.
Ritornati a galla con un vigoroso colpo di tallone, girarono subito gli occhi intorno. A meno di una gomena scorsero l’incrociatore, che si allontanava a piccolo vapore verso oriente.
Primo moto di Sandokan fu quello di inseguirlo, mentre Juioko ancora tutto stordito da quella strana e per lui inesplicabile risurrezione, prendeva prudentemente il largo.
La Tigre si arrestò però quasi subito lasciandosi dondolare fra le onde, ma cogli occhi fissi su quel legno che gli rapiva la disgraziata fanciulla. Un urlo soffocato gli irruppe dal petto e gli si spense fra le increspate labbra.
– Perduta! – esclamò con voce semispenta dal dolore.
Un impeto di follia lo prese e per qualche tratto si mise a inseguire il vapore dibattendosi furiosamente fra le acque, poi si arrestò guardando sempre il vascello che a poco a poco si perdeva fra le tenebre.
– Tu mi fuggì, orribile nave, portando teco la metà del mio cuore, ma per quanto l’Oceano sia ampio ti raggiungerò un giorno e squarcerò i tuoi fianchi!
Si rovesciò rabbiosamente sui flutti e raggiunse Juioko, che lo aspettava ansiosamente.
– Andiamo – disse con voce strangolata. – Ormai tutto è finito.
– Coraggio, capitano, noi la salveremo e forse più presto di quello che lo crediate.
– Taci!… Non riaprire la ferita che sanguina.
– Cerchiamo il signor Yanez, capitano.
– Sì, cerchiamolo, perché lui solo può salvarci.
Il vasto mare della Malesia si estendeva dinanzi a loro sepolto fra fitte tenebre, senza un isolotto su cui approdare, senza una vela o un lume che segnalasse la presenza di una nave amica o nemica.
Per ogni dove non si vedevano che onde spumeggianti, le quali si cozzavano le une colle altre con fragore, aizzate dal venticello notturno. I due nuotatori, per non consumare le loro forze cotanto preziose in quel terribile frangente, procedevano lentamente a breve distanza l’uno dall’altro, cercando con avidità sull’oscura superficie una vela.
Di quando in quando Sandokan si arrestava per volgersi verso oriente come se cercasse di scorgere ancora i fanali del piroscafo, poi proseguiva la via emettendo dei profondi sospiri. Avevano già percorso un buon miglio e già cominciavano a sbarazzarsi delle vesti per essere più liberi nei movimenti, quando Juioko urtò in un oggetto che cedette.
– Un pescecane! – esclamò egli rabbrividendo e levando il pugnale.
– Dove? – chiese Sandokan.
– Ma… no, non è uno squalo! – riprese il dayako. – Mi sembra un gavitello.
– E un salvagente gettato da Marianna! – esclamò Sandokan. – Ah! divina fanciulla!…
– Speriamo che non sia solo.
– Cerchiamo, amico mio.
Si misero a nuotare all’ingiro cercando dovunque, e riuscirono, dopo pochi minuti, a trovare l’altro che non erasi troppo allontanato dal primo.
– Ecco una fortuna che non mi aspettavo – disse Juioko, con tono allegro.
– Dove ci dirigeremo ora?
– La corvetta veniva dal nord-ovest, credo dunque che sarà in quella direzione che potremo trovare Yanez.
– Lo incontreremo poi?
– Lo spero – rispose Sandokan.
– Ci saranno però necessarie parecchie ore. Il vento è debole ed il praho del signor Yanez non deve camminare molto.
– Cosa importa? Pur di trovarlo, rimarrei in acqua anche ventiquattro ore – disse Sandokan.
– E non pensate ai pescicani, capitano? Voi sapete che questi mari abbondano di tali ferocissimi squali.
Sandokan involontariamente rabbrividì e girò all’intorno uno sguardo inquieto.
– Non vedo finora emergere alcuna coda né alcuna pinna – disse poi. – Speriamo quindi che gli squali ci lascino tranquilli.
«Orsù, spingiamoci verso il nord-ovest. Se non incontreremo Yanez, continuando in quella direzione, approderemo a Mompracem o sulle scogliere che si estendono verso il sud.»
