Sadece LitRes`te okuyun

Kitap dosya olarak indirilemez ancak uygulamamız üzerinden veya online olarak web sitemizden okunabilir.

Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5», sayfa 15

Yazı tipi:

Ridotto per questi nuovi Capitoli l'esser nobile di Seggio in più alta stima, così per lo rigore, che praticavasi nell'aggregazioni, come anche per passare i negozi più importanti per le mani de' Nobili, e perchè i Signori Vicerè nel trattare gli affari regi avean sovente bisogno di essi, onde quando prima non molto si curavano queste aggregazioni, si fece da poi così desiderabile esser di Piazza, che non vi era famiglia, nè Signore o Ministro regio, che non movesse ogni impegno per aggregarvisi; sicchè infastidite le Piazze per le tante dimande, si tolsero per sè medesime l'autorità di aggregare, risegnandola in mano del Re; di modo che ordinò Filippo II, che senza sua saputa e licenza non si potesse trattare aggregazione o reintegrazione alcuna nelle Piazze di Napoli; e volendosi di ciò trattare, s'ottenesse prima licenza di Sua Maestà, e poi congregati tutti i Nobili di quel Seggio, e propostasi la dimanda, non essendovi discrepanza, fosse ammesso colui, che dimandava l'aggregazione, altrimenti, discrepando uno d'essi Nobili, il trattato fosse nullo: ciò che riusciva molto difficile, ed era esporsi ad un cimento molto pericoloso. Per la qual cosa molti impresero più tosto per via di giustizia pretender reintegrazione, portando, che alcuni de' loro maggiori avessero goduto in quelle Piazze, che esporsi al cimento difficile dell'aggregazione. Sicchè al presente il Re tien deputati cinque Consiglieri, ed un Fiscale nel S. C. a sentenziare sopra le loro istanze, ottenuta prima licenza dal Re di potersi trattare la reintegrazione. Al cui esempio le città minori delle province, alcune delle quali hanno Seggi chiusi, ottennero parimente dal Re, che senza sua licenza non potessero trattarsi reintegrazioni, ovvero aggregazioni.

L'altra cagione, onde questi Seggi si fossero resi cotanto pregevoli, si fu di 29 ch'erano in prima, essersi ultimamente ridotti a soli cinque, di Capuana, Nido, Montagna, Porto e Portanova. Quando si fosse fatta tal restrizione, non è di tutti conforme il sentimento, poichè non vi sono scritture che ci possano accertare del tempo preciso; ma poichè quest'unione non si fece tutta in un tratto, egli è verisimile, che negli ultimi anni del Regno di Roberto quella si perfezionasse. Ed il modo come tutti que' Seggi minori s'unissero a questi cinque, fu così naturale e proprio, che sarebbe maraviglia se s'osservasse il contrario; poichè quasi tutti questi Seggi si componevano di sei o otto famiglie, quante forse n'erano in quelle minori contrade, ed essendo dipendenti dal Seggio maggiore, in decorso di tempo sovente accadeva, che spenta la maggior parte d'esse, e poche famiglie rimaste, queste se ne passavano al suo principale Seggio, e restavano estinti i minori; onde si vede, che poi i Nobili del principal Seggio vendevano il luogo, ove era il Teatro o portico351; così vedesi il Seggio de' Melazi, appartenente al Seggio di Capuana, ne' tempi di Roberto, intorno l'anno 1325 essere stato venduto dalla Piazza di Capuana, per essere spente le famiglie, che quello componevano. Così ancora nell'anno 1331 per comandamento della Regina moglie di Roberto fu abbattuto il Seggio delli Griffi. Ed il Seggio di Somma Piazza, altrimente detto il Seggio de' Rocchi, essendo mancate le famiglie, che lo componevano, e rimasto per ricettacolo de' malfattori, la Reina Giovanna II lo donò ad Antonello Centonze da Tiano. Parimente i Nobili di Montagna venderono il Seggio de' Cimbri, come cosa lor propria, a D. Fabio Rosso. Ed in questa maniera tratto tratto si ridussero tutti a' loro Seggi maggiori.

