Kitabı oku: «Il Segreto Dell'Orologiaio», sayfa 3
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La mattina seguente, a colazione, Slim percepì che la Signora Greyson era di buon umore, così la chiamò. In seguito alla sua richiesta, il fischiettio proveniente dalla cucina che ricordava un allegro, seppur vecchio, uccellino, si smorzò, e la donna si trascinò lì, stringendo il grembiule fra le mani come per ricordare a Slim quanto fosse una seccatura.
“Signor Hardy… è tutto di suo gradimento?”
Lui sorrise, punzecchiando il cibo sul piatto con la forchetta. “Certamente. Queste uova mi ricordano la mia defunta madre e tutte le delizie che preparava per me ogni giorno.”
“Questo è un… bene. Come posso aiutarla oggi?”
“Sono andato a Trelee ieri. Mi sono perso per la brughiera, ma una signora anziana è stata così gentile da darmi delle indicazioni. Volevo mandarle un biglietto per ringraziarla, ma temo di aver dimenticato il nome.”
“E come dovrei saperlo io?”
“Ha detto che viveva nella vecchia casa di Amos Birch. La Fattoria Worth. Non è che per caso conosce il nome dei nuovi proprietari?”
“Non così nuovi, vivono lì da una dozzina d’anni.”
Slim mantenne il sorriso, annuendo, come per incoraggiarla ad aggiungere altro.
“Tinton,” disse la Signora Greyson. “Maggie Tinton. Immagino l’abbia incontrata in uno dei suoi giorni buoni. Una vecchia megera, quella donna. Più scontrosa di quanto lei crede che io sia.”
I muscoli facciali di Slim in tensione iniziarono a fargli male.
“Il marito, Trevor, è molto più gentile. Veniva a bere al Crown prima di… beh, è stato molto tempo fa.”
“Prima di cosa?”
La Signora Greyson srotolò il grembiule, lo aprì di scatto e fece una smorfia, come se Slim la stesse forzando ad oltrepassare un limite morale.
“Giravano delle voci… le persone dicevano che ci avesse messo lo zampino.”
“In cosa?”
“Nella scomparsa di Amos.” Prima che Slim potesse rispondere, aggiunse, “Il che è ridicolo, ovviamente. I Tinton vengono da Londra. Non potevano sapere nulla sul conto di Amos. Dopotutto, Mary ha continuato a vivere là per dieci anni dopo che Amos è scomparso. I Tinton hanno solo fatto un affare.”
“Davvero le persone credono che possano averci avuto qualcosa a che fare?”
“Ovviamente no. Era solo uno stupido pettegolezzo, ma entrambi se ne sono risentiti e, dopo di ciò, si sono isolati dalla comunità locale.”
“Sembra che li conosca bene.”
“Giocavo a bridge con Maggie al circolo, ma poi ha smesso di venire e non è più tornata.”
“Sembra quasi un’ammissione di colpa.”
“Si erano solo offesi, tutto qua,” disse. “Si sono trasferiti qua per darsi alla classica vita di campagna da pensionati, come si vede in televisione. Penso si aspettassero una comunità di sempliciotti che li avrebbe accolti a braccia aperte e invitati alle feste di paese e a prendere il caffè a casa. Quando non hanno ottenuto ciò che volevano, si sono arresi.”
“Ma non potrebbero in alcun modo essere legati alla scomparsa di Amos Birch?”
La Signora Greyson scosse il capo. “In modo alcuno.”
“Quindi cosa pensa sia successo?”
La Signora Greyson alzò gli occhi al cielo. “Pensavo stessimo parlando della Signora Tinton?”
“Deve domandarselo. Sembra che li conoscesse.”
La Signora Greyson alzò le spalle e sospirò. “È scappato dalla sua famiglia. Cosa c’è da chiedersi? Amos aveva molti soldi da parte e se ne andava spesso in giro per lavoro, convegni di orologi e cose così. Vuole la mia opinione? Aveva qualche sgualdrina oltremare ed è scappato per stare con lei.”
“Non sarebbe stato più semplice divorziare da Mary?”
La Signora Greyson arrotolò il grembiule di nuovo. “Non ho tempo per parlare di queste cose,” disse. Mentre si girò per tornare in cucina, aggiunse, “Si goda la sua passeggiata oggi, Signor Hardy.”
Slim continuò a guardarla, accigliato. Non sarebbe riuscito ad ottenere altre informazioni da lei, ne era sicuro, ma al menzionare un’altra donna, le guance le si erano arrossate in un modo che senz’altro non aveva visto prima.
