Kitabı oku: «Assassino Zero», sayfa 5

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CAPITOLO SETTE

Zero entrò al George Bush Center for Intelligence, il quartier generale della CIA situato nella cittadina di Langley, in Virginia. Attraversò il vasto pavimento di marmo accompagnato dal rumore dei suoi passi che echeggiavano mentre calpestava il grande emblema circolare, uno scudo e un'aquila in grigio e bianco, circondato dalle parole “Central Intelligence Agency, Stati Uniti d'America” e si diresse dritto verso gli ascensori.

Non c'era quasi nessuno ad eccezione di qualche guardia e di alcuni assistenti amministrativi che si occupavano della burocrazia. Era ancora piuttosto nervoso per essere stato chiamato proprio in quel momento in cui si trovava con le sue ragazze e sperava che il briefing sarebbe stato davvero breve.

Ma quella prospettiva gli sembrò poco probabile.

“Aspetta”, lo chiamò una voce familiare mentre Zero premeva il pulsante per il secondo piano, dove si sarebbe svolta la riunione. Allungò una mano per impedire alle porte di chiudersi, e un attimo dopo l'agente Todd Strickland entrò nell'ascensore insieme a lui. “Grazie, Zero”.

“Hanno chiamato anche te, eh?”

“Già”. Disse Strickland scuotendo la testa. “Ero appena arrivato all'ospedale”.

“Trascorri il Ringraziamento con i veterani?”

Strickland annuì con noncuranza, e Zero intuì che non fosse un argomento di cui era ansioso di parlare. Todd Strickland aveva soltanto trent'anni, aveva un collo largo e muscoloso, e portava ancora i capelli nel tipico taglio militare dei soldati dell'Esercito. I suoi occhi luminosi, i lineamenti da ragazzo e le guance ben rasate gli davano un aspetto giovane e gentile, ma Zero sapeva che dietro quell'aspetto innocente c'era un'immensa forza; Strickland era uno dei migliori Ranger che avesse mai conosciuto. Aveva trascorso quasi quattro anni della sua giovane vita a rintracciare gli insorti nei deserti del Medio Oriente, dormendo nella sabbia, arrampicandosi nelle caverne e razziando le basi militari. Era un combattente, eppure era riuscito a mantenere una compassione tanto forte quanto il suo senso del dovere.

“Di cosa si potrebbe trattare, hai qualche idea?” Chiese Zero mentre le porte dell'ascensore si aprivano.

“Se dovessi tirare a indovinare? Probabilmente l'attacco di ieri sera all'Avana”.

“C'è stato un attacco all'Avana ieri sera?”

Strickland ridacchiò leggermente. “Non guardi mai le notizie, vero?” Insieme percorsero un corridoio vuoto. Sembrava che quasi tutta Langley si stesse godendo la vacanza a casa con la famiglia, eccezion fatta per loro, naturalmente.

“Sono stato un po' occupato”, ammise Zero.

“A proposito, come stanno le ragazze?” Strickland non era estraneo a Maya o Sara; da quando la vita delle ragazze era stata minacciata da un assassino psicopatico, il giovane agente aveva fatto voto di tenerle d'occhio, indipendentemente dal fatto che Zero fosse presente o meno. Finora aveva mantenuto la parola.

“Stanno…” Stava per dire semplicemente “stanno bene”, ma si fermò. “Stanno crescendo. Che diamine, forse sono già cresciute”. Zero sospirò. “Sarò sincero”. Se veniamo spediti da qualche parte oggi, non so cosa fare con Sara. Non penso che stia abbastanza bene per essere lasciata sola”.

Strickland fece una pausa mentre raggiungevano la porta della sala riunioni chiusa, oltre la quale si sarebbe tenuto il briefing. Ma indugiò e si infilò una mano nella tasca posteriore. “Stavo pensando alla stessa cosa”. Strickland consegnò a Zero un biglietto da visita.

Zero si fece cupo. “Che cos'è?” Il cartoncino era piuttosto semplice, color avorio, con in rilievo un sito Web e un numero di telefono e il nome “Seaside House Recovery Center”.