Ma come, ed in qual tempo si facesse l'unione d'un Seggio maggiore ad un altro parimente maggiore, come fu quello di Forcella a quello di Montagna, è d'uopo che si narri. Alcuni portarono opinione, ch'essendo mancate ne' tempi di Carlo I nella Piazza di Forcella molte famiglie, si fosse fatta da poi nel Regno di Carlo II suo figliuolo questa unione. Ma siccome notò prima il Summonte352, e da poi il Tutini353, ciò è falso; poichè tra' Collettori dell'anno 1300 nel Regno di Carlo II destinati all'esazione delle collette, si legge Niccolò Saduccio Collettor di Forcella, e ne' Capitoli del Re Roberto, si vede convenire Giacomo Chianula per la Piazza di Forcella, insieme con gli altri deputati nobili dell'altre Piazze354.

Non è da rifiutarsi perciò l'opinione del Tutini, che credette quest'unione essersi fatta negli ultimi anni del Regno di Roberto, con l'occasione della discordia nata fra' Nobili delle due Piazze, Capuana, e Nido, co' Nobili dell'altre Piazze, intorno alla quale Roberto avendo ordinati alcuni stabilimenti, rapportati dal Summonte355 e dal medesimo Tutini, e facendo in quelli solamente menzione di sei Eletti, comprendendo in essi quello del Popolo, si ricava, che in questi tempi la Piazza di Forcella era già unita a quella di Montagna. Ciò che maggiormente si conferma da una carta della Regina Giovanna I. rapportata dall'istesso Tutini, nella quale, avendo ne' primi anni del suo Regno ordinato, che si facesse inquisizione di tutti i Feudatari del Regno, si notano i Feudatari de' Seggi di Napoli Piazza per Piazza, e non si fa in essa altra menzione, se non de' soli cinque.

Nella quale unione è da notarsi, che per essere il Seggio di Forcella Seggio maggiore, che s'unì ad un altro maggiore, perciò la Piazza di Montagna fa due Eletti, uno per se, e l'altro rappresentando quel di Forcella. Ciò che non avvenne nell'unione degli altri Seggi minori uniti alle principali loro Piazze, perchè essendo questi dipendenti da quelli, bastava un Eletto per tutti. Solo per conservar la loro memoria è rimasta l'elezione degli Ufficiali, che ciascuno di questi cinque Seggi crea con nome di sei, e cinque Capitani de' Nobili, i quali uniti tutti insieme, fanno il numero de' 29 rappresentanti ciascuno d'essi uno di quegli antichi Seggi356. Questi hanno prerogativa di far convocar i Nobili per trattar i pubblici affari, propongono i punti, che devono risolversi, ricevono i voti ed hanno grand'autorità nell'assemblee, e sono da' Nobili creati ogni anno, ed oggi tengon titolo di Deputati.

Ridotti adunque ed incorporati tutti questi Seggi a' soli cinque, e disfatti tutti gli altri, cominciarono in varii e diversi tempi ad ampliare con magnifici edifici i loro teatri, e ridursi i portici in quella magnificenza, che oggi si vede; ed essendo poi di tempo in tempo con nuovi edifici ampliata la città, e venuta a quella portentosa grandezza, che oggi s'ammira, crebbero a proporzione i loro quartieri e si resero più spaziosi. Sono tutti cinque uguali, e non hanno maggioranza infra di loro, ancorchè que' di Capuana e Nido, per lo splendore de' loro Nobili, per cagion degli ampii Stati e ricchezze che possedono, vantino sopra gli altri maggiore preminenza.

Hanno molte prerogative, non solo di creare gli Eletti, i quali con quello del Popolo governano la città, convenendo insieme nel loro Tribunale a trattare i negozi del Pubblico, ma esercitano ancora molte giurisdizioni, e fra l'altre di dichiarar i Popolani nobili del Popolo napoletano, e conceder lettere di cittadinanza. Hanno parimente i Nobili di queste Piazze autorità di creare il Sindico, che ne' Parlamenti generali ed in altre pubbliche funzioni, appresso il Vicerè rappresenta non meno la città, che tutto il Regno. Comunicano insieme i Nobili di Capuana e Nido, quando s'uniscono per trattare i negozi del pubblico, potendo l'uno andare al Seggio dell'altro, con dar i voti; ma non perciò possono ricevere uffici, se non ognuno nel suo proprio Seggio. Hanno ancora una legge fra loro circa il contrarre i matrimoni, detta la nuova maniera di Capuana e Nido. Ed i Nobili di Montagna aveano anch'essi anticamente nuovo modo circa il dar delle doti alle Gentildonne della loro Piazza. Ed in Napoli ancora nell'età vetusta v'era un altro modo di contratto dotale all'usanza delle Contesse e Baronesse del Regno.

