Kitabı oku: «Scettica a Salem», sayfa 2

Yazı tipi:

CAPITOLO DUE

Nonostante tutti gli sforzi, Mia aveva perso il suo solito treno. Quando entrò di corsa attraverso le porte di vetro del Centro Farmaceutico, era in ritardo di dieci minuti. Andò dritta al controllo sicurezza, fece passare il badge sul lettore elettronico e scattò su per i gradini che portavano agli spogliatoi. La maggior parte dei componenti del gruppo di progetto erano già arrivati e avevano preso i loro incarichi, eccetto Nigel Ruiz, del reparto tossicologico.

“Ciao Nigel,” gli disse Mia, infilando lo zaino nel suo armadietto. Appese con cura il suo vestitino e si infilò il camice da laboratorio.

“Ehi, hai sentito?” chiese Nigel, legandosi dietro la testa i capelli rosso fuoco con un elastico. “C’è un meeting alle dieci su Phoxy.”

“Oggi?” chiese Mia sorpresa. “Perché? Pensavo che la fase uno della prova fosse andata bene.” Phoxy era il soprannome del composto sintetizzato chiamato NJ-101, 422, che bloccava uno specifico enzima della fosfatasi, rimuovendo virtualmente lo zucchero dal corpo. Il reparto di Mia aveva eseguito buona parte del lavoro preclinico. La pillola per assunzione orale poteva potenzialmente bloccare il diabete.

“Non chiederlo a me,” le disse Nigel. “Da quando quel tizio ha comprato la società, la situazione è strana.”

Nigel si stava riferendo al nuovo direttore del Centro Farmaceutico, Miles Cameron, un ex manager di fondi speculativi che aveva una certa popolarità sui tabloid.

“Ho una brutta sensazione,” mormorò Nigel, quindi scomparve lungo il corridoio. Mia lo seguì, la mente in subbuglio. Magari la riunione poteva significare buone notizie? Pensava spesso a Phoxy come al suo composto. Dopotutto il suo contributo era stato cruciale nella progettazione del piccolo inibitore molecolare.

Mia si fermò davanti a una porta con una targa che diceva Tecnologia delle proteine: Dottor Timothy Bagley e bussò.

“Avanti!” tuonò la voce di Bagley dall’interno. Quell’uomo aveva zero qualità sociali e gli piaceva fare il capo.

Mia aprì la porta di uno spiraglio.

“Ehi Tim, passavo solo per prendere il mio incarico,” disse con tono allegro.

“Finalmente! Dove sei stata?” chiese Bagley, passandosi una mano tra i capelli radi. Dietro alla sua scrivania c’era uno scaffale carico delle sue adorate statuine collezionabili di anime giapponesi. Sopra al suo computer c’era una foto autografata della Wonder Woman Gal Gadot. Aveva aspettato in coda per sei ore al Comic Con di San Diego per accaparrarsela.

“Scusa. Sono partita tardi e…”

“Riunione inderogabile alle dieci,” la interruppe Bagley. Si alzò e prese la cartella dei compiti di Mia dalla parete, tirandosi giù la camicia che si era sollevata sulla pancia prominente. “Ho bisogno che fai una revisione di dati su Phoxy per me.”

“Nessun problema.”

Un tempo Bagley aveva lavorato come tecnico, ma da quello che aveva sentito, non era stato molto in gamba. Si chiese se addirittura si ricordasse come fare una revisione dati.

“Beh, cosa stai aspettando? Adesso!”

Nel silenzio del suo laboratorio, Mia verificò la sequenza dei passaggi che portavano alla creazione del composto NJ-101, 422, prendendo dei concisi appunti.

Un bip interruppe il suo lavoro. Era un messaggio di Mark.

C – Simbolo occhi – sta – Simbolo luna

Mia fissò la serie di immagini, cercando di decifrarne il significato.

Ci occhi sta luna? Ci vedo sta sera? Oh! Ci vediamo stasera.

Scorse i messaggi precedenti. Faccina con il bacio. Pollice verso l’alto. Occhi. Cuore. Testa che esplode. E la sua preferita, l’emoji dell’omino che corre per dire “sono di corsa, troppo impegnato per parlare.” Si irrigidì. Quand’era stata l’ultima volta che aveva ricevuto da Mark un messaggio scritto, con vere parole? Avrebbe dovuto sentirsi lusingata che il suo bel fidanzato le mandasse dei messaggi, e invece si trovava ad essere leggermente irritata. Non pretendeva Shakespeare, ma il livello delle emoji stava rasentando il ridicolo. Rimise via il telefono. Gli avrebbe risposto dopo la riunione.

