Kitabı oku: «Straordinarie avventure di Testa di Pietra», sayfa 6
I quattro tamburi si misero a picchiare furiosamente, producendo un frastuono spaventevole in causa della eco che i grandi alberi si rimandavano. Pareva che rullassero cinquanta pelli d’asino invece che solo quattro. Gl’inglesi, giustamente impressionati, si erano subito fermati, poi si erano gettati dietro i tronchi degli alberi per paura di ricevere una scarica.
Solamente l’ufficiale era rimasto coraggiosamente al suo posto impugnando una sciabola d’abbordaggio.
«Signore!…» gridò Testa di Pietra. «Credete ora che vi siano degli americani qui? Voi non volevate crederlo.»
«Ebbene, ammazzatemi,» rispose l’inglese. «Ne sono morti tanti in guerra!…»
«Noi non siamo dei cannibali della Polinesia. Dite ai vostri uomini di non fare fuoco se vorranno tornare a bordo del brigantino e voi avvicinatevi pure, ma gettate via le due pistole che portate alla cintura.»
I tamburi avevano cessato di rullare, sicché i due uomini potevano udirsi benissimo.
L’ufficiale ebbe una lunga esitazione, poi si avanzò di cinquanta o sessanta passi, dopo aver fatto segno ai suoi uomini di non muoversi.
Testa di Pietra rivarcò la barricata e gli mosse incontro accompagnato da Piccolo Flocco, il quale aveva gettate le bacchette dello strumento per prendere la carabina.
«Ebbene, signore,» chiese continuando ad avanzarsi. «Vi decidete a gettare le vostre pistole? Sapete, la collera è cattiva consigliera e certe volte fa commettere delle sciocchezze. Vi prometto di non farvi prigioniero. Se l’avessi voluto avrei lanciato due o trecento uomini contro di voi e vi avrei presi tutti.»
«Ma dove sono i vostri soldati?»
«Ben imboscati.»
«Eppure eravamo stati assicurati che da queste parti non si trovavano americani.»
«Vi hanno ingannati, signor mio, ecco tutto.»
«E voi avete preso il signor Oxford?»
«Precisamente.»
«E che cosa volete farne?»
«Impiccarlo, se il marchese d’Halifax non accetterà le nostre condizioni.»
«Quali sarebbero?»
«Di lasciare a noi una grossa scialuppa e la sua promessa di non importunarci se manderemo alcuni fidi al forte di Ticonderoga.»
«Conosco troppo bene il lord: non accetterà mai.»
«E noi abborderemo il suo brigantino e navigheremo con quello.»
«Voi dite e dite, però non mi avete fatto vedere ancora il signor Oxford,» disse l’ufficiale un po’ impazientito. «Potrebbe essere sfuggito alla vostra caccia.»
«Lo credete? Aspettate un po’.»
Con le mani fece portavoce e si mise a gridare con voce tonante.
«Hulrik, conduci fuori il prigioniero. Ci siamo sempre noi a guardarti. Se sparano sono morti tutti!…»
«Subito, patre, obbedire,» urlò l’assiano.
«Legagli prima le mani dietro il dorso.»
«Afere già fatto.»
Testa di Pietra e Piccolo Flocco si avvicinarono al gigantesco pino presso il quale si era fermato l’ufficiale senza che si accorgesse dell’apertura.
Hulrik non tardò a uscire tenendo ben stretto il segretario del marchese quantunque lo avesse legato.
«Signor ufficiale,» disse Testa di Pietra. «Lo conoscete questo prigioniero?»
«Il signor Oxford!… Non avrei creduto di trovarlo ancora vivo,» rispose l’inglese.
«Vi ho già detto che non siamo dei cannibali della Polinesia. Non siamo nemmeno degli appiccagente,» disse il bretone. «Guardatelo: gode ottima salute. Siete ora convinto che si trova nelle nostre mani?»
«Non sono cieco.»
«Volete tentare di liberarlo con la forza?»
«Per sacrificare tutti i miei uomini? Siamo troppo pochi, ma fra non molto giungerà tutta la squadra di Burgoyne e allora saremo in diecimila.»
«Né io né i miei soldati staremo qui ad aspettarvi e il segretario non lo troverete più. Se il marchese vuole riscattarlo subito, deve mettere a mia disposizione una scialuppa e un salvacondotto per poter attraversare il lago.»
