Kitabı oku: «Scritti scelti», sayfa 6

Yazı tipi:

3 Strategie di costruzione dei paradigmi verbali in lingua seconda1
3.1 Introduzione1

Le strategie di (ri)costruzione e di organizzazione dei paradigmi flessionali nell’apprendimento di lingue seconde sono un campo di studio interessante sia per la ricerca sull’acquisizione linguistica in senso stretto (dove sono state già trattate per le lingue prime, cfr. Peters 1985, MacWhinney 1985) sia perché possono servire alla verifica e al sostegno empirico di ipotesi teoriche nell’ambito più generale della morfologia.

A questo proposito lingue a isocronismo sillabico con un ricco inventario di morfemi grammaticali, come l’italiano, offrono prospettive di indagine migliori che non lingue a isocronismo accentuale con scarsa morfologia, come l’inglese, ma anche il tedesco, la cui non povera morfologia è oscurata dai noti fenomeni di riduzione di vocali atone e quindi di più difficile individuazione nell’apprendimento non guidato di lingue seconde (cfr. le forme [aːbait] e [aːbaitë] “lavoro/lavora(re)”, in [wan aːbait, aːbaitë obën], e il participio [gestorb] “morto” senza il suffisso, Klein-Dittmar 1979:133). Inoltre occorre tenere distinte lingue (o subsistemi) di tipo agglutinante e di tipo flessivo per le diverse condizioni di segmentazione e riconoscimento dei significati veicolati dai singoli morfemi, che presentano ovviamente problemi diversi di apprendimento. Per quanto riguarda invece il contesto dell’apprendimento, le osservazioni più istruttive si potranno trarre dall’apprendimento non guidato, dove si dovrebbero meglio manifestare le strategie di organizzazione/ costruzione di paradigmi in quanto insiemi di forme interrelate. Al contrario l’apprendimento guidato, anche nelle forme più lontane da quello “tradizionale”, comporta sempre una presentazione già organizzata in paradigmi del materiale lessicale (si ricordi la memorizzazione di forme-base quali lat. video, vides, vidi, visum, videre; fr. voir, voyant, vu, je, vois, je vis; ted. sehen, siehst, sah, gesehen, etc.)2.

3.2 Lingue prime e lingue seconde

Basandomi su dati di apprendimento dell’italiano come lingua seconda in contesto non guidato1, prenderò in esame alcuni aspetti di ordine generale dell’organizzazione dei paradigmi nel sistema verbale, il cui sviluppo si intreccia con quello dei paradigmi del sistema nominale senza che, per ora, si possa con sicurezza parlare della precedenza dell’uno sull’altro2.

Nell’organizzazione dei paradigmi verbali, apprendimento di lingue prime e di lingue seconde si differenziano nettamente, tra l’altro, per l’input che ne constituisce le condizioni di partenza. L’input per le lingue prime è infatti costituito in buona parte dal baby-talk, con il quale, per certi versi, l’adulto aiuta il bambino nell’operazione di segmentazione con la ripetizione di enunciati lievemente modificati (Peters 1981:237). In questo contesto, l’adulto fornisce al bambino anche una base cognitivamente adeguata per costruire i paradigmi verbali, riferendosi spesso, anche se non esclusivamente, ai partner dell’interazione con nominali pieni e, di conseguenza, verbi alla terza singolare (cfr. viéne il mio bambino “vieni qui subito”, Calleri 1987:6; cfr. anche Savoia 1984). Per questa via, che comporta l’analisi delle forme verbali in radice e morfema e la sua riapplicazione in base ai principi operativi di Slobin (1985), mi sembra si possa spiegare la frequenza di regolarizzazioni analogiche nei bambini, nota a livello interlinguistico, che in italiano riguardano in particolare formazioni del tipo dicio “dico” e simili (Berretta 1988a) e che in diacronia stabiliscono le vie privilegiate dei cambiamenti morfologici (Bybee 1980, 1985:50 sg.).

