Kitabı oku: «A Ogni Costo», sayfa 9
Capitolo 23
10:50 a.m.
Sotto alla Casa Bianca
Scendevano in ascensore fin dentro le viscere della terra. A bordo c’erano dieci persone: il presidente, la vicepresidente, il giovane capo di gabinetto del presidente, Ed e Luke e cinque agenti dei servizi segreti. Uno degli agenti portava una borsa a tracolla di pelle nera, assicurata al polso con una fibbia di metallo. Da qualche parte sopra di loro, suonava un allarme.
“Quanto ne è sicuro?” chiese il presidente.
Il viso di Luke era ustionato dallo sfregamento contro al tappeto. Gli faceva il male la parte posteriore del collo e quella laterale. Riusciva a sentire un livido gonfiarglisi sulla mascella. Gli sanguinava la bocca.
“Non sono sicuro di niente, signore.”
“Se ha torto, si ritroverà in un sacco di guai.”
“Signore, credo che lei non possa immaginare la reale entità di quei guai.”
Le porte dell’ascensore si aprirono. Uscirono in una stanza illuminata da luci cavernose, che svanivano in lontananza. Due limousine nere erano allineate appena fuori dall’ascensore. Luke si ritrovò nella seconda auto, con Ed, la vicepresidente e due agenti dei servizi segreti.
La faccia di Ed era un casino. L’occhio destro era mezzo chiuso dal gonfiore. La palpebra era ferita e sanguinava.
L’auto percorse il tunnel, le luci gialle che sfrecciavano in alto.
“Per quanto mi riguarda, spero che lei abbia torto,” disse Susan Hopkins.
“Anch’io,” disse Luke. “Assolutamente.”
Alla fine del tunnel, presero un altro ascensore per risalire in superficie. Sbucarono su una pista per elicotteri. Un grande Sikorsky grigio si trovava sulla pista, con i rotori già accesi. Si arrampicarono sul mezzo e decollarono.
Mentre salivano, Luke vide che stavano salendo da un’area boschiva a circa mezzo miglio dalla Casa Bianca. Si libravano a una certa distanza da essa. Il presidente fissava l’edificio. Anche Luke.
“Se deve accadere qualcosa, dovrebbe essere più o meno adesso,” disse il presidente. “È così?”
Luke guardò l’orologio. “Sono le 10:53.”
“Una bomba sporca di solito è piccola,” disse Ed. “Potremmo non vedere nulla da questa distanza.”
“Potrebbe essere un attacco via drone,” disse Luke. “Se fosse così, potremmo…”
Improvvisamente, le sue parole vennero interrotte dall’esplosione dello Studio Ovale.
Un flash di luce rossa e gialla apparve dietro le alte finestre. Il vetro andò in frantumi. I muri sembrarono sporgere, poi si riversarono all’esterno sul prato.
Un’altra esplosione, ancora più grande, distrusse l’Ala Ovest.
Mentre guardavano, il tetto collassò.
Una serie di esplosioni fece crollare il colonnato che portava alla residenza principale al centro dell’edificio. Tutti guardavano le fiamme consumare uno dei duraturi simboli degli Stati Uniti. Un’immensa esplosione, la più grande finora, si muoveva rapidamente all’interno della residenza. Un enorme pezzo di muratura volò in alto, ruotando su se stesso. Luke guardò l’arco che fece disintegrandosi nell’aria.
Improvvisamente l’elicottero sussultò. Precipitò facendogli venire la nausea prima che i piloti lo recuperassero, e poi ricominciò a salire.
“È l’onda d’urto,” disse Luke. “Stiamo bene.”
L’elicottero si girò e puntò verso ovest. Volavano tutti in silenzio, scambiandosi occhiate stupefatte. Luke guardò i danni sul volto di Ed. Sembrava un pugile che aveva appena perso un incontro. Non c’era nient’altro da dire.
Alle loro spalle, la Casa Bianca bruciava.
PARTE SECONDA
Capitolo 24
11:15 a.m.
Centro operativo di emergenza di Mount Weather – Bluemont, Virginia
“Armi?” chiese un uomo a Luke.
Venti uomini dei servizi segreti si trovavano sulla pista quando l’elicottero atterò. Lavoravano con semplicità efficiente, separando Ed e Luke dal gruppo principale e spingendo il presidente e la vicepresidente verso le fauci spalancate del tunnel aperto. L’entrata era a due piani di altezza, incastrata nel metallo ondulato.
