Kitabı oku: «A Ogni Costo», sayfa 19
Capitolo 51
1:50 a.m.
Bowie, Maryland – Periferia est di Washington D.C.
Un corteo di veicoli aveva corso tutta la notte per arrivare qui.
C’erano più di una dozzina di veicoli, per lo più jeep e SUV. Erano tutti neri, privi di un qualsiasi segno distintivo. L’ultimo era una specie di cellulare, a portata di mano nell’improbabile eventualità che venissero fatti dei prigionieri. I veicoli parcheggiarono piano, a due isolati dalla casa. Il vicinato era una strada senza uscita suburbana. Almeno sulle strade c’era un’unica corsia per entrare e per uscire. Due SUV parcheggiarono di fronte all’entrata.
Nel frattempo, una squadra d’assalto composta da venti uomini si avvicinava alla casa.
Otto uomini arrivarono dal davanti, cinque da ogni lato. Due uomini, i leader della squadra, rimasero indietro, inginocchiati dietro alle auto parcheggiate a mezzo isolato di distanza. Avrebbero sfruttato le loro posizioni come avamposti di controllo e commando. Tutti indossavano tute kevlar e caschi. I quali erano muniti di radio interne.
Gli otto attraversarono con calma il vialetto di fronte ai due garage. L’uomo in testa portava un ariete in acciaio di tredici chili, che avrebbe dovuto mettere fuori uso la porta d’ingresso con uno o due colpi. Ogni uomo poi aveva una granata stordente. Ognuno di loro aveva un fucile. Il piano era far saltare la porta d’ingresso, e poi lanciare le granate all’interno. Se la squadra aveva fortuna, le esplosioni e le luci accecanti avrebbero inabilitato i soggetti, oppure li avrebbero fatti fuggire dalla casa, dove il resto della squadra d’assalto avrebbe potuto tranquillamente metterli al tappeto.
Il terzo uomo della fila, un giovane di nome Rafer, si ripulì gli occhi dal sudore. A dire la verità, era nervoso.
Sentiva una strana sensazione nelle viscere, il rimescolio che lo prendeva prima di uno scontro a fuoco. Gli mancava proprio poco a farsela nei pantaloni. Sorrise. La dissenteria era il suo portafortuna. Tre missioni in Iraq e in Afghanistan, e non si era mai fatto un graffio in un combattimento.
Piantala. Sta’ attento.
Riportò la mente al momento presente. La fila di uomini si sporgeva contro la porta del garage. Le scale si trovavano a tre metri da loro, sulla destra. Dovevano essere veloci. Se lo figurò nella mente. BAM! La porta crollava, e loro lanciavano le granate. La sua sarebbe stata la seconda. Ritirarsi a terra, attendere le esplosioni, poi precipitarsi dentro.
Da qualche parte lì vicino, si sentiva un rumore.
Era smorzato, ma sembrava il motore di un’auto. E sembrava proprio dall’altra parte della porta del garage.
Il tizio di fronte a lui si voltò per guardare Rafer. Aveva gli occhi spalancati. Si girarono entrambi e guardarono la porta.
* * *
Luke sedeva al posto di guida della Suburban dentro al garage chiuso di Brenna. Brenna era accanto a lui. Sui sedili posteriori sedevano Susan Hopkins e Charles Berg. Brenna aveva il suo M1, disteso sulle ginocchia. Chuck aveva una Beretta nove millimetri. Susan non aveva niente. Luke era il papà seduto davanti. Erano la sua famigliola.
Le mani gli si strinsero sul volante. C’era quasi silenzio all’interno del SUV. Nell’angolo del garage c’era un piccolo display video. Mostrava quello che accadeva fuori dalle porte del garage. C’erano degli uomini là fuori, attrezzati come la SWAT. Luke non aveva idea di chi fossero né di che cosa pensassero di rappresentare.
