Kitabı oku: «Il Segreto Dell'Orologiaio», sayfa 2
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Il Crown & Lion, il malinconico pub sul confine di Penleven, emarginato dal quartiere più vicino da una fitta cortina di alberi, non era mai stato tanto invitante. Dall’unica fermata dell’autobus del paese, Slim non aveva altra scelta che passarci davanti per raggiungere il Bed & Breakfast e, anche se normalmente si sarebbe fermato per cenare nel malandato salone per famiglie, bramando un sorso di ciò che avrebbe cancellato gli ultimi tre mesi di sobrietà nel battito di ciglio di un incredulo abitante del luogo, stasera era vittima di quella vecchia tensione, quella nervosa agitazione che avrebbe potuto farlo crollare. Le persone dicono che non si smette mai di essere un alcolista e, anche se Slim sperava di potersi godere una birra di tanto in tanto un giorno, quegli anni di libertà e appagamento erano solo un lontano ricordo. Lanciò un’occhiata nostalgica alle luci del pub dalla finestra, per poi rimettersi in marcia.
La pensione era silenziosa al suo arrivo, ma oltre una porta chiusa si sentiva il suono soffocato di una tv a basso volume. Slim aprì la porta e vide la Signora Greyson addormentata sulla sua poltrona, davanti alla stufa elettrica. Il telecomando del televisore era appoggiato sul bracciolo, come se avesse abbassato il volume prevedendo di addormentarsi.
Slim si diresse di sopra. Mise l’orologio sul letto e uscì di nuovo. A poco meno di un chilometro di distanza, fuori dall’unico alimentari della città, Slim trovò una cabina telefonica.
Chiamò un amico del Lancashire. Kay Skelton era un esperto in linguistica e traduzioni, che Slim aveva conosciuto ai tempi dell’esercito e con cui aveva già collaborato. Slim gli raccontò dell’antica lettera trovata sul retro dell’orologio.
“Se c’è scritto qualcosa, devo sapere cos’è,” disse Slim.
“Inviamela come raccomandata,” disse Kay. “Non è qualcosa che io sappia fare, ma ho un amico che può aiutarti.”
Dopo aver concluso la chiamata, Slim si sorprese di trovare l’alimentari ancora aperto, quasi alle sei e un quarto.
“Sto chiudendo,” fu il benvenuto severo della commerciante, una donna anziana dal volto così amareggiato che Slim iniziò a dubitare che, anche volendo, riuscisse a sorridere.
“Ci metto solo un minuto,” disse Slim.
“Quello che dicono tutti, non è vero?” rispose con un ghigno, accompagnato da una risata sarcastica, che lasciarono Slim incapace di decifrare se stesse scherzando o essendo scortese.
Dopo aver comprato una busta, Slim scoprì che, sì, il negozio era anche l’ufficio postale del paese, e sì, inviavano anche raccomandate, nonostante una sovrattassa per il servizio fuori dall’orario di funzionamento delle poste.
“Trelee è lontana da qui?” chiese, mentre la commerciante lo stava scortando alla porta senza troppi giri di parole.
“Perché dovrebbe andarci? Non c’è molto da vedere per i turisti.”
“Ho sentito dire che è un posto alquanto misterioso.”
La commerciante alzò gli occhi al soffitto. “Ah, sta parlando di Amos Birch, l’orologiaio. Pensavo fosse acqua passata. Cosa le importa di un vecchio scomparso?”
“Sono un investigatore privato. La sua storia ha catturato il mio interesse.”
“Perché? C’è ben poco da scoprire. Qualcuno l’ha ingaggiata?”
La parola ‘ingaggiata’ fu pronunciata con tanto sdegno che Slim si chiese se la commerciante avesse avuto una brutta esperienza con un investigatore in passato.
“Sono in vacanza,” disse. “Ma sa cosa dicono — il lavoro non va in vacanza.”
“Non è proprio vero?”
“Quindi… si prende la destra o sinistra usciti dal paese?”
La commerciante alzò di nuovo gli occhi al soffitto. “A nord, sulla via di Camelford. Forse vedrà un cartello — ce n’era uno, ma la giunta comunale non taglia più le erbacce come una volta. Sono circa dieci minuti di macchina.”
