Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8», sayfa 28
Moltiplicarono in conseguenza gli Avvocati, i Proccuratori e tanti altri Curiali in numero infinito. Narrava Fabrizio Sammarco celebre Avvocato di que' tempi, secondo che rapporta il Toppi370, che quando il Tribunal del S. C. si reggeva in S. Chiara bastavano poche stanze, ed il solo Cortile di quel Convento si riputava capacissimo per i litiganti, per i Proccuratori, de' quali non arrivava il numero che a cinquanta, e per gli Avvocati, che non erano più che venti. Ma nel decorso di questo XVI secolo, e principio del seguente, appena bastavano per li litiganti. Avvocati e Proccuratori, e per tanti Curiali, quell'ampie sale del magnifico Palazzo di Capuana. Per queste cagioni, sin da questi tempi, si diedero quasi tutti allo studio delle leggi, come quello, ch'era favorito dagli Spagnuoli, con gli onori delle Toghe, e che nelle famiglie recava non pur splendore, ma utile grandissimo.
Sursero per ciò appo noi tanti Dottori, i quali dopo i primi anni de' loro studi s'applicavano al Foro, e dopo averne consumati molti nell'Avvocazione (nel qual tempo davano saggio de' loro talenti e dottrina) erano poi assunti al Magistrato; e si rendevano illustri, non meno per le Toghe, che per le opere, che davano alle stampe. Gli Avvocati di questi tempi non collocavano molto studio nell'arte oratoria, sì che i loro arringhi comparissero al Foro luminosi e pomposi: si studiavano ricavar l'eloquenza più dalle cose, che dagli ornamenti dell'arte, trascurata tanto, che solamente le orazioni del Cieco d'Adria erano lette, riputandole per norma del ben dire. Per ciò i loro discorsi in Ruota erano corti e tutto sugo, non curandosi delle lunghe dicerie e di tanti pampani: dove abbondavano i negozj, si tralasciavano volontieri i preamboli e le apostrofi. Il principale loro studio era nel porger con metodo ed energia i fatti, e negli articoli di ragione che proccuravano esaminarli con dottrina ed esattezza.
Questa comune applicazione alle leggi del Foro, fece, che fiorissero in questi tempi tanti Giureconsulti che lasciarono a' posteri molte loro opere legali, dei quali tediosa cosa sarebbe, se si volesse qui tesserne lungo catalogo, e per ciò ci contenteremo di nominar solamente i più celebri, le cui opere per essere vulgatissime e che corrono per le mani di tutti, non fa mestieri qui registrarle.
I più rinomati furono i Reggenti Salernitano, Villano e Revertera, il Reggente Camillo de Curtis, figliuolo di Giannandrea, il Reggente Giannantonio Lanario, il Reggente Annibale Moles, e poi i Reggenti Carlo Tappia e Fulvio di Costanzo. Rilussero ancora per dottrina Prospero Caravita d'Eboli, Camillo Borrello, Cesare Lambertino, Gianvincenzo d'Anna, Fabio Giordano, Giacomo d'Agello, Gaspare Caballino, Giovanni de Amicis, Giannantonio de' Nigris, Fabio d'Anna, figliuolo di Gianvicenzo, Marcantonio Surgente, Marcello Cala, Roberto Maranta, e per tralasciar gli altri che possono vedersi presso Toppi, così nella sua Biblioteca, come ne' tre volumi dell'Origine de' nostri Tribunali, Niccolò Antonio Gizzarello, il quale ancor egli si distinse per le sue Decisioni, che compilò. Ma sopra tutti costoro rilusse a questi tempi il famoso Vincenzo de Franchis, il quale per la sua probità ed eminente dottrina legale, fu dal Re Filippo II nel 1591 creato Consigliere, e poco da poi eletto Reggente nel supremo Consiglio d'Italia, ed indi Presidente del Consiglio di S. Chiara e Viceprotonotario. Le sue cotanto rinomate Decisioni lo resero illustre per tutte le nazioni d'Europa, e non fu suo picciol pregio nell'Escurial di Spagna, nel Tempio di S. Lorenzo, vedersi collocato il suo ritratto tra gli altri degli uomini più illustri e rinomati d'Europa. Bernardino Rota371 non si dimenticò ne' suoi Epigrammi d'altamente celebrarlo, e dalle fatiche, che sopra le sue decisioni v'impiegarono, non pur i nostri, ma gli esteri, si vide quanto fosse luminosa la sua fama. Morì egli in Napoli a' 3 d'aprile dell'anno 1600, e giace sepolto in S. Domenico Maggiore, dove si vede il suo tumulo con iscrizione372.
