Kitabı oku: «Voglio Morderti Il...», sayfa 3
Se qualcuno, anche solo un giorno prima, me lo avesse chiesto, avrei detto che la dimensione del cazzo era irrilevante. A parte proprio il minimo sindacale, per me è più una questione di attenzione mirata, di mani, di lingue e di denti. E di baci. Adoro i baci. Sono il tipo di ragazza per cui conta di più saperci fare che la dimensione, e il bacio batte tutto il resto.
Ma… potevo sbagliarmi.
E se il tipo ci avesse saputo fare e fosse stato dotato?
“Cazzo,” aveva borbottato Yvette. “Farai sicuramente sesso con questo tizio.”
Le parole di commiato di Yvette, prima di chiudere la telefonata, erano state: fai attenzione. E non stava parlando di sesso sicuro.
Stava decisamente parlando del mio cuore.
4
Nonostante la previsione di Yvette, secondo la quale mi sarei impalata immediatamente sull’uccello generosamente dimensionato di Oliver, al momento non avevo in programma di fare sesso con lui.
Per questioni di vita, di lavoro e di motivi vari.
Inoltre si era sbagliata a riguardo del rischio che lui rappresentava. Il mio cuore mi piaceva così com’era, intatto e non legato a qualche uomo emotivamente sottosviluppato.
Ma quella, semplicemente, non era una possibilità laddove Oliver era coinvolto.
Lui era umano.
Era impossibile che mi innamorassi di uno con cui non potevo nemmeno formare un legame d’accoppiamento.
Ma lui mi aveva influenzato in modi che non mi sarei aspettata. Per essere un uomo che non aveva i requisiti del mio elenco – e sto parlando della mia lista “sesso, sì”, non di quell’altra, abbandonata da tempo, del Principe Azzurro – ero stranamente attratta da lui.
Tra i requisiti del mio elenco c’era avere un lavoro, e suonare la chitarra non lo consideravo un lavoro. Se l’avessi fatto, avrei dovuto ammettere che mio padre non era stato uno scansafatiche disoccupato per gran parte della sua vita, e io semplicemente non volevo giungere a quella conclusione.
D’accordo, barista part-time poteva contare, sempre che riuscisse a pagarsi l’affitto e non si facesse ospitare.
Per quanto riguardava l’altro elenco… Certo, Oliver Watson non aveva i requisiti per essere il mio Principe Azzurro delle fiabe. Primo, il mio principe non esisteva, come avevo scoperto dopo oltre un decennio di ricerche. Secondo, non sarei riuscita ad accettare tanto presto il fatto che fosse un musicista. E terzo, Oliver era umano.
Per quanto l’attrazione che provavo per lui potesse essere anomala, non era emotivamente pericolosa. Yvette immaginava draghi dove c’erano soltanto nuvole.
Non c’era nessun’altra reale ragione (a parte il mio odio per le levatacce e lo yoga) per sottrarmi alla sfida che lui aveva proposto.
Le mattine facevano schifo.
Lo yoga potrebbe fare ancora più schifo.
Ma cazzo, detesto perdere.
Alla fine mi ero rifiutata di dare forfait. Senza qualcuno che mi convincesse altrimenti – cosa che Yvette aveva provato a fare solo in parte – ero dentro da capo a piedi.
Il mio primo ordine del giorno era stato cambiare tutte e cinque le sveglie che avevo messo la sera prima, impostandole su ricorrenti. Sapevo quanto fosse faticoso alzarsi la mattina presto, e non mi sarei fatta sconfiggere da qualcosa di semplice come una sveglia zittita con fare assonnato.
E per la chiappa destra della Dea, ce l’avevo fatta a presentarmi in tempo alla seduta del giorno dopo di quel fottuto yoga antelucano.
E quello dopo.
Il mio televisore a grande schermo non aveva mai ricevuto un’attenzione così intensa. Beh, a parte le partite di hockey, che poi erano il motivo per cui avevo comprato un televisore così grosso.