“E a piedi?”
“Un’ora. Forse un po’ di più. Conoscendo il sentiero si può tagliare per la Brughiera di Bodmin e risparmiare un po’ di tempo, ma stia attento. Era una regione di miniere.”
“Grazie.”
“E si porti qualcosa da mangiare. Questo è l’unico alimentari da qui fino al benzinaio Shell sulla A29, appena fuori Camelford.”
Slim annuì. “Grazie per le informazioni.”
La commerciante scrollò le spalle. “Se vuole sapere la mia, mi risparmierei il viaggio. Non c’è nulla da vedere tranne che una vecchia fattoria, e poco altro da scoprire. Quando Amos Birch è scomparso, ha fatto in modo di non venire trovato.”
6
Il mattino seguente, Slim fu accolto dalla pioggia al suo risveglio e, ciononostante, la Signora Greyson non era mai stata così felice come quando le disse che stava uscendo.
“Non è la giornata migliore per avventurarsi nella brughiera, non crede?” disse. Quando Slim alzò le spalle, aggiunse, “Insomma, ho un ombrello che potrei prestarle, ma come farebbe ad usarlo in bicicletta? E comunque, il vento lassù lo massacrerebbe.”
Slim prese in considerazione l’idea di smascherare il suo bluff e chiedere comunque l’ombrello, ma decise di correre il rischio usando la solita giacca. La Signora Greyson gli offrì una vecchia mappa topografica della zona, ma Trelee vi appariva un come un puntino distante un paio di quadrati da Penleven, a cui era stato concesso molto più spazio di quanto quel rado ammasso di case meritasse.
La strada era esattamente quella che si aspettava di trovare in Cornovaglia, lontano dalla A30 o dalla A39: infinita, tortuosa e ampia a malapena da far passere due macchine, piena di curve cieche e bivi nascosti tra valli boscose e dolci colline che ospitavano fattorie e brughiere. Le fitte siepi di tanto in tanto si aprivano per fare spazio a bellissimi panorami frastagliati di distese nebbiose, tuttavia, camminando all’ombra degli sporgenti alberi col latrato di un cane in lontananza o il cinguettio di un uccello come unici compagni di viaggio, la fantasia di Slim iniziò a provocarlo con immagini di corpi mutilati ed annunci di persone scomparse sull’ultima pagina del giornale della domenica.
Trelee, sul punto della strada dove la mappa indicava si trovasse il paese, non era altro che una dozzina di case, scaglionate lungo un chilometro di strada pianeggiante e divise dagli ingressi ai campi con vista sulla Brughiera di Bodmin. Alcune stradine si perdevano in valli nascoste, che portavano a gruppi di fienili e granai appartati, di cui solo i tetti si intravedevano tra gli alberi spogli.
Slim legò la bicicletta ad un cancello vicino al cartello comunale che leggeva ‘TRELEE’, a caratteri cubitali, mentre l’erba intorno giaceva a terra come fosse stata colpita con un bastone, e continuò a camminare, chiedendosi se fosse stata solo una perdita di tempo. Le prime tre case erano villette moderne, lontane dalla strada principale. Nei rispettivi vialetti non vi erano auto, il che suggeriva che i proprietari fossero al lavoro, in una metropoli lontana. Avvistò altri segnali di vita umana: dei giocattoli disseminati su un vialetto e un elegante gatto sul parapetto di una finestra.
Passate le villette, c’erano alter tre casolari più rustici, con pareti di pietra e tetti in paglia, come in un documentario sui luoghi più sperduti della Cornovaglia. I primi due sembravano vuoti, dai cancelli e cassette della posta chiusi a lucchetto, mentre, nel giardino del terzo, un uomo anziano era al lavoro; per la precisione, stava svuotando i resti scheletrici di alcune piante morte in un cumulo di terriccio, per poi impilare tutti i vasi insieme.
Slim alzò il braccio in risposta ad un suo saluto cordiale.
“Mi chiedevo se potesse dedicarmi un minuto?”
L’uomo lo raggiunse. “Certo. È nuovo da queste parti?”
“Sono di passaggio. In vacanza.”
L’uomo annuì, pensoso. “Interessante. Personalmente avrei scelto un posto più vicino alla costa, ma ad ognuno il suo.”
