Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3», sayfa 24
§. I. Lotario cala la seconda volta in Italia, ed abbatte le forze di Ruggiero
Fu nel declinar di questo anno 1136 nel mese di novembre, che questo Imperadore fermato in Roncaglia (che come altre volte abbiam detto, è un campo piano e largo posto sopra il Po non molto lontano da Piacenza)471 ragunò, secondo il costume de' suoi maggiori, una Assemblea di tutti gli Ordini così ecclesiastico di Arcivescovi e Vescovi, come de' Nobili, di Duchi, Marchesi, Conti, ed altri Baroni, e de' Magistrati delle città d'Italia, ove a richiesta de' medesimi per mezzo d'una sua Costituzione stabilì alcune altre leggi feudali, che riguardano principalmente la proibizione di poter alienare i Feudi. Questa Costituzione noi l'abbiamo nel libro secondo de' Feudi472; ed anche nel libro terzo delle leggi longobarde473. Nè l'istesso Pellegrino474 può negare che sia di questo Lotario; onde da ciò ancora si convince, che il Compilatore delle leggi longobarde, unì le Costituzioni degl'Imperadori come Re d'Italia, cominciando da Carlo M. sino a quest'ultimo Lotario (poichè quella di Carlo IV fu aggiunta molto tempo da poi di questa Compilazione) perchè gli altri Imperadori che dopo Lotario tennero l'Imperio d'Occidente, e che sovente calati in Italia presso Roncaglia stabilirono altre leggi, atteso che queste riguardavano solamente i Feudi: i Compilatori delle Consuetudini Feudali, che furono a tempo di Federico I non stimarono unirle alle leggi longobarde, ma facendo una Compilazione a parte l'unirono al Corpo delle Consuetudini Feudali, onde ne surse un nuovo Corpo di leggi dette Feudali, che ultimamente da Cujacio fu distinto in cinque libri, come trattando di questa Compilazione a suo luogo più distesamente diremo.
Non vide Ruggiero più fiera procella di quella, che gli mosse Lotario in questa seconda volta, che calò in Italia. Si vide in un baleno sottratte dal suo Regno le più belle province, com'erano queste di qua del Faro: al suo arrivo si rinvigorirono le speranze de' suoi nemici, ed i mal contenti si resero più animosi a prorompere in aperte sedizioni; poichè in prima non mancò Lotario, avvisato delle angustie, nelle quali era ridotta la città di Napoli, e che i suoi cittadini per le case, e per le piazze perivan di fame, di mandar lettere ed Ambasciadori a Sergio, ed ai Napoletani, confortandogli a durare per picciol tempo nell'assedio, ch'egli tantosto sarebbe venuto in lor soccorso. Ed in fatti non tardò guari, che s'incamminò verso Apruzzi, e pervenuto al fiume Pescara, valicatolo, soggiogò Termoli con molti luoghi di quella provincia; e passato in Puglia, prese la città di Siponto, ed atterrì in maniera i Pugliesi, e gli pose in tanta costernazione, che tutte le città di quel contorno insino a Bari, ove Lotario era passato, si diedero in sua balìa.
Intanto Innocenzio, che dimorava a Pisa, erasi già partito di colà, e passato a Viterbo per incontrarsi con l'Imperadore, il qual intesa la venuta del Papa in quella città, gl'inviò tosto Errico suo genero con tremila soldati, e gli mandò a dire che proccurasse di conquistare le terre della Campagna di Roma, e di restituire il Principato di Capua a Roberto, perch'egli per altro cammino avrebbe proccurato di toglier a Ruggiero l'altre province della Puglia: onde Innocenzio con altro esercito venne a S. Germano, che tantosto se gli diede. Indi passato a Capua non vi essendo chi potesse resistergli, tosto si rese padrone di quella città, e ripose in essa e nel suo Principato il Principe Roberto475. E scorso da poi in Benevento, dopo breve contrasto, i Beneventani si resero a lui. Indi partissi per girne a ritrovar Lotario in Puglia, il quale avea già presa Bari476, e sol gli restava d'espugnare la sua forte Rocca, la quale Ruggiero avea edificata, e di grosso e valoroso presidio munita; ma quella finalmente espugnata, portossi l'Imperadore ed Innocenzio sopra Melfi di Puglia: ed avendola per alcun tempo tenuta assediata, l'ebbero alla fine in lor balìa.