«Non accetterà, ve lo dico io: conosco bene il lord.»
«Tornate a bordo con tutti i vostri uomini e riferitegli quanto avete veduto e quanto vi ho detto. Noi vi lasceremo imbarcare tranquilli, senza sparare un colpo di fucile.»
«Voi siete troppo generoso,» disse l’ufficiale suo malgrado.
Guardò il segretario del marchese che si era seduto su un cumulo di vecchie fibre legnose a fianco dell’assiano il quale lo sorvegliava attentamente col fucile armato e gli chiese:
«Devo obbedire, signor Oxford?»
«Fate quello che credete,» rispose il segretario asciuttamente.
«Impegnare una lotta non è possibile. Vi sono troppi uomini nascosti nella foresta pronti a piombarci addosso.»
«Io non so.»
«E allora ritorno a bordo.»
«E quando tornerete?» chiese mastro Testa di Pietra.
«Il più presto possibile,» rispose l’ufficiale.
«Vi accordo due ore: se non sarete qui prima che siano trascorse farò impiccare il mio prigioniero. Ora potete andarvene: sono le dieci, e il mio orologio è giusto come un cronometro da marina. Badate di non lasciare degli uomini a terra o noi, se li sorprenderemo, li fucileremo.»
L’ufficiale raccolse le sue pistole, ringuainò la sciabola d’abbordaggio, fece un leggero saluto e raggiunse i suoi uomini i quali erano sempre rimasti imboscati e ben riparati dietro i grossi tronchi di pini.
Il drappello si formò e si allontanò rapidamente dirigendosi verso la spiaggia.
Jor, Riberac e Wolf erano subito accorsi.
«Speriamo,» disse a loro Testa di Pietra. «Intanto gl’inglesi hanno creduto che la foresta pulluli di americani. Quei tamburi hanno fatto meglio che due pezzi di cannone da trentadue. Ora che siamo tornati padroni della spiaggia e che abbiamo due ore di tregua, possiamo pensare al nostro pranzo. Vi pare, signor Riberac?»
«Nel mio magazzino vi sono viveri in abbondanza; lo sapete bene.»
«Me ne incarico io,» disse Piccolo Flocco.
«Ed io vi accompagno,» disse Jor. «Faremo una rapida corsa e porteremo qui quanto potremo.»
«Guardatevi dalle sorprese,» disse Testa di Pietra. «Non c’è da fidarsi dei marinai inglesi.»
«Apriamo bene gli occhi,» rispose Piccolo Flocco. «E poi le nostre gambe sono ancora leste, è vero, Jor?»
«Lo credo,» rispose il canadese, gettandosi sulle spalle il fucile.
«E guardatevi da qualche cannonata. Il marchese può lasciare impiccare il segretario.»
Poi volgendosi verso Riberac, disse:
«Ed ora lasciamo questo rifugio che a noi non può più servire e ritiriamoci verso la grande foresta. L’ufficiale lo ha veduto ed io non ho alcun desiderio di farmi assediare dentro questo pino.»
«Volevo proporvelo,» disse il trafficante.
Si fermarono alcuni minuti, seguendo cogli sguardi Jor e Piccolo Flocco e, quando li videro scomparire in direzione del fortino, tornarono verso la macchia conducendo con loro il segretario, non più però legato.
Quantunque l’uragano fosse cessato sul Champlain, violentissime raffiche di vento impregnate di nevischio scorrazzavano sotto i pini e le betulle.betulle, rumoreggiando.
Dinanzi a loro fuggivano, a tutte ali spiegate, i grossi cigni canadesi pesanti più di trenta libbre, seguiti da lunghissime file di oche e di arzavole assai più grosse di quelle che vivono nelle paludi e nei laghi europei.
Testa di Pietra, vedendoli spingersi verso terra, crollava il capo mormorando:
«Che il Champlain sia sempre così burrascoso d’inverno?»
Si cacciarono dietro la barricata e, con rami di betulle e lunghe strisce di scorza che si staccava facilmente, si formarono rapidamente una piccola capanna, abbastanza capace di proteggerli dal nevischio.
Non occorrerebbe dire che si erano messi intorno i famosi tamburi che avevano fatto scappare più che in fretta i marinai del marchese.
