Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4», sayfa 7
Vedendo il Doge ed il Senato sì ostinata risoluzione e temendo non si movesse grave sedizione e si venisse dentro la città all'armi, inviarono prestamente persone di molta stima a pregare il Papa che lor perdonasse la noia, che gli avean data e che facesse ogni sforzo con gli Ambasciadori di Guglielmo, di non fargli partire: ma mostrando di star saldi nel loro proponimento non ostante le preghiere del Papa e del Doge, fur cagione, che nel seguente mattino si pubblicasse una grida in Rialto d'ordine della Repubblica, che niuno avesse più ardito di favellar dell'entrata di Cesare nella città, se in prima non l'avesse comandato il Pontefice.
Pervenuta a Federico in Chiozza questa novella, vedendosi fallita ogni speranza, cominciò a parlar benignamente co' Cardinali, che colà dimoravano, degli affari della pace; ed essendogli altresì apertamente detto dal suo Cancelliere, e dagli altri Baroni tedeschi, che bisognava finirla con Alessandro e riconoscerlo per legittimo Pontefice, finalmente alle persuasioni de' medesimi s'indusse ad inviar addietro a Vinegia co' Cardinali il Conte Errico da Diessa a prometter con giuramento, che tosto ch'egli vi fosse entrato avrebbe giurata e confermata la triegua con la Chiesa, col Re di Sicilia, e co' Lombardi nella stessa guisa appunto, ch'era stata trattata per li Deputati d'ambe le parti.
La qual cosa posta ad effetto dal Conte, ne girono d'ordine del Pontefice i Vinegiani con sei galee a levar l'Imperadore, e 'l condussero insino al monastero di S. Niccolò, e nel seguente giorno, avendo Alessandro udita la sua venuta, se n'andò con tutti i Cardinali, con gli Ambasciadori del Re, e co' Deputati de' Lombardi alla chiesa di S. Marco, ed inviò tre Cardinali con alcuni altri a Federico, i quali assolvettero lui e tutti i suoi Baroni dalle censure della Chiesa. Dopo questo andarono il Doge e 'l Patriarca, accompagnati co' primi Nobili di Vinegia, a S. Niccolò, e fatto salir l'Imperadore sopra i loro legni con molta pompa il condussero insino a S. Marco; ove per veder sì famoso spettacolo era ragunata immensa moltitudine di Popolo: e Federico disceso dalla nave n'andò tantosto a' piedi d'Alessandro, il quale coi Cardinali e con molti altri Prelati era pontificalmente assiso nel portico della Chiesa e deposta l'alterigia della Maestà imperiale, levatosi il mantello, si prostrò innanzi a lui con il corpo disteso in terra, umilmente adorandolo: dal qual atto commosso il Pontefice lagrimando, da terra il sollevò, e baciandolo il benedisse: e poi cantando i Tedeschi il Te Deum entrarono ambedue in S. Marco, donde l'Imperadore, ricevuta la benedizione dal Papa, ne andò ad albergare al palagio del Doge, ed il Papa con tutti i suoi ritornò al solito ostello.
Così ne' principj d'agosto di quest'anno 1177 fu conchiusa e confermata la triegua70 data da Federico a' Lombardi per sei anni, ed a Guglielmo per quindici, che fu giurata da Federico, ed anche dal Conte di Diessa, e da dodici Baroni dell'Imperio in nome di Errico suo figliuolo. La giurarono ancora dalla lor parte l'Arcivescovo Romualdo e Ruggiero Conte di Andria, Ambasciadori del Re, promettendo, che fra due mesi l'avrebbe Guglielmo confermata, e fatta altresì giurare da diece altri suoi Baroni: siccome per tal effetto furono da Federico mandati suoi Ambasciadori in Sicilia, i quali giunti il nono giorno di agosto di quest'anno 1177 a Barletta, quindi si portarono in Palermo, ove furono lietamente accolti dal Re, il quale per Ruggiero dell'Aquila in nome di lui, e per undici altri suoi Baroni diede compimento al dovuto giuramento: e fatto simigliante giuramento dai Deputati delle città di Lombardia, scioltasi l'Assemblea, ritornò ciascuno lieto al suo albergo.