La copia così abbondante di tanti Professori, e le tante loro opere, che pubblicarono alle stampe, empirono le nostre Biblioteche di infiniti libri. Nè essendo minore il lor numero nelle altre Città d'Italia, si videro crescere in immenso i volumi legali. Le tante compilazioni delle decisioni di vari Tribunali e sopra tutto della Ruota Romana e del nostro Sagro Consiglio. I tanti Trattati, ed i libri delle Quistioni e Controversie: ma quello, che si rese più insopportabile, fu la gran copia de' Consigli ed Allegazioni, dove non già si scrivea per la ricerca della verità, ma, secondo che facevano alla causa, s'empivano di citazioni e di conclusioni generali più tosto per adombrarla. Quindi si rese più laboriosa e difficile la profession legale; poichè non bastando la perizia delle leggi comuni così civili, come canoniche, delle leggi Feudali, delle nostre Costituzioni, Capitoli, Riti e Prammatiche: delle consuetudini e stili di tanti Tribunali sì vari e diversi: a tutto ciò s'aggiunse, non meno a' Professori, che a' Giudici, un'altra obbligazione vie più maggiore e pesante, di dover sapere l'autorità delle cose giudicate, e le opinioni di tanti Interpreti e Scrittori: quali di quelle fossero le più comuni e vere, e le più ricevute nel Foro: quali di quelle antiquate e non ammesse.
E per ciò, che riguarda l'autorità delle cose giudicate, essendo stato ricevuto, che le sentenze de' supremi Senati, ne' Dominj dove sono profferite, ancorchè non siano leggi, abbiano però forza non inferiore a quelle, spezialmente quando siano d'un costante tenore e di continuo profferite uniformi: s'impose perciò obbligazione a' Giudici di doverle seguire, non per forza di legge, ma di consuetudine, particolarmente negli atti ordinatorj de' giudizj373. Ed intorno alle opinioni de' Dottori, fu duopo usare maggior diligenza e scrutinio, e si prescrissero molte regole e cautele, delle quali si fece memoria nel fine del XXVIII libro di quest'Istoria, ed il Cardinal di Luca374 ne trattò pure diffusamente ne' suoi Discorsi.
§. I. Stato dell'Università de' Nostri Studi a questi tempi
In tale stato ed accrescimento fu veduta in questi tempi la nostra Giurisprudenza nel Foro; ma nell'Accademia non ebbe pari fortuna. Nelle altre Università d'Europa, e particolarmente in quelle di Francia si videro fiorire assai più nelle Cattedre, che ne' Tribunali: in Parigi, in Tolosa, in Bourges, in Caors, in Valenza, in Turino, ed altrove, lo studio delle leggi romane era ridotto nella sua maggior politia e nettezza; l'erudizione, l'istoria (che non devono andar disgiunte per conseguirne i loro veri sensi) non eran in questi tempi cotanto da noi coltivate. Stando noi sotto il governo degli Spagnuoli, a' quali era sospetta ogni erudizione, che veniva di là da' Monti, ed ogni novità, che volesse introdursi nelle Scuole, fece che siccome nell'altre facoltà, così nella Giurisprudenza si calcassero le medesime pedate de' nostri antichi: erano mal sofferti e come Novatori riputati coloro, che si volessero ergere sopra l'usate forme, e trattar di altra maniera, contra l'usato stile, queste materie.
Per ciò nelle Cattedre fu continuato il medesimo istituto d'impiegare i Lettori sopra la Glossa e Bartolo: sopra il sesto volume, e trattare l'altre facoltà alla Scolastica. E quantunque nel governo del Conte di Lemos e del Duca d'Ossuna suo successore l'Accademia Napoletana si fosse veduta in maggior splendore, con tutto ciò, come diremo a suo luogo, non prima degli ultimi anni del precedente secolo, si vide nelle Cattedre fiorire l'erudizione, e trattare le scienze con altro metodo e politia. Con tutto ciò, per quanto comportava la condizione di questi tempi, rilussero pure in quella alcuni Cattedratici, che ora si nominano per le loro opere date alle stampe. Alessandro Turamino è il più rinomato. Questi ancorchè Sanese d'origine, fu Napoletano, ed ebbe nel 1594 nelli nostri Studi la Cattedra primaria vespertina del jus civile, con provvisione di ducati 680 l'anno; e nel 1593 diede alle stampe le sue opere legali375. Francesco d'Amicis, di Venafro, che vi spiegò i Feudi, e nel 1595 stampò in Napoli un libro In usibus Feudorum376. Annibale di Luca d'Airola, che vi spiegò il primo e terzo libro delle Istituzioni. Antonio Giordano di Venafro Lettore della prima Cattedra vespertina, di cui il Toppi377 rapporta le onorevoli cariche, che occupò, e l'iscrizione del suo tumulo, che si vede nella Chiesa di S. Severino. Giovanni di Caramanico, Giovanni de Amicis, di Venafro, che stampò un volume dei Consigli; e per tralasciarne altri rapportati dal Toppi nella sua Biblioteca, il famoso Giacomo Gallo, il quale ottenne la Cattedra primaria vespertina del jus civile: celebre per l'opera, che compose, Juris Caesarei Apices, e per li suoi Consigli378.