Sopra le loro teste, degli elicotteri Gunship riempivano l’aria come libellule. L’elicottero del presidente era volato fin qui scortato da altri dieci.
Ed e Luke restavano isolati sull’asfalto, a circa sei metri di distanza. Erano circondati dal filo spinato. I servizi segreti li perquisivano sommariamente. Due uomini tenevano le braccia di Luke mentre gli altri gli controllavano gli abiti. Abiti che si increspavano con il vento provocato dalle pale dell’elicottero.
“Armi?” chiese di nuovo l’uomo.
Luke era annebbiato. La Casa Bianca era saltata in aria. Lo Studio Ovale, poi l’intera Ala Ovest, il colonnato, tutto quanto fino alla residenza presidenziale. Si aspettava… qualcosa. Ma non quello che aveva visto. Era troppo stanco adesso per capire il senso di quello che era successo.
Gli venne in mente di non essere riuscito a parlare con Becca. Doveva essere in pensiero per lui. Sperava che se ne fosse andata nella casa di campagna. Dava su una spiaggia del Maryland orientale. Era tranquillo laggiù, sicuro. Washington D.C. e la periferia sarebbero state un casino per un po’.
“Devo chiamare mia moglie,” disse.
L’agente dei servizi segreti di fronte a lui gli diede un rapido pugno nello stomaco. Riportò Luke al presente. Guardò l’uomo nei suoi severi occhi.
“Nascondi delle armi?” gli chiese ancora.
“Non lo so. Mi hanno perquisito allo Studio Ovale. Credo che le abbiano prese tutte.”
“Chi sei?”
Questa era facile. “Agente Luke Stone, Special Response Team, FBI.”
“Dov’è il tuo documento di identificazione?”
“Non lo so. Chiedilo ai tuoi. Mi hanno preso tutto. Ascolta, devo proprio fare una telefonata, e non ho il mio telefono.”
“Puoi fare la tua telefonata dopo aver risposto alle nostre domande.”
Luke si guardò intorno. Era luminoso e c’era il sole, ma la spossatezza e gli eventi della giornata cospiravano per dare al cielo un’aria oscura. Sopra le loro teste, gli elicotteri gettavano ombre sulla terra simili al volteggiare di avvoltoi. Laggiù, all’entrata del complesso, il presidente si era voltato e stava venendo dalla loro parte. Era facile notarlo tra la folla perché era davvero alto.
L’agente dei servizi segreti schioccò le dita davanti al viso di Luke. “Mi stai ascoltando?”
Luke scosse la testa. “Scusa. Sentite, ragazzi. È stata una giornata lunga per me. Lasciatemi solo chiamare mia moglie, e poi vi dirò tutto quello che so.”
L’uomo gli diede uno schiaffo. Era uno schiaffo rapido e pungente, dato apposta per catturare la sua attenzione. Lo fece e fece anche altro. Luke si divincolò per liberarsi le braccia. Un secondo dopo era a terra, il viso giù contro la superficie ruvida del cemento nero. Lo tenevano due uomini. Alla sua sinistra, avevano atterrato anche Ed.
Dal suo punto di vista di verme, Luke guardava avvicinarsi il presidente, che camminava veloce, circondato da tutti i lati, sinistra, destra, davanti e dietro, da agenti dei servizi segreti. Si fermò a tre metri di distanza.
“Signori!” disse in tono autoritario. “Lasciateli alzare. Quei due uomini sono con me.”
Ben presto Luke si trovò all’interno dell’ingresso per il complesso del Mount Weather. Una folla di persone, molte delle quali militari nelle ufficiali uniformi blu, gli vorticavano attorno. L’entrata era letteralmente un gigantesco tunnel scavato all’interno della facciata di granito della montagna. Il soffitto era una pietra arcuata tre piani sopra di loro. Il presidente era scomparso.
Luke alzò di nuovo il telefono.
“Ciao, sono Becca. Non posso rispondere adesso. Lasciate un messaggio dopo il segnale acustico e vi richiamerò appena possibile.”
Luke voleva spaccare l’apparecchio contro il pavimento di cemento.
“Maledizione! Perché non risponde?”
La ragione la conosceva già, ovviamente. Il telefono non suonava neanche – partiva subito la segreteria. I ripetitori erano sovraccarichi. In tutta la regione, milioni di persone stavano cercando di telefonare tutte nello stesso momento.
Ed era lì accanto, anche lui provava a chiamare.
“Ce la fai?” chiese Luke.
Ed scosse la testa.
Luke entrò in modalità capo. “Senti, mi porteranno giù tra un minuto. Mi serve che tu in qualche modo ti metta in contatto con Trudy e Swann. Dobbiamo mettere le mani su Ali Nassar. Se non lo arresta il NYPD, devono mettergli le mani su i nostri uomini. Trattenerlo, farlo scomparire e portarlo in un posto sicuro. In nessun caso possiamo permettere che lasci il paese. E non possiamo aspettarci alcun aiuto da Ron Begley.”
Ed annuì. “Okay. Dovrei avvertire Don?”
Luke scrollò le spalle. “Certo, se riesci a parlarci.”
“Che cosa gli dovrei dire?”
Luke non sapeva come rispondere a questa domanda. Don era uno dei suoi mentori, ma era anche di più. Era stato come un padre per lui. Eppure Don oggi lo aveva sospeso, e gli aveva raccomandato un soggiorno in una clinica psichiatrica. E in entrambi i casi, Don aveva avuto torto.
Due ampie porte si aprirono nei muri a circa sei metri da lì. Il gruppo partì per raggiungere le porte, e Luke partì con lui.
“Digli che siamo vivi, e che lo è anche il presidente.”
“E poi cosa faccio?” chiese Ed.
Luke scrollò le spalle. “Se riesci a fare tutto, trova qualcosa da mettere sotto i denti.” Fece un cenno in direzione dell’ascensore. “Non ci vorrà molto.”
L’ascensore merci era largo, e alto due piani. Ci salirono venti persone. L’ascensore si muoveva lentamente sempre più giù, rocce cesellate fluivano lisce verso l’alto appena fuori dalle sbarre metalliche. Un cartello giallo sul cancello diceva, in gigantesche lettere nere: ATTENZIONE – TENERE LE MANI ALL’INTERNO. L’ascensore scese per un po’, affondando sempre più al di sotto della superficie.
Luke osservò la gente attorno a lui. Uomini in giacca e cravatta. Uomini in uniforme. Tutti erano puliti, tutti erano vestiti bene, e tutti erano elettrizzati dalla paura e dalla determinazione. Invece Luke si sentiva sfinito, sporco e consumato.
L’ascensore li scaricò in un ampio corridoio. Lo percorsero come una mandria. Si aprì in una sala operativa illuminata a giorno. Schermi piatti coprivano due pareti. Ogni schermo poteva contenere una dozzina o più di finestre aperte, ognuna con la sua immagine o informazione. Gli schermi erano accesi, e un piccolo team di tecnici stava a una console touch pad, a caricare immagini e video sugli schermi. Uno mostrava la Casa Bianca in fiamme, circondata da camion dei pompieri. Molti mostravano moschee in fiamme. Alcune erano scene di sfrenate celebrazioni da strada, con gente che cantava e uomini con la barba che scaricavano in aria degli AK-47.
Un breve video catturò lo sguardo di Luke. Erano pochi secondi dell’entrata all’Ala Ovest. Una macchia nera e rapida appariva dall’angolo in alto a destra dello schermo e si schiantava sulle porte dell’atrio. Un attimo dopo un’esplosione faceva saltare la parte davanti dell’ingresso sul prato e la strada di accesso. Il video si ripeteva ancora e ancora in slow motion. Anche rallentato, era impossibile dire che cosa fosse l’oggetto sfuocato.
Un giovane in abito marrone chiaro prese Luke per il gomito e lo guidò verso il centro della stanza. Davanti, una dozzina di persone sedeva su sedie dallo schienale alto a un lungo tavolo. Un’altra trentina di persone – assistenti, gente dello staff, strateghi, Dio solo sapeva chi fossero questi – stavano appoggiati alle pareti. Il presidente era in piedi in testa al tavolo. La vicepresidente, più bassa di una testa, era alle sue spalle.
“Eccolo,” disse il presidente Thomas Hayes indicando Luke con un grasso palmo aperto. Aveva i denti perfetti, di un bianco splendente. Per un secondo, Luke pensò al presentatore di un gioco televisivo che invitava il pubblico in studio a dare un’occhiata dietro la Porta #3.
“Mi ricorda il suo nome?” chiese il presidente.