Lo sapevano che c’era stato un colpo di stato? Lo sapevano che qui c’era la presidente? Forse pensavano di essere sul punto di fermare dei terroristi.
Scosse la testa. Non aveva importanza. Stavano per colpire la casa, e questo voleva dire che erano i cattivi.
“Non se lo aspettano,” disse con calma. “Quindi abbiamo dalla nostra l’effetto sorpresa. Ma non durerà a lungo.”
“Stai pensando di ucciderli?” chiese Susan.
“Sì.”
Girò la chiave nell’accensione e il motore tornò in vita abbaiando. Ora non si poteva più tornare indietro.
Ingranò la marcia e fece un respiro profondo.
“Pronti?”
“È una macchina davvero pesante,” disse Brenna. “Deve usare le maniere forti.”
Luke premette a tavoletta.
Le gomme urlarono sul pavimento di cemento del garage, e la Suburban gridò a sua volta, passando attraverso la porta, buttandola giù, facendola a pezzi. Il SUV eruttò fuori nella notte. Saltarono su qualcosa, frammenti della porta, dossi stradali, uomini, Luke non sapeva né gli fregava qualcosa.
Alla sua destra e alla sua sinistra, gli uomini vestiti di nero correvano.
Svoltò a sinistra, senza mai mollare il pedale dell’acceleratore. Gli uomini si accucciarono e spararono, trivellando la fiancata dell’auto di proiettili.
TA-TA-TA-TA-TA…
Susan urlò.
“Susan!” disse Luke. “Tenga la testa completamente giù, sul grembo di Chuck. Non sappiano quanto reggeranno i finestrini. Non voglio che lei sia seduta bella dritta quando cederanno.”
Il SUV guadagnò velocità. Luke sentì l’accelerazione.
Due isolati più avanti, due SUV scuri erano parcheggiati faccia a faccia al centro della strada. Gli uomini avevano preso posizione dietro di loro. Luke vide i flash di luce partire dalle bocche delle armi. Stavano già sparando.
“Dove andiamo, Walter?”
“Sempre dritto. È l’unica uscita.”
“Credo che stiamo per scoprire quanto antiproiettile sia questo vetro.”
Luke premette l’acceleratore ancora, fino in fondo. Guardò i furgoni parcheggiati sfrecciare verso di loro. Più vicino, più vicino. Una dozzina di uomini in nero spararono. I proiettili mitragliarono a bassa quota il parabrezza come vespe.
Due uomini si protesero verso il cofano del SUV continuando a sparare.
“Ci siamo!”
BUM!
La Suburban si schiantò tra i due SUV, metallo che squarciava metallo. Si infilò nel mezzo, le fece girare, le spinse via come giocattoli. I due tiratori vennero travolti e spappolati.
La Suburban rallentò appena.
Luke spinse a tavoletta di nuovo. L’auto scattò in avanti, accumulando velocità.
Un’esplosione di spari colpì il lunotto posteriore. Susan strillò ancora, ma non tanto forte questa volta. Poi furono fuori portata, correvano veloci. Luke guardò lo specchietto retrovisore. Gli uomini si affrettavano ai SUV e ci saltavano dentro.
“Okay,” disse Luke. “È andata piuttosto bene. Dov’è l’ingresso dell’autostrada?”
“Sempre dritto,” rispose Walter. “Un miglio, sulla destra.”
L’auto si muoveva rapidamente nella tranquilla cittadina. Luke rallentò appena per entrare in autostrada, tagliando la curva a destra. Si fusero con le quattro corsie quasi vuote di traffico, diretti a ovest verso la città.
L’auto continuava ad accelerare. Il contachilometri digitale toccò le 80 miglia, poi le 90 e poi le 100. La macchina scattava in avanti, facile da guidare. Luke prendeva le curve senza sforzo. Sfruttava la velocità, l’euforia. Per un momento sorrise. La Suburban era un razzo.
Dietro di loro, i primi veicoli lanciati all’inseguimento apparvero. Luke poteva vederne i fanali nello specchietto. Poteva seminarli con questa macchina? Credeva di no.
Spinse ancora. 120 adesso.
130.
L’abitacolo era silenzioso. Nessuno esultava. Nessuno faceva gridi di guerra. Non avevano ancora vinto niente, non ci erano nemmeno vicino. Tutti dovevano averlo capito.
Davanti a loro, delle automobili facevano segnali e si levavano dalla strada. Luke guardò di nuovo lo specchietto. C’erano dei lampeggianti rossi e blu, adesso, e si avvicinavo velocemente.
“Stiamo per avere molta compagnia,” disse.
Dietro di loro, gli inseguitori si avvicinavano. Superarono una rampa d’accesso. Altri tre SUV neri li affiancarono sull’autostrada. Centottanta metri più avanti, altri due avevano rallentato fin quasi a fermarsi. Le luci dei freni si accesero nel buio.
“Stone!” disse Chuck Berg. “Ci vogliono chiudere qui.”
“Lo vedo.”
Susan alzò la testa. “Cosa accadrebbe,” chiese, “se ci arrendessimo e basta?”
“Ci ucciderebbero,” rispose Brenna.
“Ne è certo? Voglio dire, è una pazzia. Se mi vedessero qui, mi sparerebbero senza troppi problemi?”
Brenna scrollò le spalle. “Vuole davvero scoprirlo?”
Ogni qualche miglio, superavano raccordi dove gli agenti della statale di solito si appostavano per monitorare il traffico con il radar, o solamente per voltarsi e andare nell’altra direzione. Sarebbero stati obbligati a superarne un altro tra un momento.
Un altro SUV accostò Luke da sinistra. Un uomo armato si sporse dal finestrino posteriore.
“Giù!” gridò Luke.
L’uomo sparò al retro della Suburban. I proiettili ne mitragliarono il fianco. Susan urlò. Il finestrino posteriore si crepò, ma non si ruppe. Luke ruotò il volante tutto a sinistra. L’auto corazzata colpì il SUV nero e lo spinse contro la muretta di cemento. L’auto crollò, gli pneumatici sbrindellati, e si rovesciò. La Suburban continuò a correre.
Luke si voltò indietro. “Susan, le avevo detto di rimanere giù. Non intendevo dire qualche volta. Intendevo dire sempre. A loro di noi non gliene frega niente. Sparano a lei. Preferirei che non gli facesse vedere dove si trova.”
Erano circondati da SUV adesso. Tre davanti, uno a lato, due dietro. I tre davanti rallentarono, e rallentarono ancora. Non c’era spazio attorno a loro. Le luci posteriori si accendevano e si spegnevano, si accendevano e si spegnevano, come se stessero giocando col freno. Luke guardò il contachilometri. 60. 55. 50. 45. Perdeva velocità. Erano in trappola. Non c’era via d’uscita.
“Sto per fare qualcosa di poco simpatico,” disse Luke. “La metterei ai voti, ma dubito che qualcuno voterebbe per me.”
“Che cosa?” chiese Brenna.
Ecco il prossimo raccordo.
“Questo,” disse Luke, e girò del tutto il volante.
La grossa Suburban virò all’interno del raccordo, saltò su una strada irregolare e poi dentro alle corsie dell’autostrada dirette a est. In direzione ovest.
I fari si stagliavano davanti a loro, un mare di fari.
“Gesù!”
Luke si tuffò dritto verso i fari, stringendo i denti. Premette sull’acceleratore ancora.
Si fiondarono nel traffico, e le macchine in arrivo si sparpagliavano come foglie.
Un articolato lo superò a sinistra. Tutta l’auto era scossa dalla folata di vento.
“Luke!” urlò Susan. “Fermo!”
La Suburban accelerò nel traffico. Le automobili si spostavano. I fari erano quasi accecanti. Non c’era tempo di guardare indietro. Teneva lo sguardo fisso avanti, tutte e due le mani aggrappate al volante, con una concentrazione assoluta.