La Teologia, la Morale e lo studio delle cose Ecclesiastiche non erano niente rialzate: si trattavano all'uso delle Scuole; e più ne' Chiostri, tra' Frati, favoriti dagli Spagnuoli, che nell'Università tra Cattedratici, erano esercitate secondo l'antico stile.
La Filosofia e la Medicina furono per rialzarsi, ma vinte dalla colluvie di tanti Professori Scolastici e dai Galenisti, fu duopo cedere all'usanza, e rimanersi come prima negli antichi sistemi e metodi. Erano surti fra noi in questo secolo ingegni preclari, che rompendo il ghiaccio tentarono far crollare l'autorità d'Aristotele e di Galeno, e la Filosofia delle Scuole farla conoscere vana ed inutile. I primi fra noi, come si disse, furono Antonio e Bernardino Telesii Cosentini: Ambrogio di Lione da Nola, Antonio Galateo di Lecce, e Simon Porzio Napoletano, le cui opere (delle quali lunghi cataloghi leggiamo presso il Toppi, ed il Nicodemo) dimostrano, che calcando nuovi sentieri, benchè molto travagliassero per abbattere gli errori comuni delle Scuole, niente però prevalsero, nè poterono soli far argine ad un così ampio, ed impetuoso fiume; quindi il Cavalier Marino379, parlando di Bernardino Telesio, disse, che se ben egli si fosse armato contro l'invitto Duce de la Peripatetica bandiera, e non n'avesse riportata vittoria, dovea bastargli d'averlo sol tentato; poichè la gloria e la vittoria vera delle imprese sublimi ed onorate, è l'averle tentate.
Ma nella fine di questo secolo discreditarono questa onorata impresa due Frati Domenicani, li quali non tenendo nè legge, nè misura, ed oltrepassando le giuste mete, siccome maggiormente accreditarono gli errori delle Scuole, così posero in discredito coloro, che volevano allontanarsene. Questi furono i famosi Giordano Bruno da Nola, e Tommaso Campanella di Stilo di Calabria. Giordano Bruno disputò sì bene contra li Peripatetici, e si rese assai celebre per le sue dotte opere, delle quali il Nicodemo380 fece lungo catalogo: ma essendogli troppo piaciuti gli sogni di Raimondo Lullo, diede ancor egli nelle stranezze. Ma quello, che discreditò l'impresa di deviare da' comuni e triti sentieri, fu d'essersi avanzato ad insegnare la pluralità de' Mondi (donde si crede, che Renato des Cartes avesse appreso il suo sistema), e d'essersi ancora inoltrato in cose assai più gravi e pericolose; imputandosegli avere insegnato, che li soli Ebrei discendessero da Adamo ed Eva: che Mosè fosse stato un grande Impostore e Mago: le Sagre lettere essere un sogno, e molte altre bestemmie, onde fece in Roma nell'anno 1600 quell'infelice fine, che altrove fu da noi narrato.
(Di Giordano Bruno è stata a' nostri tempi data fuori una dissertazione da Carlo Stefano Giordano, impressa nell'anno 1726 col titolo: de Jordano Bruno Nolano Primislaniae Literis Ragoczyanis. Narra i suoi viaggi, e i varj avvenimenti da Nola; dove gli fa lasciar l'abito di Domenicano, e lo fa passar in Genevra. Quivi narra aver trovato Calvino, con cui ebbe gravi contese e brighe; onde di là cacciato, passò a Lione, indi a Tolosa, e da poi a Parigi, ove dimorò per più anni. Da Parigi, passò in Londra, indi in Germania a Wittemberg. Lasciata questa città passò a Praga, indi ad Elmstad, dove dal Duca di Brunswick fu caramente accolto. Da poi passò in Francfort ad Maenum, indi a Venezia. Quivi fu arrestato e condotto prigione in Roma, fu miseramente condennato al fuoco, ed arso. Mostra questo scrittore non aver letto l'Aggiunta del Nicodemo alla Biblioteca Napolitana del Toppi, il quale l'avrebbe somministrati maggiori lumi intorno alla dottrina del Bruno, e più diffuse notizie intorno alle opere che lasciò).