Ci contavano ancora per battere la terza carica, nel caso che altre truppe fossero sbarcate in buon numero. Avevano appena preparato il loro ricovero, quando ricomparvero Jor e Piccolo Flocco, portando sulle spalle delle casse.
«Non è stato saccheggiato il mio magazzino?» chiese Riberac al giovane marinaio.
«Tutto è ancora in ordine, signore. Devo darvi una brutta notizia però» rispose Piccolo Flocco.
«Quale?» chiese Testa di Pietra.
«Gl’inglesi hanno appiccato i sei marinai che avevano scortato il signor Oxford.»
«Li avranno sorpresi ubriachi e forse ancora addormentati. Gli inglesi non scherzano con la disciplina. Sono terribili.»
«La colpa è stata mia,» disse Riberac. «E d’altronde se non li avessi lasciati bere mi avrebbero incendiato il magazzino o avrebbero ammazzato anche me e Jor. So che cosa son i marinai a terra.»
«Gli altri sono scomparsi tutti?» chiese Testa di Pietra.
«Sono tornati verso il brigantino,» rispose Piccolo Flocco. «Li abbiamo veduti imbarcarsi e non mancavano che i sei disgraziati che ora il vento dondola all’estremità dei rami di un grosso pino.»
«Vicino al fortino?»
«A quattro o cinquecento passi.»
«È feroce, quel marchese. Il suo fratellastro, il baronetto Mac-Lellan, non ha mai fatto danzare nessuno dei suoi corsari all’estremità dei pennoni. Ah!… Quello è un uomo!… Ma nelle sue vene, se scorre sangue inglese, scorre pure sangue francese.»
«Mastro,» disse Riberac, mentre Jor, Piccolo Flocco ed i due assiani aprivano le casse, levando prosciutti, biscotti, lingue di bisonte affumicate e parecchie bottiglie, «mi spiegherete una buona volta perché quei due fratelli si odiano tanto e vengono a cercarsi perfino in America per ammazzarsi?»
«Quando avremo mangiato,» rispose Testa di Pietra. «Abbiamo fatto un servizio assai pesante e poi anche l’illustrissimo segretario del marchese avrà fame. Noi non usiamo negare i viveri ai prigionieri, come fanno sovente gl’inglesi.»
«Dicono così le cattive lingue,» disse Oxford colla sua voce sempre dura e altezzosa.
«Lo so io, mio caro signore, che sono stato prigioniero per alcuni giorni del marchese. Voi inglesi amate più abbondare di corde insaponate che di larghe razioni a base di biscotti e di carne salata.»
«Vedo che non sei morto.»
«Vi erano delle brave persone che all’insaputa del marchese non mi lasciavano mancare nulla. È vero, Piccolo Flocco, tu che mi hai tenuto compagnia?»
«Vero come un libro stampato,» rispose il giovane marinaio, il quale affettava prosciutti e lingue, accumulando tutto sul coperchio di una cassa. «Non ci mancava nemmeno il tabacco.»
«Patre,» disse Hulrik, «colazione pronta. Non lasciare scappare questa tregua.»
Un colpo di cannone rimbombò in quel momento, seguito subito dopo da parecchi altri: delle palle grandinavano sulla foresta con rauchi sibili, spaccando qua e là dei rami, i quali precipitavano al suolo con grande fracasso.
«Altro che tregua!…» esclamò Testa di Pietra. «Sono appena le undici e hanno gìà cominciato le ostilità. Signor Oxford, il marchese pare che vi abbia abbandonato al vostro destino. Vi pare?»
Il segretario si fece oscuro in viso, aggrottò la fronte e strinse i denti, ma non rispose.
«Lasciamoli sfogare.» disse Testa di Pietra. «Mi rincresce per voi, signor Riberac.»
«Perché?» chiese il trafficante.
«Perché ora il brigantino comincia a scagliare palle infuocate sul vostro magazzino per incendiarvelo.»
«Come sapete voi che sono palle infuocate?»
«Un vecchio artigliere non s’inganna mai. I proiettili freddi hanno un altro suono.»