Esattamente quaranta minuti più tardi, con i suoi appunti in perfetto ordine, Mia prese il suo iPad e si diresse verso la sala conferenze. All’interno si respirava un’atmosfera elettrica. Al centro della stanza era piazzato un grosso schermo HD.

Le riunioni sulle statistiche erano generalmente qualcosa della serie ‘si ricomincia da capo’. Si discutevano i fallimenti critici e si suggerivano soluzioni per poter migliorare il composto. Ma il NJ-101, 422 aveva passato la prima prova alla grande. E perché avevano messo lo schermo?

Bagley era seduto accanto al dottor Anjou, il direttore del laboratorio di Tossicologia. Mia scorse una sedia vuota accanto a Nigel e andò a sedersi lì.

“Nessuna novità?” sussurrò.

“Nada,” le rispose. “Stanno parlando tutti. Ma nessuno dice niente,” aggiunse con tono cospiratorio.

All’improvviso si alzò in piedi il dottor Pinchot, che sovrintendeva alla produzione nella sede del New Jersey. Nella stanza calò il silenzio.

“Come tutti voi sapete, i risultati della fase uno della prova clinica del NJ-101, 422 sono stati stellari. Ora, ho qui una sorpresa. Vi invito a dare il benvenuto al CEO del Centro Farmaceutico, Miles Cameron.”

L’atmosfera nella stanza cambiò immediatamente, come se un aeroplano fosse piombato dal cielo. Erano tutti stupefatti. La videocamera sopra allo schermo gigante ronzò e si accese, scansionando la stanza.

Poi lo schermo si illuminò e mostrò il volto burbero ma sorridente di un uomo dai capelli spettinati. Indossava una camicia hawaiana e stava seduto su una veranda in una qualche località tropicale. Alla sua sinistra c’era un tecnico impegnato al computer. Dietro di lui si vedeva una mega villa con una piscina enorme. L’inquadratura della videocamera incorniciava l’andirivieni di diverse donne piuttosto attraenti.

“Ehilà, tecnici,” disse Cameron chinandosi in avanti con un sorriso. “Quindi questa è la squadra che ha fatto il botto?”

Mia guardò Nigel con espressione interrogativa, ma lui scrollò le spalle.

“Temo che nessuno dei presenti sia ancora stato aggiornato, signore.”

“Beh, allora aggiorniamoli!” Cameron rise.

“Per quanto riguarda il NJ-101, 422…” iniziò Pinchot.

“… Intendi Phoxy?” chiese Cameron.

“Sì, certo, Phoxy,” si corresse Pinchot. “I partecipanti alla prova clinica hanno vissuto un effetto collaterale inaspettato ma ben accolto.”

Lo schermo si illuminò con scatti prima-e-dopo dei volontari alla prova. Tutti, uomini e donne, avevano perso una buona quantità di peso.

Si levò un sussulto collettivo da parte degli scienziati.

“Di media, ogni soggetto ha perso una ventina di chili in sei mesi,” continuò Pinchot. “Nessun effetto collaterale. Nessun calo di concentrazione. Nessun attacco di fame.”

Un mormorio si propagò tra i presenti.

“Siamo di fronte a una miniera d’oro,” disse Cameron. “Addio, Jenny Craig. Sayonara Wight Watchers. Phoxy sarà la pillola dietetica del secolo. Voi geni di laboratorio avete creato una medicina spaventosamente miracolosa. Chi ha tirato fuori questa roba?”

“A capo del team c’era il dottor Tim Bagley,” disse Pinchot.

“Beh, alzati e fai un inchino, Bagley,” disse Miles Cameron.

Gli scienziati nella stanza iniziarono a battere le mani senza molto trasporto. Bagley si alzò a fatica dalla sua sedia, tirando giù la camicia per coprirsi la pancia.

Mia non poteva credere ai suoi occhi. Tim Bagley, l’uomo che faceva fatica a orientarsi all’interno di un laboratorio, si stava accaparrando tutto il merito?

“Ehm, grazie,” disse Bagley, guardandosi attorno nervosamente.

“Come funziona Phoxy esattamente?” chiese Cameron.

