Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8», sayfa 3
§. II. Il Marchese del Vasto, ed il Principe di Salerno con altri Nobili procurano la rimozione del Toledo dal governo del Regno
Ma nella fine di quest'anno si cominciarono a stringere e palesare le negoziazioni, che finora s'eran tenute occulte, del Marchese del Vasto, e del Principe di Salerno, con altri Nobili contra il Vicerè per farlo rimovere dal governo di Napoli. Questo concerto erasi maneggiato fin da che Cesare era in Sicilia, e nel viaggio, tanto il Marchese, quanto il Principe non mancarono di far efficacemente le parti loro, con dipingere il suo governo per troppo aspro e rigoroso, e non confacente a quel Regno, insinuandogli che dovesse levarlo; ma questi ufficj niente valsero, sapendo Cesare onde veniva la cagione di tal odio, e di quelli n'era stato anche ben avvisato il Toledo; poichè giunto l'imperadore a Napoli, veduto il Vicerè, narrasi, che gli dicesse: Siate il ben trovato Marchese; e vi fo sapere, che non state tanto grasso, come mi è stato detto. Al che sorridendo il Vicerè facetamente rispondesse: Signore, io so bene che V. M. abbia inteso, che io sia divenuto un mostro, però non son tale. Non tralasciarono ancora di muovere alcuni popolari, perchè col pretesto di due gabelle imposte, e del suo rigore, chiedessero a Cesare, che lo rimovesse; ed aveano già tirato dal lor canto Gregorio Rosso, Eletto del Popolo, il quale perciò ne' suoi Giornali non molto favorisce il Toledo, e non mancò di far le parti sue; poichè egli stesso racconta, che ai 26 novembre di quest'anno 1535 fu fatto chiamare dall'Imperadore, da cui fu domandato delle condizioni del Popolo Napoletano, e che cosa avrebbe potuto fare in beneficio del medesimo. La sua risposta fu, ch'era fedelissimo, ed amantissimo della sua Corona, e che per mantenerlo soddisfatto e contento non ci bisognava altro, che mantenerlo abbondante, senza angaria, e che ogni uno mangi al piatto suo, con la debita giustizia, e che stava per ultimo assai risentito e disgustato, per le nuove gabelle poste dal Vicerè. Questa giunta, com'egli stesso dice, fu cagione, che il giorno seguente fosse levato d'Eletto, e rifatto in suo luogo Andrea Stinca Razionale di Camera, persona dipendente dal Vicerè.
Ma non perciò s'arrestarono i suoi rivali. Nel principio del nuovo anno 1536, Carlo per ricavar qualche frutto dalla sua venuta in Napoli, fece agli 8 di quel mese intimare un Parlamento nella Chiesa di S. Lorenzo, ove in sua presenza ragunati i Baroni e gli Ufficiali del Regno, espose egli di sua propria bocca i bisogni della Corona, e che per sicurezza del Regno e per le nuove guerre, che se gli minacciavano dal Turco e dal Re di Francia, bisognava sovvenirlo. Il giorno seguente ragunati di nuovo i Baroni, conchiusero in onore di Cesare, senza misurar le forze del Regno, più tosto per vanità e fasto, che per altro, di fargli un donativo di un milione e cinquecentomila ducati, donativo in niun tempo, nè in Napoli, nè altrove, giammai inteso e così sorprendente, e di somma cotanto immensa ed esorbitante, che l'istesso Cesare, vedendo l'impossibilità dell'esazione, bisognò, che loro facesse grazia di rimetterne ducati cinquecentomila, e contentarsi d'un milione10.