«Già sapevo che non avrei salvato il mio magazzino,» rispose il trafficante, «o gl’inglesi, o gli americani, o gl’indiani, presto o tardi me lo avrebbero vuotato. Mi ero già da tempo rassegnato, però ho avuto la precauzione di nascondere in un luogo sicuro le mie ghinee, frutto di tanti anni di pericoli e di fatiche e sarò sempre abbastanza ricco.»
«Ecco,» disse Testa di Pietra, il quale si era alzato tenendo in mano una larga fetta di prosciutto salato ed un biscotto. «Gli artiglieri del brigantino hanno proprio preso di mira il fortino. Approfittano della breve calma che regna sul lago, calma però che si romperà prima di sera, poiché quando i cigni e le oche si rifugiano dentro terra, vuol dire che qualche burrasca sta per scoppiare. Piccolo questo Champlain, eppure sempre collerico.»
«Siamo nella cattiva stagione,» rispose il trafficante, il quale stava seduto sul pino abbattuto che serviva da barricata, divorando della lingua affumicata accompagnata con biscotti ed innaffiandola con una bottiglia di vino secco bianco d’importazione francese.
Pareva che non ci pensasse più al suo magazzino, il quale forse in quel momento doveva aver ricevuto più di qualche palla infuocata.
Tutti si erano messi a mangiare, tranquilli come se si trovassero fuori portata di qualche pezzo di cannone. Anche il signor Oxford si era degnato di accettare un salsicciotto.
Intanto le cannonate si succedevano alle cannonate e venivano sparate ora tutte in direzione del fortino.
Il marchese ne aveva decretata certamente la distruzione, forse credendo che vi si trovassero degli americani.
Già più di venti cannonate erano echeggiate, quando Testa di Pietra indicò al trafficante una nuvola di fumo che si alzava sul deposito.
«Ci perderete?…» chiese.
«Cinquemila ghinee,» rispose Riberac, «ma il marchese me ne ha date il doppio per la vostra cattura.»
«Allora non potete lamentarvi.»
«Affatto.»
«Mi rincresce per i prosciutti che friggeranno allegramente e che noi non potremo più assaggiare,» disse il bretone. «Era comodo per noi quel magazzino.»
«Che cosa volete farci? Così è la guerra.»
«Corpo di centomila pipe fracassate!… Lo so ben io che non ho fatto altro che combattere al di là dell’Atlantico ed al di qua.»
«E sempre conservandovi in buona salute, è vero?» disse il trafficante a bocca semipiena.
«Di scaglie di mitraglia ne ho ricevute, e non poche, eppure nessuna mi ha mandato all’altro mondo a guidare qualche barca di Belzebù,» rispose Testa di Pietra. «Noi abbiamo le teste dure ed anche la pelle dura. Signor Riberac, le vostre provviste bruciano.»
«Lo vedo,» rispose il trafficante, continuando a mangiare. «Non possiamo salvarle e lasciamole quindi andare.»
Una lingua di fuoco si slanciò al di sopra del fortino sibilando, poi una pioggia di scintille si disperse all’intorno, spinta dal vento.
Passarono due o tre minuti, poi si udì un gran rombo.
Le provviste di polvere del trafficante avevano preso fuoco ed avevano fatto saltare il deposito.
7 – Il domatore d’orsi
Una gigantesca nube di fumo, traforata da colonne di scintille, aveva avvolto interamente il fortino, oscurando per qualche momento perfino il sole che brillava pallidamente come se fosse gelato. poi le fiamme si scatenarono con violenza inaudita. scaraventando fino al ponte ondate di tizzoni ardenti.
Un odore acre si spargeva rapidamente. odore di grassi che dovevano carbonizzarsi anche più rapidamente in causa delle numerose bottiglie di gin e whisky, che l’esplosione non aveva certamente risparmiate.
Le cannonate erano cessate. Il brigantino risparmiava i suoi proiettili per più tardi.
Testa di Pietra ed i suoi compagni osservavano con occhio triste il dilagare del fuoco che nessuna pompa avrebbe ormai potuto domare.
«Eccoli contenti,» disse il bretone volgendosi verso il trafficante. il quale appariva un po’ commosso. «Ora vedrete che prenderanno di mira il pino gigante che l’ufficiale deve aver ben rilevato. Noi siamo senza un rifugio e minaccia tempesta.»
