Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8», sayfa 5
§. I. Inquisizione di nuovo tentata, ma costantemente rifiutata sotto l'Imperador Carlo V
Ma insorta dapoi nell'Imperio di Carlo V la nuova eresia di Martino Lutero, si diede, da questo principio, occasione a nuovi sospetti e nuovi attentati. Cominciarono nell'anno 1520 in Alemagna nella provincia di Sassonia a disseminarsi dottrine nuove, prima contra l'autorità del Papa, dapoi contra la Chiesa istessa Romana. A suscitarle nuovamente in Germania avea data occasione l'autorità della Sede Appostolica, usata troppo licenziosamente da Lione X, il quale, seguitando il consiglio del Cardinal Santiquattro, avea sparso per tutto il Mondo, senza distinzione di tempi e di luoghi, indulgenze amplissime, non solo per potere giovare con esse i vivi, ma con facoltà di potere, oltra questo, liberar anche l'anime de' defunti dal Purgatorio; le quali perchè era notorio, che si concedevano solamente per estorquere denari34, ed essendo esercitate imprudentemente da' Commessarj deputati a quest'esazione, la più parte de' quali comprava dalla Corte la facoltà di dispensarle, avea concitato in molti luoghi indignazione e scandalo, e spezialmente nella Germania, dove a molti di questi Commessarj s'era veduta vendere per poco prezzo, e giocarsi su l'Osterie la facoltà di liberare l'anime dal Purgatorio. Ma il motivo, onde nella Germania, e non altrove, cominciassero prima queste nuove dottrine, fu perchè avendo Lione donato a Maddalena sua sorella l'emolumento e l'esazione delle indulgenze della Sassonia e di quel braccio di Germania, che di là cammina sino al mare, costei, acciò che il dono del Pontefice le rendesse buon frutto, diede la cura di mandar a predicare l'Indulgenze e dell'esazione del denaro al Vescovo Aremboldo ministro degno di questa commessione, che l'esercitava con grande avarizia ed estorsione, poichè diede facoltà di pubblicarle a chi più offeriva di cavare maggior quantità di denari; ed ancor che nella Sassonia fosse costume che, quando da' Pontefici si mandavano l'Indulgenze, erano per lo più adoperati i Frati Agostiniani per pubblicarle, non vollero i Questori ministri del'Arenboldo valersi di loro, da' quali, come usati a quest'ufficio, non aspettavano cosa straordinaria e che gli potesse fruttar più del solito; ma le inviarono a' Frati dell'Ordine di S. Domenico. Da costoro, nel pubblicar l'Indulgenze, furono delle molte novità, che diedero scandalo, perocchè essi, per invogliare più la gente, ne amplificavano il valore più del solito.
Queste cose eccitarono Martin Lutero Frate dell'Ordine degli Eremitani a parlar prima contra essi Questori, riprendendo i nuovi eccessi; poi provocato da loro, e venutosi in dispute sopra il soggetto dell'Indulgenze, cosa non ben esaminata ne' precedenti secoli; vedendo, che i suoi emoli non si valevano d'altra ragione per difenderle e sostenerle che dell'autorità Pontificia; cominciò a disprezzare queste concessioni, ed a tassare in esse l'autorità del Pontefice; e continuando il calore delle dispute, quanto più la potestà Papale era dagli altri innalzata, tanto più da lui era abbassata. E multiplicandogli, in causa favorevole agli orecchi de' Popoli, il numero grande degli auditori, cominciò poi più apertamente a negare l'autorità del Pontefice.
In breve tempo videsi maravigliosamente disseminata la sua dottrina e favorita; onde trasportato poi dall'aura popolare e dal favore del Duca di Sassonia, non solo fu troppo immoderato contra la potestà de' Pontefici, ed autorità della Chiesa Romana; ma trascorrendo ancora negli errori de' Boemi, cominciò in progresso di tempo a levare le Immagini dalle Chiese, ed a spogliare i luoghi Ecclesiastici de' beni, e permettere a' Monaci ed alle Monache professe il matrimonio, corroborando questa opinione non solo con autorità e con argomenti, ma eziandio con l'esempio di se medesimo. Negava il Purgatorio, e perciò non doversi pregare per li morti; negava la potestà del Papa distendersi fuora del vescovato di Roma; ed ogni altro Vescovo avere nella Diocesi sua quella medesima autorità, che avea il Papa nella Romana: disprezzava tutte le cose determinate ne' Concilj, tutte le cose scritte da' Dottori della Chiesa, tutte le leggi Canoniche, ed i decreti de' Pontefici, riducendosi solo al Testamento vecchio, al libro degli Evangelj, agli Atti degli Appostoli, ed a tutto quello, che si comprende sotto il nome del Testamento nuovo, ed all'Epistole di S. Paolo; ma dando a tutte queste nuovi e sospetti sensi, e non più udite interpretazioni.