Si giuntarono spesso i Deputati in San Lorenzo per trovare il modo della soddisfazione, e si determinò, che dovessero pagare i Baroni tre adoe, ed il rimanente i popolari. Parimente s'unirono per consultare quali altre nuove grazie e privilegi dovessero, in ricompensa di tanta profusione, cercare a Cesare. Se ne concertarono molte, e perchè questa Deputazione era maneggiata da Nobili, si pensò con tal opportunità chiedere a Cesare la remozione del Vicerè. Ma perchè dimandandogliela alla svelata, oltre al poco decoro del Ministro, eran certi di riceverne una ripulsa; fu proposto fra le cose principali, di dimandare in grazia all'imperadore di far rimuovere tutti i Ministri, così maggiori, come minori, per includervi con ciò anche tacitamente il Vicerè. A questa proposizione per se stessa imprudentissima, ancorchè vi concorressero la maggior parte de' Deputati Nobili, si opposero il Duca di Gravina, il Marchese della Tripalda, Cesare Pignatello e Scipione di Somma. Ma sopra tutti fortemente ripugnarono Andrea Stinca Eletto del Popolo, e Domenico Terracina, che, per essere stato Eletto negli anni precedenti, era stato fatto anche Deputalo del Popolo. Per ciò non si conchiuse niente, e furonvi gravi contese tra 'l Marchese del Vasto e Scipione di Somma, che vennero fra di loro sino a parole ingiuriose e piene di contumelie11.
Mentre che queste cose si dibattevano in S. Lorenzo, l'Imperadore si tratteneva in quel Carnovale in feste, giuochi e maschere; ed una sera accompagnandolo il Marchese del Vasto, mentre si ritirava al Castello, postosegli vicino, gli esagerò per molte ragioni quanto compliva al suo servizio di levare il Toledo dal governo di Napoli; ma comprendendo dalle risposte dell'Imperadore, che avea poca voglia di levarlo, prese resoluzione di non andar più alla Deputazione a San Lorenzo, ma andarlo sol servendo nelle feste e giuochi, che ogni giorno si facevano. Ciò che riuscì di gran servizio del Vicerè, perchè non venendo alla Deputazione più il Marchese, s'intepidì il suo partito; anzi l'Eletto Stinca ed il Deputato Terracina, sapendo gli ufficj fatti dal Marchese con Cesare contra il Toledo, andarono a parlare all'Imperadore, e introdotti, l'Eletto Stinca cominciò ad esagerare a Cesare, che i Nobili intanto si sforzavano far ogni opra con S. M. perchè rimovesse il Toledo, perchè sono stati sempre soliti di opprimere e vilipendere il Popolo: che la loro insolenza era giunta a tanto, che maltrattavano non solo il Popolo Napoletano, ma i Capitani di guardia ed i Ministri di Giustizia: che tenendo uomini facinorosi ne' Portici delle loro Case, non temevano perseguitare molti, con straziarli ed insin ad uccidergli: toglievano a forza dalle mani della giustizia i ribaldi, ritenevano nelle loro case uomini facinorosi: i poveri artigiani non erano pagati delle loro fatiche, anzi con ingiurie e ferite malmenati; ma ora, che il Toledo avea estirpate queste tirannidi, con aver riposta la giustizia al suo luogo, per ciò i Nobili si movevano a rifiutarlo; che se sarà levato, tosto si tornerebbe all'antiche depressioni ed abusi.
Queste parole, che trovarono l'animo ben disposto di Cesare, lo fecero maggiormente confermare nella opinione di non rimoverlo; laonde certificato del vero, acciò non rimanesse in cos'alcuna macchiata la riputazione di quel Ministro, volle che per mezzo suo, anche stando egli in Napoli, tutto si facesse, e per le sue mani passassero tutti gli affari più gravi, e ricolmollo di più favore, che prima. E poco da poi, affrettandosi tuttavia il suo ritorno, nel partir poi da Napoli per Roma, lo lasciò con maggior autorità di prima. E con ciò terminata la Deputazione in S. Lorenzo, non si pensò più a questo, ma concertati, e conchiusi 31 Capitoli e Grazie, che si doveano cercare a Cesare per la Città di Napoli, e 24 altre in beneficio d'alcune province e particolari, furono quelle dall'Imperadore nel nuovo Parlamento, che in sua presenza si tenne a S. Lorenzo, a' 3 di febbrajo di quest'anno, concedute, le quali ora si leggono infra i Capitoli della Città e Regno di Napoli, conceduti dagli altri Re suoi predecessori12.