Era un lungo rettilineo, le auto arrivavano in mandrie. Luke ci si fiondava come una barca che taglia le onde. Cominciò a provare quella sensazione di sicurezza – quella mormorante e ronzante sensazione che associava alle Dexy. Doveva stare attento. Troppa sicurezza poteva uccidere.
Le auto sfrecciavano come missili.
“Qualcuno ha svoltato con noi?” chiese Luke.
Brenna guardò dietro.
“No. Nessun altro è così pazzo.”
“Bene.”
Luke virò del tutto a sinistra e sfrecciò fuori dall’autostrada verso la prossima rampa d’ingresso.
Capitolo 52
2:21 a.m.
Ufficio del Chief Medical Examiner - Washington D.C.
Luke individuò Ed Newsam appoggiato al muro dell’edificio, con il fucile M4 cullato tra le braccia.
L’edificio era di quattro piani, con la facciata di vetro. Si trovava appena fuori dal raggio di mezzo miglio dell’evacuazione radioattiva attorno alla Casa Bianca. Le strade erano totalmente deserte. Sembrava che la maggior parte della gente avesse deciso che mezzo miglio non era una distanza neanche lontanamente sufficiente.
Luke portò l’auto a fermarsi sul marciapiede di fronte all’edificio.
“E adesso?” chiese Susan.
“Adesso lei esce. Se ne resta con Ed, Chuck e Walter dentro a quell’edificio. Qualsiasi cosa accada, chiunque arrivi, lei resta con loro. Resti più vicino che può a Ed. Chuck e Walter sono molto bravi, ma Ed è una macchina di morte. Okay?”
“Okay.”
“Allora facciamo presto.”
Luke saltò fuori dall’auto. Del fumo usciva dal radiatore. Tutte le portiere erano trivellate di fori di proiettile. Tre delle quattro gomme erano a terra. Tutto sommato, la macchina aveva retto eccezionalmente bene. Luke doveva farsene una.
“Ti sei scaldato, eh?” disse Ed.
Luke sorrise. “Avresti dovuto esserci.”
Alle sua spalle, stavano scendendo.
“Ed, ti ricordi la presidente, vero?”
“Certo.”
Ed aprì la porta dell’edificio. Aveva molta poca forza e dovette usare il peso del suo corpo per spingerla. Entrarono nel salone principale. Ashwal era lì con una sedia a rotelle. Era un uomo scuro, che stava perdendo i capelli, con gli occhiali. Erano passati anni da quando Luke l’aveva visto. Legata in posizione verticale sulla sedia c’era una donna morta con un corto caschetto biondo. Indossava un maglioncino bianco e dei pantaloni. Aveva la pelle grigia e floscia, ma altrimenti poteva sembrare che dormisse.
“Ashwal,” disse Luke.
L’uomo lo fissò. “Luke.”
Luke indicò Susan con entrambe le mani. “Ashwal, questa è Susan Hopkins, la presidente degli Stati Uniti. È ferita. Ho bisogno che le fai una diagnosi e la curi con qualunque cosa hai a portata di mano qui. Non possiamo portarla all’ospedale. C’è gente che sta cercando di ucciderla.”
Ashwal fissò Susan. Qualcosa gli nacque lentamente nel profondo degli occhi.
“Non sono più un dottore.”
“Stanotte lo sei.”
Ashwal annuì, con il viso severo. “Okay.”
Susan osservava il cadavere.
“Quella dovrei essere io?” chiese.
“Sì.”
“Che cosa ha intenzione di farne?”
Luke scrollò le spalle. “La ucciderò.”
Capitolo 53
2:30 a.m.
Strade di Washington D.C.
Probabilmente stavano cercando la macchina. La cosa più facile da fare era aiutarli a trovarla.