Cinquanta facce si voltarono per guardare Luke. Con tutti gli occhi su di lui, si sentiva persino più distrutto di prima. “Stone,” rispose. “Sono Luke Stone, Special Response Team, FBI.”
Il presidente annuì. “Questo è l’uomo che ci ha salvato la vita.”
Luke sedette al tavolo da conferenza. Affondò all’indietro nella morbida pelle della sedia. Un assistente gli mise davanti un dolce alla mela avvolto nella plastica. Qualcun altro gli portò del caffè in una tazza termica. Luke versò un po’ di latte senza lattosio nel caffè. La luce fluorescente che proveniva da sopra la sua testa colorava il caffè di verde.
La struttura era progettata per resistere a una guerra nucleare. Anche il cibo servito era progettato a quello scopo.
Un tenente colonnello in uniforme blu dell’esercito era in piedi al centro dello schermo. Indicava le immagini trasmesse con un puntatore laser rosso. “Approssimativamente alle ore 10:54 del mattino, fuso orario della costa orientale, la Casa Bianca è stata attaccata per mezzo di dispositivi esplosivi multipli, incluso almeno un dispositivo a dispersione radiologica contenente agenti radioattivi per il momento sconosciuti. L’Ala Ovest, incluso lo Studio Ovale, è stata quasi completamente distrutta. Il colonnato e la residenza presidenziale hanno riportato ingenti danni. L’Ala Est non ha subito l’attacco, ma ha riportato danni secondari dovuti alla forza delle esplosioni, così come dal fumo e dall’acqua.”
“Si sa qualcosa delle vittime?” chiese il presidente.
Il tenente colonnello annuì. “Diciassette morti confermate finora. Quarantatré feriti, alcuni in condizioni critiche. Otto persone scomparse. Nella reazione iniziale, almeno due dozzine di persone tra pompieri e altro personale di emergenza sono probabilmente state esposte a radiazioni. Non conosceremo l’entità dell’esposizione per qualche giorno. Dalle 11:24 del mattino, approssimativamente, tutti i pompieri e il personale di emergenza nelle vicinanze devono indossare tute protettive hazmat di Livello Uno. Come può immaginare, ciò ha rallentato considerevolmente gli sforzi per spegnere gli incendi e ricercare eventuali sopravvissuti.”
Quasi non volava una mosca nella stanza. L’uomo tossì piano, poi proseguì.
“L’attacco ha creato panico diffuso. Abbiamo fissato una zona di contenimento radioattivo con un raggio di mezzo miglio, e la Casa Bianca ne è il centro. Solo al personale autorizzato è consentito l’accesso. Anche se al momento non c’è radiazione misurabile ai margini della zona, fondamentalmente tutti hanno provato a lasciare la città nello stesso momento. Nel frattempo, la metropolitana che attraversa tutta Washington D.C. e le aree circostanti è stata chiusa. Le strade principali e le arterie maggiori della città sono chiuse a tutti salvo al traffico di emergenza, e ciò ha creato ingorghi significativi nelle strade secondarie.
“Questi effetti si sono diffusi nella regione. Il servizio ferroviario tra Washington e Boston è stato sospeso, e tutti i maggiori aeroporti della regione sono chiusi in attesa dei test di sicurezza. Inoltre, delle moschee sono state attaccate in più di una dozzina di città, e nuovi rapporti su attacchi a moschee arrivano di minuto in minuto. Sembra che molti americani credano che l’attentato sia stato organizzato da musulmani, quindi la gente brucia moschee e attacca musulmani per vendetta.”
“Sono stati i musulmani,” disse Luke.
L’uomo fece una pausa. “Mi scusi?”
Luke alzò le spalle. “Sono stati i musulmani. A farlo.”
Lo speaker guardò il presidente, che si limitò ad annuire.
“Può chiarire la sua affermazione, agente Stone?”
“Non c’è nulla da chiarire,” disse Luke. “La mia unità ieri notte è stata portata a investigare sul furto di materiale radioattivo da un ospedale di New York City. Sono sicuro che avete sentito tutto sul furto nei notiziari di stamattina. Siamo riusciti a collegarlo a una cellula terroristica costituita da almeno due americani e un libico, e organizzata da un diplomatico iraniano legato alla missione iraniana permanente delle Nazioni Unite con sede a New York. Lo vedete quel breve video sullo Schermo C, lì, quello con l’oggetto sfuocato che colpisce l’Ala Ovest? O è un drone velocissimo o un missile lanciato da un drone. L’uomo in questione ha utilizzato un conto bancario anonimo a Grand Cayman per acquistare milioni di dollari di droni di tecnologia militare cinese.”