Tommaso Campanella ancor egli si pose ad abbatter li comuni errori delle Scuole, ma non tenne nè modo, nè misura. Scrisse infiniti volumi, ancorchè non tutti furono impressi, de' quali pure il Nicodemo381 tessè lunghi cataloghi, ne' quali siccome s'ammira una gran vastità d'ingegno e di varia dottrina, così lo dimostrano per un gran imbrogliatore, per un fantastico e di spirito inquieto e torbido. Fu per porre sossopra le Calabrie, ideando libertà e nuove Repubbliche. Pretese riformar Regni e Monarchie, e dar leggi, e fabbricar nuovi sistemi, inviluppandosi in una congiura, nella quale scovertosi, che vi avesse la maggior parte, si discreditò maggiormente; poichè preso, e lungamente detenuto nelle carceri di S. Ermo, fu condennato a starvi perpetuamente. Le tante cose che disse e scrisse, alla fine lo liberarono da quella prigione, e ricoveratosi poi in Parigi, accolto da' Franzesi con molta stima ed onore, finì poi i suoi giorni nella maniera, che accennammo di sopra.
(Di Tommaso Campanella pure a dì nostri fu che volle prendersi cura di tesserne vita, e darci conto dei suoi scritti così di Filosofia, come di Astronomia, di Politica, e di che no? Ernesto Salomon Cipriano nato nella Franconia Orientale nell'anno 1705 fece imprimere in Amsterdam un libricciuolo in ottavo sotto il titolo: Vita et Philosophia Thomae Campanellae: ma passati quindici anni, Giacomo Echardo Monaco Dominicano del Convento dell'Annunziata di Parigi, riputando non avere Ernesto dato al segno, volle egli dar fuori un'altra vita del Campanella, che fece imprimere nel Tomo II. Scriptor Ordinis Praedicator. A. 1721 pag. 505, seqq., dove manifesta, intanto egli aversi presa questa cura, perchè il Cipriano, come e' dice, plura refert, vel non satis firma, vel etiam explodenda; ideo ne in his quis fallatur, ad censuram revocanda visa sunt. Ma il Cipriano non fece passar tanto tempo: che per rintuzzar la costui audacia, fece nell'anno seguente 1722 nuovamente in Amsterdam stampare la Vita di Campanella, con prefazione, dove si purga dalle imputazioni fattegli da Eccardo; ed aggiunge, come per appendice, così i giudicj di varj scrittori intorno alla vita e gli scritti del Campanella, come la vita istessa scritta da Eccardo. Veramente non meritavano gli scritti del Campanella che sopra i medesimi s'impiegassero tanti preclari ingegni per rintracciarne sistema alcuno di Filosofia o di Politica e d'altre scienze, delle quali niuna seppe a fondo, ed apprese con diritto giudicio e discernimento, avendo il capo sempre pieno di varie fantasie, che più tosto lo rendevan fecondo di portentosi delirj le sorprendenti illusioni, che di sodi e ben tirati raziocinj. Meglio di tutti perciò fece l'incomparabile Ugo Grozio; il quale scrivendo a Gerardo Gio. Vossio, nell'Ep. 87 in due parole si sbrigò dandone al medesimo il suo giudicio, dicendogli: legi et Campanellae somnia. A questi due può aggiungersi Giulio Cesare Vanino della Provincia di Otranto, nella sorte uguale al Bruno in vita ed in morte, ed al Campanella nelle stravaganze, illusioni, misterj ed arcani. Nacque egli in Taurisano, terra del Conte Francesco di Castro Duca di Taurisano da Otranto non molto lontana, da Gio. Battista Vanino e Beatrice Lopez de Noguera; a cui fu imposto il nome di Lucilio, che mutò poi in quello di Giulio Cesare. Fu mandato da' parenti a studiare in Napoli, dove fece notabili progressi, frequentando l'Academia degli Oziosi, allora in Napoli celebratissima. Passò poi in Padova ed in altre città d'Italia, nelle