Fu in questo anno 1137 che Lotario avendo tolta a Ruggiero la Puglia pensò di crearne un nuovo Duca, ed avendo fatto in Melfi a tal fine ragunare un Parlamento, ove fece chiamare tutti i Baroni di quella provincia, trattò ivi della creazione di questo nuovo Duca, mandando in tanto i suoi eserciti verso Salerno per assediare quella città. Insorsero per tal occasione gravi contese tra Lotario ed Innocenzio intorno a quest'elezione477: pretendeva Innocenzio per le ragioni altre volte addotte, che siccome i suoi predecessori aveano investito i Normanni del Ducato di Puglia, così ora essendosi tolto a costoro, suo dovesse essere il potere di investirne altri. All'incontro Lotario pretendendo esser queste province dipendenti dall'Imperio d'Occidente, essere degl'Imperadori la facoltà dell'investire altri478, siccome di fatto l'Imperador Errico ne avea investiti i Normanni. La discordia s'accese in maniera, che se non fosse stato il timore conceputo, che Ruggiero lor comune nemico non se ne profittasse, sarebbe terminata in aperta guerra. A questo fine si pensò un espediente, col quale proccurossi di non recarsi pregiudizio alle ragioni dell'Imperio, nè della Chiesa; e fra lor si convenne che il nuovo Duca si dovesse da ambedue investire479. Fu eletto Rainulfo Conte d'Avellino di nazione normanna, non Germano, come credette il Sigonio480, cognato del Re, e figliuolo del Conte Roberto, il quale era nato dal vecchio Conte Rainulfo fratello germano di Riccardo I Principe di Capua481.
Fu adunque Rainulfo creato nuovo Duca di Puglia, e gli fu dato lo Stendardo, con cui fu investito del Ducato per mano d'ambedue, d'Innocenzio e di Cesare. E Falcone Beneventano aggiunge, che a' 5 di settembre l'istesso Papa Innocenzio nella chiesa arcivescovile di Benevento unse Rainulfo in Duca di Puglia, essendo a questa unzione presenti il Patriarca di Aquileja, molti Arcivescovi, Vescovi ed Abati. Così insino a questo punto i due più fieri nemici di Ruggiero, i quali si erano così ben distinti a favor di Lotario e del Papa, riceverono i premj de' loro sudori e travagli: Roberto fu restituito nel Principato di Capua, e Rainulfo a più sublime dignità fu promosso. Rimaneva l'altro, ch'era Sergio co' suoi Napoletani, i quali finora avean con inaudita costanza in mezzo a tante calamità e penurie sostenuto l'assedio della loro città; perciò Lotario ed Innocenzio verso queste parti rivoltarono tutti i loro sforzi, e tenendo i loro eserciti presso Salerno, pensarono di espugnar prima questa città, e da poi passare a levar l'assedio di Napoli, aspettando in tanto il sospirato soccorso di Pisa, senza il quale non poteva per via di mare portarsi soccorso alcuno in quella città, e senza il quale non era da sperare di poter ridurre Amalfi e gli altri luoghi marittimi d'intorno, sotto la dominazione di Cesare. Ma ecco che pur troppo opportunamente i Pisani con cento legni armati, siccome avean promesso, giunsero in Napoli, ed introdotto soccorso in questa città, tanto che non vi era più timore di rendersi, non guari da poi fu loro da Cesare comandato, che passassero in Amalfi affin di ridurre quella città co' luoghi vicini, siccome vi passarono con quaranta sei galee, e quivi giunti, espugnarono Amalfi, Scala e Ravello, e facendo gran bottino in quella città, e nella sua riviera, ridussero Amalfi sotto la dominazione dell'Imperadore.