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Far visita alla biblioteca più vicina significava tornare a Tavistock. Slim si ritrovò da solo nella stanza degli archivi, studiando attentamente una pila enorme di vecchi manifesti e giornali locali, stropicciati e ingialliti dal tempo.
Ogni cartella conteneva i settimanali di ogni anno. Come si aspettava da dei giornali di una piccola città, intrisi di pubblicità di proprietà in vendita e ditte di noleggio di macchinari agricoli, la scomparsa di Amos Birch non era stata molto spettacolarizzata. Orologiaio locale sparisce in circostanze misteriose era il titolo di uno di questi articoli, che anticipava un resoconto dei fatti così banale da risultare un ossimoro rispetto al proprio titolo, concentrandosi sulle doti ineccepibili di Amos come artigiano e sul suo passato da rispettabile contadino, non lasciando spazio alle speculazioni.
Trovò il testo più interessante in una cartella di un giornale chiamato Tavistock Tribune:
“Il contadino locale e rinomato orologiaio Amos Birch, di 53 anni, è scomparso la notte di giovedì 2 maggio. Ad informare la polizia della scomparsa è stata la moglie Mary, di 47 anni. Conosciuto a livello nazionale ed internazionale per i suoi sofisticati segnatempo fatti a mano, si ritiene che Amos sia uscito di casa per una passeggiata serale nella Brughiera di Bodmin e si sia perso. Fino a prova contraria, era in pieno possesso delle proprie facoltà mentali ed in buona salute, anche se, secondo la moglie, si era mostrato sempre più agitato nei giorni che hanno preceduto la scomparsa. La famiglia invita chiunque abbia qualche informazione sulla scomparsa di Amos a rivolgersi alla Devon & Cornwall Police.”
Slim rilesse l’articolo un paio di volte, aggrottando la fronte. Agitato? Poteva significare qualsiasi cosa, ma suggeriva che Amos sapesse che qualcosa stava per accadere. Voleva dire che stava pianificando di andarsene, o che qualcosa stava per succedergli?
Ricordandosi di una citazione che un vecchio collega dell’esercito gli aveva detto una volta, sul fatto che gli indizi di un caso spesso vengono sparpagliati molto prima del crimine stesso, tornò indietro di qualche settimana, analizzando gli articoli alla ricerca di qualunque cosa che fosse legata ad Amos Birch. Togliendo una rubrica di poche righe, più di un mese prima della scomparsa di Amos, dove gli veniva riconosciuto un premio da parte di dell’Associazione Britannica degli Orologiai, non vi era nulla.
Arrivata l’ora di pranzo, aveva male agli occhi dal tanto fissare quei documenti invecchiati male, così si spostò in un bar lì vicino per riprendersi. Una volta arrivato chiamò Kay, ma il suo amico traduttore non aveva ancora notizie sul contenuto della lettera.
Per la testa di quell’uomo che, qualche anno dopo il congedo con disonore dall’esercito, si era dato all’investigazione privata, iniziavano a frullare alcune idee fantasiose. Nessuno si alza e abbandona una relazione stabile senza motivo. O scappi verso qualcosa, o da qualcosa.
Le possibilità erano infinite. Un’amante era l’esempio più ovvio del ‘fuggire verso’, mentre un rivale scontento era l’esempio più ovvio del ‘fuggire da’. Senza avere un quadro chiaro di Amos in testa era difficile esprimere un giudizio. Dalle conversazioni che aveva avuto finora, l’orologiaio era un membro enigmatico della comunità, caratteristica accentuata dalla sua professione, coperta da un velo di mistero. Persino la strada che portava alla Fattoria Worth, con le sue alte siepi, trasmetteva un desiderio di reclusione da parte della famiglia Birch, che i Tinton avevano poi fatto loro.
Il bar aveva un telefono a pagamento. Slim prese un elenco telefonico dallo scaffale e si rimise al tavolo. C’erano una ventina di Birch, ma nessuno che iniziasse con la C.
Slim stava tornando alla stazione degli autobus, quando sentì qualcuno gridare alle sue spalle. Qualcosa nell’insistenza di quella voce lo fece girare e, così, vide Geoff Bunce che lo salutava dall’altro lato della strada. Slim si fermò ad aspettare mentre l’uomo attraversava.
“Mi sembrava di averla riconosciuta. Una vacanza lunga, la sua.”
Slim alzò le spalle. “Sono un libero professionista. Posso prendermi tutto il tempo che voglio.”
