Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5», sayfa 11
Non meno in Napoli, che in tutte le province del Regno si videro multiplicati i monasteri de' Frati Minori e delle Suore Francescane; e col correr degli anni il di lor numero arrivò a tale, che non vi è città o castello ancorchè picciolo, che non abbia i suoi.
Surse in questo secolo un altro Ordine di Mendicanti, detto de' Romiti di S. Agostino. Innocenzio IV fu il primo che formò il disegno di unire diversi Ordini di Romiti in un solo; ma questo disegno fu poi eseguito dal suo successore Alessandro IV, il quale trattigli da' lor Romitaggi per istabilirgli nelle città, e per impiegargli nelle funzioni dell'ecclesiastica Gerarchia, ne fece una sola Congregazione sotto un sol Generale, e lor diede il nome de' Romiti di S. Agostino.
Non al pari de' due precedenti Ordini si multiplicarono presso di noi gli Agostiniani. Napoli in tempo degli Angioini ne noverava alcuni, come quello di S. Agostino, che secondo l'opinion più fondata, si crede aver avuti i suoi principii non prima di Carlo I d'Angiò ampliato poi, e con maggiori rendite arricchito da Carlo II suo figliuolo e dagli altri Principi di quella Casa243: l'altro di S. Giovanni a Carbonara fu fondato da Frate Giovanni d'Alessandria e Dionigi del Borgo per munificenza di Gualtieri Galeota, il quale negli anni 1339 e 1343 donò a' medesimi per la costruzione di quella Chiesa e Monastero tutte le sue case e giardini, che e' possedeva in quel luogo; cotanto poi ingrandito e ristorato dal Re Ladislao244. Ve ne furono altri, ma nelle province del Regno se ne stabilirono moltissimi.
Parimente l'Ordine de' Carmelitani non fece a questi tempi fra noi grandi progressi. Era stato istituito intorno l'anno 1121 da alcuni Romiti del Monte Carmelo, adunati dal Patriarca d'Antiochia per mettergli in comunità. Da poi ricevette nell'anno 1209 una Regola da Alberto Patriarca di Gerusalemme, che fu approvata in questo secolo da Onorio III. Cotesti Religiosi passarono in Occidente l'anno 1238 e si stabilirono in Congregazione e vi si diffusero; essendo stata poi la lor Regola spiegata e mitigata da Innocenzio IV l'anno 1245. Diffusi per Italia pervennero in Napoli; ove presso la porta del Mercato vi fabbricarono una piccola Chiesa con Convento. Venuta poscia la dolente Regina Margherita madre del Re Corradino a Napoli con molta quantità di gioje e di moneta per ricuperar dalle mani del Re Carlo il suo unico figliuolo, trovatolo morto e seppellito nella piccola Cappella della Croce, lo fece quindi torre; e fattogli celebrare convenienti esequie, diede per l'anima di colui a questa Chiesa tutto il tesoro, che avea seco portato. Re Carlo per mostrar di concorrere alla pietà della Regina, nell'anno 1260 loro concedè per ampliazion della Chiesa un luogo del suo demanio, che era quivi vicino, chiamato Morricino, e crebbe di poi in quella grandezza, che ora si vede. Altri ne furon da poi fondati in Napoli e nel Regno ma non tanti, finchè potessero uguagliare il numero de' Predicatori e de' Frati Minori.
