Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5», sayfa 21
LIBRO VENTESIMOPRIMO
La morte del Re Carlo I accaduta in Foggia nel cominciar del nuovo anno 1285 siccome fu opportuna al Re Pietro d'Aragona, non solo per averlo stabilito nel Regno di Sicilia, ma anche per avergli tolto il pericolo dì perdere i suoi paterni Regni, invasi da Filippo Re di Francia, così fu acerba e lagrimevole al Regno di Puglia, ed al Principe Carlo suo figliuolo: poichè rimase il Regno non solo esposto all'invasione di Ruggiero di Loria, il quale avendo preso Cotrone e Catanzaro, ed alcuni altri luoghi di quella provincia, minacciava le altre vicine regioni: ma anche perchè si vide senza Re e senza governo, per la cattività del Principe di Salerno, che dovea succedere al Regno, il quale era ritenuto prigione in Spagna. Essendovi per tanto sol rimasa l'infelice Principessa Maria sua moglie, con Carlo Martello primogenito del Principe, che allora non avea più che tredici anni: il Pontefice Martino per profittare dell'occasione, vi rimandò subito Gerardo Cardinal di Parma Legato appostolico, perchè insieme colla Principessa lo governasse. Ma Filippo Re di Francia dolorosissimo della morte del Re suo zio, dubitando che la compagnia del Legato con una donna, ed un fanciullo, non recasse pregiudizio alle supreme regalie del Principe, vi spedì tosto Roberto Conte di Artois suo figliuolo453, perchè avesse cura della Casa regale, e prendesse egli il governo del Regno. Contuttociò per lo bisogno, che s'avea allora del Pontefice, e per l'accuratezza del Legato, non ne fu questi escluso; anzi seppe far valer tanto la sua autorità, che fatto convocare in quest'istesso anno un Parlamento in Melfi di molti Prelati e Baroni, stabilì alcuni Capitoli454 per lo buon governo del medesimo, per dovergli conferire col Pontefice Martino, affinchè confermati da costui, si fossero poi pubblicati, e fatti osservare nel Regno come sue leggi, come diremo.
Intanto Re Pietro, vedendosi per la morte di Carlo, sicuro del Regno di Sicilia andò subito colle forze siciliane ad opporsi in Aragona al vittorioso Re di Francia, il quale avea già preso Perpignano, Girona e molte altre terre di quel Regno, per acquistarlo a Carlo di Valois suo figliuolo secondogenito, che n'avea avuto il titolo e l'investitura dalla Chiesa romana; e benchè si trovasse con forze assai dispari, per lo grandissimo ardir suo naturale, accresciuto dal favor della fortuna sino a quel dì, volle attaccar la battaglia; ma rotto il suo esercito, ed egli rimasto ferito, a gran pena ritirandosi, si salvò a Villafranca, dove di là a pochi giorni, a' 6 ottobre di quest'anno 1285, trapassò. Re certo dignissimo di lode e di memoria eterna: poichè con pochissime forze, coll'arte e con l'industria, solo difese da due Re potentissimi, e da un Papa acerbissimo nemico, due Regni tanto distanti l'uno dall'altro, trovandosi sempre pronto colla persona ove il bisogno richiedeva che fosse. Di lui rimasero quattro figliuoli maschi, Alfonso, Giacomo, Federico e Pietro, e due femmine, Isabella e Violante. Ad Alfonso lasciò il Regno d'Aragona, ed a Giacomo quel di Sicilia, con condizione, che se Alfonso moriva senza figliuoli, Giacomo gli succedesse in quel Regno e nella Sicilia.
Certamente il Regno d'Aragona, per la morte di Re Pietro, sarebbe venuto in mano de' Franzesi se non l'avesse salvato da una parte una gravissima pestilenzia, che venne all'esercito del Re di Francia; e dall'altra, la gran virtù di Ruggiero di Loria, il quale, fin dentro il Porto di Roses, andò a bruciare l'armata franzese, dopo l'incendio della quale fu costretto Re Filippo di ritirarsi a Perpignano, per aver perduta la comodità delle vettovaglie, che gli somministrava l'armata; ed infermato in Perpignano, passò di questa vita quest'anno a' 23 di settembre, e gli succedè Filippo il Bello suo figliuolo.