“È un posto a Virginia Beach”, spiegò Strickland, “dove le persone come lei possono andare a … curarsi. Ho trascorso alcune settimane lì, una volta. Sono brave persone. Possono aiutarla”.

Zero annuì lentamente, un po' sorpreso dal fatto che tutti sembravano aver pensato a quella soluzione ad eccezione di lui. Maya gli aveva già detto che Sara aveva bisogno di un aiuto professionale, ed evidentemente anche Todd lo pensava. Sapeva esattamente perché non ci avesse pensato lui; voleva riuscire ad aiutarla da solo. Voleva essere colui che l'aveva aiutata ad uscirne. Ma sapeva, in fondo, che lei aveva bisogno di più di quanto lui potesse offrirle.

“Spero di non essere stato indiscreto”, disse Todd. “Ma, ehm… Ho telefonato loro per assicurarmi che avessero posto. Mi hanno detto che c'è un posto per lei, quando vorrà”.

“Grazie”, mormorò Zero. Non sapeva cos'altro dire; certamente non era stato indiscreto, aveva semplicemente fatto qualcosa che Zero forse non si sarebbe mai convinto a fare. Infilò in tasca il biglietto da visita e indicò la porta. “Dopo di te”.

Aveva partecipato a decine di briefing in qualità di agente della CIA, ma ogni volta era un'esperienza nuova. Talvolta erano riunioni affollate e caotiche, piene di rappresentanti di agenzie cooperanti e videoconferenze con esperti in materia. Altre volte erano piccole, tranquille e riservate. E sebbene fosse certo che questa sarebbe stata una riunione tranquilla, fu comunque abbastanza sorpreso di trovare una sola persona seduta al tavolo, con un tablet di fronte a lei.

Anche Strickland sembrava perplesso, perché chiese: “Siamo in anticipo?”

“No”, disse Maria alzandosi. “Siete arrivati giusto in tempo. Accomodatevi”.

Zero e Todd si scambiarono un'occhiata e si sedettero uno di fronte all'altro di fianco a Maria, che era al capo di un lungo tavolo.

“Beh”, mormorò l'agente più giovane, “non è poi un benvenuto così accogliente”.

“Mi dispiace avervi chiamato in un giorno di festa”, iniziò. “Sapete che non lo avrei mai fatto se avessi avuto una scelta”. Nell'aggiungere quelle parole, si rivolgeva soprattutto Zero; Maria sapeva esattamente chi e cosa lo aspettava a casa. Dopotutto, era stata invitata anche lei. “Arriverò subito al dunque”, proseguì. “Ieri sera si è verificato un incidente sul lungomare settentrionale dell'Avana, e abbiamo forti ragioni per credere che si sia trattato di un attacco terroristico calcolato”.

Disse loro tutto ciò che sapeva; che oltre un centinaio di persone aveva manifestato una vasta gamma di sintomi e che il fatto che le persone che avevano subito gli effetti più gravi fossero tutte vicine suggeriva l'utilizzo di un'arma ad ultrasuoni posizionata vicino alla costa. Mentre parlava, la punta delle sue dita scivolava sul touch-screen del tablet, facendo scorrere le foto delle vittime scattate dai servizi di emergenza di Cuba. Alcuni di loro non riuscivano a stare in piedi; altri avevano sottili rivoli di sangue che colavano dalle orecchie. Alcuni erano stati portati via in barella.

“C'è stata una sola vittima”, concluse Maria, “una giovane donna americana in vacanza. Non è stata trovata l'arma, e perciò siamo stati coinvolti noi”.

Zero aveva già sentito parlare di questo tipo di arma ad ultrasuoni o di qualcosa del genere, ma ad eccezione delle minuscole granate soniche che Bixby aveva preparato, non aveva alcuna esperienza in merito. Dovette tuttavia riconoscere che, nonostante non ci fossero immagini dell'arma o degli assalitori, sembrava molto simile a un attacco terroristico, e ciò rendeva tutto ancora più confuso.

“Kent?” Disse Maria. “Che ne pensi?”