Oltre di queste quattro Religioni di Mendicanti, sursero in questo secolo molte altre Congregazioni religiose, che tratto tratto furono anche introdotte nel nostro Regno. L'Ordine della Trinità della Redenzion degli Schiavi, fondato nell'anno 1198 da Giovanni di Mata di Provenza, Dottore di Parigi, e da Felice Anacoreta di Valois ed approvato due anni da poi da Innocenzio III. L'ordine de' Silvestrini, i quali seguitavano la Regola di S. Benedetto, fondato l'anno 1231 in Monte Fano da Silvestro Guzolino, che di Canonico si fece Romito, e trasse nella sua Comunità non poche persone. L'ordine di S. Maria della Mercede, fondato da S. Pietro Nolasco in Barcellona l'anno 1223 sotto l'autorità di Jacopo I Re d'Aragona, per consiglio di Raimondo di Pennaforte, ed approvato da Gregorio IX l'anno 1235. L'Ordine de' Serviti, il quale cominciò in Firenze l'anno 1234 approvato da Alessandro IV e da Benedetto XI. L'Ordine de' Cruciferi, ch'era quasi spento, fu restituito da Innocenzio IV tal che in Italia si rifecero alcuni Monasterj di nuovo; ed in Napoli da poi nel 1334 dalla famiglia Carmignana e Vespola fu conceduta a Fr. Marino di S. Severino in nome d'essi Cruciferi la Chiesa di S. Maria delle Vergini collo Spedale che ivi eravi, fuor della porta di S. Gennaro, perchè quivi dimorassero, e servissero gl'infermi di quello Spedale245. Ebbe ancora in questo secolo origine l'Ordine de' Celestini, istituito nel nostro Regno da Pietro di Morrone d'Isernia, che menando una vita tutta austera e solitaria alle falde della Majella, diè fuori la sua Regola, e fu tanto caro al Re Carlo I d'Angiò, che prese sotto la sua protezione tutti i suoi Monasterj; e la sua santità rilusse tanto, che dall'Eremo ascese al Pontificato sotto il nome di Celestino V. Pose il suo Ordine sotto la Regola di S. Benedetto, e l'approvò fatto Papa con una sua Bolla l'anno 1294, che fu poi nel 1297 confermato da Bonifacio VIII e da Benedetto XI nell'anno 1304. Non pur in Abruzzo, ma anche in Napoli ebbero i Celestini ricetto nell'istesso tempo del loro nascimento. Fu loro data una Chiesa vicino la porta chiamata anticamente di Donn'Orso, edificata, e di ricchi poderi dotata da Giovanni Pipino da Barletta M. Razionale della G. Corte e Conte di Minervino, e da Carlo II tenuto in sommo pregio, per aver col suo valore discacciati i Saraceni di Lucera di Puglia; e di lui in questa Chiesa se ne addita ancora il sepolcro. Fu chiamata perciò di S. Pietro a Majella; la quale ruinata dal tempo, fu nell'anno 1508 rifatta ed ampliata da Colanello Imperato M. Portolano di Barletta246.
Molti altri Ordini sursero in questo secolo, il numero de' quali era divenuto sì grande, che Gregorio X fu costretto nel Concilio general di Lione tenuto l'anno 1274 sospendere lo stabilirne de' nuovi, e vietare tutti quelli, ch'erano stati stabiliti dopo il quarto Concilio generale Lateranense, senz'essere stati approvati dalla Sede Appostolica. E d'un medesimo Ordine, ed in una stessa città se ne andavan costruendo tanti Conventi, che fu uopo a più Pontefici per varie loro Bolle247 stabilire una convenevol distanza di passi, perchè l'uno non togliesse il concorso all'altro, di cui eran tanto gelosi.
Ma di tanti Ordini i più distinti furono i Mendicanti, e fra questi i più favoriti da' romani Pontefici, furono i Frati Predicatori, ed i Frati Minori. Essi s'erano sopra gli altri segnalati per le spedizioni contro gli Eretici di questi tempi, ed aveano fatti altri importanti servigi alla Chiesa di Roma; perciò furono sopra gli altri innalzati ed arricchiti di molti privilegi e prerogative. Innocenzio III ed Onorio III concedè loro esenzione dagli Ordinarii, e vollero che fossero sottoposti immediatamente alla Sede Appostolica. Così essi come gli altri Religiosi Mendicanti, appoggiati sopra i privilegi lor conceduti da' Pontefici pretesero aver diritto di confessare e di dar l'assoluzione a' Fedeli senza dimandarne la permissione, non solo a' Curati, ma nè pure a Vescovi: di che nacquero tanti ostinati litigi col Clero secolare, che per comporgli s'affaticarono più Papi.