Nè si contenne in questi soli termini la follia di costui, e de' seguaci suoi, ma seguitata da quasi tutta la Germania, trascorrendo ogni giorno in più detestabili e perniziosi errori, penetrò a ferire i Sacramenti della Chiesa, disprezzare i digiuni, le penitenze e le confessioni; scorrendo poi alcuni de' suoi Settatori (ma divenuti già in qualche parte discordanti dall'autorità sua) a fare diaboliche invenzioni sopra l'Eucaristia: le quali cose avendo tutte per fondamento la reprovazione dell'autorità de' Concilj e de' Sacri Dottori, diedero adito ad ogni nuova e perversa invenzione o interpretazione.
Si vide perciò in molti luoghi, eziandio fuori della Germania, ampliata questa dottrina, la quale liberando gli uomini da molti precetti, li riduceva ad un modo di vita assai libero ed arbitrario. Negli Svizzeri, Ulrico Zuinglio Canonico di Zurich, avendola abbracciata, colle sue prediche l'avea disseminata per que' Cantoni, e da molti ascoltato, avendo acquistato gran credito, faceva prodigiosi progressi.
E mentre i Principi d'Europa tutti stavano occupati alla guerra, le cose della Religione andavano alterandosi in diversi altri luoghi; dove per pubblico decreto de' Magistrati, e dove per sedizione popolare. In Berna, fattosi un solenne convento e de' suoi Dottori e dei forastieri, ed udita una disputa di più giorni, fu ricevuta la dottrina conforme a quella di Zurich. Ed in Basilea, per sedizione popolare, furono ruinate ed abbruciate tutte le Immagini, e stabilita la nuova religione. L'esempio di Berna fu seguitato a Genevra, Costanza, ed altri luoghi convicini; ed in Argentina, fatta una pubblica disputa, per pubblico decreto fu proibita la Messa.
Cominciava per tanto questo pestifero veleno a diffondersi, ancorchè occultamente, anche in Italia, non meno che apertamente erasi disseminato in Francia; poichè in Italia, vedendosi tanta corruttela de' costumi nell'Ordine Ecclesiastico e nella Corte di Roma, credevano molti, che fossero tante calamità per esecuzione d'una sentenza Divina vendicatrice di tanti abusi, onde molte persone e accostavano alla riforma: e nelle case private, in diverse Città, massime in Faenza, Terra del Papa, si predicava contra la Chiesa Romana, e cresceva ogni giorno il numero de' Luterani, i quali si facevan chiamare Evangelici.
Giovò non poco allo spargimento di questa nuova dottrina nell'altre parti, l'erudizione di Filippo Melantone, fedele discepolo di Lutero, il quale vedendo che l'eloquenza e il credito d'una scelta erudizione a se chiamava gran numero di seguaci, impiegò ogni suo talento e tutte le sue belle lettere per mettere in ridicolo i Teologi scolastici; e facendosi ammirare dagl'ignoranti, dava lor facilmente ad intendere che i Dottori Cattolici non più sapevano di Religione, che di belle lettere: prese con queste arti molti, ed in Italia alcuni Predicatori più insigni di que' tempi, che si dilettavano d'eloquenza e che aveano tanto quanto di buon gusto nelle lettere.
Scorgendo intanto l'Imperador Carlo V che non pure nella Germania, ma anche in Italia era penetrata la dottrina di Lutero, trovandosi in Napoli nel 1536 a' 4 febbrajo fece pubblicare in questa città un rigoroso editto, da pubblicarsi ancora per tutti li Regni suoi, che niuno avesse pratica o commercio con persona infetta, o sospetta d'eresia Luterana, sotto pena della vita e di perdere la roba35; e prima di partire raccomandò al Toledo, che sopra tutto invigilasse a non farla penetrare nel regno commesso al suo governo.