Stabilita in cotal guisa la concordia fra il Papa e Federico, ne corse tantosto la novella a' seguaci dell'Antipapa, i quali anch'essi cedendo, ne vennero ai piedi d'Alessandro, rinunciando lo scisma, e furon da lui benignamente ricevuti in sua grazia: e Giovanni da Struma Antipapa, detto da' suoi seguaci Calisto III nell'anno seguente 1178, uscendo da Monte Albano, ove s'era ricoverato, essendo già il Papa Alessandro partito da Vinegia, ed andato a Tuscolo, venne anche egli a porsi a' suoi piedi, e l'adorò come vero Pontefice, dando fine allo scisma, che per diciassette anni continui era durato, e ne fu Giovanni dal Papa creato Arcivescovo e Governador di Benevento, ove poco da poi morì di dolor d'animo.
Ed intanto il Papa e l'Imperadore erano già partiti da Vinegia, essendosene Cesare, che fu il primiero, andato a Ravenna, ed il Pontefice sopra quattro galee de' Vinegiani passato a Siponto, e di là per lo cammino di Troia e di Benevento portossi ad Alagna: e poco da poi chiamato da' Romani nella lor città, vi entrò il giorno della festa del B. Gregorio, e vi fu con nobil pompa ricevuto. E l'Imperadore dimorato non guari a Ravenna, se n'andò in Lombardia, e di la passò in Alemagna.
Ed in cotal guisa terminarono questi successi, che variamente scritti da' moderni Istorici, e particolarmente da alcuni Siciliani, a' quali l'istesso Agostino Inveges da Palermo non potè prestar fede alcuna, aveano di mille favole riempiuto i lor volumi. Noi intorno a ciò non potevamo aver miglior testimonio, che Romualdo Arcivescovo di Salerno della regal schiatta de' Normanni, e Prelato di grande stima, il quale come Ambasciador del Re Guglielmo personalmente intervenne a tutto, e che nella sua Cronaca lo tramandò alla notizia de' posteri, al quale più che ad ogni altro Scrittore deve prestarsi indubitata fede.
§. I. Dominio del Mare Adriatico
Favola dunque è tutto ciò, che si narra d'esser Alessandro gito a Vinegia sotto mentito abito di peregrino, e quel ch'è più degno di riso, che quivi per molto tempo si fosse trattenuto, e nascosto con far il mestiere di cuoco. Favola parimente dee riputarsi ciò, che scrissero delle parole dette da Alessandro quando Federico fu ad inchinarsegli, e le risposte da costui date al medesimo. La pugna navale, che si figurò tra l'armata de' Vinegiani con quella finta di Federico, che non avea allora armata di mare, e quel ch'è più, di avervi preposto per capitano Ottone suo figliuolo, che secondo il Sigonio, non potea aver più che cinque anni, e mille altri sognati avvenimenti, infelicemente sostenuti da Cornelio Francipane in quella allegazione, che si vede ora impressa nel sesto tomo dell'opere del P. Paolo Servita.
Ma non meno deve riputarsi vano quel che parimente scrissero, che in quest'incontro Papa Alessandro avesse conceduto a' Vinegiani amplissimi privilegi della superiorità e custodia del Mare Adriatico, e che quindi sia nata quella celebrità, che ogni anno costumasi in quella città nel dì dell'Ascensione di sposar il mare; quasi che ad Alessandro appartenesse conceder il dominio de' mari, siccome gli altri Pontefici lo pretesero della terra. Dalla moderazione d'Alessandro tali esorbitanze non doveano credersi, e gran torto si è fatto alla memoria di quel Pontefice, che conosceva i confini della sua potestà, e se Federico gli fu avverso, e sovente ebbe a contender con lui, non fu per altro, se non perchè a torto non voleva riconoscerlo per vero Pontefice, della qual discordia approfittandosi le città di Lombardia, quindi fu, che sursero le tante contese e travagli che 17 anni tennero miseramente afflitta la Chiesa di Roma.