Fu quest'anno anche lugubre, per la morte di Papa Martino, il quale a' 28 di marzo 1285455 morì in Perugia, e tosto in suo luogo fu rifatto Onorio IV romano, della nobilissima famiglia Savelli.
Papa Onorio calcando l'orme del suo predecessore, ancorchè italiano, fu tutto inteso a favorire la Casa d'Angiò, e nell'istesso tempo, per mezzo del Legato Girardo fece provvedere a' bisogni del vedovo Regno; e perchè il Conte d'Artois, il quale avendo intesa la morte del Re Pietro, e che per testamento avea lasciati divisi i Regni, era entrato in isperanza di ricovrar la Sicilia di mano del Re Giacomo, onde avea tutti i suoi pensieri a quell'impresa rivolti; volle ancor Onorio profittando dell'occasione intrigarsi nel governo civile del Regno, ed a provvederlo di nuove leggi conformi alli desiderj de' Baroni, ed universalmente di tutti i Regnicoli; ma più d'ogni altro a ristabilire i privilegi ed immunità delle persone ecclesiastiche di quello. A questo fine con una sua particolar Bolla spedita a' 17 settembre di quest'anno 1285 confermò que' Capitoli, che Carlo Principe di Salerno mentr'era Vicario del Regno statuì nel Piano di S. Martino; ma que' soli che riguardavano l'immunità e privilegi degli Ecclesiastici, la qual Bolla, esemplata dal suo originale, che si conserva nell'Archivio della Trinità della Cava, si trova anche inserita da Ferdinando I d'Aragona nelle nostre prammatiche, ed è tutto altra, come si disse, di quella, della quale saremo ora a ragionare.
CAPITOLO I
De' Capitoli di Papa Onorio IV, e qual uso ed autorità ebbero nel Regno
Chiunque considererà lo stato lagrimevole, nel quale per le avversità del Re Carlo I, e per la prigionia del Principe suo figliuolo, erasi ridotto questo Reame, non si maraviglierà come il Pontefice Onorio abbia potuto innalzar tanto la sua autorità sopra il medesimo, sicchè a suo arbitrio si vegga impor leggi non pure ai nostri Baroni e ad altri Regnicoli, ma a' Regi stessi, trattandogli come suoi sudditi e veri vassalli. Il bisogno che s'avea in questi tempi cotanto a loro avversi, de' Pontefici romani, fece, che il Principe Carlo mentr'era Vicario del Regno si ponesse sotto la protezione del Pontefice Martino, allora vivente, al quale diede ampio potere di regolare il governo di quello, e di rimettere a lui lo stabilimento, ed il modo intorno all'esazion delle collette, e di ridurle conforme a' tempi del buon Re Guglielmo, e di dar sesto alle gravezze de' suoi sudditi. Il Cardinal di Parma fece dal canto suo quanto potè, ma non finì di perfezionare l'opera con Martino, come fece poi col Pontefice Onorio, il quale pose mano non solo a stabilir il modo di quest'esazione, ma diede molti regolamenti intorno ad altre più gravi e rilevanti cose, alla succession feudale, e sopra altri punti non appartenenti, che al supremo imperio del Principe.
L'origine però di tali intraprese deve riportarsi più indietro, cioè a quelle gravi e pesanti condizioni apposte nell'investitura, che Papa Clemente IV fece del Regno a Carlo I. Questo Principe mentre durò la sua prospera fortuna, non si curò molto d'osservarle, ed intorno alle esazioni delle collette e delle altre sovvenzioni continuò, siccome le ritrovò in tempo del Re Manfredi; anzi per essere un Principe assai diligente in conservare le sue ragioni fiscali, mostrò maggior acerbità, che gli altri suoi predecessori. Ma sopravvenute da poi le disgrazie di Sicilia, allora il Principe di Salerno suo figliuolo per acquistar benevolenza da' sudditi, in que' Capitoli stabiliti nel Piano di S. Martino, ordinò che tal esazione dovesse ridursi conforme a' tempi del buon Guglielmo; ma poichè non vi era chi di tal uso e modo potesse render testimonianza, fu rimesso, come si disse, al Pontefice Martino allora vivente, che dovesse stabilirlo con sentire i Sindici delle città e delle terre, che l'informassero dello stato delle loro Comunità.