Ma donde si credeva sperar salute, s'ebbe il male: era in que' tempi assai rinomato in Italia e per fama di gran Oratore assai celebre Bernardino Occhino da Siena, Frate Cappuccino, il quale sopra tutti gli altri del suo tempo erasi reso famoso sì per la sua dottrina, ed eloquenza e per l'asperità della vita, come anche per un suo nuovo modo di predicare l'Evangelio, non con dispute scolastiche, ed altre stravaganze, come gli altri fin al suo tempo facevano, ma con ispirito e veemenza e con fervore mirabile; onde s'avea acquistato gran credito non solo appresso il Popolo, ma anche presso i più grandi Principi d'Italia. Egli avea però in secreto ricevuta la dottrina di Lutero, e la andava occultamente disseminando, ma la copriva con accortezza tale, che non potea aversene niun sospetto. Dalla di lui fama tratti i Napoletani, proccurarono che nella Quaresima di quell'anno 1536 venisse a predicare a Napoli; egli ci venne con soddisfazione grandissima della Città, ch'ebbe il gusto, trovandovisi allora l'Imperadore, di farlo anche ascoltare da sì gran principe. Predicò egli a S. Giovanni Maggiore con tanto plauso ed ammirazione, che avea sbancati tutti gli altri Predicatori; poichè a gara tutta la Città correva alle Prediche di lui; e narra Gregorio Rosso36 testimonio di veduta, che in que' giorni di Quaresima, che l'Imperadore si trattenne in Napoli (poichè partì dentro di quella) andava spesso a sentirlo in S. Giovanni Maggiore con molto suo diletto; imperocchè, com'e' dice, predicava con ispirito, e devozione grande, che facea piagnere le pietre.
Partito l'Imperadore da Napoli, proseguì egli le sue prediche, nelle quali con destrezza mirabile andava spargendo alcuni semi di Luteranismo, che non se ne potevano accorgere, se non i dotti, e que' di buon giudicio. Il Vicerè Toledo, che come Spagnuolo favoriva molto i Religiosi Scolastici, a quali non troppo piaceva questo nuovo modo di predicare l'Evangelio, essendo da costoro avvisato, che Fra Bernardino di nascosto nelle sue prediche seminava l'eresia Luterana, diede carico al Vicario di Napoli, acciò destramente s'informasse della verità, e provvedesse. Il Vicario dubbioso, per mettersi in sicuro, era venuto a fargli ordine, che non predicasse più, se prima in pulpito non dichiarasse chiaramente la sua opinione intorno a quegli errori, che gli venivan opposti; ma il Frate, come che dotto ed eloquente, si difese così gagliardamente, che fu lasciato finire di predicare in quella Quaresima: e non solo della sua dottrina finì ogni sospetto, ma acquistò maggior credito e molti seguaci, che istruiti della sua dottrina, partito che fu egli da Napoli, in sua vece la insegnavano nascostamente ad altri.
Ma tre anni da poi, avendo lasciato di se un desiderio grandissimo, fu di nuovo, con molta istanza dei Napoletani, richiamato a predicare nel Duomo di Napoli, dove venuto, fu nel dire più alto e misterioso, e per quanto i giudiziosi s'accorsero, era più cauto, usando parole ambigue, per potersi difendere in caso fosse attaccato. Il nuovo modo di predicare su la Scrittura, diede occasione a molti di disputare sopra di quella, di studiare l'Evangelio, di disputare sopra la Giustificazione, la Fede e le opere; sopra la Potestà Pontificia, il Purgatorio, e questioni simili, le quali prima eran sol trattate da' Teologi grandi fra di loro e nelle loro Scuole. Ma ora, rese per le sue prediche popolari, erano trattate anche da' laici, e talora da uomini di poca dottrina, e di nessune lettere insino i più vili artigiani erano venuti a questa licenza di parlare e di discorrere dell'epistole di S. Paolo e de' passi difficili di quelle, e quel che fu peggio egli partendosene lasciò in Napoli alcuni suoi fedeli discepoli, e la sua cattiva dottrina sparsa ne' petti di molti; siccome avea fatto in ogni altra parte d'Italia, dove avea predicato.