Si avvicinarono l’uno all’altro per essere più pronti a proteggersi in caso di pericolo e si misero a nuotare verso la direzione già scelta, cercando però di economizzare le loro forze, non ignorando che la terra era molto lontana. Quantunque fossero entrambi decisi a tutto, la paura di venire da un istante all’altro sorpresi da qualche pescecane, si faceva strada nel loro cuori. Specialmente il dayako si sentiva assalire da un vero terrore. Di quando in quando si arrestava per guardarsi alle spalle, credendo di udire dietro di sé dei colpi di coda e dei rauchi sospiri ed istintivamente raggrinzava le gambe per paura di sentirsele mozzare dai denti formidabili di quelle tigri del mare.
– Io non ho mai provata la paura – diceva egli. – Ho preso parte a più di cinquanta abbordaggi, ho uccisi di mia mano non pochi nemici e mi sono perfino misurato colle grandi scimmie del Borneo e anche colle tigri delle jungle, eppure ora io tremo come se avessi la febbre. L’idea di trovarmi, da un istante all’altro, dinanzi ad uno di quei ferocissimi squali, mi fa gelare il sangue. Capitano, vedete nulla?
– No – rispondeva invariabilmente Sandokan, con voce tranquilla.
– Mi è sembrato, anche ora, di aver udito dietro di me un rauco sospiro.
– Effetto della paura. Io non ho udito nulla.
– E questo tonfo?
– È stato prodotto dai miei piedi.
– Ho i denti che galoppano.
– Sii calmo, Juioko. Siamo armati di solidi pugnali.
– E se gli squali arrivano sott’acqua?
– Ci immergeremo anche noi e li affronteremo risolutamente.
– Ed il signor Yanez non si vede!…
– Deve essere ancora molto lontano.
– Che lo incontriamo, capitano?
– Ho questa speranza… Yanez mi ama troppo per abbandonarmi al mio triste destino. Il cuore mi dice che egli seguiva la corvetta.
– Però non lo si vede comparire.
– Pazienza, Juioko. Il vento aumenta a poco a poco e farà correre il praho.
– E col vento avremo anche delle onde.
– Non fanno paura a noi.
Continuarono a nuotare, l’uno vicino all’altro, per un’altra ora, scrutando sempre attentamente l’orizzonte e guardandosi intorno per paura di vedere comparire i temuti squali, poi entrambi sostarono guardandosi l’un l’altro.
– Hai udito? – chiese Sandokan.
– Sì – rispose il dayako.
– Il fischio d’una nave a vapore, è vero?
– Sì, capitano.
– Sta’ fermo!…
S’appoggiò alle spalle del dayako e con una spinta uscì di più di mezzo fuori dell’acqua. Guardando verso il nord, vide due punti luminosi solcare il mare ad una distanza di due o tre miglia.
– Una nave si avanza verso di noi – disse con voce un po’ commossa.
– Allora possiamo farci raccogliere – disse Juioko.
– Noi non sappiamo a quale nazione appartenga e se è mercantile o da guerra.
– Da dove viene?
– Dal nord.
– Rotta pericolosa, mio capitano.
– Così la penso anch’io. Può essere qualche nave che ha preso parte al bombardamento di Mompracem e che va in cerca del praho di Yanez.
– E la lasceremo andare senza farci raccogliere?
– La libertà costa troppo cara per perderla nuovamente, Juioko. Se noi venissimo nuovamente presi più nessuno ci salverebbe e dovrei rinunciare per sempre alla speranza di rivedere Marianna.
– Ma può essere una nave mercantile.
– Non siamo sulla rotta di quei legni. Vediamo un po’ se si può distinguere qualche cosa.
Tornò ad appoggiarsi alle spalle di Juioko guardando attentamente dinanzi a sé. Non essendo la notte molto oscura, potè distinguere chiaramente la nave che muoveva loro incontro.
– Non un grido, Juioko! – esclamò, ricadendo in acqua. – È un legno da guerra, di questo sono certo.
– Grosso?
– Un incrociatore mi sembra.
– Sarà inglese?
– Non dubito della sua nazionalità.
– Lo lasceremo passare?
– Non possiamo fare assolutamente nulla. Preparati ad immergerti poiché quella nave passerà a poca distanza da noi. Presto, abbandoniamo i salvagente e teniamoci pronti.