CAPITOLO III
Il Toledo rende più augusta la Città con varj provvedimenti: suoi studi per renderla più sana e più abbondante. Lo stesso fa in alcune città e lidi del Regno, onde cinto di molte Torri potesse reprimere l'incursioni del Turco
Partì l'Imperadore da Napoli a' 22 di marzo di quest'anno 1536 per la volta di Roma, per indi passare in Lombardia, e portarsi da poi in Ispagna; ed avendo lasciato al governo di Napoli il Toledo con maggiore autorità di prima, costui parimente con maggior grandezza d'animo e sicurezza riprese il governo
Fece proseguire con maggior fervore i vasti disegni concepiti per maggiormente aggrandire ed abbellire la città di Napoli; acciocchè con maggior ragione le convenisse il titolo di Metropoli e Capo d'un sì vasto Regno; onde pose in opra tutta la sua splendidezza e magnificenza. Le opere fur fatte in diversi tempi, ma per non interrompere il racconto, le collocheremo sotto gli occhi tutte insieme. Avea egli prima proposto di far drizzare e mattonare le torte e fangose sue strade, e risarcire le sue mura; ma poichè l'entrate della Città non erano a ciò sufficienti, fu d'uopo pigliar espediente di ponere a questo fine una nuova gabella, e tenuti nella Città sopra ciò più consigli, fu conchiuso nel 1533, che si mettesse un tornese a rotolo sopra il pesce, carne salata e formaggio13. Surse tumulto fra' popolari, per opra di Fucillo Micone Mercatante di vino per questa nuova gabella; e sebbene il Toledo con intrepidezza e vigore avesse represso il tumulto con la morte di Fucillo e degli altri tumultuanti, nulladimeno stimò bene non cominciare allora ad esigerla. Ma sopraggiunti da poi nell'anno 1535 nuovi bisogni alla Città per gli appparecchi, che dovean farsi contra Barbarossa, che infestava le marine del Regno, fu duopo per supplire alle spese, ponere a' 20 marzo di quell'anno una nuova gabella a Napoli d'un denaro per rotolo; e dovendo, per li bisogni che premevano, quella prontamente esigersi, con tal occasione proccurò il Vicerè, senza che perciò ne nascessero più rumori, che s'esigesse non men l'una, che l'altra prima imposta per la mattonata, la quale infino a quel tempo non s'era ancora esatta. E da quel dì narra il Rosso14, si cominciarono a levare le selici, ch'erano per le strade di Napoli, e si posero i mattoni.
Per la venuta dell'Imperadore, stando gli animi distratti altrove, s'intermise il lavoro, ma costui partito di Napoli, si proseguì con maggior fervore. Fece perciò il Toledo, a fin di rendere più bella e sana la Città, levare molti supportici, che tenevano la Città oscura: levar tutte le pennate, ch'erano avanti le case e le botteghe: fece rifar lo cloache, perchè corressero con maggior pendenza al mare: fece drizzare, ed appianare tutte le strade: e diede animo a' Cittadini, in modo che ognuno a gara si sforzava d'abbellire le sue case e palagi. Rese più ampia e forte la Città con allargar più in fuori le sue mura, così dalla parte di mare, come di terra, e con tanta prestezza che fu maraviglia; perciocchè in meno di due anni la fece circondare di un muro grossissimo con terrapieno di dentro e fece edificare dentro l'acqua il muro della marina; tanto che per questa ampliazione rimase estinta la memoria delle muraglie, ed antiche porte edificate dal Re Carlo II e dagli altri Re angioini. Non s'intesero più i nomi di Porta Don Orso, di Porta Reale antica, di Porta Petruccia, di Porta del Castello, e di S. Giovanni a Carbonara. Egli racchiuse con le nuove mura molti edificj, e vi racchiuse anche parte del Monte S. Eramo ed Echia, chiamato ora Pizzofalcone, tanto che fu ingrandita e magnificata la Città per due parti più di quella, che prima era15.