“L’ha incontrato poi? Il suo amico?”
Il sarcasmo nella voce dell’uomo suscitò un’ondata di rabbia dentro Slim, che però si sforzò a rispondere con nonchalance. “Amos Birch?”
“Sì. Le ha ridato indietro il suo orologio, non è vero?”
“Non ancora. Ci sto lavorando.”
“Senta, non so chi lei sia, ma penso sia saggio per lei prendere il suo orologio e tornare da dove è venuto.”
Slim non si trattenne dal sorridere. Era un ex-soldato andato in prigione per aggressione e, davanti a lui, Babbo Natale, con la sua giacca in cera verde, provava a minacciarlo. Bunce diceva di essere un ex-militare, ma era difficile da credere.
“Cosa c’è di così divertente?”
“Nulla. Sono solo intrigato dalla serietà del suo tono. Sono solo un uomo che cerca di vendere un vecchio orologio.”
“Vede, Signor Hardy, non penso proprio che lo sia.”
“Si ricorda il mio nome.”
“L’ho annotato. C’era qualcosa che non tornava in lei.”
“Solo qualcosa?” Slim sospirò, stanco dei giochetti. “Senta, vuole la verità? Sono qui in vacanza. Ho trovato quell’orologio interrato nella Brughiera di Bodmin. Quel dannato affare mi ha quasi rotto la caviglia. Il caso vuole che attualmente io sia — nel bene o nel male — un investigatore privato. Mi risulta difficile sottrarmi ad un mistero.”
Bunce storse il naso. “Beh, questo cambia le cose.”
“In che senso?”
L’uomo fece un cenno col capo, poi iniziò a sbuffare, come se si stesse preparando a fare un’importante rivelazione. Slim alzò un sopracciglio.
“Vede,” disse Bunce, “Sono stato l’ultima persona — togliendo la famiglia — ad aver visto Amos Birch vivo.”
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“Quindi, dov’è adesso, quell’orologio che ha trovato?”
Slim sedeva di fronte a Geoff Bunce, in un bar all’angolo della strada del mercato di Tavistock. Mentre sorseggiava del caffè allungato da un bicchiere di plastica, disse “L’ho nascosto.”
“Dove?”
Slim sorrise. “In un posto dove so che sarà al sicuro.”
Bunce annuì velocemente. “Giusto, giusto. Buona idea. Quindi, ha idea di cosa sia successo ad Amos?”
“Assolutamente no.”
“Ma è un investigatore privato, vero?”
“Principalmente mi occupo di relazioni extra-coniugali e truffe di finta invalidità,” disse Slim. “Nulla di molto entusiasmante. Non ci guadagno nulla dall’investigare su questo caso, quindi una volta arrivato ad un punto morto probabilmente me ne farò ritorno al nord per cercare un caso che mi paghi le bollette.”
“Non ha alcun indizio?”
“Quello che ho è una lista mentale di possibilità e più riesco ad escluderne, più mi avvicinerò alla verità dei fatti.”
“Cosa c’è sulla lista?”
Slim rise. “Più o meno tutto ciò che va dall’omicidio al sequestro alieno.”
“Lei non pensa davvero—” Bunce si interruppe bruscamente, torcendo il naso. “Ah, era una battuta, capisco.”
“In realtà non ne ho idea. Al momento sto solo cercando di stabilire le circostanze della sua scomparsa. Forse mi può aiutare a farlo.”
“In che modo?”
“Ha detto di essere l’ultima persona ad averlo visto vivo al di fuori dei familiari. Cosa ne pensa di iniziare da lì?”
Bunce scrollò le spalle, sentendosi improvvisamente insicuro. “Beh, è stato molto tempo fa, no? Siamo andati a fare una camminata per la brughiera, fino a Yarrow Tor, superata la fattoria abbandonata da quelle parti.”
“Si ricorda perché?”
Bunce alzò una spalla in modo strano e asimmetrico. “È un sentiero comune. Lo facevamo circa una volta ogni due mesi. Nessun motivo in particolare.”
“Si ricorda di cosa avete parlato?”
Bunce scosse la testa. “Ah… immagino le solite cose. Non intrattenevamo conversazioni profonde. Ci vedevamo spesso, sa. Ci lamentavamo del tempo o della politica, questo genere di cose.”
“Non mi sta dando molto su cui lavorare.”