Non riconoscendosi nella città di Napoli se non che due Ordini, di Nobiltà e di Popolo, poichè lo Stato ecclesiastico, che in Francia fa ordine a parte, presso di noi non è riputato Ordine separato; ma (siccome l'Ordine de' Magistrati) è rimasto mescolato tra la Nobiltà e Popolo, perciò nel governo della medesima, non si ammettono se non Nobili e del Popolo. Quindi è, che appartenendosi il governo della medesima non meno a' Nobili che al Popolo, siccome fu sempre, come ben pruova il Tutini357, perciò oltre le cinque soprannomate Piazze, evvene un'altra del Popolo, la quale non altrimenti che quelle de' Nobili, elegge il suo Eletto, crea i suoi Ufficiali, tiene le sue regioni minori, che chiamano Ottine, ed è partecipe insieme co' Nobili del governo delle città, e di tutti gli altri onori e preminenze358.

Ma all'incontro, dimorando in questa città molte nobili ed illustri famiglie, le quali non comunicano nè con la Nobiltà, nè col Popolo: perciò queste si riputano come fuori del Corpo della cittadinanza, traendo esse la maggior parte l'origine da altre città di dentro e fuori del Regno. Nè tal Nobiltà ha sede o luogo; perchè altrimente dovrebbe ancor ella aver parte nei paesi, e negli onori insieme con gli altri Nobili de' cinque Seggi.

Per questa cagione a' tempi di D. Pietro di Toledo, allora Vicerè, cadde in pensiero a molte famiglie, che non erano aggregate a' Seggi, nè comunicavano col Popolo, di supplicar Carlo V, che traendo esse origine da famiglie illustri, nobilitate con feudi, per lunghi anni signore di vassalli, ed imparentate con Nobili di Piazze, che dovessero ammettersi a' Seggi ovvero di conceder loro licenza, che potessero edificare un nuovo Seggio, e goder degli onori e pesi, che godono i Nobili della loro città. Ma trovandosi allora implicato l'Imperadore alla guerra di Siena, non potè darvi alcun provvedimento; ed intanto perchè molte di quelle famiglie furono poi ammesse a' Seggi, non vi si fece altro. Ma da poi correndo l'anno 1558 si rinovò la dimanda da quelle Case, che non furono aggregate, e da molte famiglie spagnuole, le quali ne supplicarono il Re Filippo II ma rimesso dal Re l'affare a giustizia, s'impose a quello perpetuo silenzio. Ultimamente nell'anno 1637 molte illustri famiglie, come gli Aquini, Eboli, Filangieri, Gambacorti, Ajerbi d'Aragona, Concobletti, Orsini, Marchesi, Franchi, Leiva, Mendozza ed altre, posero di nuovo in tratto d'ergere un nuovo Seggio, e ne ricorsero al Re Filippo IV; ma dopo un lungo aspettare, secondo la solita tardità e lunghezza di quella Corte, stancati finalmente i pretendenti, non ne fecero più parola, tanto che proccuraron da poi d'essere aggregati negli antichi Seggi, dove sono stati ammessi.

§. I. Parlamenti generali cominciati a convocarsi in Napoli

Da' precedenti libri di quest'Istoria si è potuto notare che i Re di Sicilia, quando o per occasione di stabilir nuove leggi, ovvero per altri bisogni dello Stato convocavano le Corti generali, non in Napoli, ma in varie città del Regno l'intimavano. Così ora in Melfi, ora in Ariano, ora in Bari, in S. Germano, Capua, Barletta ed altrove tennero Parlamenti. Ma da poi che Carlo d'Angiò, residendo per lo più in Napoli, invitò ad abitare in quella quasi tutti i Baroni, i Signori ed i maggiori Ufficiali del Regno, fu questa città riputata la più acconcia e comoda, per potersi quivi convocare le generali Assemblee, dove trovandosi la maggior parte de' Baroni, e venendo i Sindici delle altre città e terre del Regno, s'univano i due Ordini della Nobiltà e del Popolo a deliberare delle cose importanti e rimarchevoli dello Stato; poichè presso di Noi, siccome in tutti gli altri Stati della Cristianità, toltone il Regno di Francia, lo Stato ecclesiastico non fa Ordine a parte, ma non altrimente che facevano i Romani de' loro Preti, li quali li lasciavano mescolati fra i tre Stati, gli lasciamo nell'Ordine della Nobiltà e del Popolo; ond'è, che tra noi ne' Parlamenti il Clero non ha luogo a parte, e se talora vi sono invitati i Prelati, v'intervengono come Baroni, siccome l'Abate di Monte Cassino che vanta essere il primo Barone del Regno, l'Arcivescovo di Reggio e tanti altri. Quindi per essersi Napoli renduta capo e metropoli del Regno, quasi tutti i Parlamenti che si tennero da poi, in questa città si convocarono, tanquam in solemniori, et habiliori loco come Carlo II stesso lo qualifica359. Ciò che poi imitarono Giovanna I, Carlo III, Luigi II, Alfonso I e gli altri Re suoi successori360, tantochè avendo il Re Alfonso intimato un Parlamento in Benevento, i Napoletani se ne offesero, e feron sì, che il Re lo convocasse in Napoli.