Ma se mai meritarono questi novelli Religiosi il favore de' Pontefici romani, per niun'altra cagione era loro certamente più ben dovuto, quanto che per essi fu stabilita la nuova teologia Scolastica, la quale avendo fatto andare in disuso la Dogmatica, e posto in dimenticanza lo studio dell'antichità e dell'istoria ecclesiastica, tenne occupati gl'ingegni a quistioni astratte ed inutili, e a dispute piene di tanta oscurità, di tanti contrasti e di tanti raggiri, che non vi furono se non coloro, ch'erano versati in quell'arte, che potessero comprenderne qualche cosa.
Questa sorta di studj, allontanandogli dall'antichità e dall'istoria, piacquero a Roma, e tanto più, quanto che la potestà de' Pontefici romani era innalzata in infinito, non prescrivendo loro nè termine, nè confine: e ciò anche bisognava farlo per proprio interesse; perchè avendo essi ottenute da Roma ampissime esenzioni e grandi privilegi, perchè loro valessero e potessero contro i Vescovi e Curati sostenergli, bisognava ingrandire la potestà del concedente. Quindi i Decretisti da una parte, e gli Scolastici dall'altra cospirarono insieme a stabilir meglio la Monarchia romana, e far riputare il Papa supremo Principe non meno dello spirituale, che del temporale.
Ma parrà cosa stupenda come queste Religioni fondate nella mendicità, onde presero il nome di Mendicanti, e che nacquero per lo rilasciamento della disciplina ed osservanza regolare, cagionato dalle tante ricchezze, avessero potuto in progresso di tempo far tanti acquisti, sicchè per quest'istesso bisognasse pensare ad altra Riforma, la quale nemmeno ha bastato. Ma a chi considererà la condizione degli uomini sempre appassionati alle novità ed a' modi tenuti da Roma, a cui ha importato sempre stendere i di loro acquisti, perchè finalmente a lei veniva a ricadere la maggior parte, non parrà cosa strana o maravigliosa. I Monaci vecchi avendo già perduto il credito di santità, ed il fervore della milizia sacra essendosi intepidito: li Frati Mendicanti, per quest'istesso che professavano povertà, essendosi accreditati, invogliavano maggiormente i Fedeli ad arricchirgli; imperocchè essi s'erano spogliati affatto della facoltà d'acquistar stabili, e fatto voto di vivere di sole oblazioni ed elemosine; ed ancorchè trovassero molte persone loro divote, ch'erano prontissime di dar loro stabili e poderi, contuttociò per lo loro istituto non potendo ricevergli, rifiutavano l'offerte. A ciò fu subito da Roma trovata una buona via: perchè fu conceduto dalla Sede Appostolica privilegio a' Frati Mendicanti di poter acquistare stabili, con tutto che per voto ed istituzione loro era proibito. Per cotal ritrovamento, subito i Monasteri de' Mendicanti d'Italia e di Spagna e d'altri Regni fecero in breve tempo grandi acquisti di stabili. In Francia solo i Franzesi s'opposero a tal novità, dicendo, che siccome erano entrati nel loro Regno con quell'istituto di povertà, così conveniva, che con quella perseverassero.
Ma nel nostro Regno, particolarmente a tempo degli Angioini ligi de' romani Pontefici, i loro acquisti furono notabili, massimamente ne' tempi dello scisma, quando tutto il rimanente dell'Ordine Chericale era in poco credito, ed all'incontro tutto il credito era dei Monaci. Assaggiate ch'essi ebbero le comodità ed agi, che lor recavan le ricchezze, non trovaron poi nè modo nè misura, siccome è difficile trovarlo quando si oltrepassano i confini del giusto per estraricchire. Per vie più accrescerle e tirar la divozione de' Popoli inventarono molte particolari divozioni. I Domenicani istituirono quella del Rosario. I Francescani l'altra del Cordone. Gli Agostiniani quella della Coreggia; e gli Carmelitani l'altra degli Abitini; e poi al di loro esempio non mancarono l'altre Religioni d'inventar anch'esse le proprie insegne, chi Scapularii, e chi altre particolari divozioni; e per lo profitto che se ne traeva, diedero in eccessi, ciascuno innalzando l'efficacia ed il valore della propria insegna, con depressione dell'altre. I Domenicani esageravano il valor del Rosario. I Francescani a' loro Cordonati quello del Cordone. Gli Agostiniani a' suoi Coreggiati il proprio della Coreggia; ed i Carmelitani il loro degli Abitini; e con questo trassero non men gli uomini, che le donne a rosariarsi, a cordonarsi, a coreggiarsi, e ad abitiniarsi, e ad ergere proprie Cappelle, Congregazioni, favorite sempre da' romani Pontefici con indulgenze plenarie, e remissione di tutti i peccati ed altre prerogative.