Conobbe questa verità quel bravissimo istorico Francesco Guicciardino71, il qual parimente scrive di tal concessione d'Alessandro non apparire nè in istorie, nè in iscritture memoria o fede alcuna, eccetto il testimonio de' Vinegiani, il quale in causa lor propria, e sì ponderosa deve esser pur troppo sospetto. Ma i Vinegiani stessi più saggi, ed intesi delle memorie andate, ben anche han riprovata questa falsa credenza de' loro compatrioti; ed il lor famoso Teologo e Consiglier di Stato, Fr. Paolo Servita, nel Dominio del Mar Adriatico, si è sforzato ben a lungo di pruovare, che i Vinegiani siano padroni del Golfo non già per concessione d'Alessandro, o d'altri Pontefici o Imperadori, ma, come nato insieme colla Repubblica, per altro titolo, che da' nostri Giureconsulti verrebbe chiamato pro derelicto: pretendendo egli, che gli ultimi Imperadori d'Oriente distratti in varie imprese, non avendo potuto per mancanza d'armate mantener la custodia del Golfo, l'abbandonarono, nulla curando che altri l'occupasse, e quindi essere avvenuto, che i Vinegiani resisi da poi potenti in mare, trovando il possesso vacuo; e non essendo allora il Golfo sotto il dominio d'alcuno, se ne fossero impadroniti, e contrastatolo da poi contra chiunque ha voluto tentare di disturbargli.
Ma se mai, siccome della terra, potesse acquistarsi dominio alcuno del mare, e non ripugnasse la natura istessa, come ben a lungo provò l'incomparabile Ugon Grozio in quel suo libro che a tal fine intitolò Mare liberum; e volesse ammettersi ciò che in contrario scrisse Giovanni Seldeno in quell'altro suo libro, che per opporlo a quello di Grozio intitolò Mare clausum; pure con maggior ragione pretesero i nostri maggiori, che il dominio del Mare Adriatico dovesse più tosto appartenere a' nostri Re di Sicilia, che alla Repubblica di Vinegia; non per quel titolo al quale invano ricorrono i Vinegiani; poichè niun Principe ebbe quel Golfo per abbandonato, tenendo sempre in animo di racquistarlo, quando le forze potevan somministrargli il modo; ma per ragion di conquista, che i nostri Normanni fecero sopra i Greci, i quali, declinando l'Imperio di Oriente, furono padroni di tutti questi Golfi, che circondano queste nostre regioni; non potendo (secondo che s'è potuto notare ne' precedenti libri di questa Istoria) porsi in dubbio, che sino a' tempi di Carlo M. gl'Imperadori Greci eran Signori dell'Adriatico, e che quivi spesso mandavano le loro armate per mantenere in Puglia la lor dominazione, contro l'invasione delle Nazioni straniere; anzi sovente i Vinegiani s'univano co' Greci contro gli sforzi di Carlo M. e di Pipino suo figliuolo, che cercavano disturbargli dal dominio dell'Adriatico; di che una volta sdegnato fieramente Pipino, per essere i Vinegiani concorsi a favorire, e soccorrere di denaro, e di gente li Greci: dopo avergli scacciati dall'Adriatico, e distrutta la loro armata, si inoltrò negli ultimi recessi del Golfo contro i Vinegiani, e prese una gran parte della loro città, che si componeva allora di molte isolette; ed avrebbero i Vinegiani patito l'ultimo sterminio, e sarebbero passati sotto la dominazione di Pipino Re d'Italia, se Carlo M. suo padre non avesse tosto riprovato il fatto, e data loro pace, incolpando i Duci loro d'essersi uniti coi Greci, non già i Vinegiani72. La qual guerra però fu a' medesimi profittevole, perchè una gran parte di quelle genti, che per tutti que' stagni, e lidi diversi abitavano (ch'erano pure a Vinegia soggette, e come parte, e membri di questa città) lasciando le stanze loro, se ne vennero ad abitare sopra sessanta isolette picciole, ch'erano intorno a Rialto, giungendole insieme con ponti, alle quali poi fu dato aspetto d'una grande e magnifica città, e stabilitavi la presidenza de' Duchi, ed il Consiglio pubblico.