CAPITOLO V
Divisione del Regno di Sicilia da quello di Puglia, per lo famoso Vespro Siciliano

Ma fra le cagioni sinora annoverate, onde Napoli sopra tutte le altre città estolse il suo capo, la principale fu la divisione di questi due Reami. Divisi questi Regni, si videro due Reggie, l'antica di Sicilia e la nuova di Napoli. Palermo rimase per gli Aragonesi in Sicilia: Napoli per li Franzesi in Puglia e Calabria. Ed è cosa da notare, che non meno la prospera fortuna fin qui tenuta da Carlo, che l'avversa, la quale, assunto che fu al Ponteficato Niccolò III cominciò a travagliar questo Principe, cospirarono alla esaltazione di questa Città.

Morto Papa Giovanni, e non avendo potuto Re Carlo per sei mesi di maneggi, quanto appunto vacò quella sede, ottenere, che si fosse rifatto un Papa Franzese, si risolvè il Collegio de' Cardinali nel mese di novembre dell'anno 1277 eleggere per successore Giovanni Cardinal Gaetano di Casa Ursina che Niccolò III volle nomarsi. Costui, che tanto nella vita privata, come nel Cardinalato fu tenuto per uomo di buoni costumi e di vita cristiana, assunto al Papato mostrò un desiderio sfrenato d'ingrandire i suoi; onde nel conferire le Prelature ed i gradi, e beni tanto temporali del suo Stato, quanto ecclesiastici, ogni cosa donava, e conferiva a' suoi parenti o ad altri, ad arbitrio loro361; e da questa passione mosso mandò a richiedere Re Carlo, che volesse dare una delle figliuole del Principe di Salerno, ad uno de' suoi nepoti. Ma quel Re, ch'era usato d'aver Pontefici vassalli ed inferiori, se ne sdegnò, e rispose che non conveniva al sangue Reale di pareggiarsi con Signoria, che finisce con la vita, come quella del Papa. Di questa risposta s'adirò il Pontefice, in guisa che rotto ogni indugio se gli dichiarò nemico, e rivocò fra pochi giorni il privilegio concesso, e confermato dagli altri Pontefici in persona del Re Carlo, del Vicariato dell'Imperio, dicendo, che poichè in Germania era stato eletto Rodolfo Imperadore, toccava a lui d'eleggersi il Vicario, e che 'l Papa non avea potestà alcuna d'eleggerlo, se non in tempo che l'Imperio vacava. Poi venne a Roma, e conoscendosi col favore de' suoi poter più di quello, che aveano potuto gli altri Pontefici, gli tolse l'Ufficio di Senatore, e fece una legge, che nè Re, nè figliuoli di Re potessero esercitare quell'Ufficio.

Carlo disprezzò l'ire del Pontefice e' suoi disgusti, li quali, come vedrassi, furono una delle quattro cagioni della perdita di Sicilia; ma tutto inteso alla guerra contro Michele Paleologo Imperador di Costantinopoli ne avea già ordinato un apparato grandissimo nel Regno, nell'isola di Sicilia ed in Provenza; ed erasi già accinto all'impresa con un gran numero di galee, e numero infinito di legni da passar cavalli, e da condur cose necessarie ad un grandissimo esercito; fece intendere a tutti i Conti e Feudatari a lui soggetti, che si ponessero in ordine per seguirlo: scrivendo in oltre a tutti i Capitani, che facessero elezione de' più valenti soldati e cavalli, per venire al primo ordine suo a Brindisi362.

La fama di sì grande apparato sbigottì molto il Paleologo, e 'l mise in gran timore, sapendo quanta fosse la potenza di Re Carlo; pure quanto potea, si preparava a sostener l'impeto di tanta guerra; ma trovò dall'ingegno e dal valore d'un solo uomo quello aiuto, che avrebbe potuto promettersi da qualunque grande esercito.