(Non dee alcun credere, che questi vocaboli di Coreggiati, Rosariati, Cordonati, ec. siansi posti per derisione; poichè così si nominano nelle Bolle stesse Papali, da' Canonisti e da' Curiali stessi di Roma. Il Cardinal de Luca, ch'essendo Avvocato in Roma, ebbe sovente a difender liti istituite in quella Curia o dagli uni o dagli altri in più suoi discorsi, non si vale di altri termini. Leggasi il Tamburino248, ove rapporta più Bolle di sommi Pontefici, che così gli chiamano, con darne di più la derivazione, scrivendo, che le donne si chiamano Corrigiatae ec. quatenus Corrigiam S. Augustini cingunt. E lo stesso ripete nella disp. 7 qu. 10 n. 4. Il Cardin. de Luca249 fa un Catalogo di questi nomi, li quali non altronde derivano, che da simiglianti cagioni: Quae appellari solent (ei dice) Conversae, Tertiariae, Biguinae, Corrigariae, Mantellatae, Pinzoncheriae, Canonissae, Jesuitissae ec., ciochè sovente questo medesimo Scrittore rapporta in altri suoi discorsi, particolarmente de Jurisdictione, part. 1 disc. 45 n. 3 ed altrove).
E fu tanta sopra ciò la loro emulazione, che ciascuno guardava l'altro perchè non si valesse della sua insegna per tirar a se la gente, ovvero s'ingegnasse d'introdurne un'altra simile a quella: e sovente vennero a contrasti, e ad istituirne liti in Roma, insino se un Francescano tentava all'immagine di nostra Signora farvi dal dipintore aggiungerci un Rosario denotante nuova istituzione, sicchè per quella si scemasse il concorso a' Domenicani, e s'accrescesse agli emoli Francescani. Frat'Ambrogio Salvio da Bagnuolo dell'Ordine de' Predicatori famoso Oratore e poi Vescovo di Nardò, cotanto per le sue prediche grato all'Imperador Carlo V ed al Pontefice Pio V, ed a cui i Napoletani eressero una statua di marmo nella Chiesa dello Spirito Santo, che fu zio del Dottor Alessandro Salvio, celebre ancor egli per lettere e per lo famoso trattato, che compilò del Giuoco degli Scacchi; perchè il rosariare fosse solo de' Domenicani, e non potessero altri arrogarsi tal facoltà, ebbe nell'anno 1569 ricorso al Pontefice Pio V da cui ottenne Bolla250, per la quale fu interdetto e vietato a tutti gli altri d'ergere Cappelle e Confraterie del Rosario; e che tal facoltà fosse solamente del Generale dell'Ordine di S. Domenico, o suoi Deputati, concedendola ancora per ispezial favore al medesimo Frat'Ambrogio.
Per l'occasione di queste particolari divozioni per maggiormente infiammar i devoti, s'inventavano molti finti miracoli, ed oltre di predicargli a voce, se ne compilavano libri, tantochè, siccome avvertì Bacon di Verulamio251 per questa parte resero l'istoria ecclesiastica così impura, che vi bisogna ora molta critica, e gran travaglio per separare i finti miracoli dalli veri. Cotali furono i principj di questi nuovi acquisti in questo decimoterzo secolo, i quali ricevettero molto maggiore augumento per tutto il tempo, che fra noi regnarono gli Angioini, gli avvenimenti de' quali bisognerà riportare ne' seguenti libri di quest'Istoria.