Bunce sembrò deluso. “Suppongo non ci sia molto da dire. Insomma, conoscevo Amos da una vita, ma non eravamo quel tipo di amici che si dicono tutto. Lui non era quel genere di persona. Spesso la gente faceva battute sul fatto che preferisse gli orologi al contatto umano.”
“Mi ha detto che quell’orologio valeva qualche centinaio di sterline. Quanto bravo era dopotutto?”
Bunce sorrise, sollevato dal fatto che Slim avesse fatto una domanda alla quale sapeva rispondere.
“Aveva le mani di un chirurgo. La maggior parte degli artigiani hanno una dote in particolare, ma Amos aveva il pacchetto completo. Si occupava del design, dell’intaglio e assemblava anche gli ingranaggi meccanici all’interno. Ha idea di quanto sia difficile fabbricare le parti di un orologio a mano? In un giorno di lavoro si producono uno o due piccoli pezzi. È un processo ad alto impiego di manodopera e, oggigiorno, sono poche le persone che hanno quel tipo di concentrazione. Era uno su un milione, Amos.”
“E quanti ne produceva?”
“Non tantissimi. Due o tre all’anno. Alcuni su commissione, credo, altri erano per vendite private. Non aveva fretta. Non gli interessava arricchirsi. A lui piacevano le brughiere, la vita tranquilla. La fattoria non dava molto profitto — a differenza di ciò che dicono molte persone — e la vendita degli orologi era un’entrata extra che gli permetteva di vivere in un modesto lusso.”
“È probabile che qualcuno ce l’avesse con lui? Forse una mancata vendita, o un affare andato male?”
“È possibile, ma ne dubito. Amos era un uomo piacevolmente umile.”
“Cosa intende?”
Bunce si strattonò la barba. “Era inoffensivo, è il modo migliore che ho per descriverlo. Parlava con calma e non aveva mai nulla di cattivo da dire su nessuno. Si seppelliva nel lavoro. E il suo lavoro era di qualità. Chi potrebbe lamentarsi di un orologio fatto con tanto amore e passione? Insomma, quanto spesso si rompe un orologio a cucù? Quante volte è entrato in un pub e ha visto un orologio a cucù rotto in un angolo? Gli orologi di Amos, però… Insomma, per quanto tempo è rimasto sepolto quell’orologio? Vent’anni? E tuttavia si può prendere e rifarlo funzionare così, come se nulla fosse. Nessun orologio comprato in un negozio durerebbe così tanto. Creati per durare per sempre, ecco com’erano gli orologi di Amos.”
Bunce non aveva più nulla di interessante da dire, così Slim annotò il suo numero, trovò una scusa e se ne andò. Aveva raggiunto la stazione degli autobus e aspettava in fila per il biglietto, quando fu folgorato da un pensiero.
Tirò fuori il numero di Bunce e chiamò l’antiquario.
“Ha già bisogno di me?”
Slim sorrise. “Ho solo una domanda veloce. Con un orologio come quello che ho trovato, quanto spesso consiglierebbe di dargli la corda?”
“Oh, non saprei, una volta ogni paio mesi. Amos faceva delle molle incredibili. Le caricavi e duravano per molto tempo.”
“Okay, grazie.”
Quando fece ritorno all’albergo, la Signora Greyson stava spolverando l’atrio. Slim le augurò gentilmente una buona serata, poi corse verso la sua camera. Una volta lì, tirò fuori l’orologio da sotto al letto e si sedette ad ascoltarne il ticchettio per qualche minuto. Poi lo girò, tolse il pannello di legno che Bunce non aveva riavvitato e si mise ad osservare gli ingranaggi dell’orologio. Il piccolo quadrante che dava la corda all’orologio riecheggiava fiocamente ad ogni ticchettio.
Aggrottò le sopracciglia, sfiorandolo con il dito e notando la mancanza di sporcizia, se confrontato con il resto dell’orologio.
Una volta ogni paio mesi, aveva detto Bunce. Se l’orologio fosse rimasto interrato per oltre vent’anni, la molla si sarebbe scaricata molto tempo fa.
Slim non l’aveva caricata, il che portò alla domanda: chi era stato?
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Qualcuno sapeva dove si trovasse sotterrato l’orologio, e ci teneva abbastanza da tornarvici ogni due mesi per ricaricarlo. Un’azione del genere implicava un motivo. Poteva trattarsi di sentimentalismo ma, dato lo sforzo richiesto, sarebbe andato a scemare col tempo. Chi poteva volere che l’orologio continuasse a funzionare, e perché? Slim lo rigirò fra le mani, in cerca di idee. Elaborato, sì, ma era pur sempre un orologio. Certo, il suono che emetteva era piacevole, ma non poteva essere sentito da sottoterra. Slim l’aveva preso per rotto fino a che il piccolo uccellino di legno non era uscito dalla casetta per convincerlo del contrario.