Quest'uomo fu Giovanni di Procida cittadino nobile salernitano, Signore di Procida e di molte terre; fu molto affezionato alla Casa di Svevia, e da Federico II tenuto in sommo pregio per le molte virtù, alle quali accoppiò anche una somma perizia di medicina, ciò che non faceva in que' tempi vergogna; poichè, come si è potuto vedere ne' precedenti libri di quest'Istoria, in Salerno questa scienza era professata da' Nobili più illustri di quella città, nè abborrivano di professarla eziandio i Prelati della Chiesa, siccome l'Arcivescovo di Salerno Romualdo Guarna, e l'Arcivescovo di Napoli Berardino Caracciolo, il quale non disdegnò nella iscrizione del suo sepolcro, rapportata dal Summonte363, che fra gli altri encomi vi si ponesse: Utriusque juris Doctoris, ac Medicinae scientiae periti. Ed il Tutini364 rapporta d'aver egli osservato nel regio Archivio una carta, ove Gualtieri Caracciolo dimanda licenza al Re Carlo II d'andare nell'isola di Sicilia a ritrovar Giovanni di Procida, già vecchio, per farsi curare d'una sua infermità. Non meno di Federico l'ebbe caro Re Manfredi, di cui volle troppo ostinatamente seguire le parti; onde per la venuta di Carlo, essendogli stati confiscati i suoi beni, non fidandosi di star sicuro in Italia, per l'infinito numero degli aderenti di Re Carlo, se n'andò in Aragona a trovare la Regina Costanza unico germe di casa Svevia, e moglie di Re Pietro, al quale per segno dell'investitura di questi Reami eragli stato portato il guanto, che, come si disse, buttò Corradino nella piazza del Mercato, quando Re Carlo gli fece mozzar il capo. Fu benignissimamente accolto tanto da lei, quanto dal Re suo marito, dal quale essendo nel trattare conosciuto per uomo di gran valore e di molta prudenza, fu fatto Barone nel Regno di Valenza, e Signor di Luxen, di Benizzano e di Palma. Giovanni veduta la liberalità di quel Principe, drizzò tutto il pensier suo a far ogni opera di riporre il Re e la Regina ne' Regni di Puglia e di Sicilia; e tutto quel frutto che cavava dalla sua Baronia, cominciò a spendere in tener uomini suoi fedeli per ispie nell'uno e nell'altro Regno, dove avea gran sequela d'amici, e cominciò a scrivere a quelli, in cui più confidava.