Il fottuto yoga antelucano comprendeva un doloroso stretching spinto al limite, una serie di esercizi per il tronco più duri di quanto avessi mai potuto immaginare, una quantità oscena di respirazione cosciente e più sguardi lascivi di quanti Oliver mi avrebbe mai sentita confessare.
Era già da qualche giorno che seguivo la mia nuova (e stranamente salutare) routine, quando avevo dovuto partecipare a una conferenza, per lavoro, fuori città. Ero io la relatrice, quindi non c’era possibilità di evitarla. Sebbene avessi preferito di gran lunga non lasciare la mia migliore amica da sola con la sua, appena scoperta, incapacità di riavvolgere la percezione dei suoi donatori, non avevo molta scelta.
Almeno aveva un donatore fidato a cui rivolgersi. Fidato, affidabile, equilibrato, sincero, gran lavoratore, Simon Fullerton era tutto ciò che cercavo in un partner. O, almeno, lo sarebbe stato, se fosse stato un vampiro.
Oh, sì, e c’era quell’altro piccolo ostacolo: non ero attratta da lui.
Motivo per cui era rimasto per un po’ nel mio elenco “sesso, sì” senza che io facessi un cazzo di niente al riguardo. Quello, e lui aveva avuto una serie di relazioni piuttosto orrende. Quell’uomo aveva pessimi gusti in fatto di donne. Di solito. Sembrava che, forse, i suoi gusti stessero migliorando da quando lui e Becca si frequentavano.
Finché non spezzava il cuore alla mia amica, non avevo niente da obiettare se se la sbatteva. Quell’uomo aveva una grande energia sessuale. Incrociando le dita, nel caso di Simon quella grande energia sessuale si traduceva in un bell’uccello.
Con il problema di Becca temporaneamente sotto controllo, il mio problema personale premeva per farsi strada.
Il fottuto yoga all’alba.
Poiché sia alzarsi presto sia fare yoga sarebbe stato scomodo durante il mio viaggio di lavoro, ecco la scusa perfetta per porre fine a quella stupida sfida. La scusa perfetta per me.
Chi se ne fregava di cosa avrebbe pensato Oliver? Non era nessuno per me.
Poiché sarei partita quel pomeriggio, era il momento giusto per fare il punto della situazione. Era il momento giusto per fare un elenco, perché gli elenchi sono fantastici.
Un elenco dei pro e dei contro della fottuta sfida di yoga all’alba.
Contro:
Alba. (Fottuta alba.)
Yoga. (Fottuto yoga.)
Frustrazione sessuale. (Alle donne possono venire le palle blu?)1
Nessuna fine chiara della mia frustrazione sessuale.
Perché non volevo scopare nessun altro. Incolpavo il fottuto yoga all’alba e il mio istruttore super-arrapante per quello.
Nutrirsi non è divertente. (Grazie tante, Oliver Watson.)
Ogni volta che mi nutrivo da quando avevo conosciuto Oliver, che finora significava soltanto due rapidi sorsi, ero stata… disinteressata. Non che, abitualmente, facessi sesso con i miei donatori, ma almeno ero solita concedermi una piccola sbronza sexy.
La prima volta non sexy ero rimasta sorpresa. La seconda, tecnicamente, non avevo nemmeno bisogno di nutrirmi, ma ero incappata in un eccitante studente di un master e avevo deciso di testare l’acqua.
Tiepida. L’acqua era tiepida.
Sono distratta.
Normalmente, vado alla grande nel mio lavoro.
Mi occupo di vendite per un’azienda il cui staff è composto quasi interamente da nerd dell’ingegneria. Sono la dipendente simbolo, con buone abilità sociali, conoscenze di networking e il desiderio di interagire con gli estranei. Mi piace essere una delle poche farfalle sociali tra gli smanettoni. Mi piacciono anche i miei colleghi cervelloni e il mio lavoro.