FINE DEL LIBRO DECIMONONO
LIBRO VENTESIMO
I Franzesi al tempo della declinazione dell'Imperio romano abitarono quel paese volto al Settentrione che tra la Baviera e la Sassonia, si distende lungo le rive del Reno, e che sino al presente Franconia dal nome di questa Nazione vien nominato. Indebolito l'Imperio, e cessato lo spavento della potenza romana, invitati dall'esempio degli altri Popoli vicini, deliberarono colla forza dell'armi procacciarsi più comodo vivere, e più larga e fertile abitazione; ed avendo eletto in loro Re Faramondo, uno de' figliuoli di Marcomiro, sotto la di lui condotta, passato il Reno, si volsero alla conquista delle Gallie intorno l'anno 419 lasciando il dominio della Franconia al vecchio Principe Marcomiro. Clodione figliuolo di Faramondo distese le conquiste, e cominciò a signoreggiar quella parte delle Gallie, che più propinqua alle rive del Reno, Belgica vien nomata. Successe a costui Meroveo, non si sa di certo, se fratello, o se figliuolo di lui, ma prossimo al sicuro e congiunto di sangue, il quale con valorosi progressi, dilatandosi nelle parti della Gallia Celtica propagò l'imperio de' suoi Franzesi sino alla città di Parigi, e giudicando aver acquistato tanto, che bastasse a mantenere i suoi Popoli, ed a formare un giusto, e moderato governo fermò il corso delle sue conquiste, e rivoltato l'animo a' pensieri di pace, abbracciò ambedue le Nazioni sotto al medesimo nome, e con leggi moderate e con pacifico governo, fondò e stabilì nel possesso delle Gallie il Regno de' Franzesi.
Continuò con ordinata successione la discendenza Reale in questa prima stirpe de' Merovingi, insino all'ultimo Re Chilperico. Pipino la trasferì poi nella famiglia de' Carolini; ma essendo questa seconda stirpe mancata, Ugo Capeto diede principio alla terza, detta perciò de' Capeti: di cui nacquero i Filippi ed i Luigi per cui la Francia fu gran tempo governata; ed essendosi continuata per molti secoli la successione in questa stirpe, pervenne a questi tempi alla possessione del Regno il Re Lodovico IX di questo nome, quegli il quale per l'innocenza della vita e per l'integrità de' costumi, meritò dopo la morte d'essere ascritto tra' Santi. Fratello di questo Re fu Carlo Conte di Provenza e d'Angiò, il quale per le cagioni nel precedente libro esposte, essendo stato invitato alla conquista del Regno, con prosperi avvenimenti ridusse l'impresa a compiuto fine, e stabilì in Puglia ed in Sicilia il Regno degli Angioini.
Nel narrare i successi ed i cambiamenti del governo civile accaduti nel Regno loro, serbarò, contro il costume degli altri Scrittori, maggior brevità di quel che sinora abbiam fatto. La dovizia istessa e copia grande delle loro memorie lasciateci, e 'l veder la maggior parte d'esse notate in molti volumi di nostri Autori, e d'essersene tessute più istorie, mi fa sperare, che rese ormai note e divulgate, di non mi si dovere imputare a difetto l'averle in parte taciute. De' fatti degli Angioini, e degli altri seguenti Re, molto da' nostri si trova scritto: de' predecessori nostri Principi molto poco, e tutto intrigato. Ciò nacque da più cagioni: principalmente per non avere i Principi normanni e gli svevi fermata la loro Sede regia in Napoli, o in altra città di queste nostre province, e d'esserci perciò mancati delle loro memorie pubblici Archivii. Le tante guerre poi, e revoluzioni accadute; gl'incendi, e' saccheggiamenti di quelle città, che avrebbero potuto conservargli, come di Capua, Benevento, Salerno e Melfi; e finalmente la barbarie e l'ignoranza de' Scrittori mal disposti a tesserne istoria, ne cancellarono quasi ogni memoria. Molto perciò dobbiamo a' monasterj della Regola di S. Benedetto, e sopra tutto a quello di Monte Cassino, in cui serbansi le memorie più vetuste anche de' Goti, essendo il più antico Archivio che abbiamo nel Regno; ed a' due altri della Trinità della Cava, e di Monte Vergine, dove sta raccolto quanto mai de' Normanni è a noi rimaso. Molto ancora dobbiamo a' loro Monaci; poichè qualche antica Cronaca, e qualche mal composta Istoria ad essi la dobbiamo. De' Re della illustre Casa di Svevia, per aver avuti costoro nemici i Pontefici romani, gli Scrittori italiani, che per lo più furono Guelfi, ne scrissero con molto strapazzo, con gran pregiudizio della verità; e se qualche straniero, o qualche Cronaca novellamente trovata, non vi rimediava, si sarebbe nella medesima ignoranza e pregiudicj.