Fece rifar di nuovo il Castel di S. Eramo, rendendolo, secondo l'uso militare di que' tempi, inespugnabile; poichè oltre il buon presidio e munizione, la maggior parte d'esso fu fatta di taglio nel proprio monte di pietra: solo il Palazzo e la Cittadella furon fatti di fabbrica; e vi fece cavare una cisterna nella pietra del monte istesso di grandezza sì smisurata, che pareggia alla famosa Piscina mirabile di Baja: magnifico vestigio ch'è a noi rimaso della grandezza Romana. Fece fare i suoi fossi cavati nella pietra istessa, con magnificenza ed artificio tale, che meritamente possono uguagliarsi agli antichi edificj de' Romani.
Oltre il famoso edificio del Palazzo della giustizia, ove ragunò, come si è detto, tutti i Tribunali, fece altresì edificare dietro il Castel Nuovo un regal Palagio con ameni giardini, destinato per abitazione de' Vicerè, che ora appelliamo il Palazzo vecchio, a cagion del nuovo più stupendo e magnifico, che a se contiguo, fece edificar poi il Vicerè Conte di Lemos, a lato del quale, per renderlo più augusto, fece fare un'ampia strada, distendendola sino alla nuova Porta Regale, che ora diciamo dello Spirito Santo, la quale fin al presente ritiene il suo nome, e strada di Toledo viene perciò chiamata.
Ampliò più del doppio l'Arsenale di quel ch'era prima, e lo ridusse in tanta grandezza, che gli artigiani vi potevano fabbricare tutto in un tempo sedici Galee: e trovò modo, che il legname vi si conducesse con più facilità, e con assai minore spesa di prima.
Ornò la Città di molte fontane pubbliche di marmo, e nella Piazza della Sellaria ne fece ergere una chiamata l'Atlante, per la sua statua portante su gli omeri il Mondo, che fu scolpita di mano di Giovanni di Nola, il più famoso Scultore di que' tempi16.
Ornolla ancora per costruzione di nuove e magnifiche Chiese ed Ospedali: nel che, oltre la grandezza del suo animo, veniva anche spinto dalla sua grande pietà e religione verso le cose sagrate. Egli fondò lo Spedale, e 'l magnifico tempio dedicato all'Appostolo Giacomo Protettor delle Spagne, per maggior comodo della Nazione Spagnuola: nel di cui Coro, ancor vivo, vi fece ergere un famoso Sepolcro di marmo, che dovea esser depositario delle sue ossa, intagliato con figure di basso rilievo dal rinomato Scultore Giovanni di Nola. Riedificò ed ampliò la Chiesa di S. Niccolò alla Dogana. Fece edificare da' fondamenti l'Ospedale di Santa Maria di Loreto per li fanciulli orfani, e l'altro di S. Catterina dentro S. Eligio per le femmine. Ma ciò che servì non meno per maggior lustro e decoro della Città, che della nostra Religione, fu la diligenza da lui usata perchè le Chiese fossero ben servite, si riparassero le antiche, l'entrate non andassero a male, i Preti con decoro attendessero al culto divino ed alle cose sacrate, e riformò per quanto s'apparteneva a lui la esterior politia di quelle. Ordinò, che le Chiese, che sono di jus patronato fossero ben servite, tenute monde e con decoro: fece restituire tutte le loro entrate, ch'erano da varie persone usurpate. Ordinò, che i Preti dovessero andar in abito e tonsura, e decentemente vestiti, altramente non avuti per tali, si castigassero ne' delitti come laici. Egli fu che introdusse il culto, che ancor dura, che quando per la Città si porta l'Eucarestia agl'infermi, uscisse con Pallio accompagnata con torchi accesi, e con pompa; e per render col suo esempio l'uscita più augusta, se veniva egli ad incontrarsici, l'accompagnava con tutta la sua Corte insino al luogo dove aveva d'andare.