Nell’apprendimento non guidato di lingue seconde l’input è invece del tutto casuale e, a seconda delle condizioni sociali di apprendenti e comunità ospitante, può essere ricco di forme nel caso di frequenti e cooperative interazioni con nativi o via via sempre più povero fino all’estremo dello xenoletto, nel caso di forte distanza psicologica e sociale tra apprendenti e nativi. In ogni caso il compito di segmentare le parole riconosciute e di costruire i paradigmi della lingua di arrivo adottando eventualmente forme base da cui derivarne altre è funzione della frequenza e della salienza fonetica di certe forme nell’input (p. es. sillabe aperte non ridotte). Ciò può essere illustrato dall’esempio seguente (M dopo un mese di soggiorno in Italia)3:


3.3 Strategia a “parole e paradigmi”

L’organizzazione del piano paradigmatico della lingua di arrivo da parte degli apprendenti, in particolare dei paradigmi dei tempi verbali, si può ricondurre a tre strategie principali.

La prima strategia è caratterizzata dall’uso di parole polifunzionali tra cui si suddivide lo spazio semantico di un paradigma della lingua di arrivo, con la conseguenza di frequenti sovraestensioni, p. es.:


In base alla disponibilità e alla frequenza di forme dell’input, diverse a seconda dei singoli tipi lessicali, un paradigma viene così costruito come un puzzle, specializzando via via il significato grammaticale delle singole forme con l’aggiunta di nuovi elementi. Questa strategia ricorda l’impostazione a “parole e paradigmi” della teoria morfologica (Matthews 1975 tra gli altri) in quanto non comporta alcun processo di segmentazione da parte dell’apprendente, come mostra il caso di apprendenti eritrei di italiano1, che per il presente indicativo sovraestendono persone diverse a seconda dei lessemi, come mostra lo schema seguente:


Si noti che presso questi apprendenti non si hanno retroformazioni del tipo *anda, in sé plausibili per il grande numero di forme alla 3a sg. della prima coniugazione.

Nelle fasi più precoci le parole polifunzionali in questione coprono lo spazio semantico sia delle persone che delle distinzioni temporali-aspettuali e modali più basilari, cioè quelle tra presente abituale e atemporale, passato risultativo e modo di non-attualizzazione2.

Ciò è attestato dall’esempio (6), dove andate (pres. indic., 2a pl.) è di fatto in conflitto con andato (part. pass. m. sg.)3 e dagli enunciati in (7), che sono stati prodotti a poca distanza l’uno dall’altro nello stesso contesto di narrazione al passato.


In questa fase l’Aktionsart dei singoli tipi lessicali determina ovviamente, per la frequenza nell’input, la comparsa delle prime sovraestensioni (p. es. lavorare vs. finito vs. parla, hai, andate) e il loro uso in qualsiasi contesto temporale, cfr.:


La differenziazione delle tre forme del protosistema verbale di italiano lingua seconda è inferibile dall’uso, p. es. di presente e participio passato, in coerenza con le distinzioni temporali all’interno di una narrazione. Nei dati esaminati compare comunque una prova formale della costituzione di questo primo paradigma nell’uso di fini/si-fini opposto a finito in T a circa 3 m. di permanenza in Italia. Cfr.:


La forma fini probabilmente va ricondotta sia a una retroformazione da finito, che come abbiamo visto è, per la sua Aktionsart risultativa, estremamente disponibile per frequenza nell’input; sia al sostantivo fine (cfr. alla fini nell’esempio 9). La i finale che si ritrova sia nella versione del sostantivo che in quella del verbo va a sua volta ascritta a ipodifferenziazione di /i/ e /e/ finali atone nelle prime fasi nel caso del sostantivo e all’uso molto caratteristico di questo apprendente della desinenza di 2a sg. (cfr. sotto ess. 15, 16)4. È comunque evidente dagli esempi riportati che finito e (si-)fini per T si oppongono come parlato – parla (e parlare).

La strategia di costruzione a “parole e paradigmi”, per l’italiano, si esplica in modo particolarmente interessante nell’organizzazione delle persone del presente indicativo, che pur comincia in fasi relativamente precoci. Le sovraestensioni sembrano essere governate da principi generali (p. es. tutte le persone del singolare vengono sovraestese su persone del plurale, ma le poche sovraestensioni delle persone plurali rimangono nell’ambito di questo numero)5. Cfr.:


La frequenza nell’input di certe persone (solitamente la terza e la seconda singolari) può indurre presso certi apprendenti la prevalenza di una sola forma sovraestesa. A questo proposito, per l’italiano, la frequenza di sovraestenzioni della seconda singolare del presente indicativo è connessa con l’uso molto diffuso del tu impersonale nel parlato colloquiale, anche in contesti non del tutto appropriati, come mostra l’esempio (14), tratto dai materiali raccolti da Cereia (cfr. Cereia Fuso 1988).


In questo brano l’intervistatore racconta all’apprendente una sua esperienza passata e l’uso del tu impersonale, per quanto denotativamente inappropriato, è pur sempre adatto a “coinvolgere” l’interlocutore nel punto di vista del parlante.

L’uso di forme impersonali da parte dei nativi è probabilmente la fonte della frequenza di forme di seconda singolare spesso accompagnate da si in proclisi in T6, cfr.:


(15) (T, 2 m.)
io non lo so, dove dove si-giochi
“non so dove si gioca”
(16) (T, 3 m. circa)
il capoto, si-meti la capoto – non hai – io meti solo le *T-shirt*
“il cappotto, (si) mettono il cappotto – non ce l’ho – (mi) metto solo le

Occorre poi ricordare, anche se qui se ne può fare riferimento solo marginalmente, una certa permeabilità categoriale di queste forme, in parte indotta dalla omonimia dei più frequenti morfi nominali e verbali dell’italiano (p. es. -a: femm. sg. e terza singolare). Cfr.


La realizzazione estrema di questo tipo è esemplificata dai pidgin e dai creoli, che di solito adottano una sola forma verbale della lingua lessificatrice ed esprimono sull’asse sintagmatico le distinzioni di tempo-aspetto-modo e persona rilevanti.

Ciò è provato soprattutto dai creoli derivati da lingue con ricca morfologia, come il nubi (a base araba sudanese) i cui lessemi verbali lasciano tuttora trasparire la forma originaria: p. es. dakalu “entrare” < ar.sud. daxalu “essi entrarono” (ar. cl. daxaluu); gata “tagliare” < ar.sud. gataʔ “tagliò” (ar. cl. qaṭaca); ašrubu “bere” < ar.sud. ašrubu “bevete” (Imper.) (ar. cl., ʔ išribuu), cfr. Owens (1985:254)8. Il nubi, come i più noti creoli a base inglese e francese, distingue però solo a livello sintattico le categorie verbali, cfr.


Uno stadio poco più avanzato, che ricorda in parte la situazione di interlingue di italiano e di tedesco è quello dell’afrikaans, che ha due sole forme nel paradigma verbale, cfr. skryf – geskryf (PRES. – PART. PASS.), delle quali la seconda si usa sempre insieme all’ausiliare het, p. es. ek het geskryf “ho scritto/scrivevo”. Analoga situazione si ritrova nel poco studiato italiano d’Etiopia (Habte-Mariam 1976), che ha due sole forme verbali: lëwrare (PRES. E PASS. DURATIVO; FUT.; IMPER.) e lëwrato (PASS./RISULTATIVO).

3.4 Strategia “entità e disposizioni”

Una seconda strategia di organizzazione dei paradigmi, che si manifesta nelle interlingue in regolarizzazioni analogiche nei casi di allomorfia di base (non lo leggio “non lo leggo”) o affisso (e ciò che riempisce “e ciò che riempie”) e in doppie marcature (presato “preso”) si interseca in stadi non iniziali di apprendimento con quella descritta sopra1.