Ma tosto s'avvide, che tentar ciò nel Regno di Puglia era cosa affatto impossibile e disperata; poichè per la presenza di Re Carlo, che avea collocata la sua sede in Napoli, e scorreva per l'altre città di queste nostre province, e per li beneficj che avea fatti a' suoi fedeli, e per lo rigore usato contro i ribelli, era in tutto spenta la memoria del partito di Manfredi. Rivoltò perciò tutti i suoi pensieri nell'isola di Sicilia, ove trovò le cose più disposte; poichè essendo il Re lontano, avea commesso il governo di quella a' suoi Ministri franzesi, i quali trattando i Siciliani asprissimamente, erano in odio grandissimo presso tutti gli isolani. Venne perciò sotto abito sconosciuto Giovanni in Sicilia, e cominciando a trattare della cospirazione con alcuni più potenti e peggio trattati da' Franzesi, vennero a conchiudere fra di loro di prender l'armi tutti in un tempo contro i Franzesi, e gridare per loro Re Pietro d'Aragona. Ma parendo loro poche le forze dell'isola e non molte quelle di Pietro, e che perciò bisognava a queste due giungere altra forza maggiore: Giovanni ricordandosi de' disgusti, che Carlo passava col Papa, e che 'l Paleologo temendo molto degli apparati di Carlo, avrebbe fatto ogni sforzo per distorlo dall'impresa di Costantinopoli; andò subito a Roma sotto abito di religioso a tentare l'animo del Papa, il quale trovò dispostissimo d'entrare per la parte sua a favorir l'impresa. Se ne andò poi col medesimo abito a Costantinopoli, ed avendo con efficacissime ragioni dimostrato al Paleologo, che non era più certa nè più sicura strada al suo scampo, che prestar favore di denari al Re Pietro, affinchè l'impresa di Sicilia riuscisse, poichè in tal caso Carlo, avendo la guerra in casa sua, lascerebbe in tutto il pensiero di farla in casa d'altri; di che persuaso l'Imperadore, si offerse molto volentieri di far la spesa, purchè Re Pietro animosamente pigliasse l'impresa; e mandò insieme con Giovanni un suo molto fidato segretario con una buona somma di denaro, che avesse da portarla al Re d'Aragona, ordinandogli ancora di abboccarsi col Papa, per dargli certezza dell'animo suo, e della prontezza, che avea mostrata in mandar subito aiuti. Giunsero il Segretario e Giovanni a Malta, isoletta poco lontana da Sicilia e si fermarono ivi alcuni dì, finchè i principali de' congiurati, avvisati da Giovanni, fossero venuti a salutare il Segretario dell'Imperadore, ed a dargli certezza del buono effetto, che ne seguirebbe, quando l'Imperadore stasse fermo nel proposito fin'a guerra finita. Poi si partirono i congiurati, e ritornarono in Sicilia a dar buon'animo agli altri consapevoli del fatto. Intanto Giovanni col Segretario passarono a Roma, dove avuta audienza dal Papa, gli proposero tutto il fatto: costui che temea la potenza di Carlo, e voleva vendicarsi dell'ingiuria fattagli, imitando i suoi predecessori, siccome costoro con l'aiuto de' Franzesi discacciarono da quell'isola gli Svevi, così egli colle forze degli Aragonesi, pensò discacciarne gli Angioini; onde non solo entrò nella Lega ma avendo inteso, che l'Imperadore mandava denari, promise di contribuire anch'egli per la sua parte, e scrisse al Re Pietro, confortandolo con ogni celerità a ponersi in punto per poter subito soccorrere i Siciliani da poi che avessero eseguito la congiura, ed occupato quel Regno, del quale egli l'avrebbe data subito l'investitura, ed aiutato a mantenerlo. Per queste cagioni il Re d'Aragona nella lettera scritta a Carlo dopo essersi impadronito dell'isola, gli diceva che quella era stata aggiudicata a lui per l'autorità della Santa chiesa e di Messer lo Papa e de' venerabili Cardinali. Con queste lettere e promesse portossi nell'anno 1280. Giovanni in Aragona, ed avendo comunicato al Re il disegno che s'era fatto per dargli in mano la Sicilia, Pietro temè in prima di entrar in una guerra, della quale dubitava di non poter uscire con onore: ma il Procida tolse tutte le difficoltà: I con assicurarlo per parte dell'Imperador di Costantinopoli, il quale per mezzo del suo Segretario gli avea mandato il denaro, ed offertosi che non avrebbe mancato per l'avvenire di contribuire a tutti i bisogni della guerra: II con dargli le lettere del Papa che l'assicurava del medesimo, e che l'avrebbe investito di quell'isola: III che i Siciliani per l'odio implacabile, che aveano co' Franzesi, con contentezza universale avrebbero agevolata l'impresa; e per ultimo gli fece concepire, che non era necessario ch'egli s'impegnasse, se non quando la congiura di Sicilia fosse riuscita. Per queste efficaci ragioni fu disposto quel Re d'accettarla; tanto più, quanto la Regina Costanza sua moglie il sollecitava non meno a far vendetta di Re Manfredi suo padre e del fratello Corradino, che a ricoverare i Regni, che appartenevano a lei, essendo morti tutti i maschi della linea sveva: convocati perciò i più intimi suoi consiglieri, trattò del modo, che s'avea da tenere, e fu convenuto tra di loro, che il Re allestirebbe una flotta considerabile, sotto pretesto di far la guerra in Affrica a' Saraceni, e che si terrebbe su le coste dell'Affrica, pronto a far vela in Sicilia, se la cospirazione fosse riuscita: che se venisse a fallire, poteva, senza mostrar d'averci alcuna parte, continuare a far la guerra a' Saraceni. E vi è chi scrisse365, che Re Carlo vedendo posta in ordine questa flotta molto maggiore di quello, che potea sperarsi dalle forze di Re Pietro, gli avesse mandato a dimandare a che fine facea tal apparato; ed essendogli stato risposto per l'impresa d'Affrica contro Saraceni, Re Carlo, o per partecipare del merito guerreggiando contro Infedeli, de' quali egli fu sempre acerbissimo persecutore, o per gratificare quel Re suo stretto parente, gli avesse mandati ventimila ducati per soccorso di quell'impresa.