In fine dopo avere in forma più magnifica e nobile innalzata questa Città, vi diede ancora altri provvedimenti per renderla più salubre ed abbondante, badando non meno alla sua bellezza e magnificenza, che alla sanità ed abbondanza de' suoi abitatori. Era Napoli a' suoi tempi nell'està oppressa da molte infermità, e la cagione principale era la corruzione dell'aria cagionata dalle paludi per l'acqua che stagnava in quelle, le quali cominciavano dal Territorio di Nola sino al mare, camminando per Marigliano, Aversa, Acerra e la Fragola: la qual corruzione talvolta augumentavasi tanto, che s'infettava tutta Terra di Lavoro, o gran parte di quella. Il Toledo dando a tanto male opportuno remedio, fece fare nel mezzo di quelle pianure un gran canale profondo, con argini ben grandi alle riviere, disponendo il canal in modo, che tutte le acque delle paludi venissero ivi a colare, e che l'acque ivi raccolte a guisa d'un gran fiume corressero tutte al mare. Così le paludi divennero secche, e Napoli, la Città più sana del Mondo. A questo fine per tener coltivato tutto il Paese intorno, lo fece tutto arare e lavorare: e oltre ciò vi stabilì un fondo, le cui rendite servissero per tener sempre mondo e netto il canale suddetto. Chiamarono i nostri maggiori questo canale Lagno; ond'è, che ora si nomano i Lagni, la cura de' quali ora se l'assume il Tribunale della Regia Camera, destinandovi un Presidente Commessario perchè si tengano sempre purgati e netti.
Diede ancora vari provvedimenti intorno alle vettovaglie, e molti altri ordini, perchè in Napoli vi fosse abbondanza di grano, proibendo l'estrazione di quello: che niuno potesse tener magazzini, nè di grano, nè d'orgio per trenta miglia lontani di Napoli: ed introdusse i partiti de' grani co' Mercatanti per mantener l'abbondanza.
L'essersi adunque Napoli, col correr degli anni, renduta una delle più splendide e magnifiche Città del Mondo, tutto si dee al Vicerè Toledo: poichè da ciò avvenne, che gli altri Vicerè Spagnuoli suoi successori, a sua imitazione, presero per istituto di non partirsi dal governo, se non lasciavano in quella, una lor memoria illustre di famosi, e superbi edificj. Nel che si segnalarono i Duchi d'Alva, i Conti di Lemos, di Medina e tanti altri, come vedremo nel corso di quest'Istoria. Tanto che per questi insigni e magnifici monumenti da essi lasciati, e da tante maravigliose fabbriche delle nuove Religioni nella stessa Città da poi introdotte, de' Teatini, Gesuiti, Girolamini e di tante altre, che resesi oltre modo ricchissime, vi hanno innalzati magnifici Tempj, anzi non già Monasterj, ma Palagi vastissimi e superbi, eccelse Torri, e più tosto Castelli, che Conventi, si vede ora Napoli gareggiar colle più grandi Città di Europa con Roma, Costantinopoli, Londra e Parigi.
A quest'istesso Ministro si dee, e per la tanta magnificenza, alla quale la sollevò, e per l'innalzamento de' Tribunali, e per la più ordinaria residenza de' Baroni in quella, che si fosse Napoli resa cotanto popolata e numerosa di abitatori: ancorchè v'avesse pure molto conferito le spesse incursioni de' Corsari Turchi che a questi tempi facevano nelle Terre e marine del Regno: onde gli abitatori di quelle Terre spaventati, per isfuggire la temuta schiavitudine, se capitavano nelle loro mani, abbandonando i loro nidi, si ritiravano tutti a Napoli. Così molti della Costa d'Amalfi, di Citara, Castello posto nella marina presso Salerno, del Cilento, della Cava, dell'isola di Capri, e finalmente di Calabria ci vennero17.