“Beh, ecco, ehm… è piuttosto complicato.”

“Non sono diventato ricco perché sono stupido, dottore. Mettimi alla prova.”

Bagley guardò Mia con la disperazione negli occhi. Era evidentemente perso.

“Io, ehm, signorina Bold, può passarmi quel resoconto?”

Mia doveva ammettere che provava una certa soddisfazione nel guardare Bagley così a disagio. Il sudore gli imperlava la fronte e gli occhiali gli stavano scivolando sul naso. Mia gli porse l’iPad, ma lui non fece che fissare i suoi appunti come un uomo al patibolo.

“Ebbene?” chiese Cameron.

“Ehm, uhm, sembra che abbiamo programmato un piccolo inibitore molecolare,” disse Bagley, quasi strozzandosi.

“Sì? Come abbiamo fatto?”

Mia non vedeva l’ora di sentire la risposta di Bagley, dato che ogni volta che tentava di spiegargli delle parti di progetto, lui era troppo occupato a giocare a Dragon Age o a Minecraft sul suo computer, per poterla ascoltare.

“Uhm, bene, direi che ci siamo palleggiati un sacco di idee…” Fece un respiro profondo e tremante. “E poi, ehm, abbiamo pensato a come regolare l’insulina, e…”

Mia conosceva quel tono.  Bagley stava tentando di arrampicarsi sugli specchi per salvarsi. Cameron annuì, come se Bagley stesse effettivamente dicendo qualcosa. Gli ultimi due anni di straordinari le scorsero in un lampo davanti agli occhi. Pensava davvero di cavarsela così? Non poteva veramente più sopportarlo.

D’impulso, Mia si alzò in piedi. Tutti si voltarono a guardarla. C’era un tale silenzio nella stanza, che si poteva sentire il minimo rumore. Mia si schiarì la gola e Nigel sprofondò nella sua sedia, percependo ciò che stava per succedere.

“Phoxy mira alla proteina tirosina fosfatasi PTP1B, nello specifico a un enzima,” disse Mia con voce chiara.

La videocamera ruotò verso di lei.

“… chi è questa?”

“Mia Bold, signore. Sono un tecnico di laboratorio nel team del NJ-101, 422.”

“Lei è quella che l’ha chiamata Phoxy?” chiese l’uomo sorridendo.

“Quello è solo un soprannome, un’abbreviazione di come viene definito il tipo di enzima fosfatasi che abbiamo inibito,” gli rispose, improvvisamente imbarazzata. In realtà non si era aspettata che quell’appellativo rimanesse.

“Ah sì? Beh, il nome mi piace un sacco. Breve, conciso, e facile da ricordare. Lei è un genio del branding. Questa sostanza prende la gente ordinaria e la trasforma in gente magra e… foxy. Sensuale. Lei ha davvero spostato l’ago della bilancia nel verso giusto per l’azienda. In tutti i sensi!” Poi fece un cenno al suo tecnico informatico. “Ora rimettimi in comunicazione con Bagley.”

La videocamera ruotò nuovamente su Tim Bagley, il volto ormai madido di sudore. Sembrava sul punto di svenire.

“Signore?” disse, tirandosi la camicia.

“Lei ha guidato la squadra. Si merita un premio! La faccio volare alle Hawaii, dottore!” disse Cameron. Fece avvicinare una delle ragazze. “Vedi quel tizio? Quello è lo scienziato che ha creato Phoxy! Gli organizzeremo una festa.”

“Oh, è carino, Cammy,” disse lei con tono civettuolo, chinandosi verso l’obbiettivo e mostrando un enorme decolté. “Qui fa caldo, dottore, ti piacerà un sacco!”

Tim Bagley rimase immobile davanti alla luce abbagliante dello schermo come un topo ipnotizzato da un serpente.

“Mi scusi, signor Cameron?” disse Mia. “Non è un po’ presto per festeggiare? La seconda fase della prova richiederà anni.”

“Può ripetermi il suo nome?”

“Mia Bold.”

“Pensa che abbia donato alla campagna per la presidenza per la mia salute? La FDA ha già messo in lizza Phoxy come pillola dietetica. Arriveremo sul mercato al massimo entro cinque anni. Digli la parte migliore, Pinchey.”