Ma ultimamente mi ero ritrovata a pensare ad addominali tonici e a bicipiti gonfi, e nei momenti peggiori a quella dannata barba di Oliver. Di preciso, che sensazione darebbe quella barba se strofinasse sulle mie cosce? Questa mente eccitata e distratta voleva saperlo, e rompeva il cazzo alla mia capacità di immergermi completamente nel mio lavoro.
Finalmente, l’alba. (Fottuta alba.)
Pro:
Detesto perdere una sfida.
Nel profondo della mia anima, lo detestavo.
Più di restare senza queso durante una festa che ho organizzato io e alla quale la mia migliore amica Becca, ossessionata dal queso, finalmente parteciperà. Quella ragazza odia socializzare, e farsi vedere e non esserci queso… Disastro.
Più di sbagliare nel trovare il perfetto cocktail di stagione per una delle mie feste.
Più di lasciarsi sfuggire un favoloso, ultra-redditizio affare per la mia azienda. (Quell’unica volta c’erano di mezzo delle mazzette. Quell’affare era mio.)
Così tanto ardore.
Proiettata sul mio grande schermo, sembrava che tutta quella bellezza fosse soltanto per me. Tutta quella bella pelle nuda. Tutti quei bei muscoli tonici. Quella barba, che volevo sentire sulla mia pelle mentre Oliver leccava e succhiava i miei capezzoli, mentre si faceva strada con la lingua dentro di me, mentre leccava e baciava il mio clitoride, mentre…
No. Semplicemente, no.
Fantasticare sulla sexytudine di Oliver non faceva che farmi arrapare, la qual cosa alimentava la mia frustrazione sessuale. Avrei dovuto cancellare quell’ultimo punto oppure spostarlo nella colonna dei “contro”.
E quello era l’elenco completo. Era ora di controllarlo.
Avevo letto i punti di ogni colonna e soppesato attentamente tutti i fattori.
Dopo averci riflettuto un po’, avevo stabilito che il peso dell’evidenza era clamorosamente per la continuazione del fottuto yoga all’alba.
Ho detto che detesto perdere una sfida?
E comunque, cos’era un po’ di frustrazione sessuale?
Google mi aveva detto che le palle blu femminili esistevano. Stando a interwebz, i miei sintomi fisici non erano ancora entrati nel territorio delle palle blu femminili. Vi ero mentalmente, ma non avevo provato il tipo di disagio fisico attribuito alla condizione. Non ancora.
Inoltre, a favore della continuazione? Consideravo il mio coraggio mentale più grande dell’influenza di un uomo piacevole sulla mia mente e sul mio corpo.
In altre parole, potevo guardare Oliver eseguire la posizione del tavolo con gli avambracci (quelle braccia), del corvo laterale (quali muscoli non stava usando?), del guerriero due (quali muscoli non potevo vedere?), e… beh, c’erano troppe posizioni sexy per contarle, ma il punto era che potevo osservare ogni giorno un Oliver quasi nudo contorcersi e piegarsi sullo schermo del mio televisore e continuare ad essere un’adulta pienamente funzionante nel lavoro e nella vita personale.
Nessun problema.
Il fottuto yoga all’alba era un problema.
Ero riuscita a completare la sfida ogni giorno della conferenza. Avevo fatto il fottuto yoga all’alba persino il mattino dopo l’ultimo volo serale del venerdì per tornare a casa.
Il resto del sabato era stato movimentato, visto che la mia migliore amica si era dimenticata di nutrirsi.
Di sangue, non di cibo normale. Un vampiro che sta senza mangiare cibo normale ha gli stessi problemi di un umano. Si sente a disagio, potrebbe avere problemi di zuccheri nel sangue, ma per una persona in salute saltare qualche pasto non è del tutto catastrofico.
Ma stare senza sangue? Pessima idea.
Ne basta anche solo un po’ ogni settimana, o giù di lì, e i nostri fabbisogni sono soddisfatti, ma periodi più lunghi di astinenza non vanno bene.