CAPITOLO IV
La medesima provvidenza vien data dal Toledo nelle Province e nell'altre Città del Regno, per l'occasione, che ne diede Solimano, che con potente armata cercava invaderlo
Ancorchè il Regno, nel governo di D. Pietro di Toledo, non avesse nelle sue Province sofferti quei mali, che seco porta una viva guerra; nulladimeno il timore di quella minacciata da due Principi potenti, da Solimano, e da Francesco I Re di Francia, che collegati insieme dirizzavano tutti i loro pensieri, e tutte le loro forze per deprimere tanta potenza di Carlo Imperadore, era peggiore della guerra istessa. Solimano irritato contro Cesare per avergli frastornata l'Impresa del Regno di Tunisi, e per vendicarsi d'aver posto il suo esercito in fuga, e cacciatolo dall'Ungheria, avea fatto nell'anno 1537 apparecchiare una potentissima armata per la conquista del Regno di Napoli. Era ancora stimolato a quest'impresa per mezzo d'un suo Ambasciadore dal Re di Francia, e da Troilo Pignatello18, il quale per vendicarsi della ignominiosa morte fatta dare dal Toledo al Commendator suo fratello, erasi con molti altri fuorusciti partito dal Regno, e ricovratisi in Costantinopoli, sollecitavano con acuti stimoli quell'Imperadore a non tardare; e gli dipinsero l'impresa molto facile, poichè dovendo Cesare impiegarsi alla difesa della guerra, che il Re di Francia era per muovergli in Lombardia per lo Stato di Milano, non avrebbe potuto resistergli. Si risolse per ciò con prestezza Solimano a muoversi, e fece tosto porre in ordine un esercito di ventimila soldati, e partendo egli da Costantinopoli per terra, giunse alla Velona a' 13 di luglio di quest'anno: fece anche apprestare nel medesimo tempo un'armata di 200 vele da carico, e di gente da combattere, dandone il comando al suo famoso Ammiraglio Barbarossa, il quale quasi ad un medesimo tempo, che egli per terra giunse alla Velona, vi giunse egli per mare colla sua armata.
Il Vicerè, che molti mesi prima, invigilando agli andamenti de' fuorusciti ricovrati in Costantinopoli, avea avuti avvisi da Scipione di Somma Vicerè della Provincia d'Otranto de' maneggi del Pignatello, e di quanto si trattava in quella Corte, e della risoluzione di Solimano, come potè meglio, diede tosto principio alla fortificazione delle riviere del Regno; e scrisse immantenente a Cesare, ragguagliandolo di ciò che dal Turco si meditava, e che a fine di resistergli, gli mandasse tosto soccorso di fanteria spagnuola, per raddoppiare i presidj, avendo egli intanto di munizione e di vettovaglie il tutto provveduto. Ordinò per tanto agli uomini d'arme, che si raccogliessero sotto le loro bandiere, e ragunatili tutti, gli fece accampare nella Puglia piana, donde potevasi con prestezza soccorrere a tutte le riviere. Distribuì ancora le milizie per guardia di Napoli; e poichè si trattava della difesa da farsi contra il nemico comune, fidossi dei propri Cittadini, mettendo in loro mani le arme, acciò si difendessero bisognando: i quali con molta intrepidezza s'offerirono andare incontro a mille morti per resistere all'oste implacabile del Cristianesimo. Fece poi chiamare i Baroni del Regno, e ragunatili tutti in un general Parlamento tenuto dentro il Castel Nuovo, espose loro la cagione della chiamata, il grave pericolo nel quale erano, e che Solimano essendo già partito con potentissimo esercito da Costantinopoli per assaltare il Regno, bisognava per ciò armarsi per una valida difesa. Tutti si offerirono con la medesima prontezza; onde ogni uno finito il Parlamento si diede a provvedersi d'arme, ed accingersi colla maggior prestezza e sollecitudine.