Ed avendo da poi i Normanni discacciati i Greci dalla Sicilia, dalla Puglia e dalla Calabria, non può dubitarsi, che i nostri Principi scorrevano a lor posta con poderose armate l'Adriatico, e tralasciando cento altre occasioni, ch'ebbero di navigarvi con armate, nell'anno 1071, quando il famoso Duca Roberto Guiscardo fu chiamato in ajuto da Ruggiero suo fratello mentr'era nell'assedio di Palermo, v'accorse egli con poderosa armata di 58 navi traversando l'Adriatico, come scrisse Lupo Protospata73. E ne' tempi, che seguirono, essendo passate sotto la dominazione di essi Normanni tutte queste province, il famoso Ruggiero I Re, non contento di tanti e sì sterminati acquisti, resosi potente in mare assai più che non erano gl'Imperadori istessi d'Oriente, portò le sue vittoriose insegne non pur in Dalmazia, nella Tracia, e fin alle porte di Costantinopoli, ma corsero le sue poderose armate insino all'Affrica, ove fece notabili conquiste di città e di province. Nè vi fu Principe al Mondo in questi tempi, che lo superasse per forze marittime, e d'armate navali, le quali sovente combattendo con quelle dell'Imperadore d'Oriente, anche potente in mare, ne riportò sempre trionfi e piene vittorie. Ciò si è potuto anche conoscere dalle tante armate, che mantenevano, tanto che non bastando un Ammiraglio per averne cura; fu d'uopo crearne molti, a' quali prepose un solo, che perciò fu chiamato Admiratus Admiratorum; siccome era appellato Giorgio Antiocheno Grand Ammiraglio ne tempi di Ruggiero, e Majone ne tempi di Guglielmo suo figliuolo. E fu ne' tempi di questi Re normanni così grande la loro potenza in mare, che non vi era lido, o porto ne' loro dominj, che (oltre d'esser provista ciascuna provincia d'Ammiraglio) non avessero questi ancora altri Ufficiali minori a lor subordinati, alla cura de' quali si apparteneva la costruzione de' vascelli e delle navi, di reparargli, e disporgli per mantener libero il commercio e di tener li Porti in sicurezza, e ciò in tutta l'estensione de' loro Reami, e in tutti i lati marittimi, ed avendo l'Adriatico molti Porti nella Puglia, e per tutta quell'estensione, ch'è la più grande di quel Golfo (ne' quali sovente anche l'armate, che venivano da Sicilia solevano ricovrarsi) nel Regno di Ruggiero, dei due Guglielmi, e degli altri Re suoi successori, fu quel Golfo sempre guardato, e ripieno di navi e d'armate de' Re di Sicilia; anzi in congiunture di viaggi e di espedizioni navali, i Porti più frequentati e scelti a tal fine erano que' di Vesti, di Barletta, Trani, Bisceglia, Molfetta, Giovenazzo, Bari, Mola, e di Monopoli, oltre a quelli di Brindisi, d'Otranto, di Gallipoli, e di Taranto posti quasi tutti nell'Adriatico; ed i pellegrinaggi per Terra Santa in Soria, sovente per l'Adriatico si facevano. L'armate di Federico, e d'Errico Imperadori indifferentemente ne' Porti dell'Adriatico si fermavano: per l'Adriatico si trasportava l'oste per Soria, ed in fine tutte l'altre imprese della Grecia, e di Levante per questo Golfo si disponevano.
E se bene nel Regno degli Angioini non fosse stata tanta la potenza in mare de' Re di Sicilia, nulladimanco non è, che i due Carli d'Angiò, e gli altri Re di quella stirpe, non avessero mantenute poderose armate di mare, tanto che non avessero potuto disporre di quel Golfo a loro arbitrio e piacere, siccome quando dall'occasione si richiedeva il facevano.
Ne' tempi posteriori, e particolarmente sotto gli Aragonesi, per essere a' nostri Re mancate tante forze di mare, ed all'incontro cresciute quelle de' Vinegiani, nacque, che navigando essi nel Golfo a lor piacere, senza temer d'armata di Principe vicino, avessero essi preteso il dominio di quel Golfo, ed avessero da poi preteso d'impor legge a coloro, che vi navigavano: di non permettere che entrassero in quello armate navali: di vendicar le prede, che in esso si facevano, e con loro licenza permettersi il trasporto delle merci; e per la debolezza de' Principi vicini, giunsero insino a non permetter che altre armate potessero navigare il Golfo, siccome con non piccol scorno de' Spagnuoli avvenne, quando essendosi casata Maria con Ferdinando Re di Ungheria figliuolo di Cesare, sorella del Re Filippo IV e con numeroso stuolo di galee, e con pompa degna di tanti Principi, giunta a Napoli, per passare per l'Adriatico a Trieste con la stessa armata Spagnuola: i Vinegiani per non pregiudicare al loro preteso dominio di quel Mare, s'opposero con tal ostinazione, che si dichiararono, che se gli Spagnuoli non accettavano la loro offerta, di condurla essi colla loro armata, stassero sicuri, che converrebbe alla Reina tra le battaglie, ed i cannoni passare alle nozze; tanto che bisognò vergognosamente cedere, e la Reina per la strada d'Abruzzi giunta in Ancona, fu ricevuta da Antonio Pisani con tredici galee sottili, che la sbarcò a Trieste74. In tanta declinazione si videro le nostre forze marittime a tempo degli ultimi Re di Spagna; ma se si voglia aver riguardo a' secoli andati, e spezialmente a questi tempi de' Re Normanni con maggior ragione potevano vantar il dominio di quel Mare i Re di Sicilia, che i Vinegiani. Quindi è che presso di noi, tra' manuscritti della regal giurisdizione rapportati dal Chioccarello75, si trovi notato per uno de' punti controvertiti, se il dominio del Mare Adriatico sia dei Vinegiani, o più tosto de' Re di Napoli.
(Si conferma tutto ciò dal vedersi, che le scritture che uscirono a' tempi del Re Filippo III de' Veneziani per sostenere questo dominio, siccome quella del P. Paolo Servita (dove nell'ultima parte si risponde a' Dottori napolitani, infra i quali al Reggente de Ponte) e del Francipane, furono composte per rispondere ad alcune Scritture date fuori in contrario da' Napolitani; siccom'è manifesto dall'ultima Edizione dell'Opere del P. Paolo stampate in Venezia in 4.º ancorchè colla data di Halmstat, dove nel frontispizio nell'Allegazione del Francipane si legge: contra alcune scritture de' Napolitani).
§. II. I Veneziani sono stati Soggetti degli Imperadori d'Oriente e d'Occidente
Chiunque attenderà lo stato delle cose di quei tempi, secondo che ce lo rappresentano non meno gli antichi Annali, e Monumenti estratti dalla voracità del tempo, che gli Storici contemporanei, si accorgerà, che le province di Venezia e d'Istria col seno del mare Adriatico, che le bagna, nella decadenza dell'Imperio di Occidente, ubbidivano agl'Imperadori di Oriente. Quando Giustiniano Imperadore riunì al suo Imperio di Oriente tutta l'Italia per lo valore di quei due celebri Capitani Belisario e Narsete, non è dubbio, che l'Istria e le regioni de' Veneti erano appartenenze dell'Orientale Imperio. Le Regioni marittime de' Veneti dall'Istria si stendevano sino alla città di Ravenna: siccome ce n'assicura Procopio scrittor contemporaneo, il quale descrivendo queste regioni, così ne parla76: Sequitur, cui Dalmatiae nomen, et quae cum ipsa Occidentalis Imperii finibus comprehenduntur: proxima Liburnia, huic Istria; dein Regio Venetorum, ad Ravennam urbem porrecta.
Quando la prima volta i Franzesi sotto que' loro famosi Capitani Leutario, e Buccellino invasero questa parte d'Italia, ed occuparono i luoghi terrestri dei Veneti, tenendo i Greci i luoghi marittimi, siccome ci rende testimonianza lo stesso Procopio77; Narsete mandato da Giustiniano in Italia in luogo di Belisario gli scacciò da tutti que' luoghi terrestri del tratto Veneto, siccome fece anche dalla Liguria, avendo sconfitto interamente i Franzesi; a segno che in Italia non gli restò nè pur un picciolo castello.
Queste province dopo la morte di Giustiniano passarono al suo successor Giustino: e questi avendo istituito in Italia l'Esarcato di Ravenna, non vi è dubbio, che gran parte del territorio Veneto fosse porzione dell'Esarcato, giacchè Procopio ci descrive, che la Region Veneta si distendeva fin alla città di Ravenna: Regio Venetorum ad Ravennam urbem porrecta. Ciocchè per antichi monumenti fin'all'ultima evidenza dimostrano Girolamo Rubeo78 e Ludewig79, il quale nella vita di Giustiniano M.80, non ebbe difficoltà di dire esser cosa chiara: Venetum agrum vel territorium portionem fuisse Exarchatus non infimam.
Ma avendo da poi Carlo M. interamente scacciati da questa parte d'Italia non meno i Greci, che i Longobardi, e fatto Re d'Italia Pipino suo figliuolo, le Venezie sottratte dall'Imperio d'Oriente, furon rese province del Regno Italico, siccome con verità scrisse Costantino Porfirogeneta81, dicendo, che d'indi in poi le Venezie non soggiacquero all'Oriente, ma furon fatte Provincia Italici Regni. Quindi gl'Imperadori di Oriente per reintegrare all'Imperio, da questa parte, i lor confini, ebbero con Carlo M. or guerre, or tregue, or convenzioni e paci, per le quali finalmente, siccome rapporta Eginardo82, fu convenuto, che a Carlo fossero aggiudicate le due Pannonie, l'Istria, le Venezie, la Liburnia, e la Dalmazia, lasciandosi all'Imperadore costantinopolitano le città marittime della Puglia, la Calabria e la Sicilia. Carolus, scrive Eginardo, utramque Pannoniam, et appositam in altera Danubii ripa Daciam, Histriam quoque et Liburniam, atque Dalmatiam, exceptis maritimis Civitatibus, quas ob amicitiam, et junctum cum eo foedus Constantinopolitanum Imperatorem habere permisit, adquisivit.
Ma per i luoghi terrestri di quelle province rimasti a Carlo, e per le città marittime lasciate a gl'Imperadori greci; non durò fra medesimi ed i Re francesi lungo tempo buona armonia; poichè nell'anno 806. Paolo Principe di Zara, ed i Legati di Dalmazia, non meno che i Duchi di Venezia, che riconoscevano per loro Sovrani gl'Imperadori di Oriente, mal sofferendo la potenza de' Francesi, come troppo lor vicina, ricorsero all'Imperadore Niceforo, perchè gli prestasse ajuto per non essere da quelli oppressi, siccome leggesi negli Annali Laurisheimensi ad An. 806 de' quali non si dimenticò Simone Stanh. Histor. Germ. in Carolo M. che ne rapporta varj pezzi: Statim post Natalem Domini (si legge ne' medesimi) venerunt Wilharius et Beatus Duces Venetiae; nec non et Paulus Dux Jaderae, atque Donatus, ejusdem civitatis Episcopus, Legati Dalmatorum, ad praesentiam Imperatoris cum magnis donis, et facta est ibi ordinatio ab Imperatore de Ducibus et Populis tam Venetiae, quam Dalmatiae.
Ed in effetto l'Imperadore Niceforo non tardò in gennaro del seguente anno 807 di mandar una classe marittima ne' porti di Venezia sotto il comando di Niceta, per ricuperar la Dalmazia, siccome si aggiunge negli Annali stessi: Classis a Nicephoro Imperatore, cui Niceta Patricius pracerat, ad recuperandam Dalmatiam mittitur. Ma giunta che fu questa flotta ne' porti di Venezia, Pipino costituito Re d'Italia da Carlo suo padre, fatta tregua con Niceta fino al mese d'agosto, tanto fece sicchè l'indusse a ritornarsene, come soggiungono gli Annali stessi ad An. 807 Niceta Patricius, qui cum Classe Costantinopolitana in Venetia se continebat, pace facta cum Pipino Rege, et induciis usque ad Augustum constitutis, regreditur.
Ma i Veneziani e i Dalmatini, che desideravano, che sempre fosse accesa guerra tra' Greci e' Franzesi, per profittare nel torbido, nutrendo per ciò fra di loro gare e contenzioni, indussero l'Imperadore Niceforo nel 809 che mandasse la seconda volta in Dalmazia e Venezia un'altra armata sotto Paolo: la quale spedizione ebbe varj successi: nel principio giunta l'armata a Venezia, si rese padrona dell'Isola di Comiaclo, ma attaccata poi l'armata da Pipino e fugata; fu obbligata ritirarsi ne' Porti di Venezia, come dicono gli Annali suddetti Laurisheimensi ad An. 809 Classis de Constantinopoli missa, primo Dalmatiam, deinde Venetiam adpulit, cumque ibi hiemaret pars ejus Comiaclum Insulam accessit, commisso praelio, victa atque fugata Venetiam recessit.