L’incrociatore, tale almeno lo credeva Sandokan e forse con ragione, s’avanzava rapidamente sollevando sui suoi fianchi delle vere ondate in causa delle ruote.
La sua direzione era sempre al sud, quindi doveva passare a brevissima distanza dai due pirati.
Sandokan e Juioko appena lo videro a centocinquanta metri, s’inabissarono mettendosi a nuotare sott’acqua.
Nel momento che risalirono alla superficie per respirare, udirono una voce a gridare:
– Giurerei d’aver veduto due teste a babordo. Se non fossi sicuro che abbiamo a poppa una zigaena farei mettere una scialuppa in acqua.
Udendo quelle parole, Sandokan e Juioko s’erano subito rituffati, ma la loro immersione fu di breve durata.
Fortunatamente per loro, quando ricomparvero, videro il vascello allontanarsi rapidamente verso il sud.
Si trovavano allora in mezzo alla scia biancheggiante ancora di spuma. Le onde sollevate dalle ruote li sballottavano a destra ed a manca, ora spingendoli in alto ed ora precipitandoli negli avvallamenti.
Capitano, in guardia – aveva gridato il daydko. – Abbiamo una zigaena nelle nostre acque. Avete udito il marinaio?
– Sì – rispose Sandokan. – Prepara il pugnale.
– Verremo assaliti?
– Lo temo, mio povero Juioko. Simili mostri ci vedono male però hanno un fiuto incredibile. Il maledetto non avrà seguita la nave, te lo assicuro,
– Ho paura, capitano – disse il dayako, il quale si agitava fra le onde come il diavolo nella pila dell’acqua benedetta.
– Sii calmo. Finora non la vedo.
– Può arrivarci sott’acqua.
– Forse la sentiremo giungere.
– Ed i salvagente?
– Stanno innanzi a noi. Due bracciate e li raggiungeremo.
– Non oso muovermi, capitano.
Il povero uomo era in preda ad uno spavento tale che le sue membra si rifiutavano quasi di agire.
– Juioko, non perdere la testa – disse Sandokan. – Se ti preme salvare le gambe non devi rimanere lì, semi-istupidito. Aggrappati al tuo salvagente e tira il pugnale.
Il dayako, rimessosi un po’, obbedì e raggiunse il suo gavitello il quale ondeggiava proprio in mezzo alla spuma della scia.
– Ora vediamo se si vede questo pesce martello – disse Sandokan. – Forse potremo sfuggirlo.
Per la terza volta si appoggiò a Juioko e si spinse fuori dell’acqua, girando all’intorno un rapido sguardo.
Là, in mezzo alla candida spuma, aveva scorto una specie di gigantesco martello sorgere improvvisamente fra le acque.
– Stiamo in guardia – disse a Juioko. – Non dista da noi che cinquanta o sessanta metri.
– Non ha continuato a seguire la nave? – chiese il dayako, battendo i denti.
– Ha fiutato l’odore della carne umana – rispose Sandokan.
– Che venga?
– Lo vedremo fra poco. Non muoverti e non abbandonare il pugnale.
Si avvicinarono l’uno all’altro e si tennero immobili, aspettando con ansietà la fine di quella pericolosa avventura.
Le zigaene chiamate anche pesci martello ed anche balance-fish ossia pesci bilancia, sono avversari pericolosissimi. Appartengono alla specie dei pescicani, però hanno una forma molto diversa, avendo la testa foggiata a martello. La loro bocca, tuttavia, non la cede a quella dei loro congeneri sia per l’ampiezza, sia per la potenza dei loro denti. Sono audacissimi, hanno una grande passione per la carne umana e quando s’accorgono della presenza d’un nuotatore non indugiano ad assalirlo e tagliarlo in due.
Anche a loro però riesce un po’ difficile afferrare la preda, avendo la bocca quasi al principio del ventre, sicché devono rovesciarsi sul dorso per poter mordere.
Sandokan e il dayako rimasero alcuni minuti immobili, ascoltando attentamente, poi non udendo nulla, cominciarono ad adoperare una prudente ritirata. Avevano già percorsi cinquanta o sessanta metri, quando d’improvviso videro comparire, a breve distanza, la ributtante testa della zigaena. Il mostro dardeggiò sui due nuotatori un brutto sguardo a riflessi giallastri, poi mandò un rauco sospiro che parve come un tuono lontanissimo. Stette alcuni istanti immobile, lasciandosi dondolare dalle onde, quindi si precipitò innanzi sferzando poderosamente le acque.