Ma ecco, che mentre queste cose si dispongono, e 'l Procida ritorna in Italia, muore Papa Niccolò: ed in suo luogo per gl'intrighi di Carlo, o più tosto per la violenza fatta a' Cardinali, fu rifatto a febbraio del 1281 un Papa franzese, creatura ed amicissimo del Re Carlo, che Martino IV comunemente si noma, chiamandolo altri Martino II, poichè i due predecessori, non Martini, ma Marini gli appellano. Dubitando perciò Giovanni, che non si raffreddasse l'animo dell'Imperadore, tosto ritornò in Costantinopoli per riscaldarlo; e passando in abito sconosciuto insieme col Segretario per Sicilia, venne a parlamento con alcuni de' primi della congiura, e diede loro animo, narrando quanto erasi fatto, e che non dovessero sgomentarsi per la morte di Papa Niccolò: e fece opera che quelli mostrassero al Segretario la prontezza de' Siciliani, e l'animo deliberato di morire più tosto che vivere in quella servitù, affinchè ne potesse far fede all'Imperadore e tanto più animarlo; poi seguirono il viaggio e giunsero felicemente a Costantinopoli. E fu notata da' Scrittori per cosa maravigliosa, che questa congiura tra tante diverse nazioni, ed in diversi luoghi del Mondo durò più di due anni, e per ingegno e per destrezza del Procida fu guidata in modo, che ancor che Re Carlo avesse per tutto aderenti, non n'ebbe però mai indizio alcuno.

Dall'altra parte Re Pietro, ancorchè per la morte di Papa Niccolò restasse un poco sbigottito, avendo perduto un personaggio principale ed importante alla Lega; non però volle lasciar l'impresa, anzi mandò Ambasciadore al nuovo Pontefice a rallegrarsi dell'assunzione al trono e a cercargli grazia, che volesse canonizzare Fr. Raimondo di Pegnaforte; ma invero molto più per tentare l'animo del Papa, mostrando destramente volere, non per via di guerra ma per via di lite innanzi al Collegio proponere e proseguire le ragioni, che la Regina Costanza avea ne' Reami di Puglia e di Sicilia. Ma il Papa avendo ringraziato l'Imbasciadore della visita e trattenuto di rispondergli sopra la Canonizzazione, come intese l'ultima richiesta, disse all'Imbasciadore: Dite a Re Pietro, che farebbe assai meglio pagare alla Chiesa romana tante annate, che deve per lo censo, che Re Pietro suo Avo promise di pagare, ed altresì i suoi successori, come veri vassalli e Feudatari di quella; e che non speri, finchè non avrà pagato quel debito, di riportar grazia alcuna dalla Sede Appostolica366.

Mentre queste cose si trattavano, Giovanni di Procida tornato di Costantinopoli in Sicilia, sotto diversi abiti sconosciuto, andò per le principali terre di Sicilia, sollecitando i congiurati, e tenendo sempre per messi avvisato Re Pietro segretissimamente di quanto si faceva; ed avendo inteso, che la sua armata era già in ordine per far vela, egli eseguì con tant'ordine e tanta diligenza quella ribellione, che nel mese di marzo, il secondo giorno di Pasqua dell'anno 1282 al suon della campana, che chiamava i Cristiani all'ufficio di vespero, in tutte le terre di Sicilia, ove erano i Franzesi, il Popolo pigliò l'arme, e li uccise tutti con tanto sfrenato desiderio di vendetta, che uccisero ancora le donne della medesima isola, ch'erano casate con Franzesi e quelle ch'erano gravide, ed i piccioli figliuoli ch'erano nati da loro; e fu gridato il nome di Re Pietro d'Aragona e della Regina Costanza: e questo è quello che fu chiamato e si chiama il Vespro Siciliano. Non corse in questa crudele uccisione, dove perirono da ottomila persone, spazio di più di due ore; e se alcuni pochi in quel tempo ebbero comodità di nascondersi o di fuggire, non per questo furon salvi; perocchè essendo cercati e perseguitati con mirabile ostinazione, all'ultimo furon pure uccisi.

Questa crudele strage, e così repentina mutazione e rivoluzione fu per lettera dall'Arcivescovo di Monreale scritta al Papa, a tempo, che Carlo si trovava con lui in Montefiascone. Il Re restò sorpreso e molto abbattuto, vedendo in tanto breve spazio aver perduto un Regno, e buona parte de' suoi soldati veterani; pure, raccommandate le sue cose al Papa, trovandosi già l'armata in ordine, ch'era destinata contro l'Imperador greco, ritornò subito nel Regno, e con quella incontinente fece vela verso la Sicilia, e cinse Messina di stretto assedio.