Non così avvenne ne' tempi di questi Re della Casa d'Angiò; poichè avendo Carlo principiato adornar Napoli con magnifici tempj ed edifici, e dopo la separazione del Reame di Sicilia, avendola renduta regia sede, e capo e metropoli del Regno: quindi avvenne, che tennesi maggior conto de' regali diplomi, e delle altre lor memorie, e si diede miglior forma in Napoli a' regi Archivii. Carlo fu il primo, che ordinò in Napoli l'Archivio della Zecca, che prima era in potere de' Maestri Razionali, ed in miglior forma lo ridusse; ond'ebbe lunga durata, e ancor dura, ed è il più antico, che oggi abbiamo in questa città. Si conservano in quello 436 registri, cominciando dal Re Carlo I dall'anno 1267 che fu il secondo anno del suo Regno, insino alla Regina Giovanna II ove molte scritture, anche nella lor lingua franzese, sono dettate. Di Carlo I si trovano cinquantacinque registri, e più di Carlo II suo figliuolo, ch'ebbe più anni di Regno, insino al numero di 153. Di Roberto, 117. Di Carlo suo figliuolo, Vicario che fu del Regno, 62. Della Regina Giovanna I, 32. Di Carlo III della seconda razza d'Angiò non più che tre. Di Ladislao, diece, e della Regina Giovanna II sua sorella, quattro252. Per questo oggi giorno vediamo, che le scritture, che si conservano in quello Archivio non hanno maggior antichità, se non di quella de' tempi di Carlo I d'Angiò. Solamente quasi per miracolo vi è rimaso un registro dell'Imperador Federico II d'un solo anno, cioè del 1239. Ed è da credersi, che a ciò vi cooperasse Carlo per estinguere affatto la memoria de' Re svevi, a' quali egli era succeduto, non già per ragion ereditaria, ma per ragion di guerra, e di papali inviti253. Quindi avvenne, che i nostri Scrittori furono più copiosi ed abbondanti in registrar la memoria degli Angioini, che degli altri Re predecessori.
S'aggiunse ancora, che costoro regnarono in tempi, ne' quali la barbarie non era cotanta, e cominciavano pian piano in Italia, e presso di noi a risorgere le buone lettere, e ad aversi buon gusto dell'istoria. Aveva Fiorenza Giovanni, e Matteo Villani, che coetanei de' due Carli e di Roberto, non mancarono di mandar alla memoria de' posteri le loro gesta.
Successero poi uomini più illustri, come il Petrarca, e Giovan Boccaccio, i quali nelle loro opere de' Re angioini ci lasciaron non poche memorie, come da coloro ben careggiati, e tenuti in sommo pregio: e tra' nostri non mancarono ancora chi i fatti di questi Re notasse, come Matteo di Giovenazzo, che scrisse dalla morte di Federico II sin a' tempi di Carlo II ne' quali visse: l'Autore de' giornali chiamati del Duca di Montelione, ne' quali furono annotate dì per dì le cose fatte dal tempo della Regina Giovanna I fin alla morte di Re Alfonso I e Pietro degli Umili di Gaeta, che scrisse a pieno delle cose del Re Ladislao, il qual visse a quel tempo, e fu Ufficiale della Tesoreria di quel Re. Dalle memorie de' quali e da altri gravi Autori, confortato da quei due grandi uomini Giacomo Sannazaro e Francesco Poderico, compilò poi Angelo di Costanzo quella sua grave e giudiziosa Istoria del Regno di Napoli, che siccome oscurò tutto ciò, che insin allora erasi scritto, così ancora per la sua gravità, prudenza civile ed eleganza, si lasciò indietro tutte le altre che furono compilate dopo lui dalla turba d'infiniti altri Scrittori. Per questa cagione l'Istoria di questo insigne Scrittore sarà da noi più di qualunque altra seguitata, nè ci terremo a vergogna se alle volte colle sue medesime parole, come che assai gravi e proprie, saranno narrati i loro avvenimenti.