Slim alzò le spalle. “Era economico.”
“Non mi sorprende.”
“Sto cercando qualcuno che conoscesse Amos Birch,” disse Slim, prima che potesse realmente riflettere su cosa dire. “Sono a conoscenza del fatto che sia deceduto, ma mi chiedevo se avesse una moglie o dei figli. Ho trovato qualcosa che dovrebbe appartenergli.”
Il nome di Amos rese l’uomo visibilmente nervoso. “Se sia deceduto o meno, è ancora oggetto di dibattito. Chi vuole saperlo?”
“Mi chiamo Slim Hardy. Alloggio al Bed & Breakfast ‘Sul Lago’, a Penleven.”
“E cosa ha trovato?”
Slim realizzò che non c’era motivo di nasconderlo. “Un orologio. Ho sentito dire fosse un costruttore amatoriale.”
L’uomo si mise a ridere. “Amatoriale? Chi l’ha descritto così?”
“È quello che ho sentito dire.”
“Beh, amico mio, se davvero ha trovato un orologio di Amos Birch, dovrebbe tenerselo per sé, o almeno sottochiave.”
“E perché?”
“Quegli aggeggi sono altamente richiesti. Amos Birch non era un amatore. Era un artigiano di fama nazionale. I suoi orologi valgono migliaia di sterline.”
7
Mentre sedeva dall’altro lato di un traballante tavolo rispetto all’uomo che si era presentato come Lester “ma chiamami pure Les” Coates, Slim si ritrovò a pensare senza sosta all’orologio che aveva lasciato distrattamente sul letto della pensione. Poteva valere una piccola fortuna, il che, in assenza di un caso imminente, poteva fargli comodo.
“I racconti non finivano più,” disse Les servendo un tè che, per i gusti di Slim, si rivelò essere fastidiosamente fiacco. “Si trattava letteralmente di una persona che un giorno era qui e il giorno dopo era scomparsa. Si facevano le ipotesi le più disparate: da che fosse caduto in una miniera nella Brughiera di Bodmin, a che fosse stato rapito da un gruppo terroristico. Piuttosto elaborate, si potrebbe dire.”
“Viveva qui vicino?”
“Alla Fattoria Worth. Uscendo da casa, verso nord, è la seconda stradina a sinistra. Aveva dei contadini che lavoravano alla fattoria per lui, ma non è niente di che. Si diceva che la portasse avanti solo per ottenere un’agevolazione fiscale.”
“E gli orologi?”
“Vennero dopo. Iniziò come contadino, ereditando la fattoria del padre, credo. Poi, quando l’interesse nel suo secondo lavoro iniziò a crescere, ha fatto dei tagli ad uno per poter ingrandire l’altro.”
“Eravate amici?”
Les scosse la testa. “Vicini. Nessuno era davvero amico del vecchio Birch. Non era la persona più socievole del mondo, ma abbastanza amichevole se lo incontravi per strada.”
“La famiglia?”
“Una moglie e una figlia. Mary ha resistito qualche anno più a lungo, ma dopo la sua morte Celia ha venduto la casa e si è trasferita altrove. I nuovi inquilini sono i Tinton. Persone piuttosto gentili, ma riservate. Maggie è un po’ snob, ma è una brava persona.”
“Conoscevano la storia della casa prima di comprarla?”
Les scosse la testa. “Non saprei. Non sapevo neppure Celia la stesse vendendo fino a che non ho visto arrivare i camion del trasloco. Sicuramente non c’erano cartelli a pubblicizzare che fosse in vendita. Sarebbe stato bello se qualcuno del posto l’avesse comprata, ma non ci si può fare più niente. Nessuno rimpianse l’andarsene di Celia però. Una liberazione.”
Slim aggrottò la fronte all’improvviso cambio di tono nella voce di Les. Gli ricordò la sua reazione quando aveva menzionato Amos per la prima volta. “Perché lo dice?”
Les sospirò. “Quella ragazza era una mela marcia. Il vecchio Birch aveva i soldi. Lei non ne voleva sapere. Se ne andava in giro come nessun’altro. Se ne dicevano di tutti i colori su di lei.”
“Per esempio?”