Luke era nella Suburban, solo adesso. Aveva il fucile Garand M1 di Brenna con lui sul sedile anteriore. Era caricato con un caricatore a otto proiettili incendiari perforanti .30-06. Altri dieci caricatori si trovavano sul tappetino del sedile davanti.
Su quello posteriore, al posto di Susan stava seduto il cadavere. La cintura lo teneva dritto. La testa oscillava su e giù con il movimento dell’auto.
Luke viaggiava lento per le strade vuote vicino al National Mall e al Campidoglio. Era appena sul limitare della zona di contenimento radioattivo. Da qualche parte qui intorno, i poliziotti di Washington dovevano aver bloccato le strade.
Eccole, le luci intermittenti, giù per una strada alla sua destra. Superò l’incrocio, poi accostò sul cordolo. Non c’erano auto né persone da nessuna parte.
La polizia era stata brava. Era un inizio. Ma ciò di cui aveva bisogno Luke erano i cattivi. I poliziotti non ne sapevano niente di quello che stava accadendo. Questa automobile a loro non avrebbe detto nulla. Rimase seduto un minuto, pensandoci. Poteva averli seminati così bene laggiù sull’autostrada da averli persi? Non credeva.
Aveva ancora il suo telefono. Sapeva che tenerselo era stupido, ma contro tutte le aspettative sperava di ricevere una telefonata o un messaggio da Becca. Tirò fuori il cellulare e fissò il suo inquietante bagliore nel buio.
“Oh, diavolo,” disse. Compose il numero.
Aveva il telefono spento. Non suonava proprio.
“Ciao, sono Becca. Non posso rispondere…”
Riappese. Rimase seduto tranquillo alcuni momenti, cercando di non pensare a niente. Forse l’avrebbero trovato, forse no. In questo caso, sarebbe dovuto andare lui a cercarli. Chiuse gli occhi e respirò profondamente. Affondò per un istante nel sedile del guidatore.
Gradualmente, divenne conscio di un rumore. Era il pesante rimbombo di un grosso elicottero. Non si allarmò. Ci potevano essere milioni di ragioni per cui un elicottero, persino un elicottero militare, si trovasse nel cielo di Washington D.C. adesso. Si tirò su e guardò fuori dal parabrezza. Vedeva il panorama della larga strada di fronte a lui.
L’elicottero si stava avvicinando dritto davanti a sé. Volava basso e lento. Dopo qualche secondo, la sua forma gli divenne familiare.
Non poteva essere quello che pensava che fosse, non nel bel mezzo della città.
Ma era…
…un elicottero d’attacco Apache.
“Oh no.”
Luke ingranò la marcia e pigiò a tavoletta. Ruotò il volante al massimo a sinistra e fece una pazzesca e stridula inversione a u in mezzo alla strada.
L’elicottero sparò con la mitragliatrice Minigun a canne rotanti.
I proiettili da trenta millimetri colpirono il tettuccio del SUV, lacerando la carrozzeria dell’auto.
Luke trasalì, ma continuò a guidare. Girò bruscamente a sinistra, svoltando lungo il fianco della strada. L’elicottero lo superò e finì alle sue spalle.
Davanti, quattro poliziotti erano in piedi di fronte a una bassa barriera di cemento. Stavano guardando il cielo, e la loro attenzione fu subito catturata dall’elicottero. Due moto della polizia erano parcheggiate su ogni lato, con le luci intermittenti silenziose. Luke fece un respiro profondo.
Poliziotti veri! Non riusciva a immaginarsi un gruppo di persone a cui avrebbe preferito arrendersi adesso. A un centinaio di metri dal posto di blocco, premette l’acceleratore. La Suburban prese velocità. Accelerò verso i poliziotti.
I quattro si sparpagliarono.
Tre secondi dopo, Luke andò contro alla barriera in cemento, spaccandola a metà, trascinandosi davanti i due pezzi sgretolati. Sbandò per fermarsi, innescò la retro per qualche metro, poi sgommò.
