Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5», sayfa 23
CAPITOLO II
Negoziati fatti in Inghilterra, e ad Oleron in Bearn, per la scarcerazione del Principe Carlo; sua incoronazione e tregua fatta col Re Giacomo di Sicilia
Mentre ardea la guerra in Sicilia ed in Calabria, tra il Conte d'Artois ed il Re Giacomo, che s'avea già fatto incoronar Re in Palermo: il Principe di Salerno, considerando, che per mezzo della guerra le cose doveano andar in lungo, desideroso della libertà, e di ritornare al Regno paterno, mandò a sollecitare la Principessa sua moglie, che mandasse Ambasciadori a Papa Onorio e ad Odoardo Re d'Inghilterra, pregandogli, che volessero trattare la libertà sua col Re Alfonso. Odoardo con molta amorevolezza e diligenza cominciò a trattarla, prima per mezzo d'Ambasciadori, e poi con la sua propria persona, essendo andato fino ad Oleron in Bearn a trovare Alfonso, dove il Papa vi mandò ancora un Legato appostolico. Negli Atti d'Inghilterra fatti a' tempi nostri stampare dalla Regina Anna, si leggono molti atti e lettere riguardanti le negoziazioni d'Odoardo per la libertà di questo Principe, ed i principali sono gli articoli, sui quali Odoardo convenne ad Oleron col Re di Aragona. Gli articoli e condizioni, dopo molte discussioni accordati, furono questi.
Che prima, che il Principe uscisse da' confini del Regno d'Aragona, facesse consegnare per ostaggi tre suoi figliuoli, Luigi secondogenito, che fu poi Vescovo di Tolosa, e dapoi santificato: Roberto terzogenito Duca di Calabria, che fu poi Re: e Giovanni ottavogenito, che fu poi Principe della Morea; e sessanta altri Cavalieri provenzali ad elezione del Re di Aragona.
Che pagasse trentamila marche d'argento.
Che proccurasse, che il Re di Francia facesse tregua per tre anni, e che Carlo di Valois fratello del Re, ch'era stato da Papa Martino IV investito del Regno d'Aragona e di Valenza, cedesse ad Alfonso tutte le ragioni, e restituisse tutte quelle Terre, che Filippo suo padre prese nel Contado di Rosciglione e di Ceritania, ch'ancora si tenevano per lui.
Che quando il Principe mancasse d'eseguire tutte le convenzioni suddette, fosse obbligato fra il termine d'un anno di tornare in carcere.
Che lasciasse il Regno di Sicilia al Re Giacomo, con dargli per moglie Bianca sua figliuola.
Giovanni Villani e molti altri Autori italiani non fanno menzione alcuna di questi articoli di pace convenuti in Oleron; ma, oltre Costanzo, gli Atti d'Inghilterra475 ove sono impressi, chiariscono questo passo d'Istoria.
Mentre queste cose si trattavano ad Oleron, accadde nel mese di aprile dell'anno 1287 la morte del Papa Onorio, e dopo un anno, fu in suo luogo rifatto un Frate Francescano, che si fece chiamare Niccolò IV. Questi benchè fosse nativo d'Ascoli della Marca, non si lasciò vincere da niuno de' Pontefici franzesi nelle dimostrazioni d'amorevolezza ed affezione verso il Principe Carlo e della sua Casa: poichè avendo saputo, che con tanto vantaggio del Re Alfonso e del Re Giacomo s'erano accordati questi articoli, per li quali si vedea che Alfonso troppo cara volesse vender la libertà a quel Principe, disapprovò tutto il trattato, e diede fuori una sua Bolla, che si legge negli suddetti Atti d'Inghilterra476, colla quale biasima questi articoli: e mandò in Aragona gli Arcivescovi di Ravenna e di Monreale con un Breve, in virtù del quale, come Legali Appostolici, richiesero il Re Alfonso, che sotto pena di censura dovesse liberare il Principe, e desistere d'aiutare Re Giacomo occupatore di quell'isola e ribello di S. Chiesa477.
Il Re d'Inghilterra, che per la bontà sua amava il Principe, che gli era cugino, e desiderava estremamente liberarlo, s'impegnò assai più, vedendo che il Papa non avea approvato il fatto, ed andò di nuovo a trovare il Re d'Aragona, col quale travagliò molto per ridurre quelle condizioni a patti più tollerabili. Alfonso per non escludere il Re d'Inghilterra, ch'era venuto infino a casa a ritrovarlo, e dar qualche soddisfazione al Papa, confermò i medesimi primi articoli, ad esclusione dell'ultimo, non facendosi menzione alcuna nè di Re Giacomo, nè del regno di Sicilia.
Restò pertanto contento di pigliarsi gli ostaggi suddetti, le trentamila marche d'argento e la promessa, ch'il Principe condurrebbe ad effetto la pace con il Re di Francia, e la cessione di Carlo di Valois, con la condizione di tornar nella sua prigione, se non eseguisse il trattato. Il Re d'Inghilterra ne assicurò anche il Re d'Aragona; e con queste condizioni fu il Principe liberato.
Carlo vedutosi libero con tali condizioni, sì per l'amore che portava a' figliuoli, ch'erano rimasti per ostaggi, come per essere di sua natura Principe lealissimo, andò subito alla Corte dei Re di Francia, dove benchè fosse ricevuto con tutte le dimostrazioni d'amorevolezza e d'onore, nel trattar poi, che s'adempissero le condizioni della pace, trovò difficoltà grandissima; poichè il Re riservava ogni cosa alla volontà del fratello, il quale trovandosi senza Signoria, non potea contentarsi di lasciare la speranza di due Regni, e la possessione di quelle terre, che 'l padre avea acquistate nella guerra di Perpignano: tal che vedendo travagliarsi in vano, si parti, e venne a Provenza, dove ricevè grandissimi onori, e passò da poi in Italia, e fu molto ben ricevuto dalle città Guelfe, e massimamente da' Fiorentini, e venne poi a Rieti478, ove trovò il Papa Niccolò, dal quale nella maggior Chiesa di questa città con approvazione di tutto il Collegio fu nel giorno di Pentecoste a' 29 maggio di quest'anno 1289 coronato, ed unto per mano dell'istesso Pontefice Re dell'una e l'altra Sicilia: in memoria della qual celebrità, a' 22 giugno del suddetto anno, donò Re Carlo alla Chiesa suddetta 20 once d'oro l'anno in perpetuo sopra l'entrate Regie della città di Sulmona479.
Passò poi in Napoli dopo essere stato ricevuto da tutti i luoghi del Regno con plauso e letizia incredibile, per la liberalità e benignità, che avea mostrata in vita del padre, il quale nelle cose di pace avea fatto sempre governar il Regno da lui, e fattolo suo Vicario, quando era egli assente. E quivi fermato, cominciò in questo medesimo anno, con nuove sue leggi a riformare lo stato di quello, che durante la sua prigionia, per quella mistura di nuovo governo, avea sofferto alquanto d'alterazione, stabilendo que' Capitoli, de' quali nel precedente libro si fece parola.
Il Re Giacomo, vedendo il Re d'Aragona suo fratello involto in tante guerre, avea mandato a dirgli, che attendesse all'utilità sua, conchiudendo nel miglior modo che potesse la pace, senza parlar delle cose di Sicilia, la quale egli si fidava di mantenere col proprio valore; quando poi vide, che il nuovo Pontefice con troppo affetto tenea le parti del Re Carlo, e che l'investitura datagli conteneva non meno l'una, che l'altra Sicilia, fu pentito di non aver proccurato d'esser compreso nella pace: onde pensò, per prevenire e non aspettare la guerra in Sicilia, di moverne egli una in Calabria, ove fu con pari ardire e valore combattuto; ma non essendo riuscita con molta felicità al Re Giacomo questa spedizione, volse altrove la sua armata, e giunto alle marine di Gaeta, assediò quella città, la quale soccorsa immantenente dal Re Carlo, restò egli molto più strettamente assediato, che non stava Gaeta; ma la sua buona fortuna volle, che in que' dì giungessero nel Campo del Re Carlo Ambasciadori del Re d'Inghilterra e del Re d'Aragona a trattare la pace; e benchè tutti quelli del Consiglio del Re Carlo l'abborrissero, nulladimanco fu tanta la diligenza dell'Ambasciador aragonese, e tanto calde le persuasioni dell'Inglese, che 'l Re Carlo, contra il voto di tutti i suoi, gli concedette tregua per due anni, non ostante, che il Conte d'Artois ad alta voce gli avesse detto, che quella tregua l'avrebbe cacciata in tutto la speranza di ricovrare mai più il Regno di Sicilia. Re Carlo con lui e con gli altri del suo Consiglio si scusava, che non potea fare altrimenti per l'obbligo ch'avea al Re d'Inghilterra, il quale tanto amorevolmente avea proccurata la sua liberazione, e pigliata fatica d'andar fino in Ispagna, e che all'incontro egli non avea potuto attendere quel, che avea promesso di fare, che il Re di Francia si pacificasse co 'l Re d'Aragona, e di far cedere le ragioni da Carlo di Valois, il qual teneva dal Papa l'investitura di que' Regni. Così conchiusa, che fu la pace, il Conte d'Artois e gli altri Signori franzesi, ch'erano stati cinque anni alla tutela del Regno e de' Figliuoli del Re Carlo, si partirono da lui sdegnati, giudicandolo inabile a fare alcuna opera gloriosa. Dall'altra parte lieto Re Giacomo d'aver passato il pericolo, fece vela per Sicilia. E Carlo dopo aver fatti franchi per dieci anni d'ogni gravezza i Gaetani, i quali s'erano portati in quell'assedio con grandissimo valore, a Napoli fece ritorno.
CAPITOLO III
Coronazione di Carlo Martello in Re d'Ungheria. Pace conchiusa tra il Re Carlo, ed il Re d'Aragona; ed incoronazione di Federico in Re di Sicilia
Tornato che fu a Napoli Carlo, trovò quivi gli Ambasciadori del Regno d'Ungheria, che vennero a richiederlo, che mandasse a pigliar la possessione di quel Regno, che per legittima successione toccava alla Regina Maria sua moglie, essendo morto il Re Ladislao di lei fratello senza aver lasciati figliuoli, che fossero più prossimi in grado. Re Carlo ricevuti gli Ambasciadori con dimostrazione di onore, rispose loro, che vi avrebbe egli tosto mandato Carlo Martello suo figliuolo primogenito, al quale la Regina Maria sua madre avrebbe cedute le ragioni di quel Regno; di che rimasi ben contenti, Carlo mandò a chieder il Papa, che volesse mandar un Prelato per suo Legato a Napoli a coronarlo. Egli ciò fece non per altro, che per aver occasione con tale celebrità di rallegrar Napoli, e 'l Regno con una festa notabile dopo tanti travagli, non perchè credesse, che la coronazione fosse necessaria per mantenersi le ragioni ch'avea, o d'acquistarne di nuovo, perocchè sapeva molto bene che secondo il costume di quel Regno bisognava coronarsi un'altra volta in Visgrado, con la corona antica di quel Regno, che ivi si conserva, per essere tenuto Re legittimo da que' Popoli480. Papa Niccolò imitando l'esempio de' suoi predecessori, che niente curando, se hanno potestà di fare, o di non fare, ricercati si mettevano ad ogni cosa, per l'opinione, che tengono ancora di poter tutto, mandò tosto in Napoli un Legato, il quale coll'intervento di più Arcivescovi e Vescovi lo incoronò Re d'Ungheria. Fu celebrata quest'incoronazione in Napoli a' 8 settembre di quest'anno 1290 nella quale anche v'intervennero gli Ambasciadori del Re di Francia, e di tutti i Principi d'Italia, tra' quali i Fiorentini comparvero con maggior pompa di tutti gli altri. Le feste, le giostre e gli altri spettacoli furono grandissimi; ma rilusse sopra d'ogni altra cosa la beneficenza e liberalità del Re; il quale prima che si coronasse Carlo Martello suo figliuolo, volle armarlo Cavaliere; ed appresso a lui, diede il cingolo militare a più di 300 altri Cavalieri di Napoli, e di tutte le province del Regno. Donò alla città di Napoli le immunità di tutti i pagamenti, e lasciò anche parte de' medesimi a tutte quelle terre, ch'aveano sofferto qualche danno dall'armata siciliana. Poi si voltò ad ordinar al Re suo figliuolo una regal Corte, ponendogli appresso Consiglieri savii, e per la persona sua servidori amorevoli, e gran numero di Galuppi, e di Paggi nobilissimi.
Ma mentre in Napoli si facevano queste feste, alcuni Baroni del Regno d'Ungheria aveano chiamato per Re un Andrea parente per linea trasversale del Re morto, e l'aveano fatto dare ubbidienza da molte terre di quel Regno. Per la qual cosa Re Carlo differì mandare il figliuolo in Ungheria, e si trattenne in Napoli per alcuni anni appresso, avendolo lasciato il padre suo Vicario, mentr'egli tornò di nuovo in Francia; ed intanto per mandarlo con qualche favore, in virtù del quale potesse contrastare e vincere l'occupator di quel Regno, ed emolo suo, mandò Giacomo Galeota Arcivescovo di Bari Ambasciadore a Ridolfo I d'Austria Imperadore, per trattar il matrimonio d'una figliuola di costui col Re Carlo Martello; ed essendosi quello felicemente conchiuso, partì poi da Napoli con grandissima compagnia di Baroni e di Cavalieri, e andò in Germania a celebrare le nozze, e di là passò poi in Ungheria; e benchè conducesse seco molte forze, non però ebbe tutto il Regno, perchè mentre Andrea suo avversario visse, sempre ne tenne occupata una parte; pur da' suoi partigiani fu accolto con pompa regale e con grandissima amorevolezza; e que' Napoletani, che l'accompagnarono, riferirono gran cose a Carlo dell'opulenza di quel Regno.
Ma intanto questa felicità del Re Carlo di veder la sucessione di un tanto Regno in persona di suo figliuolo, era turbata da' continui messi, che per parte d'Odoardo Re d'Inghilterra si mandavano a lui per sollecitarlo all'adempimento della pace fatta col Re d'Aragona, il quale nell'istesso tempo si doleva con Odoardo, che avendo posto in libertà il Principe di Salerno colla sicurezza che egli aveagli data, di far rimovere il Re di Francia dall'impresa de' suoi Regni, ora più che mai era premuto da quel Re. E negli Atti d'Inghilterra481 ultimamente dati alla luce, si leggono due lettere del Re Alfonso scritte ad Odoardo, dove si lagna del Re Carlo per la soverchieria in ciò usatagli.
Carlo come Re lealissimo e di somma bontà, vedutosi in cotal guisa stretto non meno dal Re d'Inghilterra, che dal medesimo Alfonso, determinò d'andar egli di persona in Francia, e quivi far ogni sforzo d'ottenere dal Re e dal Fratello, che lasciassero l'impresa d'Aragona, come aveva promesso ne' capitoli della pace: con ferma intenzione di ritornare nella prigione, quando non avesse potuto ottenerlo. E lasciato, come si disse, Vicario del Regno Carlo Martello suo figliuolo, partì conducendo seco, fra gli altri, il celebre Bartolommeo di Capua G. Protonotario del Regno, ed ivi giunto, trovò che il Re di Francia e quello di Majorica facevano grandi apparati per entrare l'uno per la via di Navarra, e l'altro per lo Contado del Rosciglione ad assaltar il Regno d'Aragona; e trattenutosi molti dì inutilmente, era quasi uscito di speranza, non pur di far lasciare l'impresa, ma di differirla, perchè que' Re, che aveano fatta la spesa, non volevano perderla. E ne' riferiti Atti di Inghilterra si legge una certificatoria del Re Carlo, come egli era venuto ad un certo luogo per rimettersi in prigione482.
In tanta costernazione d'animo essendo questo Re, sopravvennero opportunamente in Francia il Cardinal Gaetano, ed il Cardinal Vescovo di Sabina Legati appostolici, i quali con l'autorità del nome del Papa, che a que' tempi era in gran riverenza presso al Re, ed alla nazion franzese, sforzaron il Re di Francia ad aspettare l'esito della pace, che si tratterebbe da loro. E ritiratisi in Mompelieri, avendo convocati gli Ambasciadori d'Inghilterra, d'Aragona, del Re Carlo, del Re di Majorica, del Re Giacomo di Sicilia, ed ancora quelli del Re di Francia, cominciarono a trattar la pace. Ma quanto con più attenzione quella era trattata, tanto più incontravano malagevolezze per ridurla a fine; poichè da una parte gli Ambasciadori di Sicilia dichiararono l'animo del loro Re di non voler lasciare la Sicilia; dall'altra gli Ambasciadori di Francia diceano, che 'l Re loro non volea perdere la spesa, nè che Carlo di Valois cedesse le sue ragioni, giacchè Re Giacomo voleva ritenersi quell'isola occupata a torto e con tanta ingiuria e tanto spargimento di sangue franzese. Il Papa ancora avea comandato a' suoi Legati, che in niun modo conchiudessero pace, se 'l Regno di Sicilia non restava al Re Carlo, allegando il pregiudizio, che ne nascerebbe alla Sede Appostolica, quando restassero impuniti i violenti occupatori delle cose di quella. In tanta malagevolezza, e difficultà trovandosi lo stato delle cose, Bartolommeo di Capua, che si trovava Ambasciadore per Re Carlo, Dottore in quel tempo eccellentissimo ed uomo di grandissimo giudizio, e di sagacissimo ingegno nel trattar i negozi, dimostrò a' Cardinali Legati, che una sola via restava di conchiuder la pace, ed era d'escluderne da quella il Re Giacomo, e proccurare, che Carlo di Valois in cambio della speranza, ch'avea di acquistar i Regni d'Aragona e di Valenza, pigliasse per moglie Clemenzia figliuola del Re Carlo, la quale gli portasse per dote il Ducato d'Angiò. I Cardinali cominciarono a trattar la cosa con gli Ambasciadori d'Aragona, e trovarono grandissima inclinazione di non far conto, che il Re Giacomo restasse escluso, perchè la pace era necessaria al Re d'Aragona, il quale in niun modo poteva resistere a tante guerre; poichè oltre di quella, che gli minacciava il Re di Francia, e 'l Re di Majorica, si trovava dall'altra parte essere stato assalito dal Re Sancio di Castiglia: e, quel ch'era peggio, i suoi Popoli stavano sollevati, siccome dicevano, per l'interdetto dagli Ufficj sacri, ma molto più per le spese, che occorrevano per la guerra; e facevano istanza, che pur che la guerra di Francia fosse cessata, e placato il Papa, non si doveano ritenere i figliuoli del Re Carlo, per compiacere a Re Giacomo, ma si doveano liberar subito, e far la pace. Non restava da far altro che contentare Carlo di Valois; onde i Legati si mossero da Mompelieri con tutti gli Ambasciadori, ed andarono a trovare il Re di Francia, e dopo molte discussioni si conchiuse la pace con queste condizioni.
Che Carlo di Valois avesse per moglie la primogenita del Re Carlo col Ducato d'Angiò per dote, e rinunziasse all'investitura de' Regni d'Aragona e di Valenza.
(L'Istromento dotale di questo matrimonio stipulato nel 1290 si rapporta da Lunig. pag. 1042 nel quale Clemenzia viene chiamata Margherita; e nella pag. 1043 rapporta la conferma di Celestino V fatta nel primo anno del suo Pontificato, che fu nel 1294, colla quale corrobora la transazione passata tra Carlo II e Giacomo II Re d'Aragona).
Che il Re d'Aragona liberasse i tre figliuoli del Re Carlo con gli altri ostaggi, e pagasse il censo tanti anni tralasciato del Regno d'Aragona alla Chiesa Romana.
Che non solo non dasse ajuto al Re Giacomo, ma che avesse da comandar a tutti i suoi sudditi, che si trovavano in Calabria, ovvero in Sicilia al servizio di quel Re, che dovessero abbandonarlo, e partirsi.
Che dall'altra parte il Papa ricevesse il Re d'Aragona come buon figliuolo nel grembo di Santa Chiesa, e togliesse l'interdetto a que' Popoli.
Stabilita in cotal guisa la pace, furono gli articoli di quella mandati subito in esecuzione; poichè il Re Carlo, riavuti ch'ebbe i figliuoli e gli altri ostaggi, venne per mare in Italia, e fu ricevuto con grandissimo onore in Genova, e contrasse amicizia, e lega con quella Repubblica, la quale promise d'aiutarlo alla ricuperazione di Sicilia con 60 Galee; e Carlo di Valois mandò in Napoli per Clemenzia, la quale condotta in Francia fu da lui sposata.
Ma la morte accaduta poco da poi del Re Alfonso senza lasciar di se figliuoli, turbò un'altra volta la pace cotanto desiderata; poichè essendo stato chiamato al soglio di que' Regni il Re Giacomo da Sicilia come legittimo erede: questi senza dimora alcuna navigò in Ispagna, lasciando in quell'isola per suo Luogotenente D. Federico suo Fratello; e pigliata la possessione di que' Regni, il Re di Francia e 'l Re d'Inghilterra ad istanza del Re Carlo mandarono Ambasciadori a richiederlo, che poichè avea avuti que' Regni per eredità del Re Alfonso suo fratello, volesse ancora adempire le condizioni della pace poco innanzi fatta, e restituire il Regno di Sicilia, ovvero non dar aiuto alcuno a' Siciliani, e chiamar in Ispagna tutti i suoi sudditi, che militavano in Sicilia; perchè altrimenti la pace si terrebbe per rotta, e la rinunzia di Carlo di Valois per non fatta, ed il Papa ritornerebbe ad interdire que' Regni. Re Giacomo rispose, ch'egli era succeduto a que' Regni, come fratello di Alfonso, e che però non era tenuto ad adempire quelle condizioni, alle quali avea consentito il fratello con tanto pregiudizio della Corona d'Aragona. Così d'ogni parte s'ebbe la pace per rotta, e tra il Re Carlo e Re Giacomo fu ripresa di bel nuovo ostinata guerra in Calabria.
Intanto il Re di Francia e 'l Papa molestavano Re Giacomo, che avesse da lasciar il Regno di Sicilia, e gli Aragonesi ed i Valenziani ancora il confortavano a farlo; ma la morte accaduta in quest'anno 1292 del Pontefice Nicolò fu cagione ch'egli nol facesse, e che aspettasse quel che potea far il tempo. E poichè i Cardinali venuti in discordia tra loro, lasciarono la sede vacante per lo spazio di due anni ed alcuni mesi, il Re di Francia non si mosse, e si visse quasi due anni in pace. Ma venuto l'anno di Cristo 1294 presero risoluzione di far Papa un povero Eremita, chiamato Fr. Pietro di Morrone, che stava in un picciolo Eremitaggio due miglia lontano da Solmona, nella falda del monte della Majella, e già era opinione, che per la santità della vita e più per la sua inespertezza non accetterebbe il Papato. Il Re Carlo udita l'elezione, andò subito a trovarlo ed a persuaderlo, che l'accettasse, e tanto fece, finchè l'indusse a mandare a chiamar il Collegio de' Cardinali all'Aquila; e fu agevol cosa a persuaderlo, non già per avidità ch'egli avesse di regnare, ma solo per la sua umiltà e grandissima semplicità. Vennero i Cardinali all'Aquila a tempo, che 'l Re con Carlo Martello suo figliuolo, insieme col nuovo Papa ivi era giunto, ed essendo stato con molta solennità ed infinito concorso incoronato a' 29 agosto, prese il nome di Celestino V. Carlo rendette grazie e diè lodi a tutti ch'aveano fatta sì buona elezione, e con grandissima liberalità e magnificenza somministrò a tutti le cose necessarie per lo viver loro, e per quanto si spese. Tutti stupirono per la gran novità della cosa, vedendo in un punto una persona di sì basso ed umile stato esaltata nel più sublime grado delle dignità umane.
Questo Pontefice, non ostante la nuova dignità, dimostrò quanto fosse più amante della vita contemplativa, poichè ben tosto cominciò a manifestare il suo desiderio di ritornare all'eremo: del che Re Carlo sentiva dispiacere grandissimo, perchè quando fu creato se 'l tenne a grandissima ventura, essendo suo vassallo e di così santa vita, dal quale sperava ottenere quanto voleva: e vedendo che i Cardinali desideravano, che Celestino se ne ritornasse al suo eremo, gli persuase, che venisse a Napoli per mantenerlo col fiato e col favor suo. Venne Celestino in Napoli; ma la dimora in questa città, e le tante carezze e persuasioni di Carlo niente valsero a mutare il di lui proponimento, onde tra pochi dì in mezzo decembre nella gran sala del Castel Nuovo rinunziò il Papato in man de' Cardinali, e se ne ritornò all'eremo. Nel regale Archivio483 si legge una carta di donazione fatta dal Re Carlo ad un fratello e due nipoti di Celestino di venti once d'oro l'anno in perpetuo, sopra la Bagliva di Foggia, che poi furon loro assignate sopra quella di Sulmona.
Era allora Cardinale assai stimato Benedetto Gaetano, così per nobiltà, come per dottrina e per molto uso delle cose del Mondo, il quale vedendo, che Re Carlo con la magnificenza e con la liberalità sua si avea acquistati gli animi di tutti li Cardinali, andò a trovarlo, e lo pregò che volesse aiutarlo a salire al Pontificato, facendogli con vive ragioni quasi toccar con mano, che da niuno degli altri Cardinali ch'erano in Collegio, potea sperare così pronti aiuti, come da lui, tanto nel ricoverare il Regno di Sicilia, quanto in ogni altra cosa: e perchè il Re conobbe che era vero, poichè oltre l'altre qualità sue era capitalissimo nemico de' Ghibellini, promise di farlo, come già fece, e con andar pregando uno per uno li Cardinali, ottenne da loro, che la vigilia di Natale a viva voce l'elessero, e chiamarono Bonifacio VIII.
Bonifacio, essendo di vita in tutto diversa dal suo antecessore, confidando nel parentado, che avea con molti Principi romani, andò subito a coronarsi in Roma, molto ben soddisfatto di Carlo, perchè oltre di averlo fatto Papa, non lasciò spezie alcuna di liberalità e di onore, che non usasse con lui; e però celebrata la coronazione, cominciò a mostrarsi grato di tanti obblighi, e mandò a comandare per un Legato appostolico al Re Giacomo, che lasciasse subito il Regno di Sicilia, minacciando ancora di privarlo per sentenza degli Regni d'Aragona e di Valenza, quando egli volesse persistere nell'interdetto, e non ubbidire.
Dall'altra parte Re Carlo mandò Bartolommeo di Capua in Francia a sollecitare Carlo di Valois, che rompesse la guerra per virtù dell'investitura de' Regni di Aragona e di Valenza; poichè la cessione che avea fatta nella pace con Alfonso, non dovea valere in beneficio di Giacomo, il quale non volea stare agli altri patti; ma Bartolommeo, poichè fu giunto in Francia, non ebbe tanta fatica a persuadere a Carlo, che rompesse la guerra, quanta n'ebbe a persuadere a quel Re, che facesse la spesa: ma in fine, passando per la Francia il Legato appostolico, che tornava da Valenza, e dicendo, che Re Giacomo, ancorchè avesse dato parole all'ordine del Papa, mostrava di stare pure sbigottito, per conoscere l'animo di que' Popoli, che mal volentieri sofferivano di stare interdetti, inanimò il Re a condiscendere a' prieghi di Bartolommeo, ed a bandire la guerra al Re Giacomo e ad apparecchiare l'esercito per assaltarlo.
Allora Re Giacomo cominciò a mutar pensiero ed a conoscere, che esso non era abile a sostenere insieme tante guerre; e per accattar benevolenza da' Baroni di quelli Regni, convocò un Parlamento generale, nel quale dichiarò, che l'animo suo non era di vivere e far vivere essi interdetti, e che desiderava d'ubbidire al Sommo Pontefice; ma che dall'altra parte temeva, per vederlo tanto strettamente legato con Re Carlo, e che però voleva, che si mandassero quattro Ambasciadori supplicando la Santità Sua, in di lui nome e di quelli Regni, che volesse trattare la pace con giuste ed oneste condizioni, ch'egli l'avrebbe accettata volentieri, e nel medesimo Parlamento furono eletti gli Ambasciadori, con piena potestà d'intervenire nel trattato della pace. Come questi Ambasciadori furono giunti in Roma, ed ebbero esposta al Concistorio la buona volontà del Re Giacomo, fu loro risposto dal Papa molto benignamente, e promesso, ch'egli spogliandosi d'ogni affezione, tratterebbe la pace così onorata per l'una, come per l'altra parte.
Re Carlo, che per Breve del Papa fu avvisato di questo, ordinò a Bartolommeo di Capua, il qual tornava da Francia, che si fermasse in Roma, ed intervenisse come Ambasciadore al trattato della pace, la quale fu maneggiata dal Papa con tanta destrezza, che quell'articolo ch'era stato più malagevole a trattare, cioè la restituzione del Regno di Sicilia, fu con poca fatica accettato dagli Ambasciadori d'Aragona: e si crede che fosse perchè Re Giacomo non avea modo alcuno di trovar denari da provvedere e da opponersi agli apparati del Re di Francia, poichè li popoli, tutti inclinati alla pace, non volevano contribuire; e così a' 5 di giugno dell'anno 1295 fu conchiusa la pace con queste condizioni: che Re Giacomo consegnasse l'isola di Sicilia a Re Carlo, così intera, come l'avea posseduta Carlo I avanti la revoluzione. Che restituisse tutte le terre, fortezze e castella, che li suoi Capitani tenevano in Calabria, Basilicata e Principato; e dall'altra parte Re Carlo gli dasse per moglie Bianca sua figliuola secondogenita con dote di 100 m. marche d'argento, e che si facesse amplissima restituzione ed indulto de' beni e delle persone di coloro, che avevano servita l'una parte e l'altra; ed il Papa ribenedicesse e ricevesse in grazia Re Giacomo e tutti li suoi sudditi e aderenti, togliendo l'interdetto ecclesiastico, ed assolvendogli d'ogni censura. Gli Ambasciadori del Re di Francia entrarono nella pace per lo Re loro, con obbligarlo ancora a farvi entrare il Re di Castiglia.
Questa pace diede gran maraviglia per tutto il Mondo, perchè parea cosa impossibile che Re Giacomo, il quale mantenuto tanti anni quel Regno con le sole forze di Sicilia, accresciuto poi da due altri Regni e di tante altre Signorie che avea in Ispagna, fosse avvilito e fatta una pace; ma li Savii giudicarono che egli avesse fatto prudentemente, perchè con quelli Regni gli era ancora venuta l'impossibilità di potergli difendere tutti, e gli era stata un'eredità di molto più peso che frutto, avendo da guerreggiare ne' Regni di Spagna col Re di Castiglia e col Re di Francia, ed in Sicilia con Carlo: onde gli sarebbe bisognato mantenere tre eserciti ed essere in tre luoghi, il che era parimente impossibile oltre l'inimicizia del Papa, la quale gli facea non minor guerra dell'altre: narrasi ancora, che vi s'inchinò per una promessa che gli fece il Papa d'investirlo del Regno di Sardegna, e di farlo aiutare da Re Carlo suo suocero all'acquisto di quell'isola ed ancora dell'isola di Corsica.
Alla fama di questa pace, che subito giunse in Sicilia, D. Federico che si trovava Luogotenente del fratello, com'era giovane di gran cuore, cominciò ad aspirare al dominio di quel Regno e simulando il suo disegno, mandò prima Ambasciadori al Papa a notificargli, che per quanto toccava a se, era stato sempre pronto e desideroso di vivere sotto le ali e sotto l'ubbidienza della S. Chiesa ed a supplicarlo che volesse riceverlo per tale: il Papa udita l'ambasciata ed accolti benignamente gli Ambasciadori, rispose che avessero detto a D. Federico che gli era stato gratissimo quell'ufficio, e che desiderava molto di vederlo e di adoperarsi per lui. D. Federico andò subito in Roma, e menò seco Ruggiero di Loria e Giovanni di Procida. Il Papa dappoichè l'ebbe accolto con onore grandissimo, avendo vista la disposizione, e la bellezza del corpo, e l'ingegno che mostrava nel trattare, restò quasi fuor di speranza di poterlo persuadere, perchè pareva attissimo a regnare, e sapersi mantenere il Regno: pur non lasciò con ogni arte di manifestargli la pace e di confortarlo, che volesse conformarsi con la volontà del Re Giacomo suo fratello, e lo pregò che quando tornasse in Sicilia, avesse fatta opera che senza ripugnanza si fosse resa quell'isola, perchè egli all'incontro avrebbe tenuta special cura della persona di lui, conoscendolo degnissimo d'ogni gran Signoria, promettendogli di far opera che Filippo figliuolo di Balduino, Imperador di Costantinopoli, gli avesse data per moglie la figlia unica, con la promessa della successione d'alcune terre che possedeva in Grecia, e delle ragioni di ricovrare l'Imperio di Costantinopoli; e promise ancora di farlo aiutare dal Re Carlo e d'aiutarlo ancora egli con tutte le forze della Chiesa. D. Federico per allora non seppe far altro che accettare le offerte, e promettere di far quanto per lui si potea che l'isola fosse resa, e partì.