Il signor Pinchot si girò verso il gruppo di scienziati. “Seguiremo il modello finanziario del Viagra per Phoxy. Abbiamo valutato che il mercato sosterrà il peso di venti dollari a pillola, forse anche di più. Alla luce del profitto stimato a lungo termine, il signor Cameron ha approvato un generoso bonus per tutti i componenti del team.”

“Ma quel prezzo è ridicolo. È scorretto,” contestò Mia. “Senza dovute prove cliniche, l’assicurazione non coprirà quel costo per i diabetici. Chi potrebbe ricevere aiuto dal medicinale ma non fosse in grado di permetterselo, morirà.”

Miles Cameron guardò Mia dritto negli occhi, la sua pazienza evidentemente al limite.

“Nessuno le ha mai detto che lei è una specie di guastafeste? Il Centro Farmaceutico sarà il numero uno. Basta discussioni sul diabete, d’accordo?”

Mia si sentì avvampare in volto mentre Cameron sorseggiava il suo champagne. La cosa intelligente da fare era sedersi, intascarsi il bonus, mandare giù il suo senso di ingiustizia e fare la simpatica. Questo sarebbe stato ciò che Mark avrebbe voluto da lei. Ma la sua altra metà era del tutto furiosa.

“E non voglio neanche più sentir parlare di quella parola con la D.”

Cameron alzò il suo bicchiere come a voler fare un brindisi, le rivolse un sorriso compiaciuto e le fece l’occhiolino.

Ecco fatto. Mia aveva perso la pazienza.

“Davvero Cammy? Di che parola con la D stiamo parlando?”

“Silenzio, Bold!” sibilò Bagley.

“Me ne vengono in mente alcune di davvero adeguate a descriverla, signor Cameron, a partire da debosciato per andare a finisce con un semplice deficiente!”

“Te l’avevo detto che avevo una brutta sensazione,” sospirò Nigel, prendendosi la testa fra le mani.

Nella sala calò il silenzio.

“Cosa mi ha appena detto?” chiese Miles Cameron, le guance improvvisamente rosse.

“Ho detto che lei è un deficiente,” disse Mia senza esitazione. “E con quella parola intendo lento di comprendonio e incapace di capire un concetto molto semplice, come il motivo per cui abbiamo progettato quel medicinale, tanto per cominciare.”

Nigel sollevò la testa dalle mani e guardò Mia con estremo rispetto, ma anche con terrore.

Sullo schermo, Miles Cameron fissava la videocamera, furente. Dietro di lui tutto il suo entourage era impietrito. A quanto pareva, bisognava evitare a tutti i costi di far arrabbiare ‘Cammy’. Il tecnico informatico si nascose dietro al suo portatile, come se fosse uno schermo in grado di proteggerlo.

“Gigi, vai a vedere a che punto è il pranzo,” disse con voce secca Miles Cameron rivolgendosi alla ragazza in bikini.

“Certamente, Cammy…”

“Come ha fatto lei ad entrare nel mio team medico? Lei è arrogante, maleducata e incredibilmente insubordinata. Bagley? A che stavi pensando?”

Bagley scattò sull’attenti, accecandosi quasi un occhio con un dito mentre cercava di sistemarsi gli occhiali.

“Uhm… è solo una componente secondaria del team, signore. Un semplice garzone. Del tutto sostituibile.”

“Davvero Tim?” gli chiese Mia, lanciandogli un’occhiata torva. Non poteva credere che si stesse aggrappando a questo. Fece un respiro profondo e cercò di parlare con calma. “Senta, signor Cameron. Il fatto è che sono stata io a creare il meccanismo che fa funzionare Phoxy. Sono un componente critico della squadra di lavoro. Avranno bisogno che io proceda, indipendentemente da come lei intenda commerciare il medicinale.”

“Non è vero!” esclamò Bagley. “Assolutamente falso.”

Mia si voltò verso Tim Bagley, che si sentì annichilito sotto al suo sguardo.

“Ti ricordi come abbiamo inibito il PTP1B, Tim?”

“Dovrò dare un occhio ai miei appunti.”

“A me non serve. Abbiamo usato un piccolo peptide, il F2PMP.”

“Certo…”

“… E come abbiamo aumentato la potenza?”

“Ehm, non me lo ricordo,” disse Bagley, la fronte imperlata di sudore. “Con un gruppo fenile?”

“In realtà si è trattato di un gruppo naftalene.”