Dietro di lui, i poliziotti erano saliti sulle motociclette. Pochi secondi dopo, si cominciò a sentire il familiare suono della sirena.
Luke svoltò a sinistra su Independence Avenue. Controllò il cielo in cerca dell’elicottero. Poteva sentirlo, ma non riusciva a vederlo. La Suburban fumava per via dei proiettili che aveva appena incassato. Li aveva decisamente sottovalutati. Un Apache! L’avrebbero distrutta questa macchina, fregandosene di chi lo sarebbe venuto a sapere.
Spinse la Suburban più forte di quanto potesse andare. Aveva perso un po’ di potenza, e non toccava neanche le 80 miglia. Accelerò lungo la Independence, sul lato sud del Mall. Il Tidal Basin era alla sua sinistra. Le luci della strada luccicavano sull’acqua.
Dietro di lui, arrivavano i poliziotti.
L’Apache piombò giù alla sua destra. Era a un’altezza di quattro piani. La Minigun sparò di nuovo. I proiettili colpirono. Sembrava un martello pneumatico. Il finestrino posteriore destro andò in frantumi, spruzzando di vetro il cadavere.
Luke scartò bruscamente, con il piede che ancora premeva l’acceleratore a tavoletta. La strada gli sfrecciò dietro. Davanti e alla sua sinistra, poteva vedere il Lincoln Memorial, acceso nella notte.
L’elicottero si voltò. Lasciò perdere la Minigun. Cominciò invece a lanciare i razzi Hydra. Una fila di razzi sibilò dal fianco destro del velivolo. Tre, quattro, cinque.
Di fronte a lui, la strada esplose in ombre gialle e rosse. BUM… BUM… BUUM.
Scartò a sinistra. Il SUV passò attraverso una barriera di rete metallica e planò sull’erba. Luke venne sballottato sul sedile. Aveva le mani aggrappate al volante. Mollò appena l’acceleratore.
Altri razzi. Uno accese una riga di ciliegi in fiore. La collinetta gli esplodeva tutto intorno.
L’auto accusò un colpo diretto, nel retro.
Luke sentì il retro della macchina salire in aria. Spinse la portiera e saltò fuori.
Colpì l’erba e rotolò via verso sinistra. Le gomme posteriori dell’auto si sgonfiarono e la macchina continuò a correre, giù per la collina e verso l’acqua.
Luke vide la scintilla di un altro razzo che partiva. Sfrecciò attraverso aria, penetrò la corazza del SUV, e centrò l’obiettivo. Le fiamme esplosero un istante prima che esplodesse la macchina stessa.
BUUUUM.
Luke cadde a terra e si coprì la testa mentre la pesante corazza volava. Un momento dopo, si guardò alle spalle. L’auto stava ancora correndo, le fiamme rosse e gialle sembravano delle braccia protese al cielo notturno. Dentro all’abitacolo c’era una donna sul finire della quarantina, non reclamata, una persona senza nome. Luke poteva vederne la sagoma.
L’automobile, completamente a fuoco, scendeva piano verso la riva. L’orlo del bacino era ripido. L’auto lo oltrepassò e precipitò. Galleggiò lì per un secondo, metà nell’acqua metà fuori, prima di caderci dentro del tutto. Bruciava, anche mentre affondava.
L’elicottero virò e se ne andò. Secondi dopo, era un’ombra scura e distante contro il cielo della notte.
Luke era disteso sull’erba, respirava a fatica. L’auto della polizia di Washington scivolò fino a fermarsi dietro di lui, la sirena che ululava. Ne uscirono due poliziotti, uno bianco e uno nero. Gli si avvicinarono con le pile e le armi in mano.
“Faccia a terra. Mani in alto.”
Luke fece quello che gli aveva detto l’uomo. Delle mani ruvide lo perquisirono. Gli bloccarono le braccia dietro alla schiena e gli ammanettarono stretti i polsi.
“Ha il diritto di rimanere in silenzio,” cominciò un poliziotto.