Erano allora in Napoli alcuni Teologi e predicatori parimente insigni d'altre religioni, alcuni de' quali, molto favoriti dal Vicerè Toledo, non si lasciarono contaminare dalla dottrina di costui, anzi la contrada dicevano, e con somma vigilanza proccuravano farne accorti gli altri, perchè la detestassero. Fra gli altri fioriva a questi tempi Frat'Angelo di Napoli Riformato di San Francesco, molto versato nella Teologia e nella dottrina Platonica, ma sopra tutto Oratore eloquentissimo. Costui era favorito molto dal Toledo, che lo elesse per suo Confessore, e l'avrebbe innalzato a maggiori dignità, se la morte non avesse interrotti i suoi disegni; fecegli però ergere nel Monastero della Croce, ove dimorava, una degna Sepoltura con elogio, che ancora ivi si legge. Risplendeva ancora più luminoso il P. Fra Girolamo Seripando dell'Ordine di S. Agostino nobile del Seggio di Capuana, uomo dottissimo, di probità di vita, nelle prediche mirabile, e sopra tutto dotato di somma saviezza e prudenza, tanto che nel Capitolo generale celebrato in Napoli l'anno 1539 fu creato Generale della sua Religione; ed avuto in somma stima dal Toledo, per la sua interposizione fu assunto all'Arcivescovado di Salerno, e poi fatto Cardinale da Pio IV. Romano Pontefice. Questi fu che morendo, memore della sua Patria, lasciò la sua gran Biblioteca adornata di famosi, e di più peregrini, e rari Codici M. S. al Convento di S. Giovanni a Carbonaia37, ch'era uno de' maggiori pregi di questa città; ora già posta a sacco da' Monaci stessi, che ne tenevano cura: ed ultimamente (con molto dispiacere de' buoni) da chi men dovea. Rilussero ancora Frate Ambrogio di Bagnoli dell'Ordine de' Predicatori, Oratore insigne, poi Vescovo di Nardò, di cui nella Chiesa dello Spirito Santo si vede ancora la sua Statua di marmo con elogio; Fra Teofilo di Napoli disputante massimo e parimente Oratore eloquentissimo, che recitò l'orazion funebre per la morte dell'Imperadrice accaduta in quell'anno: Fra Agostino di Trivigi, e molti altri, che disputando, orando ed insegnando, e favoriti dal Toledo, erano tutti intesi a non far allignare le nuove dottrine, che occultamente serpeggiavano; ma svellerle tosto, prima che mettessero più profonde radici.
Dall'altra parte non mancavano chi con molta accortezza, e sotto manto d'agnelli, così disputando, come insegnando, cercavan stabilirle in Napoli. Avevano alcuni, con nuovo istituto, cominciato a leggere pubblicamente l'Epistole di S. Paolo, nella sposizione delle quali insinuavano la nuova dottrina. Fra gli altri, che in ciò si erano resi celebri, furono Giovanni Montalcino dell'ordine de' Minori di S. Francesco, Lorenzo Romano Siciliano, Apostata de' PP. Agostiniani, e Pietro Martire Vermiglio, Prete e Canonico Regolare, Fiorentino e di cui il Tuano nelle sue Istorie non si dimenticò tesserne elogio.
Fra Giovanni, non pur esponendo quelle Epistole, ma disputando più giorni continui col P. Teofilo di Napoli suo competitore ed emolo, malmenandolo con motti acuti e mordaci, erasi reso sospetto già d'eresia, siccome l'evento poi chiaramente lo dimostrò; perchè alcuni anni appresso, arrestato in Roma, e convinto, fu giustiziato. Pietro Martire, assai più famoso, esponeva con molta eloquenza e dottrina l'Epistole di S. Paolo in Napoli, in S. Pietro ad Ara, dove ebbe tanto credito e concorso di gente, che chi non v'andava, era riputato mal Cristiano. Costui avea a se tirati molti, fra' quali un certo Catalano chiamato D. Giovanni Valdes ch'era anche stretto amico di Fr. Bernardino da Siena; ma la vigilanza del Vicerè, e più de' di lui emoli, che non lasciavano di fare minuto scrutinio sopra i suoi detti, frastornarono i suoi progressi; poichè un giorno, spiegando quel passo di S. Paolo38: Si quis autem superaedificat, etc. ancorchè con accortezza, e con molte proteste e riserve lo sponesse, diede però gran sospetto, ch'egli non ben sentisse del Purgatorio. Di che avertito il Toledo, gli fece proibire la lezione, donde avvenne, ch'egli vedendo, che in Italia non poteva promettersi gran cose; finalmente sentendo, che in Roma se gli preparavano aguati, fuggì d'Italia, e ricovrossi fra' Luterani in Argentina, ove riuscì in quella dottrina cotanto celebre, quanto il Mondo sa. Lorenzo Romano fermossi nel Regno, prima in Caserta, e disseminò occultamente gli errori di Zuinglio in quella Città e nelle Terre circostanti; da poi andò in Germania, donde maggiormente istrutto ritornò in Napoli nel 1549, e si pose quivi celatamente ad insegnare a molti gentiluomini la Logica di Melantone; sponeva i Salmi e l'Epistola di S. Paolo, ed un libro a que' tempi dato fuori, intitolato: Beneficio di Cristo. Fu però poco da poi scoverto; ed essendo stato citato dagl'Inquisitori, fuggì via; ma da poi venne nel 1512 spontaneamente a presentarsi in Roma al Cardinal Teatino, al quale confessò i suoi errori e gli palesò ancora, com'egli in Napoli e nel Regno avea molti discepoli, fra' quali erano persone eminenti e molte Dame Nobili e Titolate, le quali professavano lettere umane, ed essendo stato condennato a pubblica abjura nella Cattedrale di Napoli e di Caserta, gli fu imposto, che, fatto questo, ritornasse in Roma per ricevere altre penitenze.
In Napoli con tutto ciò, non ostante la vigilanza del Toledo e le diligenze, che s'usavano contra costoro, non cessava il timore, che non venisse contaminata da' seguaci loro, li quali con molta accortezza e con molta riserba nutrivano la lor dottrina. Non mancavano di capitarvi molti altri Predicatori, i quali tentavano ancora di seminar nel Regno li medesimi errori, abbracciati da molti, chi per ignoranza, chi per malizia; onde aveano cominciato già a far loro congregazioni e Consulte, e Capo di costoro era il Valdes Spagnuolo, il quale faceva professione di ben intendere e spiegar la Scrittura, dando a sentire d'essere in ciò illuminato dallo Spirito Santo; e ne avea per ciò tirati molti al suo partito, onde la cosa era giunta a tale, che oltre avere il veleno penetrato nei petti d'alcuni Nobili, era arrivato sino ad attaccar le Dame; e si credette, che la cotanto famosa Vittoria Colonna vedova del Marchese di Pescara e Giulia Gonzaga, per la strettezza, che tenevano col Valdes, fossero state anche contaminate da' suoi errori39.
Stando le cose della Religione in questo stato in Napoli, verso l'anno 1541 e 42 venne nuova, che il P. Occhino erasi manifestamente svelato per la parte de' Luterani, fuggito d'Italia, e ricovrato in Genevra s'era a coloro unito: questa rebellione dell'Occhino portò così in Napoli, come in tutta Italia sommo dispiacere: perchè creduto universalmente per uomo da bene e di sana dottrina, ora che vedevano il contrario, cominciarono a dubitare; non le sue prediche avessero apportato più tosto danno, che utile: ed accrebbe il sospetto contra i suoi discepoli, che avea in Napoli ed in tutta Italia lasciati; a' quali, perchè stassero fermi nella sua dottrina, non avea tralasciato, già fatto ribelle, di scrivere alcune Omelie volgari, che per mezzo d'una sua epistola dedicò alla sua Italia, nelle quali manifestava, che per l'addietro avea predicato in Italia Cristo mascherato, ma che ora non potendolo predicare a viva voce nudo, come il Padre ce lo mandò, e come nudo stette in Croce, lo faceva per opera della penna, con quelli suoi scritti; de' quali furono veduti per Italia e Napoli correre, per le mani di molti, più esemplari.
In questo medesimo tempo uscirono in istampa, senza nome d'Autore, alcuni libri, uno de' quali avea titolo: Il Seminario della Scrittura e l'altro: Il Beneficio di Cristo; e si videro comparire ancora alcune Opere di Filippo Melantone e d'Erasmo. Nel principio, per molti mesi, non se ne tenne conto, e correvano senza proibizione per le mani di molti: ma poi fatto avvertito il Vicerè del danno che facevano, gli fece proibir tutti, ed ordinò, che fossero pubblicamente bruciati; e fattone un fascio dal P. Ambrogio da Bagnoli, furono al cospetto del Popolo fatti bruciare avanti la porta maggiore dell'Arcivescovado, con bandi tremendissimi contra coloro, che forse tenessero queste ed altre opere sospette, o che le leggessero, o in qualunque modo proccurassero. Questo rigore fece quietar le cose in maniera, che non s'intese più che simili libri fossero ritenuti, e se pure da alcuni si parlava della Scrittura, era con più modestia e rispetto di prima.
A questo fine il Vicerè Toledo fece poi ai 11 ottobre dell'anno 1544 pubblicar Prammatica, colla quale ordinò, che i libri di Teologia e di Sagra Scrittura, che si trovassero stampati da venticinque anni, non si ristampassero: e gli stampati non potessero tenersi, nè vendersi, se prima non saranno mostrati al Cappellan Maggiore, il quale dovea vedere eziandio quali potessero mandarsi alla luce. Parimente proibì tutti i libri di Teologia e di Sacra Scrittura, che fossero stampati senza nome di Autore e tutti quelli, i cui Autori non fossero stati approvati.
Questo timore, che in Napoli non penetrassero gli errori della Germania, e la vigilanza per ciò usata dal Toledo, fece aver anche per sospetta ogni erudizione; e fu la cagione, perchè, presso noi, le lettere non facessero que' progressi e quegli avanzi, che in questi tempi facevano in Francia, ed in altre parti, così per la Giurisprudenza, come per l'altre facoltà. Erano rimasi solo i vestigj dell'Accademia del Pontano, ed alcuni pochi sostenitori di quella: pure con tutto ciò non mancava il buon volere, e se per questi sospetti non fossero stati dal Toledo impediti, molti nobili spiriti non avrebbero mancato di favorire le lettere, con ergere nuove Accademie, come aveano già cominciato: poichè nell'anno 1546 i Nobili del Seggio di Nido, ad esempio di ciò che si faceva in Siena, e nell'altre città d'Italia, trattarono d'ergere in Napoli un'Accademia di Poesia latina e volgare, di Rettorica e di Filosofia e d'Astrologia, siccome in una ben ornata stanza, al piano del Cortile di S. Angelo a Nido, l'ersero sotto il nome de' Sireni, e ne fecero Principe Placido di Sangro: e gli Accademici infra gli altri, furono il Marchese della Terza, il Conte di Montella, Trojano Cavaniglia, il celebre Antonio Epicuro, Antonio Grisone, Mario Galeota, Giovan-Francesco Brancaleone famoso Medico e Filosofo ed Orator eloquentissimo, ed altri amatori delle buone lettere. Ad imitazione di Nido eresse il Seggio Capuano un altra Accademia, sotto il nome degli Ardenti. E ne fu anche istituita un'altra nel Cortile dell'Annunziata sotto il nome degli Incogniti. Ma queste, nate appena, rimasero estinte; poichè il Toledo le fece da' Reggenti del Collaterale proibire, non piacendo allora, che, sotto pretesto di studio di lettere, si facessero ragunanze e continue unioni d'uomini letterati. Accelerò la proibizione, l'istituto preso, che ciascuno degli Accademici dovesse ivi recitare una lezione, sopra la quale (ancorchè il soggetto fosse o di Filosofia, o di Rettorica) venendosi poi a disputare, sovente s'usciva dal soggetto, e si veniva alle quistioni di Teologia e di Scrittura. Furono per ciò l'Accademie proibite tutte e tolte via.
Quindi è avvenuto, che nel mezzo di questo secolo e nel suo decorso non possiamo mostrar tanti Letterati, quanti nel principio e nel fine del precedente furono da noi annoverati: de' Filosofi, e Medici un solo Agostino Nifo, ed in Calabria, Antonio e Bernardino Telisio, li quali per ciò non valsero far argine a' Scolastici e discreditar Aristotele lor Maestro: de' Poeti solamente fu veduto qualche numero, da non paragonarsi però a quello del secolo precedente.
Quindi ancora avvenne, che avendosi per sospetta ogni erudizione, i nostri Giureconsulti non poterono imitare l'esempio di Francia, dove la Giurisprudenza nelle Cattedre era insegnata con maggior purità e nettezza: ma da' nostri fu lo studio di quella proseguito nella medesima forma che prima. Ed essendosi cotanto i Tribunali innalzati, crebbe il numero de' Professori, li quali non diedero alcun sospetto, perchè tutti intesi a' guadagni del Foro, furono lontani da ogni erudizione e dallo studio delle lettere umane.