Il Pontefice Martino per la morte accaduta del Re Carlo, e per la prigionia del Principe di Salerno, rimandò subito il Cardinal di Parma suo Legato in Napoli. Questi appena giunto, pensò prima d'ogni altra cosa vantaggiare l'ordine ecclesiastico; onde fece convocare in Melfi i Prelati del Regno, e nel dì 28 marzo dell'anno 1285 nel quarto anno del Ponteficato di Martino stabilì alcuni Capitoli riguardanti il favore della giurisdizione ed immunità ecclesiastica, che procurò ampliare quanto più potesse456. E questi Capitoli nè da Onorio, nè da Martino furono confermati, perchè fatti dal Cardinal Gerardo nel tempo istesso, che morì Martino; ond'è, che allegandosi alle volte da Matteo d'Afflitto457 si nominano Capitoli di Gerardo, come si vede nella costituzione praesente, ove n'allega uno ex Capitulis Gerardi, che comincia: Capientes Ecclesiarum et locorum, etc.458. Questi Capitoli di Gerardo è da credere, che nell'età d'Afflitto si leggessero M. S. poichè non vi è notizia, che si fossero mai impressi, e che poi di loro si fosse perduto ogni vestigio, come inutili: o tanto più fecer quelli sparire i Capitoli di Onorio, per li quali fur dati più accurati e numerosi regolamenti.
Ma essendo da poi sopraggiunto in Napoli il Conte d'Artois mandato dal Re di Francia, perchè come Balio governasse egli la Casa ed il Regno del Principe suo cugino: il Legato seppe far tanto, che non fu escluso affatto dal governo, anzi la sua accortezza e più il bisogno, che s'avea allora del Pontefice, fecero, che insieme colla Principessa Maria ed il Conte lo governasse. Ma questi distratto dalle cose militari, per la guerra che ardea allora per la ricuperazione della Sicilia, non potè badar molto al governo civile e politico; onde morto il Pontefice Martino, e rifatto Onorio in suo luogo, si pose costui colle istruzioni del Legato Gerardo a stabilire nuovi Capitoli, che sono i veri Capitoli di Papa Onorio.
Nel che son da notare i vari errori, che presero i nostri Dottori intorno all'Istoria di questi Capitoli, de' quali non fu nemmeno esente l'istesso Reggente Moles459, che con più accuratezza di tutti gli altri ne scrisse; poichè e' credette, che il Conte d'Artois fosse stato costituito Balio del Regno da Onorio, affinchè insieme col Cardinal di Parma lo governasse, e che perciò questi Capitoli fossero stati drizzati da Onorio così all'uno, come all'altro. Più gravi furono gli errori del Reggente Gio. Francesco Marciano460, il quale scrisse, che il Principe di Salerno, mentr'era Vicario, mandasse a supplicare il Pontefice Martino, che gli inviasse un Legato appostolico, perchè riformasse lo stato del Regno, e lo riducesse, siccome era nel tempo del Re Guglielmo, e che perciò gli mandasse il Cardinal di Parma; quando tal riforma dovea farsi dove risedeva il Papa, ove perciò avea il Principe comandato, che si mandassero i Sindici delle terre. Questo Cardinale fu mandato prima in Sicilia per accorrere a quella rivoluzione, e da poi portossi in Napoli. Ma dopo la prigionia del Principe, ed il ritorno di Carlo I da Francia, il Cardinale erasi portato dal Papa; e fu mandato dal Pontefice Martino di nuovo quando intese la morte del Re Carlo, affinchè assumesse il governo del Regno; ed allora avendo intese le querele de' Regnicoli intorno all'esazione delle collette ed i desideri de' Baroni, perchè s'allargassero i gradi della successione feudale; di tutto ciò ne fece con varie istruzioni ed informazioni partecipe il Pontefice Martino, acciocchè vi dasse rimedio, e gli mandò ancora que' Capitoli, che il Principe di Salerno avea stabiliti nel Piano di S. Martino. Ma il Papa sopraggiunto dalla morte, non potè far niente; onde rifatto in suo luogo Onorio, questi trovandosi allora a Tivoli a' 17 di settembre di quest'anno 1285 con una particolar sua Bolla confermò que' Capitoli fatti da Carlo nel Piano di S. Martino, attenenti al favore dell'immunità ecclesiastica, che, come si è detto, sta inserita nelle nostre prammatiche, e nel medesimo dì stabilì questi nuovi Capitoli, li quali mandò al Cardinal di Parma suo Legato, che sono i veri Capitoli di Papa Onorio; perchè quelli confermati da lui nella Bolla, che si legge nelle nostre prammatiche, non sono suoi, ma di Carlo Principe di Salerno.