Da quando Simon (il suo compagno di sangue designato) era arrivato a casa sua, Becca era in stato di allucinazione. Farfugliava di comprare caffè in cialde e chiamava tette maschili i pettorali di Simon.
Becs odiava il caffè in cialde, e Simon non aveva tette maschili. Non era Oliver, ma era ben definito, compresi i suoi pettorali.
E quello, proprio quello, era il mio problema.
Il mondo non girava intorno a Oliver.
Oliver non era lo standard in base al quale venivano misurati gli altri uomini.
Non era il tipo con cui sarei venuta nella doccia. (Quel compito spettava ai Chris. Quale Chris dipendeva dall’umore, ma una ragazza non può proprio sbagliarsi con nessuno dei Chris.)
Non era l’uomo che avrei dovuto sognare. Quello non era nessun uomo.
Nessun maschio dovrebbe essere così integrato nel mio subconscio al punto da invadere la sacralità dei miei pensieri onirici. E io, specialmente, non dovrei fare sogni nei quali un sexy, nudo Oliver trova divertente la stronza malefica Megan. Nessuno ha mai trovato divertente quella parte di me, da cui il soprannome.
Ma Oliver era ovunque.
Il lunedì mattina, dopo che Becca aveva rischiato stupidamente la privazione da sangue, stavo lavorando a un discorso per un potenziale cliente e avevo cominciato a scarabocchiare il nome di Oliver. Niente del tipo cotta ossessiva delle medie, come Mrs. Oliver Watson o Megan Watson. Ma il suo nome soltanto significava che ormai lui era nei miei pensieri da addormentata, da sveglia, consci e subconsci. Era nella mia testa, e più fottuto yoga all’alba facevo, peggio sarebbe andata.
Cazzo, era talmente nella mia mente che avevo anche preso in considerazione l’ipotesi di usarlo come donatore.
Perché… Perché no?
Più si avvicinava il fine settimana, più ci pensavo. Avrei avuto bisogno di nutrirmi non più tardi di sabato. Perché non Oliver?
Inoltre, era lui quello che aveva reso il nutrirmi non divertente. Fino a un certo punto il morso riguardava il sostentamento, ma aveva anche una componente sessuale. Non fare sesso – perché solo di rado dormivo con i donatori – ma la sensazione di esso. Pungerli per poi succhiare la carne calda, gustando il sapore forte del sangue sulla mia lingua, leccando per chiudere la ferita – tutto quello a me dava la sensazione del sesso.
Non così tanto con gli ultimi due tizi.
Ed era tutta colpa di Oliver.
Era destino che mordere Oliver, il medesimo uomo che era riuscito a tenermi sull’orlo del volere (forse anche avere bisogno) da due settimane ormai, sarebbe stata una sensazione fantastica.
E forse avrei detto semplicemente, “Fanculo,” e avrei dormito con lui.
Perché no? Ma per via di questa stupida sfida del fottuto yoga all’alba, avevamo già dormito insieme.
Ne ero piuttosto sicura. Io ero attratta da lui. Lui era attratto da me. Lo avevamo già manifestato, a parte il fatto che io avevo detto no quando lui mi aveva chiesto di uscire e invece di chiederlo un’altra volta – avevo sospirato – fottuto yoga all’alba.
Una volta piantata, l’idea di mordere e scopare Oliver non mi avrebbe più mollata. Oppure io non l’avrei mollata.
Per tutta la settimana, quei due atti, mordere e scopare, erano rimasti aggrovigliati a Oliver. Poi sarebbe arrivato il sabato e io non avrei più avuto la distrazione del lavoro.
Probabilmente era sua intenzione.
Cosa stavo pensando? Certo che lo era, quel subdolo bastardo.
Mentre pensavo a nutrirmi, al sesso e a un sexy istruttore di yoga per la centesima volta, mi si era presentato un piccolissimo problema. Come avrei dovuto fare per far succedere il mordere e lo scopare?