Questo era lo stato delle cose nel 1546. Pareva che colla vigilanza continua del Vicerè, per tanti provvedimenti dati, non vi fosse bisogno di altro per toglier ogni timore d'introduzione di nuova dottrina contraria alla antica Religione; ma il Vicerè per le cose precedute, come d'affare così grave e rilevante, avea dato intanto all'Imperador Carlo V relazione distinta di quanto era occorso intorno a ciò in Napoli, mostrando che bisognava seriamente provvedere d'efficaci rimedj per mali sì gravi e pericolosi. L'Imperadore, che co' suoi proprj occhi vedeva que' disordini e le revoluzioni cagionate in Germania per questa nuova dottrina, stimò necessario (per non vedere gli altri suoi Stati dipendenti dalla Monarchia di Spagna nel medesimo disordine) che si dovesse seriamente pensare ad un efficace rimedio; e reputando il più opportuno, per riparare al male, non poter esser altro, che in quelli far erigere un Tribunal d'Inquisizione all'uso di Spagna, affinchè i popoli atterriti, pensassero a vivere come prima, scrisse al Vicerè, che ponesse ogni suo studio in proccurare d'introdurre in Napoli l'Inquisizione all'uso di Spagna. Usasse però ogni industria ed accortezza d'introdurla senza alterazione de' Popoli, ma con modi soavi, covrendo con fino artificio il suo disegno. Avea Cesare fatta esperienza, quanto pericoloso fosse sforzare in ciò i Popoli; poichè avendo tentato di mettere a quell'uso l'Inquisizione in Fiandra, la vide in breve tempo tutta sconvolta e quasichè disabitata; imperciocchè molti avendo orrore di sì rigido Tribunale, lasciando le paterne case, si contentavano più tosto fuggire, ed andar altrove raminghi, tanto che fu egli obbligato levarlo e che più non se ne parlasse. Il Vicerè, prima di ricevere queste insinuazioni da Cesare, avea già da molto tempo pensato da se stesso a questo rimedio; ma sapendo, che l'Inquisizione era stata ai Napoletani sempre d'orrore ed odiosa, e che, nè Ferdinando il Cattolico, nè altri Vicerè, che più volte l'avean tentato, mai eran stati bastanti a metterlo in opera, rispose perciò all'Imperadore, che l'impresa era molto ardua, ma con tuttociò avrebbe egli usata ogni industria e poste in opera le più sottili arti, e come se nè da Cesare nè da lui procedesse, avrebbe proccurato spingere e tirar avanti il disegno nella maniera più accorta e cauta, che si potesse.
In questi medesimi tempi il Pontefice Paolo III, vedendo ancor egli, che in Italia andava serpendo il male, rinvigorì dall'altra il Tribunal dell'Inquisizione di Roma; e con intelligenza di Cesare mandò Commessarj dell'Inquisizione Romana per tutte le Province d'Italia, i quali però erano ricevuti con condizione, che dovessero procedere per via ordinaria, con manifestazione de' testimonj e, sopra tutto, senza la confiscazione de' beni.
Il Toledo reputando, che col fare apparire non da lui, ma da Roma, venir tentata l'impresa, e che sotto questo manto avrebbe coperto il suo disegno, proccurò col Cardinal Borgia, uno degl'Inquisitori di Roma suo parente, che, siccome erasi fatto nell'altre Province d'Italia, si mandasse in Napoli un Commessario, con Breve del Papa, dove si comandasse, che per via d'Inquisizione dovesse procedersi contra i Chierici, Claustrali e Secolari; siccome in effetto venne il Breve, ed al Vicerè fu comunicato, il quale però si pose in grande angustia per trovar il modo di poterlo far eseguire.
Narrasi, che 'l Pontefice di buona voglia, a' prieghi del Cardinal Borgia, avesse conceduto il Breve, non perchè egli si curasse molto di porre l'Inquisizione in Napoli, avendo scoperto i disegni di Cesare e del Toledo, che volevano porla all'uso di Spagna e non già di Roma (tanto che questa competenza giovò molto a' Napoletani) ma perchè tenendo odio occulto contra l'Imperatore, sapendo quanto fosse d'orrore a' Napoletani l'Inquisizione, giudicava, che col tentar di metterla in Napoli, si dovessero cagionare in questa città alterazioni, tumulti e sedizioni.
Uberto Foglietta genovese40, seguito dal Presidente Tuano41, scrive, che il Toledo a' Commessarj dell'Inquisizione venuti da Roma, che lo richiedevano secondo il costume, dell'Exequatur Regium al Breve, avesse risposto, che in ciò non s'affrettassero tanto, ma tenessero presso di loro il Breve, perchè, quantunque per non insospettire i Napoletani odiosissimi all'Inquisizione, non poteva allora darlo, stessero però di buon animo, con tener sotto silenzio il tutto, perch'egli avrebbe oprato in modo, che il Breve s'eseguisse.