I Capitoli, che dal Pontefice Onorio furono con tal occasione stabiliti, furono molti, parte riguardanti il modo per l'esazione delle collette, parte in favor dei Baroni, e parte in beneficio universale del Regno; poichè intorno alla libertà e favore dell'Ordine ecclesiastico avea egli provveduto a bastanza colla conferma, che fece de' Capitoli del Principe di Salerno.
Intorno all'esazione delle collette, stabilì, che in quattro soli casi fosse lecito al Re d'imporle a' suoi sudditi: ciò ch'eccedeva il potere, che gli fu dato dal Principe di Salerno, il quale solamente gli commise, che dovesse riformare, non stabilire i casi ove potesse imporgli: i casi erano questi: I. Per difesa del Regno, se accadesse esser quello invaso, ovvero se accaderà ribellione, o guerra civile permanente, e non simulata. II. Se accaderà doversi riscattare la persona del Re da mano de' nemici, ne' quali due casi stabilisce la somma di 50 mila once d'oro. III. Quando accaderà, che il Re voglia armarsi col cingolo militare, ovvero suo fratello, o alcuno de' suoi figliuoli, nel che vuole, che l'esazione non trapassi la somma di 12 mila once. IV. Per maritar sua figliuola, o sorella, o alcuna delle sue nipoti descendenti per linea retta: stabilendo la somma di 15 mila once. Ed in tutti questi casi, che una sola volta l'anno, e non più potessero imporsi, se non quando il bisogno, o altre circostanze da conoscersi da lui, non ricercassero altrimenti.
Stabilì ancora molti altri Capitoli riguardanti la mutazione delle monete, omicidi e furti, che debba il Re astenersi dall'alienazione de' demaniali del Regno. Tolsegli ancora la facoltà contro i feudatarii, che tengono feudi piani: che i matrimonj debbano esser liberi, togliendo l'assenso del Re, che prima si ricercava in quegli de' Baroni. Diede ancora molti altri provvedimenti intorno a' rilevi, adoe, ed altri adiutorii da prestarsi da' Baroni al Re: ampliò la successione feudale a beneficio de' Baroni: che il jus Francorum abbia luogo non meno nella successione de' figliuoli, che de' fratelli. Provvide intorno all'elezione degli Ufficiali, e diede altri regolamenti sopra diversi capi, che oltre di leggersi nella sua Bolla, possono vedersi presso il Vescovo Liparulo461, e Gio. Francesco Marciano462.
Questi Capitoli, testifica il Reggente Moles463, che furono lungamente conservati nell'Archivio regio, ed allegati come leggi da' nostri Professori. Il Reggente Marciano464 anche attesta, che un autentico transunto de' medesimi si conserva nell'Archivio della Trinità della Cava insieme coll'original Bolla di Papa Onorio fatta in confermazione de' Capitoli del Principe di Salerno nel Piano di S. Martino; ed il Reggente Moles465 dice da quell'Archivio averne egli avuta una copia estratta da quella original Bolla466. E narra Giovanni Francesco Marciano, che il Reggente Moles ed il Consigliere Orazio Marchese, per aver copia così di detta Bolla, come de' suddetti Capitoli, mandarono Marcello Marciano suo padre, allora Avvocato, in quel monastero per estrarla, come fece; e che que' due celebri Giureconsulti a' suddetti Capitoli v'aveano fatto un pieno Commentario per darlo alle stampe. Ma che essendosi mandato il libro in Casa del Consigliere Gizzarello destinato alla revisione de' libri, essendo una notte accaduto un incendio nella libreria di quel Consigliere, restò quello bruciato con tutti gli altri libri. E così ciò, che in tanti giorni, con tanti sudori e vigilie erasi fatto, una sola notte tolse ed estinse.