“Ok, ok,” disse Miles Cameron. “Vedo che lei è brava nel suo lavoro, Bold. Vuole una posizione migliore? È di questo che si tratta? Un piccolo sfogo per ottenere l’attenzione del capo? Per mostrare quanto vale? Va bene. Chiaramente lei è un elemento importante del Centro Farmaceutico. Cosa vuole?”

Mia non aveva idea di cosa rispondere. Gli aveva già detto quello che voleva.

“Vuole il lavoro di Bagley? Nessun problema.”

“Ma sono io il capo,” disse Bagley, tentando di autoconvincersene.

Cameron lo ignorò e continuò a restare concentrato su Mia.

“Posso darle una posizione di maggiore rilievo nella società, farla avanzare velocemente. Entro la prossima primavera farà duecentomila dollari. Ma c’è una condizione. Deve essere d’accordo con il fatto che Phoxy diventerà una pillola dietetica. Altrimenti può prendere le sue cose e andarsene a casa.”

Mia fece un respiro profondo e chiuse gli occhi per controllare la propria rabbia. Quindi era così che lavorava questo tizio. Quando voleva qualcosa, se lo comprava o faceva una minaccia. Ci pensò su un secondo. Voleva prestare fede alle proprie parole? Non era questo il significato di integrità?

“Se lei trasforma Phoxy in una pillola dietetica e abbandona del tutto le prove per il diabete,” disse Mia, “sarò costretta a dare le dimissioni.”

Nigel scosse la testa e le fece segno di stare zitta.

Il sorriso a trentadue denti di Miles Cameron si dissolse e i suoi occhi si colmarono di indignazione.

“L’ha detto lei, Bold!” disse, agitando un pugno in aria come un bambino frustrato, con le gocce di saliva che gli saltavano fuori dalla bocca a ogni parola. “Le risparmio la rogna di doversi dimettere. Tutti sono sostituibili. Lei è licenziata!”

CAPITOLO TRE

Quando Mia ebbe ripulito la sua scrivania e venne accompagnata fuori dall’edificio, era solo mezzogiorno. Prese i suoi bagagli e imboccò la strada pensando a come ammazzare il tempo nelle sei ore che le restavano. Il cielo di Trenton era nuvoloso e minacciava pioggia, quindi si sistemò in uno Starbucks. Mentre aspettava il suo tè verde con latte e la sua schiacciata, ripensò all’orribile scambio intercorso tra lei e Miles Cameron. La maggior parte delle persone avrebbero voluto avere la freddezza mentale necessaria per dire agli altri ciò che realmente pensavano, ma Mia lo faceva sempre. A volte se ne pentiva a posteriori, ma non oggi. Miles Cameron era un bullo. Era contenta di averlo affrontato. Mentre sorseggiava il suo tè, pensò anche alla scomoda verità: aveva perso tanto il suo appartamento che il suo lavoro.

Cosa dovrei fare? si chiese, rendendosi conto di non avere un minimo straccio di piano. Quella constatazione la colpì. Non era una cosa che sua mamma diceva sempre quando era bambina? Ricordava un giorno che erano seduti al tavolo di linoleum della cucina, quando ancora c’era il suo padre naturale, lei con i piedi penzolanti dalla sua sedia, intenta a guardare Frank che beveva il suo caffè e sfogliava le pagine di una rivista.

“Non hai nessun piano, vero?” gli aveva detto sua madre, mentre asciugava una scodella con uno strofinaccio rosso e bianco.

“I piani non fanno che mettere i bastoni tra le ruote alla fortuna, cara,” aveva ribattuto lui. Poi aveva fatto l’occhiolino a Mia. “Su, piccina. Pare che la mamma abbia bisogno di una giornata libera.” Quelle parole significavano sempre che c’era un’avventura ad attenderli.

Per una volta avrebbe voluto essere più come Frank. Sembrava che niente lo preoccupasse mai. Era l’incarnazione del detto latino carpe diem, cogli l’attimo. Per ora le sembrava che fosse stata la giornata a cogliere lei. Ricomponiti, pensò. Non vuoi che Mark ti veda fare così.

“Mia,” chiamò la barista.

Mia prese il suo pranzo e si accomodò a un tavolino. E adesso? Beh, avrebbe dovuto escogitare un piano. Il pensiero di ricominciare da capo in un altro laboratorio la metteva a disagio. Aveva appena passato due anni a lavorare su un medicinale che non avrebbe mai espresso il suo completo potenziale. E poi il lavoro di laboratorio non era la sua passione: non quanto scrivere e fare ricerca per i suoi podcast, cosa che invece adorava.