Lui scosse la testa. “Onestamente, sono un po' perplesso. Perché costruire o acquistare questo tipo di arma quando un singolo fucile d'assalto e alcune cartucce avrebbero fatto molti più danni?”

“Forse fare danni non era il loro primo obiettivo”, suggerì Strickland. “Forse era un messaggio. Per quanto ne sappiamo, i responsabili potrebbero essere cubani. Hanno preso di mira una zona turistica; forse sono nazionalisti e questa era una specie di protesta violenta”.

“È possibile”, ammise Maria. “Ma dobbiamo lavorare sui fatti e gli unici fatti che abbiamo in questo momento sono che tra le vittime c'erano alcuni cittadini italiani, che uno di loro è ora morto, e quest'arma è ancora in giro… e qui entrate in gioco voi”.

Zero e Strickland si scambiarono un'occhiata perplessa e poi guardarono nuovamente Maria. Per un minuto Zero aveva iniziato a pensare che questo potesse essere solo un briefing di intelligence, in cui li aggiornava in merito a quello che era successo a Cuba, ma le sue ultime parole avevano reso tutto più chiaro.

Non c'era alcun dubbio a riguardo; sarebbe stato rimandato sul campo.

“Aspetta un attimo”, disse Strickland. “Stai dicendo che qualcuno, da qualche parte nel mondo, ha un'arma a ultrasuoni portatile e molto potente, e cosa vorresti che facciamo? Dobbiamo andare a cercarla?”

“Capisco che non c'è molto su cui lavorare…” Rispose Maria.

“Non c’è assolutamente nulla su cui lavorare”.

Zero fu un po' sorpreso dall'atteggiamento di Strickland; in fondo era ancora un soldato e non aveva mai parlato così a un suo superiore, nemmeno a Maria. Ma lo capì, perché mentre Strickland esprimeva la sua indignazione, Zero si sentì pervadere da un'ondata di rabbia. Era quello il motivo per cui era stato allontanato dalla sua famiglia nel giorno del Ringraziamento? Gli dispiaceva per le vittime dell'attacco all'Avana, ma in genere veniva chiamato per fermare guerre nucleari ed evitare uccisioni di massa, non per andare a caccia di un'arma che aveva fatto una sola vittima.

“A dire il vero, abbiamo qualcosa”, disse Maria a Strickland. “Alcuni testimoni oculari al porto affermano di aver visto un gruppo di uomini, quattro o cinque, che indossavano una sorta di maschera protettiva o un elmetto e caricavano un 'oggetto dall'aspetto strano' su una barca immediatamente dopo l'attacco. Non hanno fornito molti dettagli, ma alcune persone hanno anche riferito di aver visto una donna con i capelli rosso vivo, forse caucasica, con loro”.

“Va bene, è già qualcosa”, concordò Strickland, sembrando desistere da ulteriori proteste. “Quindi andiamo all'Avana, troviamo la barca, scopriamo chi la possiede, dove stava andando, dove si trova ora e seguiamo la pista”.

Disse Maria. “Questo è quanto. Bixby sta lavorando su una tecnologia che ci dovrebbe aiutare. E non intendo essere invadente, ma il presidente Rutledge ha ci ha chiesto di agire il più presto possibile, quindi…”

“Possiamo parlare?” Zero sbottò all'improvviso, prima che Maria potesse dar loro ufficialmente l'ordine di agire. “In privato?”

“No”, rispose lei semplicemente.

“No?” Zero era senza parole.

Lei sospirò. “Mi dispiace, Kent. Ma so cosa vuoi dire e so che se lo facessi probabilmente mi arrenderei e proverei a rimuoverti dall'incarico. Ma è un ordine del presidente. Non mio, né del direttore Shaw…”

“E dov'è ora il direttore Shaw?” Chiese Zero animatamente. “A casa, non è vero? Si sta preparando per godersi il Ringraziamento con la sua famiglia?”