Susan Hopkins sedeva dall’altra parte del tavolo rispetto a Luke. Lo fissava. Luke riusciva a capire cosa alla gente piacesse di lei. Sembrava esattamente quello che era – una modella che fingeva di essere la vicepresidente degli Stati Uniti. Di persona era ancora più bella che in tv.
“Si tratta di fatti o congetture?” chiese Susan.
“Tutto quello che ho detto sono fatti,” rispose Luke. “Io e il mio partner abbiamo interrogato il diplomatico stamattina, ma è stato protetto dalla Sicurezza Interna per ragioni che non conosco. Siamo stati rimossi a forza dalle scene prima che potessimo ottenere qualcosa di più da lui.”
Sorrise e scosse la testa. “Parla di quell’incidente della tortura? Ne sono stata informata durante il mio volo da Los Angeles questa mattina. Se non fosse per tutto quello che sta accadendo, lei e il suo partner sareste probabilmente su tutte le prime pagine d’America adesso.”
Fu per l’ostilità del suo tono, o per il caffè che lo stava innervosendo, ma qualsiasi cosa fu Luke cominciò a riemergere dalla nebbia. Meno di un’ora prima aveva salvato la vita di questa donna. Essere volubile era una cosa, ma…
“L’abbiamo interrogato,” disse. “Era un soggetto riluttante, e c’erano delle vite in pericolo. Incluse, come si è visto, la sua, quella del presidente, e la vita di tutte le persone che si trovavano alla Casa Bianca. Mi creda quando le dico che date le circostanze ci siamo andati piano con lui. Se avessi avuto la sfera di cristallo, ci sarei andato giù più pesante.”
Lei annuì. “È molto coraggioso ad ammetterlo, considerando quando la tortura sia disapprovata ai giorni nostri. È anche piuttosto coraggioso a decidere che questo sia stato un attentato islamico, dato che non ne sappiamo ancora niente a dire il vero. In effetti, dato la stato attuale delle relazioni internazionali, mettersi a dire che sono stati gli iraniani è più che solo coraggioso o audace. È pericolosamente prematuro.”
“Ho detto che è stato un iraniano a organizzarlo. Ha finanziato i droni. Ha pagato la gente coinvolta. Ne sono certo.”
“Si rende conto che siamo sull’orlo di una guerra contro l’Iran, e che ci sono membri del Congresso che intendono mettere in stato di accusa il presidente nel caso in cui non dichiari la guerra? Si rende conto poi che una guerra contro l’Iran probabilmente porterà a una guerra contro la Russia?”
Luke scosse la testa. “Non è il mio dipartimento. Le sto solo dicendo quello che so.”
La stanza esplose in chiacchiere di sottofondo.
Il presidente alzò le mani. “Okay, okay.” Si rivolse direttamente a Luke. “Ci dica tutto. Non dobbiamo agire seguendo la sua opinione, ma personalmente vorrei conoscerla. Crede che dietro all’attentato ci sia il governo iraniano?”
“Io non faccio salti di fede,” disse Luke. “Quello che so è che l’attacco è stato organizzato da un iraniano. So che è un diplomatico legato alla missione iraniana. E, ultima cosa che so, è vivo e si trova ancora sul territorio americano.”
Il presidente si guardò intorno nella stanza. “Ripeto, non dobbiamo agire sulla base delle informazioni dell’agente Stone. Ma vorrei che continuasse a raccogliere dati, e a fare un resoconto di ciò che scopre a questo gruppo, anche in caso di risultati controversi.”
“Potrebbe essere difficile per me,” disse Luke.
“Perché?”
Adesso Luke scrollò le spalle. “Sono stato sospeso dal lavoro questa mattina. Sono sotto investigazione per presunti reati che ho commesso mentre investigavo su questo caso.”
Il tenente colonnello fissò Luke. “È tutto?”
Luke scosse la testa. “C’è anche un mandato di arresto per me a Baltimora.”
“Arresto per cosa?”
“Omicidio.”
L’intera stanza si fece silenziosa. Tutti gli occhi erano puntati di nuovo su Luke.
“Ho avuto una giornata pesante,” disse.