Noi abbiamo avuta la sorte d'aver in mano un antico Camerario, che fu di Marcello Marciano, dove evvi questa copia MS. ch'egli estrasse dall'Archivio della Cava, la quale avendola noi riscontrata coll'originale, che ivi si conserva, abbiam reputato farla qui imprimere, essendo conforme a quella, che Rainaldo467 impresse ne' suoi Annali, ch'e' dice aver estratta dall'Archivio del Vaticano.
Capitula Papae Honorii
Honorius Episcopus Servus Servorum Dei ad perpetuam rei memoriam. Justitia et pax complexae sunt se, ita societate indissolubili societae tuentur, sic se comitatu individuo comitantur, ut una sine altera plane non possit haberi, et qui laedit alterutram, pariter offendant utramque. Hinc complexus earum graviter impeditur injuriis, per eas etenim laesa Justitia, Pax turbatur, ipsaque turbata, facile in guerrarum discrimina labitur. Quibus invalescentibus justitia inefficax redditur, dum et debitum sortiri nequit effectum: sicque ipsa sublata, nimirum pax, tollitur opus ejus, et ipsius fructus subducitur seminandus in pace, ac proinde complexis deficientibus, necessario deficit et complexus, in horum vero defectu licentia laxata dissidiis multiplicantur bella, pericula subeunt, animarum, et corporum crimina frequentantur. Nec rerum vastitas praeteritur. Haec in praesidentium injuriosis processibus, et inductarum in subditos oppressionum excessibus patent apertius, et evidentius ostenduntur. In quorum multiplicatione sauciantur corda laesorum; et quantominus datur opportunitas licite propulsandi, quae illicite inseruntur, tanto rancor altius radicatur interius, et periculosius prorumpit exterius opportunitate concessa. Fiunt enim plerumque hostes ex subditis, transeunt auxilia securitatis in metum, munitiones in formidinem convertuntur, nutant Regnantium Solia, redundant Regna periculis intestinis, quatiuntur insidiis, extrinsecis insultibus impetuntur audacius, et regnantes in eis, qui operantes justitiam exaltationis gloriam merentur, humiliati propter injustitias frequenter in opprobrium dejectionis incurrunt. In praemissis etsi scripturae nos instruant, efficacius tamen notis docemur exemplis. Quantis enim tempore, quo Friderici olim Romanorum Imperatoris propter illatas Regnicolis afflictiones illicitas, et oppressiones indebitas in Regno Siciliae non absque immensitate gravaminum inductas ab ipso, Regnum ipsum tempestatibus fluctuarit; quot, et quantis rebellionibus concussum extiterit, quot invasionibus attentatum, quantum per ipsum, et posteros suos depauperatum opibus; quot incolarum exiliis, et stragibus diminutum, nullum fere angulum Orbis latet; quam praecipiti Fridericus idem, et genus ipsius ruina corruerunt probat notorius casus ejus, et manifestum eorumdem exterminium posterorum. Verum adeo Friderici ejusdem in dictis continuata, et aucta posteris, ac in alios exemplari derivatione transfusa processit iniquitas, quod per eum inventa gravamina usque ad haec tempora duravisse, nec non et augumentata dicuntur aliqua eorundem, et adjecta nihilominus alia non minora; propter quod nonnullorum supponit opinio, quod clarae memoriae C. Regem Siciliae, quem prosecutionis dictorum gravaminum eorumdem Friderici, et posterorum perniciosa exempla fecerunt saltem permissione participem, dum opinaretur forsitan licita, quae ab illis audiverat tam longis temporibus usurpata: reddiderunt etiam praedictorum consequentium ad illa discriminum non prorsus expertem, prout Siculorum rebellio multis onusta periculis, aliorumque ipsam foventium persecutio manifestant non solum in ejusdem Regis, ac haeredum suorum grave adeo excitatae discrimine, quod ipsis haeredibus, nisi per nos