In questo giunsero al Porto di Napoli 24 Navi cariche di Spagnuoli, ed indi a poco arrivò il Principe Doria con 25 Galee e due Galeoni; ed appresso entraron cinque altre Galee mandate da Papa Paolo III a cui molto premeva render vani i conceputi disegni di Solimano. Partì l'armata dopo essersi provveduta delle cose bisognevoli per la volta di Messina, su della quale il Toledo vi mandò D. Garzia suo figliuolo, e navigando verso Levante, pose il Doria in iscompiglio l'armata nemica. Partito il Doria, il Vicerè mandò alla volta di Puglia la fanteria spagnuola con alcuni pezzi d'artiglieria, ed avuta certa notizia, che Solimano era giunto alla Velona, partì egli da Napoli seguitato dal Baronaggio, e da molta cavalleria a' 28 di luglio, e giunto a Melfi, quivi fece far rassegna generale di tutto il suo esercito. In questo vennegli nuova, come il Bassà Lussibeo, arrivato all'improvviso a Castro, avea posta a sacco ed a fuoco quella Terra, e prese le donne ed i giovani, il resto avea fatto morire: poi assalito Ugento, lo fece brugiare con molti casali attorno. E nel medesimo tempo Barbarossa approdato con settanta Galee in Otranto, fece sbarcar molta gente e cavalli per invader quei luoghi; ma trovandosi Scipione di Somma Governatore di quella Provincia, il quale stava ben provveduto di gente e cavalli, ancor che a lungo andare non avrebbe potuto resistere a tanta furia, pure con molte scaramucce gagliardamente si difese. Ciò inteso dal Vicerè, spinse avanti le sue genti da Melfi, e si portò a Taranto, per esser più pronto a soccorrerlo: ma appena ivi giunto, gli venne avviso come gl'inimici s'erano ritirati ed imbarcati; ed intese anche da alcuni Turchi fatti prigioni, come Solimano si era anche partito dalla Velona per assalire l'Isola di Corfu, e sorprenderla a' Veneziani.
La cagion di sì improvisa ritirata di Solimano fu, perchè ebbe nuova, che tutte le riviere del Regno stavano ben unite e fortificate di buoni presidj, di valorosi soldati, e di vettovaglie, e che il Vicerè stava in campagna con trentamila uomini, e che il Papa assoldava gente per soccorrerlo. Ebbe anche avviso, che il Principe Doria avea fracassate molte Galee della sua armata; e che l'armata Veneziana (ancorchè vi fosse fra di lor tregua, riputandola i Veneziani per rotta, a cagion, che Solimano in quell'anno avea fatto ritenere in Levante 20 loro Galee) dubitava non se l'intendesse col Doria, e s'unisse anche a' suoi danni; onde dovendosi ritirare, per non perdere la riputazione, nè dimostrar viltà, andò ad assaltare Corfu.
Dissipato per ciò il nemico, licenziò il Vicerè (dopo aver loro resi molti ringraziamenti) i Baroni, e ad ogni uno, che potesse tornare a casa sua, come fecero. Ma egli considerando, che il Turco non era per desistere dall'impresa del Regno, e conoscendo di quanto giovamento gli era stato lo star provisto di gente, deliberò di fortificare tutte le Terre della riviera: e visitando quelle con buoni Architetti ed uomini di guerra, diede ordine per fabbricare il Castello di Reggio. Cinse di baloardi e di mura la Città di Cotrone: fece fabbricare il Castello di Castro, di Otranto, di Lecce, di Gallipoli, di Trani, di Barletta, di Brindisi, di Monopoli, e di Manfredonia; e fece ancora fortificar Vesti, città posta nell'ultima punta del Monte Gargano; ed avendo con tal occasione scorto, che la maggior parte del Regno, e particolarmente le città di Puglia erano oltremodo oppresse da grossi debiti, onde ne nasceva, che molte si disabitavano, e si rendevano impotenti a' pagamenti fiscali; egli trovò rimedj così efficaci e profittevoli, che in pochi anni furono le Città libere da' debiti, ristorate tutte le loro entrate, e tornate a popolarsi con accrescimento di fuochi: in cotal modo fu rinfrancata Barletta, Trani, Bisceglia, Monopoli, Manfredonia, S. Severo, Rutigliano, Minervino, e molte altre Città oppresse, e furono redente e rilevate le loro entrate. Così il Toledo avendo felicemente terminata la sua espedizione, ripartito poi l'esercito per gli alloggiamenti, se ne ritornò a Napoli. La Città, in grazia d'un così segnalato beneficio, gli donò una collana d'oro lavorata con grande artificio, fatta a spese del pubblico; e come liberatore d'un sì formidabile e potente nemico, gli rese pubbliche grazie.