CAPITOLO II
Ritrovamento delle Pandette in Amalfi; e rinovellamento della giurisprudenza romana, e de' libri di Giustiniano nell'Accademie d'Italia
Fu in quest'incontro, che la città d'Amalfi ancorchè espugnata, si rese luminosa e chiara ne' secoli seguenti sopra tutte le altre città d'Europa: poichè alla sua gloria d'aver un suo cittadino trovata la bussola, s'accoppiò quella d'essersi con tal occasione trovato in questa città il volume delle Pandette di Giustiniano Imperadore da taluni creduto che fosse propriamente quello istesso, che questo Imperadore fece compilare. Gli esemplari di questo volume erano quasi che sepolti, per le molte Compilazioni seguite appresso de' Basilici, e per le molte altre cagioni, che si dissero nel settimo libro di quest'Istoria: solo per la Francia, come fu altrove notato, ne girava attorno qualcheduno, poichè osserviamo che Ivone Carnotense, che fiorì a' tempi di Pascale II verso l'anno 1099 nelle sue epistole allega sovente le leggi delle Pandette482. Ma in Italia n'era affatto perduta ogni memoria: solamente, come si disse, il Codice, le Istituzioni, e le sue Novelle erano conosciute, più per diligenza de' romani Pontefici, e per li Monaci, appresso i quali era allora la letteratura, che per altro.
In fatti molte leggi del Codice vediamo noi da' Pontefici romani rapportate nelle loro decretali, come in quelle di Gregorio III e d'altri Pontefici483: delle Istituzioni, e delle Novelle non era così rara la notizia, poichè abbiam veduto che il celebre Abate Desiderio nella sua Biblioteca Cassinense ne conservava gli esemplari; ma la più bella parte, ch'era quella delle Pandette, ed ove racchiudesi il candore e la pulitezza delle leggi Romane, era a noi molto più nascosta, e rara la notizia. In Ravenna non è ancor deciso il dubbio, se veramente se ne conservasse qualche parte. Guido Pancirolo484 rapporta l'opinione di alcuni, che credevano nell'anno 1128 in Ravenna in un'antica Biblioteca essere state ritrovate le Pandette, le quali offerte a Lotario, avendole riconosciute per legittimo parto dell'Imperador Giustiniano, avesse ordinato, che pubblicamente si spiegassero nelle Scuole. Ma l'istesso Pancirolo riputa più vera l'opinione di coloro, che scrissero in Ravenna il Codice di Giustiniano essersi ritrovato, non già le Pandette, le quali in Amalfi in quest'anno 1137 per l'occasione già detta furono scoverte. Alla città dunque di Amalfi non molto da Napoli lontana si dee questa Gloria; non già a Melfi di Puglia, come alcuni Oltramontani scrissero i quali non ben intesi de' luoghi particolari, e delle città di queste nostre Province, hanno sovente preso abbaglio in confonder l'una coll'altra città; siccome per contrario il Concilio celebrato in Puglia a Melfi nell'anno 1059 sotto Niccolò II, dissero che si fosse celebrato ad Amalfi. Alcuni altri, forse tratti dall'amore della gloria della loro patria, non si ritennero di dire che non in Amalfi, ma che in Napoli i Pisani mentre entrarono a soccorrerla, l'avessero trovate, e che toltele a' Napoletani in Pisa le trasportassero; della qual credenza ancorchè vana, e che non ha alcun appoggio, e ripugnante a tutta l'istoria, è gran maraviglia che avesse trovato chi ne restasse preso come fu il Summonte e Francesco de' Pietri, il quale fra gli altri suoi deliri, onde tessè la sua istoria, non tralasciò inserirvi anche questo. E novellamente un moderno Scrittore pugliese pur sognò che nè in Amalfi, nè in Napoli si fossero trovate le Pandette, ma in Molfetta, e non per altra ragione, se non per la somiglianza del nome, e se non perchè Molfetta era la patria dello Scrittore: così oggi (non altramente, che della patria d'Omero e del Tasso) contrastano molte città per appropriarsi la gloria di questo ritrovamento.