«Troveremo altre piante scavate.» rispose Riberac.Riberac, lasciando cadere il pezzo di galletta che si preparava a mangiare. «Mi preoccupa la caccia che gl’inglesi non mancheranno di organizzare per cercare di catturarci. Io sono poco convinto che abbiano creduto che qui si nascondessero tanti americani.»
«Ed io meno di voi,» rispose il bretone. «Mille uomini senza un pezzo di cannone!… L’ho sparata grossa!… Vediamo.Vediamo, signore, non vi sono altri depositi nei dintorni?»
«Ve n’è uno lontano più di cinquanta miglia e poi gl’indiani lo avranno già distrutto.»
«Ah!… Mi dimenticavo i pellerossa, gli alleati degli inglesi. La mia capigliatura grigia me la sento mal ferma sulla testa.»
«Forse non ci scotenneranno, né ci attaccheranno al palo di tortura, poiché sono stato io ad arrolarli e mi devono un po’ di obbedienza.»
«Che siano lontani?»
«Forse meno di quello che credete. Queste cannonate avranno fatto affrettare la loro marcia. Hanno l’udito finissimo quegli uomini.»
«E li lascerete congiungersi con gli inglesi?»
«Sarebbe la nostra perdita sicura. Perciò vi proporrei di partire subito e di andare in cerca del gran sackem degli Irochesi, onde impedire alle due orde di giungere fino al lago. Ormai dovete rinunciare, almeno per ora, all’idea di attraversare il lago e di vedere le mura di Ticonderoga.»
«Lo so. Quel cane di marchese non ha voluto lasciarmi una scialuppa. E il segretario lo impiccheremo?»
«Sarebbe una crudeltà inutile,» rispose Testa di Pietra. «Lo condurremo con noi. Non si sa mai: può diventare un uomo prezioso anche se il suo padrone lo ha abbandonato al suo destino. Il baronetto Mac-Lellan non avrebbe agito così. È sempre stato un pessimo uomo quel marchese: superbo e cattivo.»
«Ed avete ragione.» disse il signor Oxford, il quale, sempre sorvegliato da Hulrik, si era avvicinato a loro ed aveva ascoltato i loro discorsi. «È un malvagio che non merita la mia affezione. Lasciarmi così, sapendo che mi si voleva appiccare, senza tentare nessuno sforzo per salvarmi. E sono venticinque anni che io lo servo!…»
«Sicché ora spero che voi passerete dalla nostra parte e che non vi occuperete più di quel signore,» disse Testa di Pietra. «Siete inglese?»
«No, fiammingo.»
«Allora potete abbracciare anche voi la causa americana. Un uomo di più non guasterà. I fiamminghi sono stati sempre dei coraggiosi e voi non lo sarete meno dei vostri compatrioti. spero.»
«Mio padre era un colonnello.»
«Avrete dunque nelle vene buon sangue. Vi vedremo alla prova.»
«Farò il mio dovere. Io non ero nato d’altronde per fare il segretario ad un gran signore. Sono completamente vostro e potete completamente contare su di me. Aggiungo che posso darvi delle preziose informazioni.»
«Intorno alle mosse della squadra inglese?»
«E ben altro,» rispose il signor Oxford, il cui viso era tornato ad oscurarsi. «Se vi…»
Un colpo di cannone interruppe bruscamente quel dialogo. Il brigantino aveva ripreso il fuoco ed aveva lanciato due palle incatenate verso il gigantesco pino, troncando di colpo un grosso ramo, il quale precipitò con grande fracasso.
«Me l’aspettavo,» disse Testa di Pietra. «Ora vedrete che gl’inglesi lavoreranno di palle infuocate per incendiare anche il nostro secondo rifugio. Tutta questa foresta prenderà fuoco, essendo formata di piante troppo resinose, e poi ecco che il vento incomincia nuovamente a ruggire. Signor Riberac, sarà meglio sgombrare al più presto ed andare in cerca del vostro amico indiano…»
«Caribou Bianco,» disse il trafficante.
«Bel nome!… Deve correre meglio d’un cavallo quel sackem.»
«Nessuno dei suoi guerrieri è riuscito mai a raggiungerlo.»
«Che gambe!… Altro che quelle degli struzzi africani!…»
Sette od otto cannonate si susseguirono in quel momento.momento, sparate l’una dopo l’altra, e si vide quasi subito il pino colossale prendere fuoco.