Carlo adunque, dopo essersi con que' mezzi di sopra narrati stabilito ne' due Reami di Puglia e di Sicilia, dopo aversi reso benevoli molti Baroni del suo partito con profuse donazioni, e dopo, per maggiore sua sicurezza fatti fermare nel Regno molti Signori franzesi, a cui diede molti feudi, onde nuove famiglie in esso ci vennero, erasi reso formidabile per tutta Italia e riputato uno de' maggiori Re d'Europa; e stendendo le sue forze oltre i confini di questi Reami, aveasi ancora reso tributario il Regno di Tunisi, e come uomo ambiziosissimo ed avido di Signoria, aspirava all'Imperio di Costantinopoli, e tutto il suo studio era di cacciar da quella Sede Paleologo, che allora imperava in Oriente. E forse gli sarebbe riuscito, se in Gregorio successore di Clemente avesse trovato quelle medesime inclinazioni ed affetti, che in costui furono.
Era stata la Sede Appostolica, per le discordie dei Cardinali, vacante poco men di tre anni dopo la morte di Clemente; nè vi bisognò meno, che la presenza del Re Filippo di Francia, e d'Errico, e d'Odoardo l'uno nipote e l'altro figlio del Re d'Inghilterra, per ridurre i Cardinali a rifar il successore; poichè questi Principi, che ritornavano d'Affrica, passati per Sicilia e Napoli, ritornando a' loro Stati, andarono a Viterbo per sollecitare i Cardinali per l'elezione, i quali finalmente mossi dalla presenza di que' Signori, non convenendo in niun di loro, finalmente nel dì 1 di settembre di quest'anno 1271 elessero persona fuor del Collegio, che fu Teobaldo di Piacenza della famiglia de' Visconti Arcidiacono di Liegi, che a quel tempo si trovava in Asia Legato appostolico nell'esercito cristiano contro Infedeli; che fattosi nel seguente anno coronare a Viterbo, fu chiamato Gregorio X, il quale ammaestrato da' precedenti disordini, fu il primo che fece la legge di chiudere dopo la morte del Papa i Cardinali in Conclave, e di tenervigli finchè avessero eletto il successore.
Fatta l'elezione del nuovo Pontefice, Re Filippo se n'andò in Francia, e Re Carlo ritornò in Napoli: questi considerando, che Filippo suo figliuolo secondogenito era morto, un altro chiamato Roberto terzogenito era pur morto sin nel 1265 e che Carlo suo primogenito (investito da lui del Principato di Salerno colla corona o cerchio d'oro, del Contado di Lesina con lo stendardo, e dell'Onore di Monte S. Angelo coll'anello254) non avea ancor figliuoli maschi, egli nel nuovo anno 1272 tolse la seconda moglie, figliuola (secondo il Costanzo) di Balduino di Fiandra, ultimo Imperador di Costantinopoli, per via della quale sperava acquistar parte dell'Imperio di Oriente: ancorchè il Sigonio dica, che fu figliuola non già di Balduino, ma del Duca di Borgogna. Furono perciò in Napoli fatte gran feste e giostre, ed armati da lui molti gentiluomini con cingolo militare e fatti Cavalieri. Fu anche quest'anno assai lieto al Re, perchè nella fine del medesimo al Principe di Salerno successore del Regno, che non avea altro che figliuole femmine, nacque un figliuolo chiamato Carlo Martello, che fu poi Re d'Ungheria, del che si fece festa non solo in Napoli, ma in tutte l'altre città del Regno.