Ma oltre agli antichi Annali, non deve ciò parer cosa strana a coloro, i quali dal corso di quest'Istoria avranno appreso quanto gli Amalfitani fossero stati per le navigazioni celebri, e quanta fosse la frequenza de' traffichi e del commercio, che avean nelle parti d'Oriente e nella Grecia, ciocchè non l'ebbero quelle città, le quali ancor esse aspirano a questa gloria; onde fu cosa molto propria, che gli Amalfitani fra le altre cose che da Levante portarono nella loro città, v'avessero anche portate le Pandette, volume così raro, e nel quale era riposto il candore delle leggi romane; ed in fatti comunemente si narra485, che per opera d'un Mercante paesano, navigando in Levante, l'avesse quivi comprate, e nel suo ritorno ne avesse fatto un dono alla patria. Nè può recarsi in dubbio, che i Pisani fra le altre prede, che fecero in Amalfi, fu questa delle Pandette, e questa sola, in premio delle loro fatiche sofferte in quell'impresa, cercarono ardentemente a Lotario Imperadore, il quale gliele concedette di buona voglia; onde trasportate da loro in Pisa, acquistarono perciò il nome di Pandette Pisane, che lo ritennero poco men di tre secoli insino all'anno 1416, nel quale surta guerra fra i Pisani e' Fiorentini, Guido Caponio Capitano de' Fiorentini avendo espugnata e presa la città di Pisa, come una gran parte del suo trionfo, trovate in quella le Pandette, le trasferì in Fiorenza, ove oggi giorno con venerazione, e come cosa di gran pregio si conservano nella Biblioteca de' Medici in due tomi divise: onde quando prima erano appellate Pisane si dissero da poi Fiorentine, come oggi giorno ritengono il nome. Gli antichi Annali di Pisa appresso Plozio Grifo, Rainero Grachia Pisano antichissimo Istorico, che scrisse sono più di 300 anni de Bello Tusco in cotal guisa narrano questo ritrovamento insieme e trasportamento da Pisa in Firenze, e Plozio presso Taurello afferma, aver tenuto egli in casa un antico istromento di questa donazione che Lotario fece a' Pisani delle Pandette Amalfitane. Così ancora lo rapportano il Sigonio486, Raffael Volaterrano, Angelo Poliziano487, Antonio Gatto488, Francesco Taurello489, Arturo Duck490, e tutti gli altri Scrittori, insino a Burcardo Struvio491, ch'è l'ultimo fra i moderni a confermarlo.
(Dopo tutti costoro, ultimamente Errico Brenemanno nella sua Historia Pandectarum, impressa ad Utrecht l'anno 1722, esaminando questo punto d'istoria, tolse ogni dubbio, con far imprimere pag. 410 le parole della Cronica antica o siano Annali Pisani, che egli trascrisse da un antico Codice manuscritto, che si conserva nella Biblioteca de' Domenicani di Bologna: dove parlandosi della guerra, che Papa Innocenzio, e Lotario coll'aiuto de' Pisani, mossero contro il Re Ruggiero di Sicilia, si leggono queste parole: Li Pisani pridie nonas Augusti armorono 46 Galee, et forono a la costa de' Malfi, et quello dì per forzia lo presero con septe Galee et doe Nave; in la quali ritrovarono le Pandette composte dalla Regia Maestà di Justiniano Imperatore, e dopoi quella brusorono etc.)
Lotario se bene avesse a' Pisani conceduta una cosa di tanto pregio, essendo egli un Principe dotto, e sopra a tutto riputato saggio facitor di leggi, non trascurò di osservarle, e scorto che in esse v'era il candor delle leggi romane, pensò non doversi trascurare 1'utile che poteva da quelle ritrarsi, e che non doveano, siccome prima, rimaner così tra le tenebre nascoste e sepolte. Evvi gran contrasto tra i Bolognesi e gli altri Scrittori, se Lotario avesse con suo editto stabilito che le Pandette pubblicamente si leggessero in Bologna, ovvero per privato studio d'Irnerio si fossero ivi insegnate insieme con gli altri libri di Giustiniano. Li Dottori bolognesi narrano, che Lotario diede ordine ad Irnerio, il quale in Bologna leggeva filosofia, che pubblicamente le dichiarasse, il che egli cominciò a fare nell'anno 1128 ciò che sarebbe accaduto prima, che le Pandette si fossero trovate in Amalfi. Corrado Uspergense dopo aver narrata l'istoria di Lotario, dice che Irnerio lo facesse a petizione della Contessa Matilda; e negli Argomenti dell'Istoria di Bologna, che s'attribuiscono a Carlo Sigonio, nell'anno 1102 si legge che la Contessa Matilda ad Irnerio che ivi leggeva filosofia, avesse imposto spiegarle, e che vi facesse le prime chiose. Ma Burcardo Struvio492 stima favoloso ciò che Corrado narra della Contessa Matilda, che mentre imperava Lotario avesse ciò imposto ad Irnerio, essendo indubitato, che Matilda morì nell'anno 1115 prima dell'Imperio di Lotario, e l'istesso Sigonio riprova ancora ciò che Corrado dice, per questa istessa ragione493. Quindi Struvio crede, che quegli Argomenti, che si leggono dopo l'istoria di Bologna non han potuto esser mai opera del Sigonio, il quale manifestamente nella sua Istoria del Regno d'Italia dice il contrario, e riprende Corrado che l'avea scritto.