Aprì il portatile per fare un po’ di lavoro. Aveva appena completato un’enorme ricerca sulla presunta presenza di strani fenomeni vicino a un elettrodotto. Ora doveva solo stendere il copione con cui presentare la sua teoria: che gli avvistamenti di fantasmi erano allucinazioni provocate dai potenti campi elettrici. All’inizio aveva i nervi troppo tesi per potersi concentrare, ma dopo poche pagine, prese il giusto ritmo della scrittura. Poche ore dopo, il suo telefono vibrò e le arrivò una fiumana di emoji.

Omino che corre – Auto – Cartello autostrada – Occhi – tu – 18.

Ok, ci vediamo dopo, gli rispose.

Magari stasera Mark avrebbe finalmente fatto il Prossimo Passo. Il pensiero di un futuro a fare ciò che adorava, con il suo fidanzato al proprio fianco, era meraviglioso. Se avessero preso casa insieme, Mia avrebbe potuto trasformare i suoi podcast in un vero lavoro e dedicare più tempo alla commercializzazione della cosa. Era riuscita a piazzare Appuntamento con l’occulto, perché non anche Appuntamento con il vampiro e Appuntamento con la strega? Non si sarebbe fatta scappare mai più la scadenza di un’inserzione. Lavorare a tempo pieno a The Vortex sarebbe stato una sfida, ma l’idea l’emozionava. Amava fare podcast, e voleva davvero provarci. L’unico problema era che Mark non era proprio un tipo risoluto. Di certo era diventato più ambizioso da quando si erano conosciuti. Ma in modo molto simile a Frank, quando si trattava di fare dei programmi, anche Mark si tirava sempre indietro. Forse perdere il suo lavoro era solo la spinta di cui la loro relazione aveva bisogno. Di sicuro ora si sarebbe fatto avanti per aiutare la sua ragazza. Mia si rese conto che tutto il suo futuro sarebbe stato deciso nelle prossime ore. Tutto dipende da stasera.

Andò verso la palestra, si mise pantaloni e maglietta da allenamento e corse per quaranta minuti. Poi si fece una doccia e indossò il suo vestito aderente asimmetrico. Aveva le guance arrossate per l’allenamento, quindi non ebbe bisogno di molto trucco: giusto un pelo di mascara e un lucidalabbra scuro. I suoi capelli facevano di testa loro come al solito, ma Mia lisciò le onde ribelli con dell’olio lucidante, si infilò le scarpe con i tacchi e si voltò per assicurarsi di essere presentabile. L’ultimo tocco era una collana che Mark le aveva regalato a Natale: un pendente d’oro Penn State.

Quando uscì, scoprì che stava piovigginando. Sollevata nel vedere la macchina di Mark che l’aspettava, corse sotto le gocce in direzione della berlina BMW. La portiera si aprì e lei si infilò dentro, prendendo posto sul sedile del passeggero. Mark era schiacciato al posto di guida, intento. Mia si chinò verso di lui per baciarlo, ma lui le sorrise e tese un dito per fermarla.

“Solo un secondo,” le disse, piegandosi in avanti. “Le basi sono cariche. Torres alla battuta.”

Mia aveva conosciuto il suo fidanzato all’Università di Penn State, dove giocava nella squadra di baseball, ed era ancora ossessionato da quello sport. Al tempo, una volta alla settimana, Mark faceva il turno di notte alla stazione radio della scuola. Quando Mia arrivava per presentare lo spettacolo della mattina, Mark era sempre arruffato e teso per aver bevuto troppe Red Bull. Se ne stava nei paraggi mentre lei leggeva le notizie, cercando di farla ridere dentro alla cabina. Lei si sforzava di restare seria, cosa molto difficile, perché Mark faceva davvero lo scemo.

Finalmente, un giorno aveva scritto COLAZIONE? su un foglio strappato da un bloc notes e l’aveva premuto contro il vetro della cabina. Lei aveva annuito. Le aveva preparato dei pancake a casa sua, e da allora erano sempre stati insieme.

“Non ti preoccupare di me,” gli sussurrò, sorridendogli. Sapeva che non era il caso di chiedere le sue attenzioni quando le basi erano cariche.