“Sì, Zero, proprio così”, rispose lei con fermezza. Non lo aveva mai chiamato Zero; dalla sua bocca, quel nome assumeva un tono di rimprovero. “Perché non è suo compito trovarsi qui. È il tuo. Proprio come non è mio compito mettermi nei guai per aiutarti ancora una volta. Il mio compito è di dirti dove devi andare e cosa deve fare”. Toccò due volte il tablet con un dito. “Devi andare qui. E fare ciò che ti ho detto”.

Zero fissò il piano del tavolo liscio e lucido. Aveva stupidamente pensato che lui e Maria potessero essere ancora amici dopo tutto quello che avevano passato. Ma alla fine, sarebbe finita così. Lei era il suo capo, e per la prima volta sentiva il peso della sua autorità su di lui.

La sensazione non gli piacque affatto, così come non gli piaceva che il presidente avesse chiesto esplicitamente che lui si occupasse di questo compito. Per quanto lo riguardava, era uno spreco delle sue capacità. Ma non disse nulla.

“Pensate alla situazione in cui ci troviamo”. Il tono di Maria si addolcì, ma non guardò direttamente nessuno dei due. “È in corso una guerra commerciale con la Cina. I nostri legami con la Russia sono quasi recisi. L'Ucraina non è contenta. Il Belgio e la Germania sono ancora in collera per quella che considerano un'operazione non autorizzata sul loro territorio. Nessuno si fida del nostro governo, né tantomeno della nostra gente. Non abbiamo nemmeno un vicepresidente”. Maria scosse la testa, e continuò: “Non possiamo permettere che ci sia un attacco sul suolo americano, anche se questa per il momento è solo una possibilità. Non se possiamo evitarlo”.

Zero voleva protestare. Voleva sottolineare che l'efficacia di due uomini più o meno qualificati, era irrisoria rispetto a uno sforzo congiunto delle forze dell'ordine. Poteva capire che non volessero che l'attacco avesse una forte risonanza pubblica, ma se volevano davvero trovare queste persone, se pensavano davvero che un attacco agli Stati Uniti fosse probabile, avrebbero potuto emanare un mandato di cattura, a partire dalle aree costiere di Florida, Louisiana, Texas, gli obiettivi più probabili considerando l'attacco dell'Avana. Chiedere al governo cubano di indagare sulla nave scomparsa. Lavorare insieme per proteggere i propri cittadini e chiunque altro possa essere ferito.

Zero stava per suggerirlo a voce alta, ma prima che ne avesse l'occasione, il cellulare di Maria suonò.

“Un attimo”, disse loro prima di rispondere: “Johansson”

Immediatamente il suo viso sbiancò e il suo sguardo incontrò quello di Zero. Aveva già visto quell'espressione prima, molte volte, troppe a dire il vero. Era uno sguardo di shock e orrore.

“Mandami tutto”, disse Maria al telefono, con voce tremante. Poi terminò la chiamata, e Zero sapeva già cosa stesse per riferire loro.

“C'è stato un attacco sul suolo americano”.

CAPITOLO OTTO

Di già? Zero era sbalordito dalla velocità con cui era arrivato un attacco successivo: aveva chiaramente sottovalutato la gravità della situazione.

Ma fu ancora più scioccato quando Maria disse loro dove si era verificato.

“L'attacco è avvenuto in una piccola città nel Midwest”. Maria scrutò lo schermo del tablet, leggendo rapidamente le informazioni che arrivavano in tempo reale. “Un posto chiamato Springfield, nel Kansas, ottocento cinquantuno abitanti”.

“Kansas?” Ripeté Zero. Se erano arrivati fino in Kansas dopo aver attaccato all'Avana, ciò significava che… “Devono aver viaggiato in aereo”.

“Il che significa che è un attacco pianificato”, aggiunse Strickland. Il giovane agente si alzò all'improvviso, come se ci fosse qualcosa che potesse fare in quel momento. “Ma perché? Cosa potrebbe esserci di significativo in un piccolo paesino nel Kansas?”

“Non ne ho idea”, mormorò Maria. Poi si portò una mano alla bocca. “Dio mio”. Guardò nuovamente Zero, con gli occhi spalancati. “Si stava svolgendo una parata. Con i ragazzi del college, famiglie e … bambini”.