Ma il Vicerè, di ciò non soddisfatto, non tralasciò ne' seguenti anni, per maggiormente munire il Regno contra l'incursioni di sì forte nemico, di fortificare l'altre Città e Terre e le marine tutte del Regno.
Egli fu autore presso a Carlo V per far ordinare, che in tutte le riviere del Regno si edificassero di passo in passo ben alte Torri, con situarvi certi e perpetui stipendj per chi le custodiva, affinchè l'una dando avviso all'altra di qualche sbarco di Corsaro Turco, potessero i paesani ammoniti salvarsi. Fece ancora ne' confini del Regno verso lo Stato Ecclesiastico, costruire una gran Torre, chiamata del Porto di Martino Severo, per sicurtà de' buoni e per vendetta de' rei. E nell'Apruzzo fecevi riedificare un sicuro Castello, siccome fece in Terra di Lavoro a Capua, nel qual tempo fece anche rifar di nuovo il Castello di Baja.
La città di Pozzuoli a questo Vicerè dee la sua conservazione, e che ora ancor duri sopra la Terra, e non, come Cuma, Baja e Miseno, coprissero le sue mura arena ed erba. I spessi tremuoti dell'anno 1538, le orrendissime voragini aperte in quel piano, ch'è tra il Lago Averno e Monte Barbaro, dalle quali furiosamente uscivano pietre, fiamme e gran nubi di fumo e di cenere, spaventarono in maniera i vicini Pozzolani, che abbandonando le lor case, tutti se ne fuggirono, molti per mare e molti per terra colle loro mogli e figliuoli, lasciando desolata quella città. Il che inteso dal Vicerè cavalcò subito a quella volta, e fermatosi sul monte di S. Gennaro, vide la misera città coverta tutta di cenere, che appena si vedeva vestigio di case, per la cui rovina i Pozzolani aveano determinato di abbandonarla affatto. Ma il Vicerè non volle acconsentire, che si desolasse una città tanto antica, ed un tempo cotanto famosa. Fece far bando, che tutti ivi si ripatriassero, con fargli franchi di pagamenti per molti anni; e per dar loro più animo, vi fece edificare un magnifico Palagio, con una forte Torre, e pubbliche fontane. E perchè s'agevolasse il commercio tra' Napoletani e Pozzolani, fece rifar la via, donde si viene a Napoli, ed appianò, e rese più larga e luminosa quella mirabile grotta (maraviglioso vestigio della potenza Romana) tal che per quella vi si potesse passare senza lume. Fece a questo fine ristaurare, come si potè meglio, i Bagni, e rifare le mura della città; e per renderla più piena d'abitatori, quando prima soleva andarvi per sua salute a dimorarvi la primavera, si allargò poi ad andarvi ad abitare la metà dell'anno; ed essendo di nuovo Barbarossa nel 1544 tornato ad infestare il Regno, meditando dopo aver saccheggiate l'Isole d'Ischia e di Procida, di far lo stesso a Pozzuoli, siccome avea già cominciato da mare a batterla; tenendovi il Vicerè dentro un conveniente presidio, e cavalcando egli stesso con prestezza con tutta la cavalleria, e molta gente da Napoli, e dalle Terre convicine, giunto che fu al Borgo di quella città, Barbarossa veduta la moltitudine della gente, si ritirò subito, proseguendo il suo viaggio verso Levante, ed il Vicerè liberator di quella fece ritorno a Napoli. Tanta previdenza diede egli per liberar le città del regno dalle invasioni di sì potenti e fastidiosi nemici.