«Ah, il puntatore meraviglioso!…» esclamò Testa di Pietra. «Per due volte quell’uomo ha arrestata la Tuonante in piena corsa.corsa, arrestandoci quando il baronetto stava per abbordare la nave del lord e liberare Mary di Wentwort. Come mai il diavolo non se l’è portato ancora via a sparare cannonate all’inferno? Signor Riberac, facciamo fagotto e andiamocene. Qui non spira più aria salubre per noi.»
«Mi pare che sia giunto il momento,» disse il trafficante. «Pensate che gl’inglesi potrebbero sbarcare.sbarcare, da un momento all’altro, una cinquantina di uomini per tentare di catturarci.»
Il grande pino fiammeggiava ormai come una torcia colossale, poiché le palle infuocate lo colpivano in pieno con precisione matematica. Perfino la caverna legnosa aveva preso fuoco ed eruttava fiamme come un piccolo vulcano.
Testa di Pietra si diede un gran pugno sul cranio, poi si strappò tre o quattro altri peli della sua barba arruffata, e disse:
«La lotta è impossibile. I tamburi non servirebbero più a spaventare gli inglesi, i quali ormai devono aver bene aperti gli occhi.»
«I tamburi però li porteremo con noi,» disse Riberac. «Mi serviranno per fare accorrere gl’indiani.»
«Non saranno un carico pesante,» disse Testa di Pietra. «I due assiani si incaricheranno di portare i viveri che ci rimangono.»
«Per un paio di giorni la colazione e la cena, giacché il pranzo non sarà possibile farlo, le avremo. Poi daremo la caccia agli orsi.»
«E ve ne sono molti qui,» disse Riberac. «In una sola settimana ne ho uccisi quattro, ed erano tutti splendidi plantigradi neri.»
Una nuvola di fumo puzzolente, impregnata di resina, che mozzava il respiro, cominciava ad abbattersi sul piccolo drappello. Un altro pino aveva preso fuoco e crepitava lasciando colare, dai suoi fianchi, la sua linfa già ardente.
Il fortino del trafficante era già stato tutto incenerito, però delle piante, pure resinose, che lo circondavano, avevano pure preso fuoco e si contorcevano sibilando sinistramente.
«È ora di andare a trovare Caribou Bianco?» disse Testa di Pietra. «Speriamo che sia meno feroce del marchese d’Halifax. Signori, partiamo prima che il fumo ci soffochi. Se il vento continua ad aumentare, chissà quanti pini bruceranno. Su, gambe!… Ritorneremo più tardi quando tutto sarà finito ed il brigantino si sarà fracassato contro le scogliere, come io spero.»
«Vorreste prendere ora anche il marchese?» chiese Riberac.
«Se fosse possibile, anche. Oh, non dispero d’incontrarlo, come non dispero di rimettere le mie lettere ai due comandanti del forte di Ticonderoga. Che soffino sempre uragani sopra di noi? Ne abbiamo passate già troppe, è vero, Piccolo Flocco?»
«All’assedio di Boston andava meglio,» rispose il giovane gabbiere. «Là almeno c’era la taverna delle <Trenta corna di bisonte> sempre ben provvista.»
«Io,» disse Hulrik ridendo, «non sapere come non essere morto.»
«I tedeschi hanno la pelle dura,» sentenziò il vecchio bretone. «Ed ora basta con le chiacchiere: si tratta di far lavorare le gambe invece delle lingue.»
Cominciavano a cadere addosso a loro nembi di scintille che il vento strappava al gigantesco pino, facendoli turbinare.
Il fumo poi era diventato insopportabile e provocava violenti colpi di tosse ai sette uomini.
Le cannonate intanto non cessavano. I rombi si succedevano ai rombi facendo scappare più che in fretta le lunghe file di oche e di cigni e zittire tutti gli altri volatili.
Ora erano palle incatenate ed ora palle infuocate, lanciate all’impazzata in tutte le direzioni della foresta. Il brigantino del marchese doveva avere una grossa provvista di proiettili e di polveri.
I fuggiaschi presero i loro famosi tamburi, le casse contenenti i viveri e, varcata la barricata, si allontanarono rapidamente, tutti assai tristi. L’unico forse che non lo fosse era il signor Oxford, il quale aveva fino allora creduto che i due corsari avrebbero certamente mantenuta la parola di appiccarlo a qualche ramo in mancanza di un pennone.