Zero fece un respiro profondo, cercando di mantenere distaccata la sua sensibilità di padre ed ex professore dal suo ruolo di agente. “Vittime?”

“Non è chiaro”, riferì Maria, fissando il tablet. “È appena successo. La prima chiamata di emergenza si è verificata ventitré minuti fa. Ma…” aggiunse, poi s'interruppe. Fece un respiro profondo. “I resoconti dei primi soccorritori stimano sedici morti sulla scena. Probabilmente sono anche di più”.

Strickland camminava lungo la breve sala riunioni come una tigre in attesa di essere liberata da una gabbia. “Non possiamo presumere che le vittime siano tutte dovute agli effetti dell'arma. Alcune potrebbero essere state causate dal panico”.

“Ma forse è proprio questo il punto”, mormorò Zero.

“Aspetta, ci stanno mandando un video”. Maria inclinò il tablet e i due agenti si avvicinarono per vederlo insieme a lei. Lei premette play e sullo schermo comparve l'inquadratura traballante di qualcuno che filmava con un telefono cellulare. Stavano riprendendo la strada principale di una piccola città; si potevano vedere chiaramente i marciapiedi stipati di persone e sedie su entrambi i lati del viale.

Da dietro l'angolo arrivò un gruppo di giovani in divisa bianca e verde: una banda in marcia, che avanzava al ritmo dei propri strumenti; la musica si avvicinava sempre di più, sovrastando il frastuono degli applausi e delle grida.

“Sono quasi arrivati, Ben!” disse allegramente una voce femminile, presumibilmente la voce della donna che stava filmando. “Sei pronto? Saluta Maddie!”

La telecamera si abbassò brevemente, mostrando un ragazzino che non avrebbe potuto avere più di cinque o sei anni con un enorme sorriso sul suo volto mentre salutava la banda in arrivo. Poi ritornò a inquadrare la strada, mostrando un gruppo di giovani in magliette verdi che seguivano la banda: una squadra di calcio che lanciava manciate di caramelle da enormi secchi.

Un nodo di terrore si formò nello stomaco di Zero, sapendo del disastro che stava per colpirli.

Tuttavia, la transizione non fu improvvisa. Al contrario, fu lenta e bizzarra e si sviluppò in vari secondi. Zero si avvicinò, apprensivo ma anche rapito.

Prima di tutto, la telecamera si abbassò leggermente e la donna che la azionava mormorò: “Qualcun altro lo sente? Che cos'è?”

Quasi allo stesso tempo, diversi membri della band smisero di suonare. La musica cessò progressivamente e venne sostituita dalle grida confuse delle persone.

Una tromba cadde per terra. Poi un corpo. I membri della banda incespicavano. Dietro di loro, caddero anche alcuni giovani in maglietta. La telecamera tremò terribilmente mentre la donna si muoveva ansiosamente guardando a destra e a sinistra, cercando l'origine del suono o forse cercando semplicemente di capire cosa stesse succedendo.

“Ben?” strillò. “Ben!”

Molte urla si levarono dalla folla in tumulto. Per alcuni secondi, Zero fu testimone del caos assoluto; gente che correva l'uno sopra l'altro, tenendosi la testa e lo stomaco e cadendo rovinosamente. Poi il telefono cadde in strada e lo schermo diventò nero.

“Gesù”, mormorò Strickland.

Zero si strofinò il mento mentre si allontanava dal tavolo. In parte aveva ragione; era vero che un singolo fucile d'assalto avrebbe fatto più danni, ma questo, una forza invisibile, un'arma nascosta, nessun assalitore in vista, era decisamente straziante. Aveva semplicemente spazzato la strada come una brezza lenta, colpendo centinaia di persone in pochi secondi. Se un video del genere venisse diffuso…

“Questo video è pubblico?” chiese.

“Spero di no”, disse Maria, pensando chiaramente ciò che pensava lui. “Veniva dal dipartimento di polizia di Springfield, che è …” Consultò di nuovo il tablet. “Composto solamente da cinque ufficiali. Noi facciamo ciò che possiamo, ma dubito che riusciranno a tenerlo nascosto”.