Ma poi che Carlo ebbe novella, che tornava da Soria il nuovo eletto Pontefice, e veniva a dismontare in Puglia, cavalcò, ed andò subito in Manfredonia ad aspettarlo e lo ricevè con molta stima ed onore, e volle accompagnarlo per Capitanata e per Abbruzzo fin a Campagna di Roma, lusingandosi con queste carezze tirar Gregorio a dar mano all'impresa, ch'ei meditava di Costantinopoli; ma il novello Pontefice, che stato lungamente in Soria, teneva grande affezione a quella guerra, coronato che fu, nel primo Concistoro fece nota a tutto il Collegio l'intenzion sua, che era d'impiegare tutte le forze del Ponteficato all'impresa di Soria contra Infedeli; la qual cosa, subito che fu scritta al Re Carlo, s'accorse quanto avea perduto con la morte dell'altro Papa suo predecessore.
Era a quel tempo venuto di Grecia Filippo figliuolo dell'ultimo Balduino, genero e cognato di Re Carlo, per sollecitarlo che venisse all'impresa di Costantinopoli, e 'l Re gli consigliò che andasse al Papa: e mandò con lui per Ambasciador suo il Vescovo d'Avignone, i quali trattando insieme col Papa, che volesse contribuire al soccorso, come si conveniva, per far unire la Chiesa greca colla latina, lo ritrovarono molto alieno da tal pensiero; perchè il Paleologo, che avea occupato l'Imperio, in quel medesimo tempo avea mandati Ambasciadori al Papa, offerendogli di ridurre la Chiesa greca all'ubbidienza della romana; onde Gregorio, che stimava più il bene universale de' Cristiani che il particolare dell'Imperador Balduino, e che voleva più tosto l'amicizia di colui, che possedeva l'Imperio e poteva sovvenire all'esercito cristiano nel riacquisto di Terra Santa, che divertirsi dall'aiuto dei Cristiani per rimettere nello Stato Balduino; si mosse da Orvieto, escludendolo da questa speranza, e se ne andò in Francia a celebrare il Concilio in Lione, per invitare il Re di Francia e d'Inghilterra, e gli altri Principi oltramontani alla medesima impresa. Il Paleologo, ch'avea inteso, che Balduino era andato in persona al Papa, per gelosia ch'ebbe, che non fosse di più efficacia la presenza di lui, che l'intelligenza degli Ambasciadori suoi, si mosse da Costantinopoli e condusse seco il Patriarca e gli altri Prelati del suo dominio a dare ubbidienza al Papa, dal quale fu accolto con grandissimo onore, ed ottenne quanto volle, e se ne tornò subito in Grecia, confermato Imperadore dalla Sede Appostolica255. Si adoperò ancora Gregorio, che Ridolfo Conte d'Ausburg fosse eletto Imperador d'Occidente, essendo vacato l'Imperio molti anni, affine d'unire questi Principi al riacquisto di Terra Santa.
Tutte queste cose molto dispiacquero al Re Carlo; e avendo Gregorio nel 1274 aperto già il Concilio in Lione, ed invitato Fra Bonaventura, soprannomato il Dottor Serafico, che era stato creato Cardinale, e Fra Tommaso d'Aquino, il Dottor Angelico, perchè dovendosi trattare dell'unione della Chiesa greca e latina, potessero questi due insigni Teologi confutar gli errori de' Greci; Carlo temendo che Tommaso, il qual partiva di Napoli, dove in quest'università leggeva teologia, ed al quale erano note le sue crudeltà, nel Concilio non maggiormente esacerbasse l'animo del Pontefice, passando egli per Fossanova, luogo non molto lontano da Terracina, lo fece avvelenare, onde ivi nel monastero de' Monaci Cisterciensi trapassò nel dì 7 marzo dello stesso anno, in età di 50 anni. Ciò che Dante256 noverò tra le altre fierezze e crudeltà di questo Principe, dicendo:
Carlo venne in Italia, e per ammenda
Vittima fè di Corradino; e poi
Ripinse al Ciel Tommaso per ammenda.
Scorgendo per tanto Re Carlo l'animo del Pontefice non esser niente disposto a secondare i suoi desiderj, differì i suoi disegni; e mentre Gregorio visse, non si travagliò molto per le cose d'Italia, nè fuori di quella: ma fermato in Napoli, attese a magnificarla, ed a dar nuovo sistema alle cose di questo Regno, cominciando da lui queste nostre province a riconoscer Napoli per loro capo e metropoli.