Paolo Prefetto dell'armata, vedendo non poter resistere alle forze di Pipino, cominciò a trattar di pace col medesimo; ma i Duchi di Venezia Wilhario, e Beato, i quali di mala voglia soffrivano, che Paolo volesse trattar di pace con Pipino, fecer ogni sforzo per impedirla, anzi con frodi ed inganni tentarono d'insidiar la di lui persona: sicchè avendo Paolo conosciute le loro insidie e frodi l'obbligarono a partire; come soggiungono gli annali stessi: Dux autem, qui Classi praeerat, nomine Paulus, cum de pace inter Francos et Graecos constituenda, quasi sibi hoc esset injunctum, apud Pipinum, Italiae Regem, agere moliretur, Wilhario et Beato Venetiae Ducibus, omnes conatus ejus impedientibus, atque ipsi etiam insidias parantibus, cognita illorum fraude discessit.
Il Re Pipino conosciuta la perfidia de' Duchi di Venezia, i quali proccuravano fomentar gare e guerre irreconciliabili tra Greci e Franzesi per sottrarsi in questi torbidi dagli uni, e dagli altri, si risolse di soggiogarli affatto; e mossa la sua armata per mare, ed il suo esercito per terra; soggiogata Venezia, li obbligò a rendersi, e di passare, come tutti gli altri Popoli d'Italia, sotto il suo dominio, come narra il Monaco Egolismense pag. 63 scrivendo Pipinus Rex, perfidia Ducum Venetiarum incitatus, Venetiani bello, terra marique jussit adpetere subjectaque Venetia, ac Ducibus ejus in deditionem acceptis etc.
Ma il generoso e magnanimo Carlo suo padre, non volendo rompere gli antichi patti e convenzioni per le quali s'erano lasciati questi luoghi marittimi di Dalmazia e di Venezia all'Imperio greco, trattò egli la pace coll'Imperadore Niceforo, e nel seguente anno 810 gli ristituì Venezia, siccome rapportano gli annali di Francia ad An. 810 Carolus pacem cum Nicephoro Imperatore fecit, et ei Venetiam reddidit. E di vantaggio, avendo fatto imprigionare, e privato di tutti gli onori Wilhario per la sua perfidia, dovendo mandare suoi Legati in Costantinopoli a confermar questa pace, nell'anno seguente 811 co' Legati suddetti fece condurre Wilhario Duca di Venezia all'Imperadore, perchè come suo Signore il riconoscesse, siccome portano gli Annali Laurisheimensi ad An. 811 dicendo: Pacis confirmandae gratia Legati Costantinopolim mittuntur… et cum eis… Wilharius, Dux Venetorum… qui propter perfidiam honore spoliatus, Constantinopolim ad Dominum suum duci jubetur.
Quindi è, che degl'Imperadori d'Oriente successori di Niceforo, e spezialmente di Lione V Armeno restano ancora monumenti d'aver esercitata la loro piena sovranità sopra i Veneziani, ridotti ad abitare in quelle Isolette negl'ultimi recessi di quelle Lagune: i quali sebbene avessero loro Duchi, che gli governavano, questi però non eran riputati, che Ufficiali dell'Imperadore, decorati dell'onore d'Ippato, ch'era una dignità Imperiale; e tutte quelle insegne, come il Manto, il Corno ducale, e gli altri ornamenti, onde sono fregiati, tutti erano onori, che gli provenivano dalla Corte di Costantinopoli.
Quindi i Veneziani vestivano alla greca con abiti talari, che ancor ritengono, a differenza degli altri popoli d'Italia, come all'Imperio d'Oriente sottoposti.
Onde quel Monumento, che prima si conservava nell'Archivio del Monasterio delle Monache di S. Zaccheria di Venezia, e che ora insieme con altri consimili leggiamo impresso in un libro stampato in Venezia stessa con licenza de' superiori nell'anno 1678 intitolato, il silenzio di S. Zaccheria snodato: non dee sembrar cotanto ingiurioso a' Veneziani: sicchè severamente, proibiscano il tenerlo proccurando di sopprimerlo, perchè non ne resti vestigio.