Però i nostri Scrittori napoletani, contemporanei non men che il Foglietta, a questi successi, i quali, siccome devon cedere all'eleganza e maestà del suo stile, così è di dovere, che, come forastiero, egli ceda per la verità e più minuta e distinta narrazione di questa istoria a costoro che trovaronsi presenti, e furono in mezzo di quegli affari, e li trattarono con pericolo della vita e perdita delle loro robe. Narrano questi, che il Vicerè, dopo alquanti giorni, dal Consiglio Collaterale fece dar l'Exequatur al Breve; ma che non volle farlo pubblicare per la Città a suon di trombe, nè con prediche, per timor di qualche sollevamento; ma volle che solamente per cartone affisso nella porta dell'Arcivescovato si palesasse; nell'istesso tempo, ritiratosi egli a Pozzuoli, ove l'inverno soleva dimorare, ordinò a Domenico Terracina, quanto al Popolo odioso, altrettanto suo dependente, avendo a questo fine, (oltre averselo fatto compare) quattro mesi prima proccurato di farlo elegger di nuovo Eletto del Popolo, ed agli altri Ufficiali della città, de' quali egli si fidava, che insinuassero con dolci maniere alle lor Piazze, che non bisognava di quell'editto d'Inquisizione far tanto rumore, nè sgomentarsi tanto, poichè quello non era ad uso di Spagna, ma veniva per provisione del Papa, Giudice competente in quella causa, di che la città non avea occasione di dolersi del Vicerè, di cui non era volontà, nè dell'Imperadore di metter l'Inquisizione; ma che il Papa per moto proprio lo faceva, acciò, se la città fosse in qualche parte contaminata d'eresia, se ne avesse da purgare; e non essendo, se ne fosse con questa paura preservata.
Dall'altra parte i Napoletani, a' quali essendo noti gli artificj del Vicerè, erano entrati in sommo sospetto, aveano eletti perciò Deputati, li quali essendo più volte ricorsi al Vicerè per questi rumori, che si sentivano d'Inquisizione, furono altrettante volte assicurati dal medesimo, ch'egli non avrebbe permessa novità alcuna. Tuttavolta la fama essendo continua e grande, che l'Inquisizione sarebbe stata fra poco tempo posta, non cessavano i timori ed i sospetti; ma quando poi in un dì di Quaresima di questo nuovo anno 1547 coi propri loro occhi videro l'Editto affisso nella porta della Chiesa Cattedrale, il quale da molti letto, era esagerato molto più di quel che conteneva, cominciarono molti a sollevarsi e farne rumore, e corsi al Vicario dell'Arcivescovado (il qual udito il tumulto per timore s'era nascosto) fecero stracciare l'Editto. Il Vicerè inteso il tumulto, la Domenica delle Palme fece tosto chiamar a se il Terracina e gli altri Ufficiali della città, a' quali niente parlando d'Inquisizione, ma solo esagerando l'eccesso, persuadeva di doversi procedere contra i tumultuanti ad un severo castigo; e se bene quasi tutti erano per acconsentirgli, nulladimeno per tema del Popolo, già insospettito e sollevato, non risposero risoluti, ma diedero buone parole, con riserva di farlo intendere alle loro Piazze: perlochè congregati gli Eletti, così nobili, come popolari nelle loro Piazze, e proposto il negozio per arduo, conchiusero di dover andare dal Vicerè a Pozzuoli, e creati scelti uomini, e di qualità per Deputati, se n'andarono giuntamente a Pozzuoli, dove avanti il Vicerè, Antonio Grisone gentiluomo del Seggio di Nido parlò con molto vigore ed energia, mostrandogli quanto fosse stato sempre alla città e Regno odioso ed insoffribile il nome dell'Inquisizione, e sopra tutto, che trovandosi con facilità uomini ribaldi, che per denari e per odio facilmente s'inducono a far testimonianze false (il che molto bene poteva egli aver conosciuto, che per estirpar le scuole de' testimonj falsi, era stato costretto di far pubblicar contra d'essi un rigoroso bando a pena della vita) in breve tempo si sarebbe veduto il Regno e la città tutta sconvolta e rovinata; lo pregava per tanto, in nome di tutti, a non voler permettere, che a tempo suo, quando ne aveano ricevuti tanti beneficj, Napoli restasse di tanto obbrobrio e vergogna macchiata, e da così intollerabil giogo oppressa.