Mi collegavo a quella stupida app e lo guardavo tutti i santi giorni in tutta la sua gloria quasi-nuda, eppure lui non mi aveva mandato un solo messaggio da quella sessione di messaggistica a notte fonda che aveva dato il via a tutto.
Nemmeno un messaggio.
Quella notte mi aveva chiesto di uscire. Molto chiaramente mi aveva chiesto di uscire. Sapevo che era vero perché avevo riletto l’intero scambio di messaggi. Alcune volte.
Ma poi non c’era stato niente.
E io non avevo intenzione di scrivergli.
Nemmeno per sangue e sesso.
Perché…
Perché e basta.
Non aveva niente a che fare con il fatto di ferire potenzialmente i miei sentimenti, perché sarebbe stato un comportamento da scuola superiore da parte mia. Da scuola media.
D’altra parte non avevo chissà quale esperienza di appuntamenti. Non che questo fosse avere un appuntamento, ma non avevo grande esperienza a parte il sesso. Di solito conoscevo ragazzi, facevamo sesso, magari loro volevano uscire di nuovo e magari no, ma finiva lì.
Ancor più frequentemente, conoscevo qualcuno, ci baciavamo e… nah.
Conoscere un uomo, esserne infastidita oltre ogni immaginazione, poi essere baciata da perdere la testa era un’esperienza nuova per me.
Ovviamente non era un’esperienza terribile.
Oltretutto aveva ordinato il queso.
Sotto tutta quella barba e quella folta chioma c’era un uomo premuroso.
Un musicista sotto-occupato che giocava a fare l’uomo premuroso, diceva il mio lato più razionale.
Ma la mia libido aveva dato un ceffone alla Megan razionale, sottomettendola. La me arrapata pensava che fosse un’idea grandiosa ingoiare il mio orgoglio giovanile e scrivergli. E se per caso la conversazione avesse portato a fare piani reciproci per la serata… forse avrei potuto avere un assaggio di Oliver.
D’accordo, un altro assaggio di Oliver. E un primo assaggio dell’uccello di Oliver.
Era bastato quello. Tutto quello che dovevo fare era pensare ad assaggiare l’uccello di Oliver (in tutti i sensi, e non sono nemmeno una ragazza che di solito è per i pompini), e le mie dita avevano cominciato a digitare come se avessero avuto una mente tutta loro.
Io: Hey
Figo peloso: Hey
Attesa. Qualsiasi ragazzo sensibile che avesse voluto scopare avrebbe colto quell’apertura e sarebbe andato avanti.
Erano trascorsi due minuti.
Cinque.
Dieci.
Io: Hai programmi per stasera?
Maledizione.
In mia difesa, avevo trascorso quei dieci minuti immaginandolo nudo e duro che mi baciava ogni centimetro del mio corpo. L’immaginaria sensazione della sua barba che sfregava su ogni parte di me era distraente. E persuasiva. Incredibilmente, fottutamente persuasiva.
Combinati, quei due fattori facevano sembrare i miei messaggi una richiesta di appuntamento per fare sesso. Era una richiesta di appuntamento per fare sesso? Una richiesta di appuntamento per fare sesso/per succhiare sangue?
Figo peloso: Sì.
Dovevo aggiornare le info del suo contatto. E poi, che cazzo? Aspettavo i puntini, perché sicuramente lui stava digitando. Ma non c’erano puntini in movimento che indicavano che stesse preparando un altro messaggio. Nessun messaggio chiarificatore era apparso magicamente senza i preliminari puntini in movimento.
Avevo soppesato le mie opzioni e scelto di raddoppiare la puntata. Questo tizio, con il suo yoga, il suo corpo sexy, il suo odore boschivo, di pino, i suoi fantastici baci, il suo queso e l’assenza di messaggi mi faceva impazzire.
Io: Ti va di condividere quei programmi?
E poi mi ero resa conto che quel flessibile bastardo, probabilmente, aveva un appuntamento sexy. Ecco perché non aveva approfondito.
Una persona in cerca di appuntamento probabilmente avrebbe fatto caso a quel significato sottinteso.