Slim rimise l’orologio sotto al letto, si infilò la giacca e si diresse fuori, nella notte. Per trovare altre informazioni, era il momento di addentrarsi nella cosa più simile ad una tana del lupo che ci fosse a Penleven — il Crown. Agli alcolisti piace parlare e se Amos Birch avesse ancora avuto nemici era lì che Slim li avrebbe trovati.
Fece un respiro profondo e spinse la porta. L’orologio sopra il bancone indicava le nove e mezza. Quattro sguardi si posarono su di lui. Un vecchio signore appollaiato su uno sgabello, con il volto simile ad un panno raggrinzito, contornato da una ribelle chioma bianca. Due uomini che giocavano a carte al tavolo davanti al camino: uno magro come un chiodo e dagli occhi incavati, come se il cibo fosse il suo peggior nemico, e l’altro dal volto severo, corpo asciutto e muscoli da muratore. Dei tatuaggi sbucavano dall’orlo della maglietta, ad adornarne i bicipiti nodosi, mentre contemplava una coppia di sette, prima di portare un mucchio di monete al centro del tavolo.
“Una birra?”
La quarta persona, una donna che Slim avrebbe definito muscolosa a dir poco, tanto scortese quanto tarchiata, lo guardava da dietro il bancone. La camicetta sbottonata rivelava una scollatura abbastanza interessante da spostare l’attenzione dal viso, dove le sopracciglia troppo spesse e le labbra troppo sottili demolivano ogni possibilità di renderla attraente.
Slim esitò, fissando il bicchiere inclinato sotto alla spina per la birra più vicina. È così facile distruggere tutto il lavoro fatto. Con un nodo allo stomaco, disse, “Devo guidare,” con un tono così timido da non riconoscersi.
“Non ho sentito il rumore di una macchina.”
La donna inclinò la testa dal lato opposto del bicchiere. Il seno diede un piccolo balzo e Slim si sforzò per non guardare. Doveva propendere per la metà sbagliata dei quaranta, anche se probabilmente meno sbagliata della sua.
“Domani,” biascicò.
Lei annuì. “Abbiamo della birra analcolica. Che ne dici? Probabilmente sta per scadere, ma saprebbe di piscio comunque.”
“Perfetto.”
Slim si mise su uno sgabello al bancone, lasciando un posto vuoto fra lui e il vecchio. I due che giocavano a carte erano dietro di lui, riusciva a scorgere i loro profili riflessi sull’armadio di calici da vino dietro al bar.
“Tu sei il tipo che mangia nel salone,” disse il vecchio. “Sei timido? Non c’è nessuno che morde qui dentro.”
Slim stava pensando ad una risposta quando la donna disse, “Lui è quello che si è messo a chiedere in giro del vecchio Amos.”
Prima che Slim potesse replicare, lei aggiunse, “Non c’è molto di cui valga la pena parlare da queste parti. Sei praticamente il più grande scoop da quando lui se n’è andato.”
Sbatté una pinta schiumeggiante sul bancone, vicino a lui. Slim la guardò con sospetto. Analcolica, aveva detto, ma era incredibilmente simile ad una birra vera.
“Nah, c’è stata la morte di Mary, poi Celia, poi—”
“Certo, Reg, era un modo di dire.”
“Mi piacciono i misteri,” disse Slim.
“Ho sentito dire che sei un investigatore privato,” disse la donna. “Hai già messo gli occhi su qualcuna?” Fece l’occhiolino e scoppiò in una risata animalesca, sbattendo la mano sul bordo del bancone.
“Il marito di June l’ha appena lasciata,” disse Reg. “Starei attento. Prenderebbe su chiunque.”
“Puoi scordartelo!” disse June. Poi aggiunse, parlando con Slim, “Non ascoltarlo. La maggior parte del tempo nemmeno si rende conto di quello che gli succede intorno.”
Slim sorrise, osservandoli mentre continuavano a prendersi in giro. Da subito si capiva che Reg era un cliente abituale, la costante che manteneva il pub aperto anche durante il lungo e freddo inverno. Una mezz’ora dopo, una coppia di mezza età entrò, si sedette in un tavolo in fondo al bar e fece un ordine spropositato, che tenne June occupata per un po’. Slim sorseggiava la sua acqua aromatizzata al gusto di birra dal sapore metallico, mentre annuiva alle storie di vita contadina di Reg, così facili da dimenticare che quando Reg ne iniziò un’altra su un trattore rotto, Slim avrebbe potuto giurare di conoscerla già.