celerius occurratur, praetactorum subductione gravaminum instans perditionis totius dicti Regni periculum comminantur; sed et in grande nostrorum, et Ecclesiae Romanae dispendium prorogatae: cum sit per eas in Siciliae Insula, et in nonnullis aliis ejusdem Regni partibus ipsarum incolis, nec nobis, nec Ecclesiae ipsi parentibus, sed adhaerentibus potius inimicis, nostra, et ipsius Ecclesiae civilis interversa possessio, et in caeterarum aliquibus turbata frequentius, et turbetur. Ex quo datur patenter intelligi quantum in iis nostrum, et Ecclesiae praefatae interesse versetur, quantumque ad nostrum spectet officium, et haeredum ipsorum praecipue necessitas exigat, non tantum praemissis obortis in eodem Regno, quod est ipsius Ecclesiae speciale, tanquam ad jus, et proprietatem, ejus pertinens, dictisque Regi, et haeredibus in feudum ab ipsa concessum obviare periculis. Sed etiam ne similia oriantur in posterum, diligentem curam, et curiosam diligentiam adhibere, praetacta gravamina eorundem periculorum, ut veritati concurrat expressio manifestas occasiones et causas congruae provisionis beneficio abrogando. Cum proprietatis Domino praedium, in quo est jus alii constitutum pro eo, quod sua interest tueri fines ipsius, custodire liceat, eo etiam cui jus debetur invito, custodiae autem nomen id habeat, quod qui tenetur ad eam, non solum id debeat, ut si casu viderit in re custodienda fieri quid adversum prohibeat facientem, verum etiam ut curet dare operam, ne id fiat. Multiplex itaque nos ratio interpellat, et exigit, illud in hujusmodi gravaminibus, super quibus fama publica, et variae inquisitiones per Venerabilem fratrem nostrum Gerardum Sabinensem Episcopum Apostolicae Sedis Legatum factae de speciali mandato Sedis ipsius, et indagationes alias habitae nos informant, nostrae provisionis edicto remedium adhiberi, per quod injustis submotis oneribus circa ea in Regno praefato solidi stabilita justitia, Regium Solium firmet, pacis tranquilla producat, sitque inibi publice tranquillitatis silentium cultus ejus, et ipsa vinculum societatis humanae. Sic superiorem populo sibi subjecto domesticet, eique ipsius populi corda consolidet, qui superior insidiarum sollicitudine absolutus securitatis jucunditate laetetur, populos pressuris indebitis liberatus in pacis pulcritudine sedeat, et in requie opulenta quiescat, et in unanimitate ipsorum, ac mutuo sinceritatis affectu ejusdem Regni statu roborato pacifico, non sic, profligatis hostibus, qui foris exterreat, aut qui pacatis incolarum ejusdem animis intus turbet; instantiae quoque praemissae interpellationis non modicum adjicit, quod memorati Regis, dum viveret, et dilecti filii nobilis viri C. sui primogeniti ex eo manifeste percepimus ad id, quo vota concurrere, quod idem Rex super directione, ordinatione, reformatione, seu quacumque alia dispositione collectarum, exactionum, matrimoniorum, aut aliorum quorumlibet, quae gravamina dicerentur, vel dici possent, tam circa Ecclesias, Monasteria, et alias Ecclesiasticas personas, quam circa Communitates, et Universitates Civitatem, Castrorum, et aliorum locorum, et etiam circa singulares personas totius Regni praedicti, aut cujuslibet partis ejus, foelicis recordationis Martini Papae Quarti praedecessoris nostri directioni, reformationi, dispositioni, et ordinationi se piene, ac libere, alte, ac basse submisit, dans, et concedens eidem super iis plenam, et liberam potestatem, ac promittens quicquid per eundem praedecessorem ipso Rege, dictove primogenito tunc ejus Vicario in Regno eodem, et aliis suis Officialibus requisitis, vel irrequisitis etiam actum foret, se, ac haeredes suos ad hoc