In questo Libro si legge un Attestato di Giustiniano Participatio Doge di Venezia, a' tempi dell'Imperadore Lione V Armeno, che sedè nell'Imperio d'Oriente dopo Niceforo intorno l'anno 813, nel quale la fondazione, o sia ampliazione di quel Monasterio si attribuisce a Lione, chiamato dal Doge suo Signore, con obbligo alle Monache d'incessantemente pregare Dio per la salute dell'Imperadore, e suoi Eredi: Eccone le parole: Cognitum sit omnibus CHRISTI, et Sancti Romani Imperii Fidelibus tam praesentibus, quam ex illis, qui post nos futuri erunt, tam Ducibus quam Patriarchis, atque Episcopis, seu caeteris Primatibus. Quod ego Justinianus Imperialis Hippatus et Venetiarum Dux, per revelationem Domini nostri Omnipotentis, et jussione Domini Serenissimi Imperatoris pacis seu, et Conservatoris totius Mundi LEONIS: Post multa nobis beneficia concessa, feci hoc Monasterium Virginum hic in Venetia, secundum quod ipse jussit edificare de propria Camera Imperiali, et secundum quod iussit mihi, statim cuncta necessaria auri, sive argenti dari jussit. Tum etiam nobis Reliquias Sancti Zaccariae Prophetae, et lignum Crucis Domini, atque Sanctae Mariae pannum, sive de vestimentis Salvatoris et alias reliquias Sanctorum nobis ad Ecclesiam Sanctam consecrandam dari fecit. Ad necessaria hujus operis etiam Magistros tribuit, ut citius opus explerent, et expleto opere congregatio sancta incessanter pro salute Serenissimi Imperatoris et suorum heredum orarent. De Thesauro vero, quod manifestat sua carta cum litteris aureis, et totum donum, quod in hoc loco ipse transmisit, in ipsa Camera salvum esse statuimus: Tamen ipsam cartam in Camera nostri Palatii volumus, ut semper permaneat, et ut non valeat aliquis hoc dicere, quod illud Monasterium Sancti Zaccariae de alicujus Thesauro esset constructum, nisi de Sanctissimi Domini nostri Imperatoris LEONIS.
Nè l'aver mandato l'Imperadore quelle reliquie, perchè si riponessero nella Chiesa, adombra punto l'autenticità della scrittura, come se ciò non potesse attribuirsi a Lione V creduto Iconoclasta; perchè i Greci aveano tutta la venerazione a reliquie cotanto insigni; ma volevano, che per ciò non segli prestasse Culto Religioso; oltre che dopo il Concilio II di Nicea celebrato nell'anno 787 favorevole alle Reliquie e Imagini, i Greci furon divisi, e chi stava per lo Concilio Costantinopolitano, che le proibiva, chi per questo II Niceno; e Lione si adattò al costume d'Italia, dove non soleva consecrarsi Chiesa senza qualche Reliquia di Martire, o di Santo.
I savj e dotti Veneziani, che non si lasciano trasportare dall'enfatico stile de' loro moderni Storici, e singolarmente del Nani, con quelle ampollose frasi di Libertà nata colla Repubblica stessa, non riputano tali monumenti apocrifi, o strani, anzi riguardandosi ai passati tempi, sono ben proprj e conformi allo stato delle cose d'allora: poichè ad una Repubblica nuova stabilita negli ultimi tempi, non può certamente adattarsi quella innata Libertà, che vantano: se non fosse caduto dal Cielo in Terra un pezzo di Luna, o di altro Pianeta, sopra il quale da' nuovi uomini si fosse stabilita libera; ma sempre che si parla di nuova Repubblica fondata nell'Imperio, duopo è che riconoscano i loro maggiori la subordinazione degl'Imperadori sian d'Oriente, ovvero d'Occidente.
Anzi i Veneziani non meno degli uni che degli altri devono confessarla; poichè in decorso di tempo sempre più decadendo le forze dell'Imperio Greco in Italia, i successori di Carlo M. profittando della sua ruina, tornarono ad aggiunger Venezia al Regno Italico, sicchè Lodovico e Lotario, se ne reser padroni, e v'esercitarono sovranità, sino a far battere le loro monete col nome di Venecias, come facevano delle altre città d'Italia da lor possedute.