– Capitano!… – esclamò Juioko.
La Tigre della Malesia, che cominciava a perdere la pazienza, invece di continuare a ritirarsi, abbandonò bruscamente il salvagente e messosi il pugnale fra i denti, mosse risolutamente contro lo squalo.
– Anche tu vieni a darci addosso!… – gridò. – Vedremo se la tigre del mare sarà più forte della Tigre della Malesia!…
– Lasciatela andare, capitano – supplicò Juioko.
– Voglio finirla – rispose Sandokan con ira. – A noi, dannato squalo!…
Il pesce martello, spaventato forse dalle grida e dall’attitudine risoluta di Sandokan, invece di continuare la corsa, s’arrestò rovesciando a destra ed a manca due ondate, poi si tuffò.
– Ci viene sotto, capitano – gridò il dayako.
S’ingannava. Lo squalo un istante dopo ricompariva a galla e contrariamente ai suoi istinti feroci, invece di ritentare l’attacco, si spingeva al largo giuocherellando fra la scia della nave.
Sandokan e Juioko stettero alcuni istanti fermi, seguendo cogli occhi lo squalo, poi vedendo che non pensava più a loro, almeno pel momento, ripresero la ritirata dirigendosi verso il nord-ovest.
Il pericolo non era però ancora cessato, anzi, la zigaena, pur continuando a giuocherellare, non li perdeva di vista. Con un colpo di coda si slanciava di frequente più di mezza fuori dall’acqua per assicurarsi della loro direzione, poi con poche guizzate guadagnava la via perduta, tenendosi sempre a distanza di cinquanta o sessanta metri. Probabilmente voleva attendere il momento propizio per ritentare l’attacco.
Infatti poco dopo Juioko, che si trovava un po’ indietro, vide lo squalo avanzarsi rumorosamente, scuotendo la sua testa e avventando poderosi colpi di coda. Esso descrisse intorno ai due nuotatori un grande cerchio, poi cominciò a volteggiare ora sotto ed ora a fior d’acqua, tendendo a restringere sempre più i suoi giri.
– Badate, capitano! – gridò Juioko.
– Sono pronto a riceverlo – disse Sandokan.
– Ed io ad aiutarvi.
– Ti è passata la paura?
– Comincio a sperarlo.
– Non abbandonare il gavitello prima che io ne dia il segnale. Cerchiamo intanto di forzare il cerchio.
Colla sinistra stretta attorno al salvagente e la dritta armata del pugnale, i due pirati si misero a battere in ritirata, volgendo sempre la faccia allo squalo. Questi non li abbandonava, anzi continuava a stringerli da vicino, sollevando, con la possente coda, vere ondate e mostrando i suoi acuti denti i quali biancheggiavano sinistramente fra l’oscurità.
Ad un tratto fece un balzo gigantesco uscendo quasi tutto dall’acqua e si precipitò addosso a Sandokan che gli stava più vicino.
La Tigre della Malesia, abbandonato il gavitello, fu pronta ad immergersi, mentre Juioko, reso audace dell’imminenza del pericolo, si scagliava innanzi col pugnale alzato.
La zigaena, vedendo Sandokan a scomparire sott’acqua, con un colpo di coda si sottrasse all’attacco di Juioko ed a sua volta si cacciò sott’acqua. Sandokan l’aspettava. Appena se la vide da vicino, le si gettò addosso afferrandola per una delle pinne del dorso e con un terribile colpo di pugnale le squarciò il ventre.
L’enorme pesce, ferito forse a morte, con un brusco contorcimento si sbarazzò dell’avversario che stava per ritentare il colpo e risalì a galla. Vedendo a due passi il dayako si rovesciò sul dorso per tagliarlo in due, ma Sandokan era pure emerso.
Il pugnale, che l’aveva già ferita, la colpì questa volta in mezzo al cranio e con tale forza che la lama le rimase infissa.
– E prendi anche questi – urlò il dayako, tempestandola di colpi.