I più gravi Autori perciò condannano per favoloso questo racconto, e rapportano che Irnerio, nè per autorità della Contessa Matilda, nè per comando di Lotario avesse nella Scuola di Bologna interpretati i libri di Giustiniano, ma per privato studio, e per soddisfare la sua ambizione.
Irnerio a questi tempi, ne' quali la Giurisprudenza insieme colle altre discipline cominciavano a risorgere, fu riputato uno de' migliori Giureconsulti. Della sua patria contendono i Germani ed i Milanesi, ed i Fiorentini pur ne vogliono la lor parte: egli prima fu dato a' studj di Filosofia e delle Lettere umane secondo che comportava l'uso di que' tempi, e si crede che navigasse in Levante, ed in Costantinopoli le avesse apprese; indi a Ravenna tornato, avessele quivi insegnate, ed acquistasse gran fama d'uomo di lettere. Ma dismesso poi lo studio di Ravenna, fu da' Bolognesi chiamato nella loro città, dove si pose a leggere Filosofia. Erasi in Bologna stabilita una Scuola, ove s'insegnava anche giurisprudenza, ed eravi Pepone che la professava; ed essendo tra' Professori insorta disputa sopra la parola AS denotante le dodici oncie, Irnerio con tal occasione si diede a studiare i libri di Giustiniano, e divenne famoso Giurista, tal che oscurò la fama di Pepone. Fece sommo studio sopra il Codice, e sopra le Instituzioni e le Novelle di Giustiniano, accorciandole, ed adattandole poi alle leggi del Codice, perchè si conoscesse in che le Novelle discordavan da quelle; fece ancora le prime sue chiose a questi libri; ed egli fu il primo che nell'anno 1128 commentasse le leggi romane. Coloro che scrissero in Ravenna in quest'anno essersi trovato un altro esemplare de' Digesti, oltre di quello, che correva per la Francia, dicono che Irnerio prima che fossero in Amalfi trovate le Pandette (che Angelo Poliziano494 credette essere quelle istesse che pubblicò Giustiniano, nel che discordano Andrea Alciato495, ed Antonio Augustino496, e dalle quali egli è almen certo, per essere antichissime, che furon tratti gli altri esemplari497) impiegasse i suoi talenti anche sopra i Digesti, e che insieme con gli altri libri di Giustiniano le insegnasse in Bologna, e vi facesse le prime sue chiose. Ma gli altri, che ciò niegano, e dicono che i primi esemplari delle Pandette fossero usciti in Italia da quelle d'Amalfi, sostengono che Irnerio spiegasse in quella Accademia i Digesti da poi che furono ritrovate in Amalfi, ma non già per autorità e comandamento che ne avesse avuto dall'Imperador Lotario: ma per privato suo studio, siccome prima in Bologna faceva sopra gli altri libri di Giustiniano, e sopra l'altre discipline, senza ordine dell'Imperadore. Nè quell'Accademia in questi tempi fu istituita da Lotario, nè per suo editto si legge, che avesse comandato, che quivi si dovessero spiegare, ed insegnare per sua autorità i libri di Giustiniano, siccome sostiene Federico Lindenbrogio498; soggiungendo Ermanno Conringio499, che se Lotario avesse ciò ordinato, e gli fosse stato tanto a cuore la Scuola di Bologna, trovate che furono in Amalfi le Pandette, non a' Pisani, ma a' Professori bolognesi ne avrebbe fatto dono.
Ma quantunque sopra ciò non si leggesse particolar editto di Lotario, non è però, che questo Principe non favorisse questi studj, e che a' suoi tempi la Scuola di Bologna non fiorisse molto più che ne' passati, avendovi Irnerio sopra le leggi romane fatti progressi maravigliosi; onde avvenne che questi studj furon coltivati e promossi, e molti vi s'applicarono in guisa, che dalla Scuola d'Irnerio ne uscirono poi valenti Dottori, i quali o in voce, e per mezzo delle loro chiose in iscritto, illustrarono le leggi di Giustiniano, e diffusero il loro studio, non pure in Bologna, ma per tutte le Accademie d'Italia. Sursero quindi Martino da Cremona: Bulgaro, che a' tempi di Federico Barbarossa fiorì cotanto in Bologna: Ugone, e Giacomo Ugolino, Ruggieri, Ottone e Placentino, che si resero cotanto celebri nell'Accademia di Montpellier in Francia. Pileo discepolo di Bulgaro, che in Bologna ed in Modena si rese illustre per le sue Quistioni Sabbetine. Alberico della Porta di Ravenna: ed il di lui discepolo Azone, il quale fra i Giureconsulti della sua età tenne il primo luogo, maestro del nostro Roffredo Beneventano, di Balduino e di tanti altri.