quali acquistò l'amicizia di Pietro Pomponazio Mantuano e del Cardano, allora vecchissimi. Nell'Imperio di Rodolfo II passò in Germania, indi a Boemia in Praga; dalla qual città passossene poi in Olanda, ed in Amsterdam per qualche tempo dimorò. Nel 1614, si portò a Parigi. Ritornò poi in Genevra, e si trattenne per qualche tempo anche in Genova ed a Nizza di Savoia. Nel 1616 diede fuori l'ultimo suo libro de Arcanis Naturae; nel quale dice averlo composto mentre appena avea toccato l'età di trenta anni. Ma il suo destino lo portò poi ad infelicissimo fine; poichè non sapendosi contenere nelle brigate di francamente parlare delle strane sue fantasie, compiacendosi d'aver circoli d'auditori avidi di novità, essendo passato in Tolosa, trovò quivi per sua disavventura un uomo non ignobile di Franconia il quale l'andò ad accusare a quel Magistrato per Mago, e disseminatore d'empia e perversa dottrina. Il Parlamento di Tolosa nel mese di novembre dell'anno 1618, avendogli presa tutta la sua suppellettile, scritture e libri, lo fece imprigionare, e fabbricato il processo sopra i delitti de' quali veniva accusato, fu per sentenza del medesimo condennato ad esser con suoi libri bruciato. Fu nel mese di febbraio del nuovo anno 1619 posto sopra un carro, e portato nel luogo del supplicio, non mostrò quella costanza d'animo che prometteva. Quivi giunto gli fu tagliata prima la lingua, da poi fu gettato co' suoi libri nelle fiamme divoratrici, le quali avendolo ridotto in ceneri, furon anche queste sparse nell'aria e portate dal vento. Scrisse ultimamente la di lui Vita Gio. Maurizio Schrammio; il quale nell'istesso tempo che lo porta reo, per le arti magiche che professava, e che gli fa raccontare un miracolo accaduto in Presivi terra vicina a Taurisano, lo riputa per un famoso Ateo nel frontispizio del suo libro, stampato nell'anno 1715 in Custrino con questo titolo: De Vita et scriptis famosi Athei Julii Caesaris Vanini, Custrini, An. 1715, in 8).
La Poesia però, e sopra tutto l'Italiana, si vide in buono stato per li non meno eccellenti, che nobili uomini, che la professarono: si distinsero fra' Nobili Ferrante Caraffa, Alfonso e Costanza d'Avalos, Giangirolamo Acquaviva, Angelo di Costanzo, Bernardino Rota e Dianora Sanseverino, Galeazzo di Tarsia Cosentino. Rilussero ancora Antonio Epicuro, Niccolò Franco di Benevento, Lodovico Paterno Napoletano, Antonio Minturno di Trajetto, il famoso Luigi Tansillo di Nola ed alcuni altri, che non meno in rime, che in versi latini si resero chiari ed illustri. Ma sopra tutti costoro nella fine di questo secolo s'innalzò l'incomparabile Torquato Tasso, di cui tanto si è parlato e scritto, il quale morto in Roma nell'an. 1595 al suo cadere, cadde ancora presso noi la poesia; poichè nel nuovo secolo XVII surti Giambattista Marini, lo Stigliano e Giuseppe Battisti, prese altre strane e mostruose forme, fin che nel declinar del secolo non la restituissero, nell'anno 1678, Pirro Schettini in Cosenza, e nel 1679 Carlo Buragna in Napoli.
CAPITOLO IX
Politia delle nostre Chiese durante il Regno di Filippo II, insino alla fine del secolo XVI
Dal precedente libro di quest'Istoria si è potuto conoscere quanto i Pontefici romani proccurassero far valere le loro pretensioni sopra questo Reame. Il Concilio di Trento maggiormente stabilì la loro potenza; ma ciò non bastando ad essi, si pensò, per più radicarla, dar fuori quella terribile Bolla in Coena Domini: si cercò abbattere l'Exequatur Regio, e far dell'altre sorprese.