In termini generali di analisi morfologica, queste formazioni sembrano evocare il modello cosiddetto a “entità e disposizioni” (o “items and arrangements”). Ne sono attestazioni anche forme quali ti-piacio “mi piace” (M a 1 m., 23 g. di permanenza in Italia)2 e forse il ricorrere di forme piane e non sdrucciole di terze plurali del presente indicativo presso apprendenti eritrei anche avanzati, ma non solo, p. es.:


La prosodia di queste forme potrebbe attestare la regolarizzazione di forme polisillabiche sia sulla base dell’infinito e del participio passato della prima coniugazione (cfr. entráre-entráto, ammazzáre-ammazzáto, ma non *eráre)3 sia nell’ambito più generale della prosodia più consueta per le parole dell’italiano.

Forme analogiche caratterizzano l’iter di apprendimento della distinzione dei paradigmi delle coniugazioni nel presente indicativo (cfr. correggia “corregge”, parta “parte”, succeda “succede”, E, F a poco più di 2 m. dall’arrivo in Italia, Cereia Fuso 1988:112) ma soprattutto l’apprendimento e la resa in fasi più avanzate. Interessanti sono, a questo proposito, le forme di condizionale preferiscebbe “preferirebbe” (E, 8 m.) formato sulla base della 3a singolare del presente indicativo e c-erebbe “ci sarebbe” (F, poco meno di 8 m.)4, formato su una base c-, come in c-è, c-era etc.

Diversamente dalle regolarità di formazione individuate dalla Bybee (1980), le analogie nell’apprendimento di lingue seconde mostrano un quadro più complesso, da analizzare puntualmente su un corpus ampio di apprendenti, come mostrano le forme finitavo “finivo” (E, 4 m.), rispetto a correrava “correva” (F, quasi 9 m.)5 e anche l’esempio seguente:


Questi esempi sembrano indicare che la forma alla base delle formazioni analogiche dell’imperfetto da una parte e del gerundio dall’altra varia a seconda della Aktionsart del lessema. Abbiamo così il participio passato per verbi telici puntuali (finire, mettere), l’infinito per verbi durativi (correre). Questo potrebbe significare che l’organizzazione dei paradigmi nei frammenti di grammatica in evoluzione della lingua seconda non sia basata su relazioni simmetriche ed equipollenti, ma si configuri diversamente in base a caratteristiche semantiche fondamentali dei lessemi, come è l’Aktionsart per quelli verbali6.

3.5 Strategia delle costruzioni analitiche

Una terza strategia che si ritrova nelle interlingue è quella delle costruzioni analitiche, in cui il significato grammaticale è codificato in una forma separata da quello lessicale. Rispetto alle prime due strategie discusse sopra questa sembra essere relativamente marginale, in quanto viene applicata come strategia transitoria per far fronte a problemi di espressione di categorie, temporali o anche di persona, per cui manca la forma appropriata (o ritenuta tale) nel paradigma incompleto dell’interlingua. Cfr.


(22) (A, dopo 1a. 2 m.)
lui li ha capisce “li capiva/aveva capiti”;
(23) (Jo, 2 m. circa)
miei amici ero sono “i miei amici erano”
(24) (E, 7 m.)
(25) (Pe in diversi momenti del suo anno di soggiorno in Italia)
sono lavora “lavoro”; loro sono camminare
“camminano/stanno camminando”; è significa

Questa strategia di costruzione dei paradigmi non è mai preponderante e si ritrova tipicamente con l’imperfetto indicativo (v. esempi 22-24) e in taluni casi (es. 25) sembra invece esprimere l’aspetto progressivo estraneo al sistema4.

Rispetto alle altre due strategie, che sembrano davvero contribuire alla (ri)costruzione dei paradigmi della lingua seconda, questa terza strategia sembra essere più che altro una strategia “di discorso”, nel senso che viene impiegata più che altro per ovviare a deficit momentanei di espressione e non viene mai impiegata sistematicamente.

La stessa strategia sembra caratterizzare altre situazioni di contatto interlinguistico, in particolare le situazioni di abbandono di lingua e quelle di forte impatto di prestiti da una lingua con maggior prestigio culturale (forse in parte assimilabili e in parte pertinenti, in senso lato, l ‘apprendimento di lingue seconde). Nel primo caso, osservato da più studiosi (cfr. ora Dressler 1988:187), la massiccia presenza di costruzioni analitiche comporta la riduzione del sistema a pochi verbi coniugati e riflette il venir meno della competenza5, cfr.