Camminavano in fretta guidati dal trafficante che conosceva il passo meglio di qualunque altro, anche di Jor, passando da un macchione all’altro.
La marcia non era difficile, poiché, come si sa, se le betulle crescono in gruppi numerosi, i pini amano tenersi un po’ lontani l’uno dall’altro, avendo anche bisogno di molta terra per svilupparsi ed affondarvi le mostruose radici.
Per un paio d’ore il piccolo drappello continuò ad inoltrarsi attraverso l’immensa foresta, poi fece una sosta. Le cannonate non si udivano più e nei dintorni tutto pareva tranquillo.
«Sapete dove siamo. signor Riberac?» chiese Testa di Pietra, il quale già non poteva più tenere la lingua ferma.
«Ad una decina di miglia dal lago e fra poco ci troveremo sulle rive del Rik. Jor ha condotta bene la marcia.»
«Le mie gambe se ne accorgono ora,» disse il bretone caricando la sua famosa pipa. «Veramente noi marinai preferiamo farci portare dal vento anche se è cattivo. Credete che il marchese sia sbarcato?»
«Vorrei ben saperlo anch’io,» rispose il trafficante.
«Oh, sarà già a terra,» disse il signor Oxford. «Ha troppa fretta di prendervi, mastro.»
«Sempre in causa di quelle due famose lettere che mi hanno già dato tanti fastidi? Che pessimo postino che sono io!… Si vede che ero nato solamente per fare il marinaio e sparare cannonate. Che ci dia proprio la caccia?»
«Non dubitatelo, mastro.»
«Allora non ci rimane che salvarci fra gl’indiani.»
«È quello che vi avevo detto,» disse Riberac. «Correremo certamente minor pericolo.»
Testa di Pietra guardò il cielo che si rannuvolava sempre più.più, poi disse:
«Nemmeno gl’inglesi andranno lontani. Bufera, ancora bufera che scoppierà fra poco e che metterà in serio pericolo il brigantino del marchese. Ah, se si spaccasse sulle scogliere come si è sventrata la mia fusta!… Potremmo fare a meno degli indiani.»
«Volete che aspettiamo qui?»
«Io vi proporrei, signor Riberac, di tornare verso il lago prendendo un’altra via. Con un po’pò di prudenza si potrebbe evitare l’incontro con gli inglesi e più tardi sorvegliarli.»
«Perché?»
«Ho la mia idea fissa e quando un’idea si pianta nel mio cranio, nemmeno le tenaglie di compare Belzebù potrebbero levarmela.»
«Ho capito: voi vorreste tendere un agguato al marchese.»
«Approfittando dell’uragano. Già i vostri famosi indiani pare che si siano addormentati sul sentiero di guerra.»
«Eppure dovrebbero essere giunti,» disse il trafficante. «Orsù, decidetevi.»
«Torniamo: io non so staccarmi da quel lago le cui acque bagnano le mura di Ticonderoga. Se gl’indiani verranno ci presteranno man forte e prenderemo tutto l’equipaggio del brigantino.»
«Che cosa dici tu, Jor?»
«Che la nostra sorte si deve decidere sulle rive del Champlain e non già sotto i boschi,» disse il canadese. «Se la flottiglia inglese giunge, noi non potremo più vedere né Arnold né Saint-Clair.»
«E tu, Piccolo Flocco, che cosa dici?»
«Che il generale Washington e il nostro capitano ci hanno incaricato di andare al forte e non già di fare delle passeggiate sotto le foreste,» rispose il gabbiere.
«Sia,» disse Riberac. «Torniamo verso il lago. Forse avete ragione di non allontanarvi troppo da quelle rive.»
Stavano per alzarsi, quando una voce sonora gridò, in un francese abbastanza comprensibile:
«Dove vanno gli uomini bianchi? Non sanno dunque che gli Irochesi di Caribou Bianco marciano sul sentiero di guerra, pronti a provare il filo delle loro scuri?»
Un indiano era improvvisamente uscito da una macchia di betulle nane che fino allora lo avevano nascosto.
Era un uomo di mezza età, fra i quaranta ed i cinquanta anni, di statura gigantesca e di forme nerborute.