Alla fine, come aveva sperato, la conversazione ritornò su Amos Birch.
“Sai, ero un po’ più piccolo, ma siamo andati alla stessa scuola elementare. Ce n’era una a Boswinnick, ma non più ormai. Sono andato alle medie a Liskeard, ma Birch non le ha frequentate. Alcuni lo ritennero strano ma, sai, a quei tempi non eri obbligato ad andare scuola poi così a lungo. Suo padre aveva la Fattoria Worth, aveva bisogno di aiuto là. Quando il vecchio morì, ereditò lui la fattoria. Tanti ci sono rimasti male quando Celia l’ha venduta. Si diceva che i Birch vivessero lì da quasi un millennio. Ha venduto il proprio retaggio, quella ragazzina.”
“Perché?”
Reg sospirò. “Ah, e chi lo sa? Non era molto amata da queste parti, per una ragione o per l’altra. Non si è mai inserita, direste voi gente di città.”
Slim aveva altre domande, ma Reg si scolò tutto ciò che restava nel bicchiere e si alzò.
“Beh, io ho finito qua. Buonanotte.”
Slim lo osservò uscire. Dietro di lui, i due uomini continuavano a giocare a carte. June tornò al bancone dopo aver servito i tavoli e sembrò sorpresa che Reg se ne fosse andato.
“Se n’è appena andato,” disse Slim.
June aggrottò le sopracciglia. Stava per dire qualcosa, quando una sedia scricchiolò e l’uomo tatuato si alzò in piedi. Slim ascoltò i suoi passi avvicinarsi al bar e il suo sesto senso da militare rilevò una certa tensione, una minaccia.
Non si mosse, l’uomo si avvicinò sempre di più. Un alito alcolico fece capolino al suo orecchio.
“Guardati dal fare troppe domande,” disse l’uomo. “Alcune persone saranno anche felici di parlare, ma gli altri preferiscono che il passato rimanga tale.”
“Michael, basta così,” disse June a voce bassa.
Slim si irrigidì. I suoi muscoli da militare si erano rammolliti nei diciotto anni che erano passati dalla sua radiazione dai ranghi, ma aveva ancora qualche asso nella manica quando si trattava di combattere. Aspettò la sua prossima mossa. Michael si mantenne in quella posizione minacciosa per qualche altro secondo, poi si girò e tornò al suo tavolo.
Slim bevve ciò che rimaneva della sua pinta e si alzò. “Penso che andrò,” disse.
June sfoggiò uno sguardo dispiaciuto e gli diede la buonanotte.
Fuori, il vento si era alzato; scuoteva le siepi e trasportava cascate di pioggia che, nel buio, gli graffiavano il volto, prima di ripiegare su sé stesse come un animale. Slim tirò su la giacca fino al collo e si abbassò, chiedendosi, almeno, se avesse scoperto qualcosa di importante dalla sua visita al pub.
Le luci della pensione erano finalmente visibili oltre una fila di alberi, quando Slim si fermò. C’era un rumore che, a cadenza regolare, sovrastava quello provocato dal vento.
Qualcuno stava correndo.
Slim maledisse i suoi riflessi lenti. La persona era troppo vicina per provare a nascondersi, la sua silhouette sarebbe stata visibile in contrasto con il cielo grigio, per qualcuno i cui occhi si erano abituati al buio.
Si girò, alzando i pugni, pronto all’attacco da parte di Michael, sperando che l’uomo non avesse fatto in tempo a procurarsi un’arma.
Udì un sospiro femminile provenire dalla figura di una donna, che si stava fermando dietro di lui.
“Slim?”
“June?”
Appoggiò la mano sulla sua spalla. “Slim, non ho molto tempo. Devo sbrigarmi a tornare. Pensano che sia in cucina. Volevo solo scusarmi da parte di Michael.”
“Mi è successo di peggio.”
“Normalmente non è così. È solo che… stava con Celia. Sai, allora.”
“Allora quando?”
“Quando Amos scomparve. Michael era il fidanzato di Celia all’epoca.”
“E questo cosa c’entra?”
“La scomparsa di Amos… all’epoca dovevano sposarsi, ma lei ha annullato il matrimonio, e lui non l’ha mai superato.”
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