Anche il dialetto walser di Gressoney studiato da Giacalone Ramat (1989:45) mostra forme analitiche nei settori più periferici del paradigma verbale (congiuntivi presente e preterito, essendo gli unici congiuntivi “vivi” quelli dei verbi per “avere”, “essere”, “fare” e di alcuni modali) e anche, accanto alle forme sintetiche, nel presente indicativo. Cfr.


Nel secondo caso, i costrutti analitici rappresentano un comodo espediente di integrazione di prestiti di qualsiasi tipo, cfr. turco tefrik etmek “distinguere” (letter. “distinzione fare”, dove tefrik è un prestito dall’ar. tafriiqun, Lewis 1983:140)6.

Al di fuori di contesti di apprendimento o di contatto, costrutti analitici come quelli discussi qui sembrano emergere comunque come ampliamenti dei paradigmi verbali al fine di operare distinzioni, di solito aspettuali, più fini (cfr. i “Funktionsverbgefüge” in ted., p. es. eine Entscheidung treffen “prendere una decisione” vs. entscheiden “decidere”).

3.6 Conclusioni

Le tre strategie di costruzione dei paradigmi verbali nell’apprendimento di lingue seconde si possono disporre lungo un continuum tra i due estremi dell’apprendimento separato di entità lessicali (strategia 1) e della interrelazione di forme segmentate (strategia 2) che si intrecciano lungo tutto il corso del processo di apprendimento. Su questo continuum si innesta la strategia delle costruzioni analitiche (strategia 3) come mezzo per lo sfruttamento ottimale degli elementi già appresi. Le tre strategie si manifestano tipicamente in settori diversi dei paradigmi del sistema verbale, come abbiamo visto per l’italiano, a seconda degli stadi di apprendimento. Inoltre esse trovano riscontro in settori collegati all’apprendimento di lingue seconde in senso stretto, come quello della creolistica (strategia 1), dell’apprendimento di lingue prime (strategia 2), dell’abbandono di lingua e del contatto (strategia 3).

Oltre che da uno stadio di apprendimento iniziale, la strategia 1 sembra essere favorita dalla maggiore età degli apprendenti e dalla poca dimestichezza con la manipolazione di materiali linguistici cui ci addestra l’istruzione grammaticale della nostra tradizione scolastica; viceversa la strategia 2 è prevalente in stadi più avanzati, in apprendenti molto giovani (si ricordi il caso estremo delle lingue prime) e, probabilmente, in apprendenti con un retroterra scolastico di tipo “occidentale”. Questi fattori non permettono, per ora, di osservare con chiarezza se le diverse strategie siano impiegate anche in funzione del tipo morfologico preminente nella lingua prima degli apprendenti. P. es., nei nostri dati, la frequenza di sovraestensioni anche in fasi di apprendimento non proprio iniziali nei giovani apprendenti eritrei (con un retroterra scolastico diverso dal nostro) potrebbe essere ricollegato alla ricca morfologia, difficilmente segmentabile perché spesso introflessiva, delle lingue semitiche. Dall’altra parte, la prevalenza di strategie di formazione analogica presso gli apprendenti inglesi (giovani adulti e insegnanti di lingua) potrebbe essere in correlazione anche col fatto che la scarna morfologia dell’inglese è facilmente segmentabile. Da questo punto di vista un indizio che il tipo morfologico della lingua prima può esercitare un influsso profondo sulle strategie di organizzazione grammaticale viene per ora solo dagli apprendenti cinesi studiati nel Progetto di Pavia (cfr. Bernini e Giacalone Ramat 1990), i quali, a parità di altre condizioni, sembrano ricorrere alla strategia 1, che risponde anche alla mancanza di morfologia flessiva delle lingue isolanti.

₺2.548,82

Türler ve etiketler

Yaş sınırı:
0+
Hacim:
543 s. 239 illüstrasyon
ISBN:
9783823303336
Telif hakkı:
Bookwire
İndirme biçimi:
Metin
Средний рейтинг 0 на основе 0 оценок