Non io.
Io non cercavo un appuntamento e facevo completamente cagare nell’interpretare significati sottintesi romantici… uh, di richiesta di sesso.
Oliver Watson: Scusa. Stavo caricando le attrezzature. Ho uno spettacolo stasera. Vieni a sentirci suonare.
Oops. Facevo incredibilmente schifo nel leggere tra le righe.
Aveva fatto il nome di un locale di South Austin con un’area all’aperto. In quel posto suonavano di tutto, dal vecchio country al punk, e poiché non avevo cercato informazioni sulla sua band (non sono una stalker), non avevo idea di che genere di musica suonassero i Righteous & Feral. Con quel nome, doveva essere qualcosa di rock.
Io: Per me va bene.
Ed era così che sabato sera avevo finito col ritrovarmi, da sola, in un dive bar sulla South Congress, stretta in un paio di jeans neri attillati con un top argento sfavillante che mostrava una buona quantità di scollatura. La mia unica concessione al clima di metà novembre era la mia giacca nera in finta pelle.
Avevo evitato le graziose scarpe col tacco, scegliendo dei robusti stivali con tacco impilato. Quello non era un appuntamento. Il tipo suonava in una band, e io sapevo esattamente cosa significava: niente tempo per me, circondata da donne pronte a scoparlo, il tutto probabilmente mentre erano fatte o ubriache.
E sarebbe stato così se facevano cagare.
Se fossero stati bravi… avrei potuto non superare la porta, in base alla dimensione del posto.
Prima di uscire da casa, proprio mentre stavo afferrando la mia piccola borsetta a tracolla, il telefono s’era messo a suonare.
Oliver Watson: Mandami una foto prima di uscire.
Uh, cosa? Se quello era sexting2, era un modo strano di farlo. Ma poi, cosa ne sapevo io di sexting? E l’ultima volta che avevo cercato di leggere tra le righe, mi ero sbagliata alla grande.
Così, avevo fatto letteralmente quello che mi aveva detto. Avevo scattato una foto e gliela avevo inviata, uno stupido selfie con la lingua di fuori, facendo un gesto di “e vai” con la mano libera.
E in risposta avevo ricevuto un pollice in su. Quindi, e vai, non era sexting. Era lui quello strano, o ero io? Non ne ero sicura.
Dopo venti minuti d’auto, avevo scoperto che l’immagine che avevo inviato era il mio lasciapassare per lo show. I Righteous & Feral suonavano davanti a un folto pubblico, stando al massiccio buttafuori che gestiva i controlli sui pass. Oliver gli aveva dato la mia foto, così mi avrebbe riconosciuta all’ingresso e mi avrebbe fatto entrare nel caso in cui ci fosse stato il tutto esaurito.
Sembrava che i due uomini fossero amici, perché mi aveva sorriso e stretto la mano. Bear – così si chiamava senza ironia il tipo3 – sembrava contento di conoscermi.
In platea non c’era il tutto esaurito, per cui avrei potuto decisamente pagare il biglietto per assistere allo spettacolo. Ma quando avevo attraversato il piccolo, buio e sbiadito interno per arrivare al palco all’aperto nel retro, mi ero resa conto che Bear non aveva esagerato l’affluenza. C’era una folla di parecchie persone al bar, molte delle quali avevano il nome della band stampato sulle magliette.
Il rumore sordo del basso era stato il primo a colpirmi, ma quando la ragazza di fronte a me aveva aperto la porta sul retro, la pienezza della canzone si era riversata all’interno. Mi erano venuti i brividi lungo la schiena. La voce che cantava, rude ma vellutata, non era una che avessi già sentito, ma l’avevo riconosciuta. Non so come, ma l’avevo riconosciuta. Era quella di Oliver.
Il mio chitarrista/barista/istruttore di yoga era un cantante con una voce fottutamente fenomenale.
Una spinta nel mezzo della schiena mi aveva riportato al momento. Stavo bloccando il traffico.