Les sembrava afflitto, faceva delle smorfie come se le parole fossero frutta marcia che non aveva altra scelta se non ingoiare.
“Le piacevano gli uomini, si diceva. Soprattutto quelli sposati. Più di un paio di case sono state vendute mentre era qui, famiglie che si separavano. Aveva solo diciotto anni quando Amos è scomparso, e molti dicevano che ne avesse abbastanza di lei.”
“Pensa che l’abbia ucciso?”
Les batté il pugno sul tavolo così forte da far indietreggiare Slim, per poi scoppiare in una risata sonora. “Oddio, no. Pensa potesse farla franca con una cosa del genere? La ragazza era furba, ma non ci sarebbe mai riuscita.”
Slim voleva chiedere a Les se sapesse il nuovo indirizzo di Celia, ma il vecchio aveva un’espressione troppo dura, assorto nel vuoto. Slim si diede un’occhiata intorno, alla ricerca di segni di una presenza femminile, e non vide nulla. Iniziò a chiedersi se le storie sullo stile di vita decadente di Celia Birch fossero più di un sentito dire.
“Grazie del suo tempo,” disse, alzandosi in piedi. “La lascio alla sua giornata.”
Les condusse Slim verso la porta. “Torni quando vuole,” disse. “Ma se vuole sapere la mia, non scavi troppo a fondo.”
“Cosa intende?”
“Da queste parti, la porta è sempre aperta ai forestieri. Ma se si mette ad investigare su cosa succede dentro casa, la porta le verrà sbattuta in faccia.”
8
Slim pranzò vicino ad una scaletta, con vista sul lontano tappeto erboso della Brughiera di Bodmin. Le impronte sul fango vicino prato suggerivano che si trattasse un sentiero famoso, ma non aveva visto passare nessuno finora.
Non si sentiva completamente a suo agio a bussare alla porta della Fattoria Worth, così, dal momento che il sentiero per raggiungere il fondo la valle affiancava il cortile sul retro della fattoria, prima di attraversare un ruscello e sbucare nella brughiera, Slim si limitò a sbirciare tra le siepi.
Un casolare introduceva un cortile in cemento, a sua volta circondato di edifici: due grandi stalle per gli animali, uno per i macchinari e altri due, di cui Slim poteva solo immaginare il contenuto; silos per il grano o per i latticini, forse. Dietro al cortile principale, un sentiero di ghiaia conduceva ad un ammasso di piccole dépendance, che sembravano venire usate a scopo personale, piuttosto che per la fattoria. Slim strizzò gli occhi tra la siepe, chiedendosi se la più grande — una casetta di pietra con due finestre per lato e un piccolo caminetto che sbucava dal tetto — fosse stata un tempo il laboratorio di Amos Birch.
Guidato dall’istinto irrefrenabile di accumulare possibili prove, dopo gli otto anni da investigatore privato, Slim tirò fuori la sua macchina fotografica digitale e scattò qualche foto della fattoria. L’aveva appena rimessa nel taschino della giacca, quando fu sorpreso dalla voce di una donna.
“È facile rimanere incastrati lì in cima.”
Slim sobbalzò, ruotando su sé stesso. Scivolò fuori dalla siepe e atterrò su una pozza di fango. Come si girò, disgustato dalla striscia marrone che gli percorreva la gamba dalla caviglia alla coscia, si ritrovò faccia a faccia con una donna anziana, che sfoggiava un completo da escursione di tweed. Appoggiandosi sul bastone da passeggio, si mise ad osservarlo, attraverso gli occhiali che portava sulla punta del naso.
Slim si rimise in piedi, scrollando il fango dai pantaloni come poteva. La donna continuò a guardarlo, con sguardo sempre più accigliato e la testa inclinata, come un’artista che esamina l’opera di un rivale.
“Ha notato qualcosa di interessante dalla sua vedetta?”
“Cosa?”
“Dal buco nella siepe,” disse, agitando il bastone verso la brughiera. “Sa, molte persone che percorrono questo sentiero guardano laggiù, verso le torri di pietra. Mi chiedevo cosa stesse trovando di tanto interessante in una fattoria nascosta dietro una siepe potata in modo tale che chiunque con un minimo di cervello colga l’implicita richiesta di riservatezza?”