§. I. Dell'Emendazione del Decreto di Graziano e delle altre Collezioni delle Decretali
Ma Gregorio XIII nato per grandi imprese, siccome volle mostrare la sua potenza nell'Emendazione del Calendario, così ancora volle aver la gloria di perfezionare l'Emendazione del Decreto Graziano. Aveano prima Antonio Democare ed Antonio Conzio famosi Giureconsulti Franzesi per privata autorità cominciato a far catalogo di varj errori trovati nel Decreto di Graziano per emendarlo382. Ma richiedendovisi maggior diligenza e la fatica di molti, non che di due soli, finito il Concilio di Trento, Pio IV scelse alcuni Cardinali e vari Dottori, perchè s'accingessero a quest'impresa, e Pio V da poi ve ne aggiunse due altri383. Ma quest'opera non ebbe il suo compimento, se non nel Pontificato di Gregorio XIII, il quale, mentre i Correttori Romani sono tutti intesi all'Emendazione, egli l'accalorò e sollecitò in guisa che nell'anno 1580 fu la Correzione finita; ond'egli la fece pubblicare con una sua Bolla384, colla quale, approvando l'Emendazione, comandò, che niente a quella s'aggiugnesse o si mutasse, ovvero diminuisse.
Ma siccome l'Emendazione del Calendario non fu stimata sufficiente, onde avvenne, che altri la rifiutassero: così l'Emendazione di Graziano non fu riputata cotanto esatta, sì che non si desse occasione ad alcuni di scovrirvi altri errori, e notare la poca accuratezza usatavi; di che sono da vedersi Antonio Agostino Vescovo di Tarragona, il quale fra l'altre sue opere, la più dotta e riguardevole, che ci lasciò, fu questa della Correzione di Graziano, e Stefano Baluzio.
Furono ancora sotto il Pontificato di Gregorio emendate le Decretali, e restituite secondo l'antiche Collezioni e Registri de' Pontefici; onde sursero le edizioni più emendate, fra le quali tiene il vanto quella di Pietro Piteo e di Francesco suo fratello. Da questi Registri furono da poi compilati que' volumi che contengono l'intere Costituzioni Pontificie, i quali ora sono cresciuti al numero di cinque, sotto il nome di Bollario Romano385. Ed a questo Pontefice pur si dee quella famosa Raccolta de' Trattati legali, che occupavano tanti volumi, ed empiono le nostre Biblioteche.
Nel fine di questo secolo Pietro Mattei Giureconsulto di Lione, per privata autorità, serbando l'istesso numero de' libri e l'istesso ordine de' Titoli, che la Gregoriana, fece un'altra Raccolta di varie Costituzioni Pontificie, stabilite dopo il Sesto, le Clementine e le Stravaganti già impresse, e la intitolò Settimo delle Decretali, dedicandola al Cardinal Gaetano; il qual libro, ancorchè non fosse stato approvato, si vide però nell'ultime edizioni aggiunto all'antiche.
Ma Gregorio, vedendo che a questo Settimo libro mancava l'autorità pubblica, applicò l'animo a voler di sua autorità far compilare un Settimo libro delle Decretali; onde commise a Fulvio Orsino, a Francesco Alciato e ad Antonio Caraffa, Cardinali, che s'accingessero a quest'opera; ma poco da poi la morte interruppe i suoi disegni; onde morto Gregorio, Sisto V suo successore diede questo pensiero a' Cardinali Pinello, Aldobrandino, a Matteo Colonna ed a molti altri386, li quali in vita di Sisto non poterono ridurla a fine; ma assunto da poi al Pontificato l'istesso Cardinal Aldobrandino, nomato Clemente VIII, costui insistè perchè l'opera si terminasse; ed essendo insorto dubbio, se si doveano in quella inserire i Canoni del Concilio di Fiorenza e di quel di Trento appartenenti a' dogmi, fu stimato doversi quelli inserire; onde fu compito questo Settimo volume a' 25 di luglio del 1598 contenente diverse Costituzioni Pontificie e decreti di Concilj da 300 anni, diviso in cinque libri, ed in più titoli disposto. Ma poichè in questa Raccolta vi erano stati inseriti molti decreti del Concilio di Trento, essendosi già data alle stampe sotto nome di Settimo libro delle Decretali di Clemente VIII, fu mosso un gran dubbio, che finalmente ritenne la pubblicazione; poichè pubblicandosi questo volume, tosto sarebbero venuti Dottori ed Interpreti a far a quello delle Chiose e Commenti; e per conseguenza, per le censure gravissime fulminate da Pio IV contra coloro, che ardissero chiosare, o in altra guisa interpretare i Canoni ed i Decreti di quel Concilio, dovea togliersi a' Dottori ogni occasione di commettere un simile attentato. Tanto bastò, perchè si sopprimesse la pubblicazione di questo Volume e rimanesse in una profonda ed oscura caligine387.