Scusandomi, mi ero affrettata in avanti, più vicino al suono ipnotizzante dei Righteous & Feral. Lo spazio di fronte al palco era tutto occupato, ma non densamente stipato. Con un po’ di sforzo mi ero fatta strada verso il palco. O vicino ad esso.
I Righteous & Feral avevano dei groupie. Su quel punto mi ero sbagliata. Erano quasi tutte donne, e ognuna di loro indossava una maglietta della band o decisamente poca roba.
Quelle donne occupavano le prime file dello spazio riservato al pubblico, ma io ero contenta di essere a qualche metro di distanza da potenziali sudori volanti.
Cazzo. Quanto era bello Oliver.
Suonava la chitarra solista, e dalla disposizione sul palco supponevo che non fosse il front man della band.
C’era un altro tipo che, praticamente, trasudava sesso e aveva l’aspetto da front man: tutto carisma e presenza scenica. Anche per i cori, potevo dire. Ero stata cresciuta, genericamente parlando, da un uomo che sapeva affascinare e incantare un pubblico, proprio come quel tipo. Vabbè. Le groupie potevano averlo.
E potevano avere anche il batterista e il bassista.
Ma non Oliver. Lui era mio.
Fanculo l’elenco.
Fanculo il fatto che fosse sotto-occupato.
Fanculo il fatto che pensasse che le infradito fossero classificabili come scarpe.
Fanculo il fatto che fosse umano.
Aspetta, no. Ci tenevo che fosse umano. Umano significava scopabile, ma non materiale per un accoppiamento.
E quindi chi se ne frega se era un musicista bambinone? Il suo bacio mi aveva fatto sciogliere in tutti i posti migliori, e io lo volevo. Più di quanto avessi mai ricordato di volere qualsiasi altro uomo.
Poteva essere il mio divertimento temporaneo.
Il suo sguardo aveva incontrato il mio – solo per un momento – e io mi ero illuminata dall’interno.
Dopo un solo sorriso cala-mutande, tutta quella concentrazione ardente era ritornata sulla sua chitarra. Già, Oliver non era uno showman. Era là sopra per fare musica – con una voce fantastica, rude ma vellutata, fumosa, che faceva fremere le donne più vicine al palco – ma era là per la musica.
Merda.
Cazzo.
Dea, avevo trovato l’unico, fottuto rocker senza un ego grosso quanto una casa?
Forse Yvette aveva avuto un po’ ragione sui pericoli di Oliver Watson. Ero andata lì, quella sera, con l’idea di soddisfare alcuni bisogni. Un po’ di sesso e di cibo, una cosa da una botta e via.
Una canzone e stavo passando da una sveltina a una relazione sessuale occasionale.
Forse avrei dovuto semplicemente allontanarmi da Oliver. Allontanarmi dal (fottuto) yoga all’alba. Allontanarmi da quel bacio e dalla possibilità di un altro.
La serie di canzoni era finita e il cantante aveva annunciato che la band sarebbe tornata dopo una breve pausa. Oliver aveva incrociato di nuovo il mio sguardo, poi aveva fatto cenno di avvicinarsi a lato del palco.
Sembrava che stessi per conoscere la band.
Oh, e Oliver era mio. Il suo uccello, quantomeno. Per niente al mondo mi sarei lasciata sfuggire l’opportunità di scoparlo. Non dopo avermi fatta eccitare più di qualsiasi altro uomo – o vampiro – avessi mai conosciuto.
Perché Yvette si sbagliava.
Avevo questa cosa sotto controllo.
Assolutamente non mi sarei mai innamorata di un musicista, nemmeno di uno senza un ego smisurato. Perché non ero così stupida da innamorarmi di un musicista barista che per di più era anche umano.
Sapevo cosa volevo in un partner: un legame con un compagno che potesse darmi figli e agisse come un adulto nel corso della nostra impegnata, fottutamente adulta, relazione.
Oliver non era così.
Ma Oliver era supremamente, totalmente, deliziosamente scopabile.
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