Torres al disco. Il lanciatore ha aperto con un tiro sorprendente da novanta miglia all’ora. Primo tiro. Prenderà il tiro? Bunt! Torres fa un bunt!

“Oh, andiamo!” gridò Mark, sbattendo i palmi sul volante.

Guardò Mia con un sorriso imbarazzato. “Scusa, tesoro. Sei bellissima! Adesso che ho la mia ragazza in macchina, spengo.”

“Grazie, ma non vorrei mai mettermi tra te e Torres,” gli rispose, asciugando le goccioline d’acqua sul suo vestito, mentre l’umidità le faceva arricciare i capelli, trasformandoli in una criniera selvaggia.

Mark guardò Mia raggiante. Stavano davvero bene insieme.

“Senti, so quanto adori il teatro,” le disse con orgoglio. “Quindi mi sono procurato i biglietti per Aspettando Godot. Dovrebbe essere esilarante.”

“Aspettando Godot di Beckett?”

“Sì, ho sentito che è uno spasso.”

“Più o meno, immagino. Direi più una tragicommedia,” commentò Mia.

“Tragicommedia? Fai l’espertona di letteratura inglese?” disse Mark ridendo. “Ad ogni modo, c’è quel tizio della TV, quello che fa lo sceriffo nella città con i mostri. Lui fa uno dei pagliacci, o quello che è.”

“Beh, adoro Beckett,” disse Mia, un po’ preoccupata dal ragionamento di Mark.

“Allora poi mi aspetto una spiegazione completa,” la canzonò lui, chinandosi a baciarla.

“Se insisti,” disse lei, un po’ senza fiato. Mentre lo baciava, sentì la tensione della giornata che si scioglieva.

Poi Mark si tirò indietro e appoggiò entrambe le mani sul volante.

“Ora fai la brava, signorina Bold. Questo appuntamento sta ufficialmente per avere inizio.”

“Ci proverò,” disse lei ridacchiando. Era bello ridere, finalmente.

“Che giornata!” disse Mark, mentre si immetteva nel traffico. “Prima sono stato al banco estero, ed è stato da matti. Un sacco di gente che cedeva azioni per colpa di quel dittatore nel medio oriente, quello che piace tanto ai russi. Tutti a spostare i soldi attraverso i conti Forex e a comprare obbligazioni.”

Mia stava ascoltando solo per metà, pensando al modo migliore per presentargli le sue novità. Non sentendola rispondere, Mark lo prese erroneamente come un accenno a cambiare discorso e spostò la sua attenzione su di lei.

“Allora, come sta andando alla fabbrica di pastiglie?”

Mia sinceramente non aveva idea di come iniziare.

“Te lo dico mentre ceniamo.”

Mark andò fino a un ristorante italiano che entrambi amavano e lasciò la macchina nel parcheggio mezzo vuoto. Mentre le apriva la porta, Mia si sentiva nervosa. Cosa gli avrebbe raccontato? Aver perso sia l’appartamento che il lavoro era un po’ sconsolante, oltre ad essere un sacco di roba da spiegare.

Il ristorante era caldo e accogliente. Un robusto cameriere li accompagnò a un tavolino d’angolo, dove si sistemarono, preparandosi a ordinare. Mark si accomodò, perfettamente a proprio agio.

“Allora, il tuo capo è andato a nessun convegno del Dottor Who, ultimamente?”

“Ecco, diciamo che è una delle cose di cui vorrei parlare.”

“Il Dottor Who?” rispose Mark ironico.

Mia lo guardò nervosamente, sperando di ricevere da lui un qualche aiuto, ma Mark continuava a studiare il suo menù, aspettando che lei finisse il discorso. Mia decise quindi di partire dalle piccole cose e dirgli prima dell’appartamento.

“Mi dovrò trasferire…”

Mark sollevò leggermente le sopracciglia. Curioso, ma non preoccupato.

“… trasferirti? Pensavo che Brynn e Jeff ti sostenessero.”

“Jeffrey ha venduto il condominio.”

“Ma dai! Jeff ha venduto il condominio? Deve aver fatto un colpaccio! Adoro quell’uomo.”

“Devo andarmene tra due settimane.”

“Oooh, roba rapida. Non ti preoccupare, tesoro,” la rassicurò. “Troveremo un posto, chiameremo una ditta di traslochi. Andrà tutto bene.”