Il tono di voce curioso della donna si stava tramutando in rabbia. Slim si stava stancando dei suoi modi e atteggiamenti, quando d’un tratto percepì con chi stava parlando.
“Signora Tinton? La Fattoria Worth è sua, non è vero?”
La donna annuì velocemente. “Astuto, eh? È mia, sì. E le dirò una cosa: non mi importa chi vivesse qui prima di me. Sono stanca di voi cacciatori di tesori che curiosate in giro. Sono anni che dico a Trevor che l’unico modo di tenervi lontani è una recinzione elettrica, ma lui crede che ogni guardone che sorprendiamo nella nostra proprietà, sia sempre l’ultimo. Onestamente, a volte è troppo ingenuo.”
“Sono mortificato.”
“Fa bene ad esserlo. Ora, si allontani immediatamente da quella siepe. Ha il diritto di girovagare per il sentiero, ma quella siepe fa parte della mia proprietà e metterci le mani costituisce una violazione di domicilio. Sa che può ricevere una multa fino a cinque mila sterline per violazione di domicilio, non è vero?”
Durante un’emergenza, in un caso precedente, Slim aveva consultato una guida per principianti sulle normative britanniche e non ricordava di aver visto nulla del genere, ma darle torto in questo momento non avrebbe portato nulla di buono. Allargò le braccia, sfoggiò un sorriso dispiaciuto e disse, “Non volevo nuocere a nessuno.”
“La Fattoria Worth non è un’attrazione turistica!”
Per dare enfasi alla frase, la donna infilzò il bastone nel terreno, schizzando altro fango sugli scarponi già fradici di Slim. Prese in considerazione l’idea di ribattere, ma decise di lasciar perdere. Non si era accorta della macchina fotografica, quindi era meglio svignarsela finché poteva.
“Farò meglio a tornare a casa,” disse, rimettendosi sul sentiero mentre la donna continuava ad agitare il bastone, “Di nuovo, mi scuso. Non volevo nuocere a nessuno.”
“Se ne vada!”
Slim se ne andò barcollando. Una volta raggiunti gli alberi alla fine del campo, osò lanciare un’occhiata indietro. La Signora Tinton era andata avanti sul sentiero fino alla scaletta, dove aveva ripreso il turno di guardia, appoggiata al bastone con entrambe le mani, come un soldato con un fucile.
Solamente il sentiero più lungo, che costeggiava il retro della fattoria, l’avrebbe riportato alla strada principale senza ripassarle davanti. Il cammino seguiva la stretta e insidiosa riva del fiume, a strapiombo sull’acqua. L’alta siepe che delimitava la fattoria offriva pochi rami a cui aggrapparsi, mentre una fila di alberi piantati nel cortile dei Tinton formava una ragnatela confusa di ombre sul terreno accidentato. In alcuni punti, il ruscello aveva lavato via il sentiero e una parte di siepe vicino all’angolo a sud-est della proprietà era sorretta da un muro di pietra piuttosto recente, il che suggeriva fosse stato a suo tempo eroso e sostituito.
Le prime gocce di pioggia iniziarono a picchiettargli intorno, mentre il sentiero si apriva in un campo. Dall’interno di una veranda d’altri tempi, davanti a un piatto di biscotti o addirittura ad una bottiglia di whiskey, sarebbe stato un rumore suggestivo e accogliente. Ora, però, l’unica cosa a cui Slim riusciva a pensare era il suo ritorno in bici a Penleven. Si chiese se non fosse arrivato il momento di dire addio alla Cornovaglia e dirigersi di nuovo a nord del paese, ma non avrebbe saputo resistere alla ricerca di un appartamento o alle tentazioni che lo stress poteva portare. Piuttosto, lanciò un’occhiata al cielo torbido, uscì dal riparo degli ultimi rami e si addentrò nella pioggia.
Al suo arrivo alla pensione, un’ora dopo, la Signora Greyson lo rimproverò per aver infangato lo zerbino, nonostante sembrasse piuttosto felice di vederlo tornare prima che si fosse fatto buio. Nella sua stanza, sgranocchiò delle patatine e del cioccolato, mentre caricava le foto sul portatile. Non si aspettava di trovare nulla degno di nota, ma quando ingrandì l’immagine della piccola casetta di pietra, un paio di dettagli catturarono la sua attenzione.