Da questo risorgimento de' libri di Giustiniano nell'Accademie d'Italia, e dalla Scuola d'Irnerio comunemente si crede, che avessero origine le solennità da poi praticate in creare i Dottori, attribuendosi ad Irnerio, che per autorità di Lotario concedesse a' Professori di legge il grado del Dottorato, leggendosi, che avesse dichiarati Dottori Bulgaro, Ugolino, Martino e Pileo500. E narra Acerbo Morena501, ch'essendo Irnerio nell'ultimo di sua vita, se gli accostarono i suoi scolari, e gli domandarono, chi voleva, che dopo la sua morte fosse il lor Dottore, ed egli lor nominò Bulgaro, Martino e Ugone, ma che tenessero Giacomo in suo luogo, onde questi fu costituito lor Dottore. Ma Itterio502 e Conringio503 reputano, che queste solennità in conferire i gradi di Dottore nell'Accademie, traesse origine da' Francesi, donde poi l'appresero gl'Italiani.
Credettero il Sigonio504, Arturo Duck505, ed altri, che Lotario, oltre d'aver comandato, che i libri di Giustiniano si leggessero per sua autorità nelle pubbliche Accademie, ordinò che anche ne' Tribunali si allegassero, e che tralasciate le leggi longobarde, quelli solamente i Giudici seguissero. Ma la costoro opinione non ha fondamento veruno d'istoria, non leggendosi, non pure editto alcuno di Lotario, come sarebbe stato necessario che ciò comandasse, ma nemmeno Istorico contemporaneo, che lo scrivesse; ond'è che i più gravi Scrittori506, e lungamente Lindenbrogio507 ripruovano il costoro errore. Quel che poi manifestamente convince il contrario, è il vedersi, che le leggi longobarde in Italia, e più in queste nostre province lungamente da poi si mantennero, e ne' Tribunali secondo quelle si decidevano i litigi, e la legge romana come per tradizione era mantenuta da' provinciali; nè a questi tempi da' libri di Giustiniano era allegata, i quali non aveano ancora acquistata nel Foro autorità alcuna, siccome tratto tratto l'acquistaron da poi per uso più, e per forza della ragione, che per legge di alcun Principe.
Ma se mai di Lotario fossevi stata legge, che ciò comandasse, quella certamente nelle nostre province, ch'erano sotto la dominazione del Re Ruggiero suo inimico, non avrebbe avuto alcun vigore. Questo Principe, come qui a poco vedremo, ricuperò ben tosto tutte quelle province, che Lotario avea invase, e debellò tutti i suoi nemici, riunendole al suo Regno di Sicilia, che stabilito in forma di vera Monarchia non ubbidiva altre leggi, se non quelle, che i Longobardi v'introdussero, e quelle che egli stabilì da poi. E ciò non pur accadde imperando Lotario, e durante il Regno di Ruggiero, ma anche nel tempo de' Re normanni suoi successori, i quali continuando perpetua guerra con Corrado e Federico I che a Lotario successero, non permisero mai, che le costoro leggi fossero in queste province osservate, e che avessero alcuna forza ed autorità; ed in fatti come più innanzi vedrassi, non per le leggi romane contenute in questi libri, ma per le leggi longobarde, e per le romane, che come per tradizione erano ritenute da questi Popoli, si decidevano le liti. Nè appresso di noi vi fu anche occasione che questi libri si potessero leggere nelle nostre pubbliche Scuole; poichè insino a Federico II gran fautore delle lettere, che l'introdusse in Napoli, noi non avevamo Accademie; nè se non ne' tempi più bassi, essendo gli ultimi a seguitare l'esempio delle altre città d'Italia, cominciarono in queste province gli studj di questi libri, e ad allegarsi nel Foro più per forza di ragione, che di legge, come si vedrà nel corso di quest'Istoria.