La zigaena questa volta s’immerse e per sempre, lasciando alla superficie una grande macchia di sangue la quale rapidamente si allargava.
– Credo che non tornerà più alla superficie – disse Sandokan. – Cosa dici, Juioko?
Il dayako non rispose. Appoggiato al gavitello, cercava di alzarsi per spingere lontani gli sguardi.
– Cosa cerchi? – gli chiese Sandokan.
– Là… guardate… verso il nord-ovest! – urlò Juioko. – Per Allah!…Vedo una grande ombra… un veliero!
– Yanez, forse? – chiese Sandokan, con viva emozione.
– L’oscurità è troppo profonda per ben discernerla ma sento che il cuore mi batte forte, capitano.
– Lascia che salga sulle tue spalle.
Il dayako si avvicinò e Sandokan appoggiandosi su di lui, uscì più che mezzo fuori dalle onde.
– Cosa vedete, capitano?
– È un praho!… Se fosse lui!… Maledizione!…
– Perché imprecate?
– Sono tre, i legni che si avanzano.
– Siete certo?
– Sicurissimo.
– Che Yanez abbia trovato dei soccorsi?
– È impossibile!
– Cosa facciamo adunque? Sono tre ore che nuotiamo e vi confesso che comincio a essere affranto.
– Ti comprendo: amici o nemici facciamoci raccogliere. Chiama aiuto. Juioko radunò le proprie forze e con voce tuonante gridò:
– Ohe!… della nave!… Aiuto!
Un momento dopo si udì al largo un colpo di fucile e una voce che gridava:
– Chi chiama?…
– Naufraghi.
– Aspettate.
Si videro tosto i tre legni virare di bordo e avvicinarsi rapidamente, essendo il vento alquanto forte.
– Dove siete? – chiese la medesima voce di prima.
– Accosta – rispose Sandokan.
Tenne dietro un breve silenzio, poi un’altra voce esclamò:
– Per Giove!… O m’inganno assai o è lui!… Chi vive?
Sandokan con una spinta uscì dalle onde fino a mezzo corpo gridando:
– Yanez!… Yanez!… Sono io, la Tigre della Malesia!… A bordo dei tre legni partì un solo urlo:
– Viva il capitano!… Viva la Tigre!…
Il primo praho era vicino. I due nuotatori afferrarono una gomena che era stata loro lanciata e si issarono sul ponte colla rapidità di due veri quadrumani. Un uomo si avventò contro Sandokan stringendolo al petto con frenesia:
– Ah! mio povero fratello!… – esclamò. – Credevo di non rivederti mai più!… Sandokan strinse il bravo portoghese, mentre gli equipaggi gridavano sempre: – Viva la Tigre!…
– Vieni nella mia cabina – disse Yanez. – Tu devi narrarmi tante cose che desidero ardentemente di conoscere.
Sandokan lo seguì senza parlare e discesero nella cabina, mentre i legni proseguivano la via a tutte vele spiegate.
Il portoghese sturò una bottiglia di gin e la porse a Sandokan che vuotò, uno dietro l’altro, parecchi bicchieri.
– Orsù, narra, come mai ti ho raccolto in mare mentre ti sospettavo prigioniero o morto a bordo del piroscafo che da venti ore seguo accanitamente?
– Ah! Tu seguivi l’incrociatore? L’avevo sospettato.
– Per Giove! Dispongo di tre legni e di centoventi uomini e vuoi che non lo seguissi?
– Ma dove hai raccolto tante forze?
– Sai chi comandano i due legni che mi seguono?
– No di certo.
– Paranoa e Maratua.
– Non si erano adunque affondati, durante la burrasca che ci colse presso Labuan?
– No, come lo vedi. Maratua fu spinto verso l’isola di Pulo Gaya e Paranoa si rifugiò alla baia di Ambong. Stettero colà parecchi giorni a riparare le gravi avarie riportate, poi scesero verso Labuan dove s’incontrarono. Non avendoci trovati alla piccola baia, tornarono a Mompracem; li incontrai ieri sera mentre stavano per recarsi in India, sospettando che là noi ci fossimo diretti.
– E sono sbarcati a Mompracem? Chi occupa ora la mia isola?