Dall'altra parte Papa Martino, desideroso che l'Isola si ricovrasse, mandò in Sicilia per Legato appostolico il Cardinal Vescovo di Sabina, con lettere ai Prelati ed alle terre dell'isola, confortandole a rimettersi nell'ubbidienza di Carlo, con ingiungere al medesimo, che quando queste lettere non valessero, adoperasse non solo scomuniche ed interdetti, ma ogni altra forza, per favorire le cose del Re.

Giunse il Cardinale in Palermo, nel medesimo tempo che Carlo giunse a Messina; ma siccome gli uffici del Legato niente poterono contro l'ostinazione dei Siciliani, così l'assedio, che Carlo avea posto a Messina fu con tanto vigore proseguito, che finalmente strinse gli abitanti a volersi arrendere a lui colla sola condizione di salve le vite: ma egli era così trasportato dalla rabbia, che negò anche questa condizione. Mandarono Ambasciadori al Papa, perchè intercedesse per loro presso l'adirato Principe: ma non fu data loro udienza, onde posti nell'ultima disperazione si risolvettero di difendersi fino all'ultimo spirito.

Giovanni di Procida, che si trovava a Palermo, impaziente della dimora del Re Pietro, il quale era passato già coll'armata in Affrica all'assedio d'una città che gl'Istorici siciliani chiamano Andacalle, vedendo lo stretto bisogno de' Messinesi, imbarcatosi sopra una Galeotta con tre altri, che andavano con lui con titolo di Sindici di tutta l'isola, andò a trovare Re Pietro, ed informatolo del presto bisogno del suo soccorso, l'indusse a lasciar tosto le coste dell'Affrica, e colla sua armata ad incamminarsi verso Palermo.

Allora fu, che Re Pietro non potendo più nasconder i suoi disegni per l'impresa di Sicilia, volle giustificarsi co' Principi d'Europa suoi parenti; onde prima che lasciasse le coste d'Affrica, scrisse in questo anno 1282 una lettera ad Odoardo Re d'Inghilterra, che si legge negli atti di quel Regno, ultimamente fatti dare alla luce dalla Regina Anna367, nella quale gli dice, che essendo egli occupato nella guerra contro i Saraceni, i Siciliani gli aveano inviati deputati a pregarlo di venirsi a mettere in possesso della Sicilia, ciò ch'era risoluto di fare, perchè quel Regno apparteneva a Costanza sua moglie. Fece dunque egli vela per Sicilia, e a' dieci d'agosto giunse a Trapani, ove concorsero ad incontrarlo tutti i Baroni e Cavalieri de' luoghi convicini; indi portossi a Palermo, dove fu con grandissima festa e regal pompa incoronato Re dal Vescovo di Cefalu, poichè l'Arcivescovo di Palermo, a cui ciò toccava, era presso Papa Martino.

351.Tutin. dell'Orig. de' Seggi, cap. 3.
352.Summonte t. 2 pag. 209.
353.Tutin. l. cit.
354.Cap. de Raptoribus.
355.Summonte tom. 2 pag. 401.
356.V. Tutin. cap. 13 pag. 131.
357.Tutin. cap. 9.
358.V. Tutin. dell'Orig. de' Seggi, cap. 16 et seqq.
359.Summ. tom. 2 p. 208.
360.V. Costo nell'Annot. a Collenuc.
361.Costanzo histor. lib. 2.
362.Costanzo lib. 2.
363.Summ. t. 2 pag. 282. La rapporta anche il Chioccar. de Archiep. Neap. ann. 1262.
364.Tutini degli Ammiragli, pag. 66.
365.Costanzo lib. 2.
366.Costanzo lib. 2.
367.Foedera, Conventiones, Litterae, etc. tom. 1 pag. 208. (Oltre i Biglietti rapportati negli Atti d'Inghilterra, si leggono presso Giovanni Cristiano Lunig nel suo Codice Diplomatico d'Italia, tom. 2 pag. 974 et 977 due vicendevoli Lettere Latine contumeliose, e diffidatorie, una scritta dal Re Carlo, e l'altra dal Re Pietro in risposta al medesimo; siccome nella pag. 918 se ne legge un'altra scritta da' Palermitani a' Messinesi contra il Re Carlo, e' suoi Franzesi.)
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
22 ekim 2017
Hacim:
500 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre