Sadece LitRes`te okuyun

Kitap dosya olarak indirilemez ancak uygulamamız üzerinden veya online olarak web sitemizden okunabilir.

Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5», sayfa 24

Yazı tipi:

Ma i Siciliani, com'ebbero inteso da lui la certezza della pace fatta, disperati e malcontenti, non altrimenti che se aspettassero l'ultimo esterminio nel venire in mano de' Franzesi, loro mortalissimi nemici, s'unirono insieme a parlamento, e con quell'audacia che suole nascere dalla disperazione, determinarono di passare per ogni estremo pericolo più tosto che venire a tanta estrema miseria: onde elessero quattro Ambasciadori che andassero al Re Giacomo, e 'l supplicassero che fosser date in guardia agli oriondi del Regno tutte le castella e fortezze di quello, e che ritrovando il Re determinato di restituire l'isola a Re Carlo, gli rendessero l'omaggio, sciogliendosi dal giuramento di fedeltà e di soggezione, con fargli intendere apertamente che in tal caso non erano per ubbidirlo.

Questi Ambasciadori arrivarono nel medesimo tempo, che giunse la Sposa al Re Giacomo, il quale udita l'ambasciata, rispose loro, che per ben della pace e sicurtà di quelli Regni, ove egli era nato, era stato costretto di restituire a Re Carlo suo suocero l'isola; onde imponeva loro che senz'altra ripugnanza quella si restituisse.

Gli Ambasciadori di questa risposta rimasero afflittissimi, ed avendo replicato al Re, che non avea potestà di vendergli, gli restituirono l'omaggio, e protestarono che quel Regno si teneva da quell'ora avanti per libero e sciolto da ogni giuramento, e che avrebbe proccurato altro Re, che con gratitudine ed affezione l'avesse difeso, e con questo si partirono e ritornarono con ogni celerità in Sicilia.

Intanto Giovanni di Procida e Manfredi di Chiaramonte aspettando il loro ritorno, si erano fortificati in alcune piazze, e tenendo per fermo che D. Federico avrebbe assai volentieri abbracciata sì opportuna occasione, gli persuasero che non la lasciasse, e che convocasse un Parlamento generale in Palermo. D. Federico si lasciò cadere dalla mente tutte le promesse del Papa, parendogli che se per mantenere Sicilia bisognava stare con l'armi in mano a casa sua, per acquistare Costantinopoli gli sarebbe stato necessario andare armato con assai maggior disagio e spesa per lo paese altrui; onde fece convocare a Parlamento non solo li Baroni, ma li Sindici tutti delle città e terre, innanzi a' quali gli Ambasciadori riferirono la risposta di Re Giacomo, e fecero leggere la copia che aveano portata della Capitolazione della pace. Il fremito di tutti fu grandissimo, ed allora Ruggiero di Loria insieme con Vinciguerra di Palizzi pronunciarono il voto loro, che D. Federico fosse gridato Re di Sicilia, e s'offersero i primi a dargli il giuramento; la moltitudine non aspettò che seguissero gli altri Baroni secondo l'ordine, ma ad altissime voci gridarono: Viva D. Federico Re di Sicilia. Così l'anno di nostra salute 1296 a' 25 di marzo fu solennemente coronato Re Federico, il quale non meno prudente che coraggioso, diede ordine a far danari e nuove genti, e non solamente s'apparecchiò a difendere Sicilia, ma a continuare ancora l'impresa di Calabria.

(Federico salutato Re di Sicilia spedì sue Lettere a Palermo ed a tutte le comunità di quel Regno, invitandole ad intervenire nella solenne sua coronazione, le quali si leggono presso Lunig, tom. 2, pag. 1049; rapporta ancora pag. 1051 la Bolla di Bonifacio VIII, per la quale annullasi la Coronazione di Federico, ordina che si rivochi, e minaccia censure ai Siciliani, se non faranno ogni sforzo di cacciarlo di Sicilia).

Intanto Re Carlo arrivato ad Anagni, dove era il Papa, lo supplicò che avesse mandato un Legato appostolico, insieme coll'Ambasciadori del Re Giacomo, ad ordinare a' Siciliani che restituissero l'isola in mano di Carlo come fece; ma giunti che furono in Messina, si fece loro intendere che quella città, e tutta l'isola era del Re Federico d'Aragona, e che essi non passassero più oltre, perchè avrebbero trovato quel che non volevano. Gli Ambasciadori insieme col Legato sbigottiti se ne tornarono prima a Napoli a trovare il Re, e poi ad Anagni al Papa, ed all'uno ed all'altro diedero relazione di quel ch'era passato. Parve a Carlo, che era lealissimo di natura, cosa molto inaspettata; ma non parve così al Papa che, da che aveva veduto D. Federico, e considerati gli andamenti suoi, sempre l'avea avuto sospetto. Si risolsero perciò mandare un Legato ed Ambasciadori al Re Giacomo, perchè con tutte le sue forze s'adoperasse che con effetto fosse resa quell'isola.

Mentre il Legato, e gli Ambasciadori andarono in Ispagna, Re Carlo con consiglio del Papa, e de' suoi più savi Baroni, per non aspettare che Re Federico pigliasse più forza, e per non stare in tutto appoggiato nella speranza di Re Giacomo, deliberò movergli guerra. Fu perciò con ugual ferocia ed ardire guerreggiato lungamente in Calabria, ove Carlo ora vincente, ora perdente faticò invano a ricuperare quelle Piazze, che Federico teneva occupate in quella provincia; anzi l'ardir di costui s'estese tanto, che invase la Provincia d'Otranto, prese e saccheggiò Lecce, fortificò Otranto, e disceso a Brindisi accampossi alle mura di quella città484. Sol questo danno ricevè Federico da questa guerra, che essendosi disgustato con Ruggiero di Loria, fe' che questi poi passasse al partito di Carlo.

Il Papa avendo avviso di questi felici successi del Re Federico, e che Carlo con le forze che avea allora, appena basterebbe a difendere il Regno di Puglia, e che la ricovrazione di Sicilia anderebbe a lungo, se non gli fossero aggiunte altre forze, parte per mantenere l'autorità della Sede Appostolica, la quale egli era deliberato innalzare quanto potea; parte per l'amore che portava al Re Carlo, lasciò la cura di tutte l'altre cose, e si voltò solo a questa impresa; e per obbligarsi Re Giacomo perchè pigliasse impegno di far restituire in ogni modo la Sicilia, gli mandò l'investitura del Regno di Sardegna, e lo creò Confaloniere di S. Chiesa e Capitan Generale di tutti li Cristiani, che guerreggiavano contro gl'Infedeli, e mandò a pregarlo che con ogni studio avesse atteso a compire quanto avea promesso.

(Questa investitura del Regno di Sardegna, data al Re Giacomo, si legge presso Lunig tom. 2 sect. 3 de Sardiniae Regno, pag. 1415).

Re Giacomo vedendosi, oltre l'obbligo della Capitolazione, obbligato al Papa, ordinò ne' Regni suoi, che si facesse grand'apparato d'armata, e venne in Roma ad iscolparsi e giurare innanzi al Papa, che non era nè consapevole, nè partecipe in modo alcuno della contumacia e della colpa del fratello, e che l'avrebbe mostrato con l'armi in mano a tutto il Mondo; e per allora mandò in Sicilia Pietro Comaglies Frate dell'Ordine de' Predicatori per trattare col fratello, e persuaderlo che ubbidisse al Papa. Frate Pietro non potendo ottenere la restituzione di Sicilia, come Religioso consigliava al Re D. Federico che almeno lasciasse le terre di Calabria, sopra le quali non avea titolo niuno, nè giusto, nè colorato; perchè se bene egli si voleva ritenere il Regno di Sicilia per l'elezione, che aveano fatta di lui li Siciliani, o per lo testamento di Re Alfonso suo fratello primogenito; nel Regno di Puglia, del quale sebbene era stato di Re Pietro il titolo sotto la medesima ragione, che era Sicilia per l'eredità di Re Manfredi, nientedimeno per la cessione fatta da Re Giacomo nella pace, era stata trasferita ogni ragione nella persona di Re Carlo, quando eziandio non gli avessero da valere l'investiture e confermazioni di tanti Papi. Ottenne con questo, che avantichè partisse di Sicilia, il Re Federico mandò a richiamare Ruggiero di Loria, e promise di richiamare tutti li presidii delle terre. Il Frate tornato al Papa ed al Re Giacomo, disse quanto avea fatto, e non restando contenti nè l'uno, nè l'altro, Giacomo mandò appresso il Vescovo di Valenza a pregare Re Federico, che avesse voluto venire a parlamento con lui nell'isola di Procida, o d'Ischia, ove si sarebbe preso alcun buon ordine alle cose loro: Re Federico rispose a questo, che non poteva moversi senza consiglio de' suoi Baroni; ed avendo dimandato ad alcuni quel che era da farsi, Ruggiero di Loria il consigliò, che s'umiliasse al fratello, e che andasse a parlargli; ma entrato il Re, per insinuazione degli emoli di Ruggiero, in diffidenza del medesimo, questi di ciò accortosi, parlò con tanta ira, che il Re gli comandò che non uscisse di Palazzo; ma supplicato il Re, che lo lasciasse andare, egli subito si partì: onde si trattò poi il modo per farlo entrare a' servigi del Re Carlo.

A questo tempo vennero nuovi Ambasciadori del Re Giacomo in Sicilia, con ordine, che se il Vescovo di Valenza non avesse ottenuto, che Re Federico fosse venuto a parlamento con lui, gli conducessero la Regina Costanza e l'infante Donna Violante a Roma, dove il Re Giacomo l'aspettava. Federico non volle sopra ciò mostrare di dispiacere al fratello, e disse alla madre, ch'era in potestà sua l'andare, come il fermarsi in Sicilia, e così ancora il menarne la sorella: quella Regina come savia ed amatrice dell'uno e l'altro figlio, elesse d'andare, ancorchè sapesse d'incontrarsi col Re Carlo, figliuolo di colui, che avea ucciso il fratello, e fatta morire la Regina Sibilla sua madre ed un fratello unico in carcere, perchè dall'altra parte sperava di mitigare l'animo del Re Giacomo verso Federico; e così postasi in mare con la figlia, navigò verso Roma. Fu certo raro esempio della varietà delle cose umane vedere quella Regina accompagnata da Giovanni di Procida e da Ruggiero di Loria, che con le sue galee l'avea aspettata in mare, che s'imbarcasse ed andassero tutti insieme in cospetto di Re Carlo, al quale aveano fatti tanti notabilissimi danni. Re Giacomo accolse la madre e la sorella con grandissima reverenza, e le disse, come per mezzo del Papa avea promessa la sorella per moglie a Roberto Duca di Calabria, il quale s'aspettava il dì seguente. La madre ne restò quieta, sperando che, quanto più si legassero in parentado, più fosse col tempo agevole a conchiuder pace tra loro. Venne fra due dì Re Carlo col Duca di Calabria, e con tre altri figli con tanta pompa che fu a Roma cosa mirabile e nuova, perchè oltre il numero de' Conti, di tanti Ufficiali e Consiglieri del Re, era cosa molto bella a vedere presso ciascuno de' figli un numero quasi infinito di Cavalieri benissimo in ordine, di Paggi e di Scudieri, vestiti di ricchissime divise, ed il Papa, che ancora avea animo regale, per quel che toccava a lui con grandissima magnificenza e liberalità volle, che innanzi a lui si facesse lo sponsalizio, e che i Nepoti suoi celebrassero sontuosissimi conviti all'uno ed all'altro Re, ed a' figliuoli; ma finite le feste volle, che si trattasse delle spedizioni, che s'aveano da fare contro Re Federico per la ricovrazione di Sicilia; e per lo primo e più importante apparato, trattò che Ruggiero di Loria entrasse a servire Re Carlo con titolo d'Ammiraglio dell'uno e dell'altro Regno, e Re Giacomo ritornasse in Catalogna, e Re Carlo in Napoli, a ponere in ordine le loro armate; ma avanti che Carlo partisse, per mostrarsi grato verso il Papa, essendo rimasta Giovanna dell'Aquila erede del padre nel Contado di Fondi ed in sei altri castelli in Campagna di Roma, la diede per moglie a Giordano Gaetano figlio del fratello del Pontefice; ed in questi dì medesimi morì in Roma Giovanni di Procida, uomo di quel valore e di quell'ingegno, che tutto il Mondo sa.

Ma tornando al Re Carlo, subito che e' giunse a Napoli fece grandissimi privilegi ed onori a Ruggiero di Loria, al quale restituì non solo tutte le terre antiche sue in Calabria, in Basilicata ed in Principato; ma glie ne donò molte altre, ed ordinò ancora a tutti i Governadori di province ed altri Ufficiali, che ubbidissero agli ordini di Ruggiero per l'apparecchio dell'armata.

Dall'altra parte il Re Federico, ch'era avvisato di quanto si trattava ed apparecchiava contro di lui, s'accinse anch'egli a sostener l'impeto di tanta procella, che se gli minacciava. Fece citar Ruggiero di Loria, e lo condannò per ribelle, e mandò subito a togliergli le terre che avea in Sicilia. Re Giacomo dopo aver richiamati tutti gli Aragonesi e Catalani, che erano in Sicilia ed in Calabria, avea già posto in ordine una buona armata, con intenzione di venire ad unirsi con quella di Re Carlo; non solo per costringere il fratello a lasciare la Sicilia, ma anche per acquistare il Regno di Sardegna, del quale n'avea ricevuta l'investitura da Papa Bonifacio. Partito da Barcellona, venne a Civitavecchia, e poi a Roma, ove trovò il Papa, che l'accolse con molti segni di stima e di allegrezza.

Non fu Pontefice al Mondo, che tenesse sì alti e fantastici concetti del Papato quanto Bonifacio VIII. Era egli persuaso, che non meno dello spirituale, che del temporale fosse assoluto Monarca dell'Universo. Per maggiormente ciò dimostrare, avendo nell'anno 1300 pubblicato il Giubileo, con ordinare che lo stesso fosse rinovato ogni cento anni, traendo con ciò gran concorso di gente in Roma, egli per far maggior pompa di se, comparve nelle Cerimonie colle duplicate Corone sopra il Camauro, e vestito del Manto Imperiale, prendendo per divisa: Ecce duo gladii hic. Egli perciò credea di poter togliere e dare i Regni a sua posta; investì perciò il Re d'Aragona del Regno di Sardegna, al Re Federico avea promesso l'Imperio di Costantinopoli, ed a Ruggiero di Loria, che col suo valore si trovava nelle coste dell'Affrica aver acquistate in que' mari alcune isole, che furono Gerba e Karkim, non appartenenti all'Isola di Sicilia, ma al Regno di Tunisi, egli fattosi promettere per censo ogni anno cinquanta once d'oro al peso di Sicilia, ne gli diede investitura per lui e suoi eredi, commettendo a Fr. Bonifacio Calamendrano G. Maestro de' Cavalieri Gerosolimitani, che ne ricevesse il solito giuramento di fedeltà e d'omaggio. L'investitura fatta a Ruggiero di quelle isole a' 11 agosto del 1285 primo anno del suo Pontificato, si legge presso il Tutini485, che la cavò dall'Archivio Vaticano. Così ora giunto il Re Giacomo in Roma, con grandissima solennità lo fa Gonfaloniere e Capitan Generale per tutto l'Universo contra gl'infedeli, e gli consignò lo stendardo.

Partì Giacomo accompagnato dal Cardinal Marramaldo Legato appostolico, col quale in brevi dì giunse a Napoli, ove trovò Roberto Duca di Calabria suo cognato con 36 galee, e con maggior numero di navi da combattere e da carico; e congiunta quest'armata insieme con l'armata catalana, facevano il numero di 80 galee grosse e più di 90 navi; oltre a' navili minori, che usavano a quel tempo, parte chiamati Uscieri e parte Trite. Con questa grande armata a' 24 agosto del 1298 il Re, il Duca Ruggiero di Loria ed il Legato appostolico partirono da Napoli, ed invasero da più parti la Sicilia. La spedizione in su 'l principio parve felice, poichè si resero Patti, Melazzo, Nucara, Monteforte ed il castello di S. Pietro e molti altri luoghi di quella Valle.

Dall'altra parte Re Federico con Corrado Doria genovese, che avea creato Capitan generale dell'armata di mare, si misero con ogni studio a fortificare i luoghi più importanti, ed a vietare le vettovaglie al campo nemico; onde Re Giacomo vedendo le cose andar in lungo, ed essere già la stagione avanzata, per non avventurare così grande armata in quella marina mal sicura allo spirare di Tramontana, passò il Faro, ed andò a Siragosa città con porto più capace: ma giunto quivi alla fine d'ottobre, trovò che vi era dentro con presidio Giovanni di Chiaramonte, il quale non fece segno alcuno di volersi rendere; onde cominciò a darvi il guasto, ed a mandare parte di sue genti ad occupare le terre convicine di Val di Noto: ed avendo alcuni Preti, ch'erano dentro la città, per far cosa grata al Legato appostolico, ch'era al campo, ordita una congiura di dare a Ruggiero di Loria una torre delta città, la trattarono così scioccamente, che si discoverse, e Giovanni di Chiaramonte punì molto bene i colpevoli.

Intanto portandosi a lungo quest'assedio, Re Federico ragunato tutto il corpo della cavalleria siciliana con spesse scorrerie infestava tutte quelle terre, che s'erano rendute a Re Giacomo, e che mandavano vittovaglie al campo del medesimo e vedutosi, che mantenendosi gagliardamente Siragosa, l'esercito del Re Giacomo perdeva di giorno in giorno di riputazione, i cittadini di Patti alzarono le bandiere di Re Federico, e posero l'assedio al castello di quella città, ove s'erano ritirate le genti, che Re Giacomo v'avea lasciate per presidio. Per la difesa di questo castello accaddero più fatti d'armi, ne' quali restando perditori le genti del Re Giacomo, lo posero in somma costernazione, tanto, che vedendosi sopra l'inverno, ed il suo esercito in gran parte infermo per incomodità sofferte nell'assedio; e dubitando, che l'audacia crescesse tanto a' nemici, che venissero ad accamparsi all'incontro di lui, levò l'assedio di Siragosa, e navigò verso Napoli con molto più sdegno che onore, e con animo di ritornare, quanto prima potea, a far guerra maggiore; ma sopraggiunto da una crudelissima tempesta sopra l'isola di Lipari, che disperse la maggior parte di sue galee e navi, a gran fatica si ridusse salvo col resto a Napoli. E quivi giunto fu subito assalito da una gravissima infermità di corpo e d'animo contratta non meno per l'incomodità sofferte nella guerra e nel naufragio, che per dispiacere d'impresa così infelice, e dopo essere stato gran tempo in pericolo della vita, finalmente confortato dall'allegrezza, perchè la Regina Bianca sua moglie avea in Napoli partorito un figliuolo, il quale fu poi suo successore in que' Regni, sul finire dell'estate di questo anno 1299 navigò con lei verso Spagna; ed in pochi dì giunse salvo al Porto di Roses, e consumò tutto quel verno nel preparare le cose necessarie per rinovare al principio del nuovo anno con maggior forza la guerra, e per poter essere più presto ad assaltare l'isola. E veramente questo Re mostrò bene la bontà dell'animo suo regale, avidissimo d'attendere quel che avea promesso al Papa ed al Re Carlo suo suocero. Dall'altra parte Re Carlo in Napoli, come che di natura pacifico e avverso agli esercizi dell'arme, era sollecitato e spinto da' suoi figliuoli giovani arditi e bellicosi, onde con simile attenzione pose in ordine la parte dell'armata che toccava a lui; tal che ritornato il Re Giacomo a Napoli con lo sforzo dell'armata sua all'ultimo d'aprile del nuovo anno 1300 a' 24 del seguente mese di Maggio partiron le Galee e le navi, e quel dì medesimo fecero vela per Sicilia Roberto Duca di Calabria e Filippo Principe di Taranto, figliuoli del Re Carlo, e di comun voto col Re Giacomo fecero Generale dell'una e l'altra armata Ruggiero di Loria.

CAPITOLO IV
Guerra rinovata in Sicilia. Morte di Carlo Martello Re d'Ungheria; e pace conchiusa col Re Federico

Fu l'ultimo anno di questo decimoterzo secolo assai memorabile non meno per le tante battaglie accadute in Sicilia, che per l'audacia del Re Federico e per le molte gloriose azioni di tanti valorosi Principi ed eccellenti Capitani, e sopra ogni altro del famoso Ruggiero di Loria, descritte così a minuto e con tanta vivezza dal celebre Costanzo486, che serbando il nostro istituto, saremo sol contenti in accorcio qui notarle, con rimettere coloro, che forse volessero a pieno soddisfare i loro desiderj, a quel gravissimo Istorico.

Il Re Federico, che liberato da quel primo insulto, pieno d'animo e di coraggio avea ridotte sotto le bandiere le terre di quell'isola, invase da' suoi nemici, essendo stato avvisato dell'apparato stupendo, che si faceva contro lui, fece subito per tutte le parti dell'isola ponere in ordine il maggior numero di galee che fu possibile, con proponimento d'uscire incontro a' nemici e con intrepidezza inudita ponere ogni cosa a rischio in una giornata.

Nè è da tralasciare quel che ponderò il mentovato savissimo Scrittore487, essere stata veramente cosa maravigliosa (per quella difficoltà, che si vedea a' suoi tempi e molto più ne' nostri, nel ponere in ordine le armate) come que' Re poveri di quel tempo bastassero in tanto breve spazio a fare tanto numero di galee, quanto si vide messo in acqua, ed in esercito in quegli anni, che durò la guerra di Sicilia: rapportando alcuni, che Re Federico n'ebbe in punto cinquantotto, che pare cosa incredibile, ed aver potuto perfettamente armarle in quel poco spazio ch'ebbe di respirare, tra l'una guerra e l'altra.

Sentendo adunque Federico, che l'armata nemica sarebbe uscita fra pochi giorni da Napoli, egli partì da Messina con animo di combatterla, confidando all'audacia ed ostinazione de' Siciliani, i quali appena la scoversero, che ad alta voce gridando chiedevano battaglia. Frenogli il Re sino all'alba del giorno seguente, nella qual ora movendosi con la galea sua Capitana in mezzo di tutte le altre, andò con grandissimi gridi contro l'armata nemica. Ruggiero di Loria vedendo, che la temerità de' Siciliani avea mosso quel Re a speranza di vittoria, pose nel mezzo delle sue galee, la Capitana del Re d'Aragona e quella di Napoli, ove erano il Duca di Calabria e 'l Principe di Taranto, ed appressatosi a' nemici ricevè la battaglia. Fu con pari valore e pari ardire lungamente combattuto, ma con arte disuguale; poichè Ruggiero fingendo di fuggire, tirò in luogo le galee nemiche, dove potè con facilità stringerle, onde ruppe l'armata, e rimasero tutte o prese, o poste in fondo, e sol Federico con dodici galee, che lo seguirono, fuggendo si ricovrò a Messina.

Per questa così memorabil rotta seguita con tanta gloria di Ruggiero, rimasero tanto afflitte le cose dei Siciliani, che non fu persona a que' tempi, che non giudicasse, che la Sicilia tra pochi dì avesse da venire in mano del Re Carlo; ma ecco come spesso errano i giudizi umani, perchè Re Giacomo credendo di aver tanto abbassate e consumate le forze del Re suo fratello, che le genti del Re Carlo sotto il governo di Ruggiero di Loria, non avessero da far altro, che fra pochi giorni pigliare la possessione dell'Isola, non volle procedere più oltre, parendogli d'avere soddisfatto al Mondo, al Papa e al Re Carlo, avendo in due guerre tanto speso e posto in pericolo la persona sua nella prima guerra con l'infermità, ed in questa battaglia con una ferita. E così essendo venuto il Duca di Calabria ed il Principe di Taranto e Ruggiero a visitarlo, dappoichè fu medicata la ferita, disse loro, che avendo piaciuto a Dio con sì notabile vittoria d'adempire le sue promesse, nè restando altro che pigliar la possessione della Sicilia, era ormai tempo ch'egli ritornasse in Ispagna a' suoi Regni, per disponere le cose in modo, che que' Popoli impoveriti per le gravezze sostenute in quella guerra, venissero a ristorarsi con mettere fine a' loro danni, che perciò lasciava loro a godersi il frutto della vittoria. Il Duca ch'era giovane di 23 anni avidissimo di gloria, accettando per vero tutto quello, che il Re diceva, e rendendogli insieme lodi e grazie a nome del Re suo padre, gli augurò prospero e felice viaggio, e così partito il Re, rimase egli allegro, credendosi che resterebbe a lui l'onore di ridurre felicemente l'impresa al desiato fine; ma molto più rimase allegro Ruggiero giudicando, che siccome era stata sua la gloria della vittoria, tale ancor sarebbe l'onore di quello, ch'avea da succedere. Non mancarono però molti, che dissero, che Re Giacomo si partì più tosto per la pietà fraterna, che per giudicare le cose del Re Federico al tutto disperate.

Tra questo mezzo giunto Federico con le dodici galee in Messina, inanimito da que' cittadini a non abbandonar la difesa, e vie più fatto ardito quando a Messina giunse l'avviso, che il Re Giacomo era partito, cercò di raccogliere il maggior numero, che potea di fanti e di cavalli, ed andò a ponersi con tutto il suo sforzo a Castro Giovanni, luogo di natura fortissimo ed opportuno a soccorrere ovunque il bisogno lo chiamasse. Dall'altra parte il Duca di Calabria prese Chiaramonte, e dopo lungo contrasto Catania al fin si rese. La fama dell'acquisto di questa città andò non solo divulgando quello ch'era, ma che le due parti dell'isola aveano alzate le bandiere della Chiesa e del Re Carlo; onde Papa Bonifacio, che l'avea creduto, lusingandosi di potere senza tanto spargimento di sangue Cristiano, quietamente ridurre tutta l'isola all'ubbidienza del Re, vi spedì subito il Cardinal di Santa Sabina per Legato appostolico, il quale dovesse assicurare su la parola sua i Siciliani a rendersi, perchè sarebbero ben trattati; minacciando anatemi ed interdetti, se non ubbidissero; promettendo all'incontro benedizioni ed indulgenze, se si rendessero. Ma Ruggiero di Loria, conoscendo l'animo indomito de' Siciliani, che non si piegavano se non colla forza, persuase al Duca, bisognare a spedir la guerra altro aiuto di quello, che portava il Legato; ed il nemico doversi vincere con armi e non a suono di campanella e di scomuniche488. Fu perciò richiesto nuovo ajuto da Napoli, e dal Re Carlo furono mandate dodici altre galee, e molti legni di carico; ed il Principe di Taranto con seicento cavalli, e mille fanti, diede alla Falconara la battaglia, ove restò prigione ed i suoi rotti. Fu dopo la prigionia di questo Principe guerreggiato con maggior audacia da Federico, ed avendo scoverta una congiura tesa contro la sua persona, tosto la ripresse, e punì i colpevoli. Il Duca di Calabria passò ad assediar Messina, ma soccorsa da Federico, il Duca vedendo il campo suo oppresso di fame e di molte infermità, si levò dall'assedio. Allora fu che per mezzo di Violante Duchessa di Calabria, sorella di Federico, si cominciò a trattare di triegua, che fu conchiusa per sei mesi. E 'l Duca tra questo spazio volle andare in Napoli a rivedere il padre, e lasciò la Duchessa Violante con un figliuolo, ch'avea partorito in Catania, per dare a credere ai partigiani suoi, che no 'l faceva per abbandonare l'impresa, ma per tornare con maggior forza.

Fra questi sei mesi Papa Bonifacio pensò in vantaggio di Re Carlo favori ed aiuti nuovi, e l'occasione fu questa, ch'essendo morta a Carlo di Valois fratello del Re di Francia la prima moglie, ch'era figliuola del Re Carlo, il Valois aveva pigliata una figliuola di Filippo, nato dall'ultimo Balduino Imperadore di Costantinopoli, erede di molti luoghi in Grecia, e del titolo e della ragion dell'Imperio, ch'era stato occupato dal Paleologo; e con l'ajuto del Re di Francia e del Papa, voleva andare all'impresa di Costantinopoli. Ed essendo nel viaggio giunto a Fiorenza, che allora per le solite fazioni si trovava in discordia, fu richiesto da que' cittadini, perchè gli componesse; ma egli pose più discordia, che prima vi era, e partissi per Roma, ove Papa Bonifacio gli persuase, che l'impresa di Costantinopoli sarebbe stata più agevole aiutando egli Re Carlo a fornir l'impresa di Sicilia; perchè poi avrebbe potuto avere da costui più pronti aiuti, e più comodi soccorsi, che non già dal Re di Francia, per la brevità del cammino da Puglia in Grecia. Accettò il consiglio il Valois, e venne subito a Napoli con le sue genti, dove, tra le sue galee e navi, con altre che s'armavano quivi, posero molte truppe in ordine, e con felicissimo viaggio egli ed il Duca giunsero in Sicilia, a tempo, ch'era già finita la triegua. Non è dubbio, che vedendosi tanto numero di nemici in quell'isola, ogni uno giudicava le cose di Federico disperate; ma questo Principe con quel vigor d'animo, ch'era suo naturale e con quella prudenza, in che superò ogni altro Re del suo tempo, andò compartendo le sue poche genti a' luoghi di maggior importanza, così aspettando che il tempo diminuisse la forza de' nemici. Ed in effetto il Valois avendo spesi molti giorni senza fare gran frutto, Re Federico venne a certissima speranza di vincere senza combattere.

In quest'anno 1301 che queste cose passavano in Sicilia, accadde in Napoli l'acerba ed immatura morte di Carlo Martello Re d'Ungheria. Erasi questo Principe il precedente anno, coll'occasione del nuovo Giubileo pubblicato da Papa Bonifacio, portato in Roma a visitare la Basilica di S. Pietro, e venne poi a Napoli a visitar suo padre, e forse ancora, vedendo il padre vecchio, a proccurare, che il Regno di Napoli, dopo la sua morte restasse a lui, temendo, che trovandosi egli lontano, i fratelli non l'occupassero: ma il suo destino portò, ch'e' morisse prima, non senza sospetto, secondo narra il Carafa, che Roberto suo fratello per ambizione di regnare dopo la morte del padre, l'avesse fatto avvelenare. Morì non avendo più che 30 anni con dolore universale di tutto il Regno, perchè era un Principe mansueto e splendido; e molti nobili Napoletani, ed altri di questo Regno, che vivevano splendidamente in casa sua, restaron privi di quel sostegno, e della speranza d'esaltarsi, servendo a Signore magnanimo e liberalissimo. Lasciò di Clemenzia sua moglie, che era figliuola di Ridolfo Imperadore, un figliuolo chiamato Caroberto, che gli successe nei Regno d'Ungheria. Fu sepolto nella chiesa maggiore di Napoli, appresso la sepoltura di Carlo I suo avo, ove si vede il sepolcro coll'armi sue e quelle di casa d'Austria, che sono della moglie; donde fu spinto il Conte d'Olivares Vicerè, sotto il Regno di Filippo III di collocare in luogo più eminente su la porta di quella chiesa, ed in più magnifica forma, questi due sepolcri, insieme coll'altro della Regina sua moglie.

Ma ritornando alle cose di Sicilia, il Re Federico persistendo nel suo proposito, non comparve in campagna mai, sol mirando a guardar le terre, perchè vedea, che un sì grande esercito, com'era il nemico, non potea non dissolversi presto, o per mancamento di paghe o di vittovaglie. Pur non mancava con la solita destrezza e con l'ajuto de' Cavalieri siciliani, che lo servirono mirabilmente, di trovarsi dov'era il bisogno, con assalire le scorte, che conducevano vittovaglia. Dopo brevi dì, nel campo incominciarono a sentir penuria, ed infermò gran quantità di soldati; onde il Valois cominciò a dar orecchio a parole di pace, giacchè troppo diminuendo l'esercito suo, non avria potuto far passaggio a Costantinopoli. Alcuni rapportano, che sì trattò la pace dalla Duchessa Violante. Furono adunque eletti così dall'una parte, come dall'altra personaggi con autorità per negoziarla. Il Re Federico, e i Siciliani per la gran povertà di quel Regno e sua, n'avevano maggior desiderio. Così a' 19 agosto di quest'anno 1302 fu conchiusa con gran piacere di tutti e più di Federico, per essere stata per lui molto onorata. Solo la Duchessa Violante, con infinita doglia di suo marito e di suo fratello morì prima, che fossero firmati i Capitoli della pace, che furono i seguenti.

484.Costanzo lib. 2.
485.Tutin. degl'Amm. fol. 70. Reg. in Vatic. lib. 1. Bonifacii epist. 115.
486.Costanzo lib. 4.
487.Costanzo l. 4.
488.Costanzo lib. 4.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
22 ekim 2017
Hacim:
500 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain

Bu kitabı okuyanlar şunları da okudu