Mia fissò Mark confusa. Sapeva che lei stava vivendo senza dover pagare l’affitto, eppure non sembrava per niente preoccupato. Doveva raccontargli il resto, aiutarlo a vedere il quadro completo.

“Il fatto è che ho perso il lavoro,” disse.

“Sul serio? Cos’è successo?” Questa volta Mark sembrava davvero preoccupato. Si chinò in avanti e le diede tutta la sua attenzione.

La storia le uscì di bocca in un migliaio di pezzetti frammentati, concludendosi con l’epico scontro finale con Miles Cameron.

“Miles Cameron? Il megamiliardario?”

“Sì, è stato davvero orribile…” Mentre descriveva i dettagli, l’atteggiamento di Mark iniziò a cambiare. La sua espressione solitamente così solare si fece più dura. Le narici si dilatarono in chiaro segno di rabbia.

Mia provò un senso di sollievo. Mark capiva quello che Cameron aveva fatto, il modo in cui l’aveva minacciata e insultata. Era arrabbiato per il pessimo trattamento che la sua fidanzata aveva subito.

“Ho dovuto issarmi a difesa dell’umanità,” gli disse, portando la storia a una drammatica conclusione. Poi lo guardò, orgogliosa e ancora emozionata per aver difeso i propri principi.

Mark la fissò per un momento, come se stesse tentando di formulare la risposta giusta. Il cameriere portò loro da bere, e lui mandò giù la sua birra in due sorsate. Poi parlò.

“Hai rifiutato un lavoro da sei cifre?” La sua voce sembrava tesa.

“Ho dovuto farlo,” disse Mia, non capendo completamente perché si stesse concentrando su quell’aspetto della storia.

“Perché mai fare una cosa del genere?” le chiese con rabbia. Alcuni altri clienti del ristorante si voltarono verso il loro tavolo. Mia era stupita dall’intensità della sua reazione.

“Hai sentito quello che ho appena detto? Quell’uomo era insopportabile.”

“È un multimiliardario. Pensi che sia facile?” ribatté Mark, diventando man mano più agitato.

Mia rimase a bocca aperta.

“Aveva intenzione di cambiare destinazione d’uso di un importante farmaco contro il diabete,” gli spiegò.

“È la sua azienda, Mia. Può farci quello che vuole.” Nella voce di Mark c’era una nota acuta che Mia non aveva mai sentito prima d’ora. Mark chiamò il cameriere e ordinò un’altra birra. “Ho bisogno di bere qualcos’altro dopo questo disastro.”

Disastro? Mi stai dicendo che avrei dovuto accettare i soldi?”

“È proprio quello che sto dicendo, Mia. Sai quanto sia costosa New York. Se entrambi avessimo un reddito da sei cifre, magari potremmo permetterci più di uno sgabuzzino. Hai davvero mandato tutto a puttane.”

Mia si sentì avvampare in viso. Sembrava che tutti nel ristorante li stessero fissando.

“Posso trovare un altro lavoro, Mark.”

“Tu? Sei un tecnico di laboratorio. Pensi che chiunque ti proporrebbe un contratto da duecentomila dollari? Questa era la tua possibilità, la nostra possibilità. Il Prossimo Passo è una cosa costosa, Mia.” Calò il silenzio.

Mia stava fissando il suo fidanzato, stupefatta. Mark non le aveva mai parlato così. Si sentiva mortificata, ferita e confusa. Le relazioni erano una situazione in cui ci si aiutava quando le cose diventavano difficili, o no? La signora al tavolo accanto la guardava con compassione.

“Cosa vorresti dire? Ti ho raccontato quello che è successo. Sono stata il fulcro nella creazione di quel medicinale. Non sono solo un tecnico di laboratorio. Sono un fantastico tecnico di laboratorio.”

“È solo che a me sembra che il lavoro qui lo faccio tutto io,” disse Mark scrollando le spalle.

Mia sentì le lacrime salirle agli occhi. Ricacciò indietro i suoi sentimenti prima che lui potesse vedere quanto l’aveva ferita. Come avevano fatto le cose a precipitare così rapidamente? Forse era meglio se ora tagliava la testa al toro e gli diceva come si sentiva.

Yaş sınırı:
18+
Litres'teki yayın tarihi:
04 ocak 2021
Hacim:
282 s. 4 illüstrasyon
ISBN:
9781094344195
İndirme biçimi:
epub, fb2, fb3, ios.epub, mobi, pdf, txt, zip