All’interno, tutte le finestre sembravano essere sbarrate, mentre la porta era adornata da un pesante lucchetto.
9
La scomparsa di Amos Birch era stata evidentemente troppo noiosa per creare scompiglio in rete. Indagando approfonditamente e selezionando con cura le fonti attendibili tra blog e speculazioni dei fan, Slim era riuscito a determinare la data esatta della scomparsa: il 2 maggio del 1996, un giovedì, ventun anni e dieci mesi prima. Secondo i bollettini metereologici del tempo, era stata una mattinata nuvolosa, con una leggera pioggia dalle quattro in poi.
L’unico articolo dettagliato che raccontasse della scomparsa in sé veniva da un blog di amanti degli orologi: un pezzo sulla fine di alcune meteore dell’artigianato amatoriale, che diceva ben poco che Slim non sapesse già. Nella notte di giovedì, 2 maggio 1996, Amos Birch cenò con la moglie e la figlia, per poi rinchiudersi nel suo laboratorio e continuare a lavorare sul suo ultimo orologio. Da allora, non fu più visto.
Le ipotesi spaziavano dall’omicidio ad una fuga d’amore. Aveva cinquantatré anni all’epoca e divideva la casa di famiglia con la moglie Mary, di 47 anni al tempo, e la figlia Celia, di 20. Vi fu un’investigazione della polizia, che comportò una perlustrazione attenta della Brughiera di Bodmin, ma che concluse, in assenza di prove che suggerissero il contrario, che Amos Birch si era semplicemente svegliato una mattina ed aveva abbandonato la vita che si era costruito qui. Il laboratorio era stato lasciato aperto e le uniche cose che mancavano erano i suoi stivali e la giacca. Non aveva preso con sé i documenti e né il portafogli, che fu ritrovato in un cassetto della cucina. Tuttavia, dal momento che si riteneva avesse venduto molti dei suoi orologi a collezionisti locali tramite pagamento in contanti, l’assenza di prelievi dal suo conto suggeriva che fosse scappato portando del denaro con sé, per poi crearsi una nuova identità.
L’articolo non forniva altri dettagli degni di nota, ma l’ultima riga toccò un tasto dolente per Slim.
Sembra proprio che Birch si sia semplicemente svegliato e se ne sia andato di casa, portando con sé il suo ultimo orologio.
Non vi era nulla che suggerisse che l’autore sapesse dell’orologio. Da nessun’altra parte veniva menzionato un orologio lasciato incompiuto o ritrovato nel laboratorio; quindi, poteva trattarsi di una fantasiosa licenza poetica.
Il suo ultimo orologio era forse quello che Slim aveva trovato nella brughiera?
Geoff Bunce concordava con Slim sul fatto che l’orologio fosse incompleto. E se l’ultimo orologio di Amos Birch si trovasse ora sotto il letto di Slim?
Slim si alzò in piedi, improvvisamente nervoso. Girovagò per la stanza per qualche minuto. Le circostanze della scomparsa di Amos erano sconosciute e Slim non aveva tenuto nascosta la sua recente scoperta. E se Amos avesse nascosto l’orologio per un motivo specifico?
E se qualcuno ne fosse alla ricerca? E se Amos fosse sparito, insieme all’orologio, per nasconderlo da qualcuno?
Slim prese la sedia dalla scrivania, la inclinò e la posizionò sotto la maniglia della porta. Non aveva mai considerato l’assenza della serratura come un problema, ma non costava nulla essere cauti.
Si chiese se avesse dovuto dire qualcosa alla Signora Greyson, ma poi ci ripensò. L’avrebbe solamente spaventata e, in ogni caso, avrebbero cercato lui, non lei.
A meno che, ovviamente, Amos non fosse stato ucciso. Apparentemente, la Brughiera di Bodmin e le aree circostanti erano state una regione mineraria e il terreno era disseminato di vecchie cave e condotti, molti dei quali non vennero mai mappati o identificati. Quanto poteva essere difficile disfarsi di un corpo dove nessuno l’avrebbe mai trovato?