Indossava una grossa casacca di panno azzurro cupo con ricami ormai stinti ed aveva le gambe avvolte con diverse fasce di pelle di daino ben strette. Portava mocassini pure di pelle, ornati sui lati di parecchie capigliature per lo più bionde.
Una larga fascia di lana gli cingeva le anche robuste, sostenendo la terribile scure di guerra ed il coltello per scotennare.
Portava inoltre un vecchio fucile che aveva anzi subito puntato verso i sette uomini con un’audacia incredibile.
«Desiderate, signor indiano?» chiese Testa di Pietra, il quale si era subito alzato armando la carabina. «Volete un sorso di eccellente gin o una carica di piombo?»
«Voglio sapere chi siete.»
«Delle facce più o meno bianche. Avete due buoni occhi piantati sul vostro muso rosso.»
L’indiano scosse la lunga capigliatura nera e ruvida, raddrizzò le tre penne che la ornavano, poi. abbassando il suo vecchio catenaccio, riprese con aria enfatica: «Io sono Aquila Bianca, grande guerriero irochese, che ha scotennato più di venti persone e che nessuno ha mai osato affrontare.»
«Bianche o rosse quelle persone?» chiese ironicamente Testa di Pietra.
«Dell’una e dell’altra razza.»
«Eppure non mi faresti paura, terribile guerriero, anche se sei più alto di me.»
Il trafficante si era fatto avanti ed osservava l’irochese, il quale pareva che volesse sfidare tutti a qualche terribile duello a colpi di tomahawh.
«Io non ti ho mai veduto nel campo di Caribou Bianco,» disse.
«Ma io conosco mio fratello bianco,» rispose l’indiano.
«Allora era inutile chiedere chi eravamo noi: amici del gran sackem.»
«Il sackem non ha più amici. Quando marcia sul sentiero della guerra non bada che a far raccolta di capigliature.»
«Tu menti: Caribou Bianco è sempre stato leale e poi io l’ho pagato perché si tenesse ai miei ordini. Dove si trova?»
«Hugh!…» fece l’indiano. «Forse vicino, forse lontano.»
«Tu devi sapere dove si trova.»
«Da tre notti ha lasciato i suoi accampamenti.»
«Tu devi essere un pellerossa randagio che non appartiene forse a nessuna delle cinque nazioni che occupano le immense boscaglie del Canada. Tu anzi devi essere solo.»
«Hugh!… Mio fratello bianco s’inganna,» disse l’indiano. «Forse che la mia pelle non è rossa? Forse che non indosso il costume dei guerrieri? Dici che sono solo!… T’inganni!… Ho dietro di me nascosta, entro quella macchia di betulle, una scorta che ti farà spaventare.»
«Bum!…» gridò Testa di Pietra. «Siamo abbastanza gonfi delle tue chiacchiere. Faresti meglio a condurci da Caribou Bianco.»
L’indiano saettò il vecchio bretone con due sguardi lampeggianti, pieni di collera, poi accostò due dita alle labbra e mandò un lungo fischio.
Quasi subito cinque giganteschi orsi neri, dal pelame lucidissimo e bene imbottiti di grascia, sbucarono dalla macchia mandando dei fremiti sonori che si potevano anche chiamare grugniti.
Non avevano né catene né corde e si avanzavano tenendosi diritti sulle zampe posteriori.
«Che splendida collezione di orsi!…» esclamò Testa di Pietra, il quale non si era affatto spaventato per quella inaspettata comparsa. «Gli zamponi di quelle bestie dovrebbero essere eccellenti se bene arrostiti. M’incarico io di questa faccenda.»
I cinque plantigradi si erano radunati intorno all’indiano, come se si preparassero a proteggerlo da qualunque attacco.
Hulrik, Wolf, Piccolo Flocco e il trafficante avevano armate rapidamente le carabine, pronti ad impegnare una lotta disperata, sapendo di aver a che fare con animali formidabili.
Il segretario del marchese, che non possedeva nessuna arma da fuoco, aveva preso un tamburo e si era messo a picchiare rabbiosamente.
Si vide allora una cosa assolutamente straordinaria. I cinque orsi, udendo quelle battute dello strumento, si erano messi a danzare intorno all’indiano, facendo gravemente dei grandi inchini.