specialiter obligando inviolabiliter observare suis super hoc patentibus literis praedecessori concessis eidem, praemissa quoque in mortis articulo per alias suas similiter patentes literas plenius repetens, et confirmans eidem praedecessori per eas humiliter supplicavit; ut omnia onera fidelium Regni sui, et quae gravamina dici possent, removere, tollere, et cassare, dictumque Regnum prospere reformare, omniaque statuere, quae ad bonum statum haeredum suorum, et fidelium eorundem expedire videret sua provisione curaret, non obstante, si Regem ipsum tunc infirmitate graviter laborantem naturalis debiti solutione contingeret praeveniri, sicut praemissae ipsius Regis literae, quae per nos aliquos ex fratribus nostris diligenter inspectae in Archivio ejusdem servantur Ecclesiae, manifestius attestantur. Et tam idem Rex, quam dictus primogenitus super tollendis aliquibus eorundem gravaminum constitutiones varias edidisse dicuntur, et illae plenioris exequutione observationis indigeant, non plene (ut intelleximus) hactenus observatae. Volentes igitur, et illis robur Apostolicae confirmationis adjicere (ut inferius exprimetur) et praetactum nostrum exequi, ac commode provisionis adjectione propositum, infrascripta omnia prout substituta eorum senes indicat, de Fratrum nostrorum consilio et assensu, ac potestatis plenitudine providendo, a gravamine illo deliberavimus inchoandum, qui majorem scandali materiam, et generalius ministrabat.
Ideoque ut omnino cesset in Regno eodem onerosa exactio collectarum, praesenti edictali provisione, ac constitutione valitura perpetuo prohibemus per Reges, qui pro tempore fuerint, seu pro eis Dominantes in Regno praedicto, vel Ministros ipsorum collectas fieri, nisi tantum in quatuor casibus infrascriptis.
Primus est, pro defensione terrae, si contingat invadi Regnum invasione notabili, sive gravi, non procurata, non momentanea, seu transitura facile, sed manente, aut si contingat in eodem Regno notabilis rebellio, sive gravis, similiter non simulata, non procurata, non momentanea, sive facile transitura, sed manens.
Secundus est, pro Regis persona redimenda de suis redditibus, et collecta, si eam ab inimicis captivari contingat.
Tertius est, pro Militia sua, seu fratris sui consanguinei, et uterini, vel saltem consanguinei, sive alicujus ex liberis suis, cum se hujusmodi fratrem suum, vel aliquem ex eisdem liberis militari cingulo decorabit.
Quartus est, pro maritanda sorore simili conjunctione sibi conjuncta, vel aliqua ex filiabus, aut neptibus suis, seu qualibet alia de genere suo ab eo per rectam lineum descendente, quam, et quando eam ipse dotabit. In praedictis enim casibus (prout qualitas tunc imminentis casus exigeret) licebit Regi collectam imponere, ac exigere a subjectis, dum tamen pro defensione, invasione, seu rebellione praedictis, aut ipsius Domini redemptione, quinquaginta millium, pro militia duodecim millium, pro maritaggio vero quindecim millium unciarum auri summam collectae universalis totius Regni ejusdem, tam ultra Farum, quam citra, quantitas non excedat. Nec concurrentibus etiam aliquibus ex praedictis casibus, collecta in uno, et eodem anno, nisi una tantummodo imponatur.
Sicut autem collectae quantitatum praedictas summas in suis casibus limitatas excedere, ut praemittitur prohibemus, sic nec permittimus indistincte ad ipsas extendi, sed tunc tamen, cum casus instantis qualitas id exposcit, et ut in praedictis etiam casibus possit Rex, qui pro tempore fuerit eo vitare commodius gravamina subditorum, quo uberiores fuerint redditus, et obventiones ipsius, eum a demaniorum donatione volumus abstinere, id sibi consultius suadentes.