– Nessuno, poiché gli inglesi l’abbandonarono dopo d’aver incendiato il nostro villaggio e fatti saltare gli ultimi bastioni.
– Meglio così – mormorò Sandokan sospirando.
– Ed ora, cosa accadde a te? Ti vidi abbordare il vascello mentre io sventravo la cannoniera a colpi di cannone, poi udii gli urrah di vittoria degli inglesi, indi più nulla. Fuggii per salvare almeno i tesori che portavo, ma poi mi misi sulle tracce dell’incrociatore colla speranza di raggiungerlo e di abbordarlo.
– Sono caduto sul ponte del legno nemico, mezzo accoppato da un colpo di mazza e poi fatto prigioniero assieme a Juioko. Le pillole che, come tu sai, portavo sempre indosso, mi salvarono.
– Comprendo – disse Yanez scoppiando in una risata. – Vi hanno gettati in mare credendovi morti. Ma di Marianna, cosa successe?
– È prigioniera sull’incrociatore – rispose Sandokan con voce cupa.
– Chi guidava il vascello?
– Il baronetto, ma nella mischia l’uccisi.
– Me l’ero immaginato. Per Bacco! Che brutta fine ha fatto quel povero rivale! Cosa pensi di fare ora?
– Cosa faresti tu?
– Io seguirei il piroscafo e l’abborderei.
– E ciò che volevo proporti. Sai dove si dirigeva il vascello?
– Lo ignoro, ma mi pare che navigasse verso le Tre Isole, quando io lo lasciai.
– Cosa andrà a fare colà? Qui gatta ci cova, fratellino mio. Camminava molto?
– Filava otto nodi all’ora.
– Quale vantaggio può avere su di noi?
– Forse di trenta miglia.
– Allora possiamo raggiungerlo, se il vento si mantiene buono. Ma… – Egli si fermò udendo sul ponte un movimento insolito e un vociare acuto.
– Cosa succede? – chiese.
– Che abbiano scoperto l’incrociatore?
– Saliamo, fratellino mio.
Abbandonarono precipitosamente la cabina e salirono in coperta. Proprio in quel momento alcuni uomini stavano traendo dall’acqua una cassetta di metallo che un pirata, alla prima luce dell’alba, aveva scorta a poche dozzine di metri dal tribordo.
– Oh!… oh!… – esclamò Yanez. – Cosa vuol dire ciò? Che contenga qualche documento prezioso? Non mi sembra una scatola comune.
– Noi siamo sempre sulle tracce del piroscafo, è vero? – chiese Sandokan, che senza sapere il perché si sentiva agitato.
– Sempre – rispose il portoghese.
– Ah! se fosse…
– Che cosa?
Sandokan invece di rispondere estrasse il kriss e con un colpo rapido sventrò la scatola. Tosto nell’interno si scorse una carta un po’ umida sì, ma sulla quale si rivelavano nettamente alcune righe di una calligrafia fina ed elegante.
– Yanez!… Yanez!… – balbettò Sandokan con voce tremante.
– Leggi, fratellino mio, leggi!
– Mi pare di essere diventato cieco…
Il portoghese gli tolse la carta e lesse:
Aiuto! Mi trasportano alle Tre Isole dove mi raggiungerà mio zio per condurmi a Sarawack.
Marianna
Sandokan nell’udire quelle parole emise un urlo di belva ferita. Alzò il braccio cacciandosi le mani nei capelli che si strappò con furore e vacillò come se fosse stato colpito da una palla.
– Perduta!… perduta!… Il lord?… – esclamò.
Yanez e i pirati lo avevano circondato e lo guardavano con ansietà, con profonda commozione. Pareva che soffrissero le medesime pene che dilaniavano il cuore di quello sventurato.
– Sandokan! – esclamò il portoghese. – Noi la salveremo, te lo giuro, dovessimo abbordare il legno del lord o assalire Sarawack e James Brooke che la governa.
La Tigre, un istante prima abbattuta da quel fiero dolore, scattò in piedi col viso contraffatto e gli occhi in fiamme.
– Tigri di Mompracem! – tuonò egli. – Abbiamo dei nemici da esterminare e la nostra Regina da salvare. Tutti alle Tre Isole!…
– Vendetta!… – urlarono i pirati. – Morte agli inglesi e viva la nostra Regina!…