Simili quoque prohibitione subjicimus mutationem monetae frequentem, apertius providentes, quod cuilibet Regi Siciliae liceat semel tantum in vita sua novam facere cudi monetam, legalem tamen, et tenutae, secundum consilium Peritorum in talis competentis, sicut in Regnis illis obsevatur, in quibus est usus legalium monetarum, quodque usualis moneta sit valoris exigui, et talis quod in eodem valore sit apta manere toto tempore vitae Regis, cujus mandato cudetur, nec pro ea, vel aliqua magna moneta, quam idem Rex semel tantum in vita sua fecerit expendenda, fiat collecta, vel distributio, sed campsoribus, et aliis mercatoribus volentibus eam sponte recipere tribuatur; et hoc ita praecipimus temporibus observari.
In homicidiis clandestinis providendo praecipimus, nihil ultra poenam inferius annotatam ab Universitatibus exigendum, videlicet, ut pro Christiano, quem clandestine occisum inveniri continget, ultra centum augustales. Pro Judaco vero, vel Saraceno, ultra quinquaginta nil penitus exigatur. Augumento, qui circa eandem poenam idem Rex dicitur induxisse omnino sublato: praesertim cum memorati Rex, et Primogenitus dicantur idem per suas constitutiones noviter statuisse, quas quoad hoc decernimus inviolabiliter observandas, et haec intelligi tantum pro homicidiis vere clandestinis, in quibus ignoratur maleficus, nec aliquis accusator apparet. Adjicientes, quod nonnisi tantum in locis magnis, et populosis exigi possit quantitas supradicta, in aliis vero infra quantitatem eandem pro qualitate locorum exactio temperetur.
Eidem provisioni adjiciendo praecipimus, Universitates ad emendationem furtorum, quae per singulares personas contingit fieri, nullatenus compellendas.
Nec ad mutuandum Regi aut Curiae suae, aut Officialibus, vel Ministris ipsorum, aut recipiendum aliquatenus Regiae massariae custodiam, sive onus, seu possessionum regalium procurationem, aut gabellae, vel navium, seu quorumcumque vassellorum fabricandorum curam, quicumque cogendum invitum: usurpationibus, quae contrarium inducebant penitus abrogatis, maxime cum dicti Rex, et Primogenitus ad relevanda, non tamen plene gravamina in praemissis inducta, Constitutiones varias promulgasse dicantur.
Concedimus autem, ut si casus emergat, in quo sit necessarium, naves, vel alia vassella pro utilitate publica fabricari, liceat tunc Regnanti committere eorum fabricationis hujusmodi expensis Regis faciendae personis idoneis, videlicet hujus rei peritiam habentibus, et quos officium tale decet, et ipsis satisfiat pro susceptione curae praedictae de competenti mercede, et idem servari praecipimus in faciendo biscotto.
Ad Captivorum custodiam, Universitates, vel singulares earum personae nullatenus compellantur, praesertim cum hoc ipsum dicatur ejusdem Regis constitutione provisum, quod praecipimus inviolabiliter observari.
Gravamen, quod in pecunia destinando Regi, vel Regali Camerae, seu ad loca quaecumque alia Universitatis alicujus expensis per aliquas personas ejusdem Universitatis periculo eligendas inferri dicti Regni Universitatibus dicebatur, provisione simili prohibemus ipsis Universitatibus, vel singularibus personis earum de caetero irrogari, maxime cum dicatur idem quoad Universitates dicti primogeniti prohibitoria constitutione provisum, quam in hac parte decernimus inviolabiliter observandam.
Illud, quod in eodem Regno dicitur usurpatum, videlicet, quod Incolae ipsius Regni ad reparanda Castra, et construenda in eis, expensis propriis nova aedificia cogebantur, emendatione congrua corrigentes providendo praecipimus, ut nil ultra expensas necessarias ad reparationem illorum antiquorum Castrorum, quae consueverunt hactenus incolarum sumptibus reparati, et aedificiorum, quae in hujusmodi Castris fuerant ab antiquo, ab eisdem incolis peti possit, et constitutio, quam circa hoc idem Primogenitus edidisse dicitur, in hujusmodi antiquis Castris, et Aedificiis solummodo intelligenda servetur. Antiqua vero Castra intelligi decernimus in hoc casu, quorum constructio annorum quinquaginta jam tempus excessit.