“Se questo video viene divulgato, la gente andrà nel panico”, osservò Strickland.

“Esatto”, concordò Zero mentre elaborava una teoria ad alta voce. “All'Avana, hanno colpito un distretto turistico affollato. In Kansas una parata popolare. Aree popolate, apparentemente a caso. Forse stanno provando a dimostrare che la loro arma è solo un catalizzatore e che la folla farà molti più danni da sola”.

“Quindi potrebbe essere un messaggio, dopo tutto”, concluse Strickland mentre camminava per la sala conferenze.

Era l'unica ipotesi che sembrava aver senso in quel momento; un attacco a una città così piccola non poteva che essere un tentativo di far apparire i propri bersagli come casuali per seminare panico e confusione. “Ma se fosse così, cosa accadrebbe se arrivassero a New York City? O a Washington, DC?”

Strickland smise immediatamente di camminare. “In poche parole, ci stanno minacciando. Ci stanno dicendo che il loro prossimo attacco potrebbe essere ovunque. In qualsiasi momento”.

“Finora le autorità locali non sanno dare una spiegazione a ciò che è successo”, annunciò Maria. “Sembra che nessun altro oltre a noi stia collegando l'accaduto all'attacco all'Avana, per ora”.

“Ma non appena lo faranno”, aggiunse Zero, “nessuno si sentirà al sicuro”. Già immaginava lo scenario in cui una semplice passeggiata lungo una strada trafficata potesse concludersi con un attacco ad ultrasuoni. Senza sapere cosa stesse succedendo, da dove venisse o come fare per fermarlo.

Era un pensiero terrificante.

Il tablet di Maria squillò all'improvviso. Zero riuscì a scorgere una chiamata in arrivo sul server crittografato della CIA, ma sul display si leggeva esclusivamente la scritta “SICURO”.

Maria fece un sospiro e rispose. Era una videochiamata; improvvisamente apparve una donna bruna vestita elegantemente, solenne come una statua.

“Vicedirettore”, disse la donna.

“Signorina Halpern”.

Zero non riconobbe il volto della donna, ma conosceva il nome; Tabitha Halpern era il capo di stato maggiore della Casa Bianca sotto il presidente Rutledge. E conosceva abbastanza bene lo sfondo dietro di lei. Era seduta nella Stanza delle Decisioni, un posto in cui si era trovato molte volte prima di allora.

“Qui con me c'è il presidente”, disse Halpern. “Vorrebbe dirle alcune cose”. Poi ruotò lo schermo fino ad inquadrare Jonathan Rutledge, seduto a capotavola. Indossava una camicia bianca con le maniche raccolte fino ai gomiti, una cravatta blu annodata al collo e un'espressione stanca sul viso.

“Signor presidente”. Disse Maria. “Mi dispiace che si debba trovare in quella stanza per due volte in un giorno”.

“Quindi ha sentito?” Disse Rutledge, saltando le formalità.

“Sì, signore. Proprio ora”.

“È lui l'uomo dietro di lei? Vorrei parlargli”.

Zero non si era reso conto di essere parzialmente inquadrato dalla fotocamera e se avesse saputo che avrebbe fatto una videoconferenza con il Presidente, avrebbe indossato qualcosa di più elegante di una maglietta e una giacca leggera. Maria gli passò il tablet e lui lo tenne di fronte a sé.

“Quindi sei tu l'uomo che chiamano Zero”, disse semplicemente Rutledge.

“Sì, signore, signor Presidente”, rispose lui con un cenno brusco. “È un peccato doverci incontrare in queste circostanze”.

“Già”. Rutledge si massaggiò il mento. C'era qualcosa in lui che sembrava… beh, a Zero sembrava non proprio presidenziale. Sembrava perso. Sembrava un uomo spaesato. “Hai visto il video dell'attacco, agente?”

“Si, signore. Proprio ora. È terribile a dir poco, ma è la prima parola che mi viene in mente”.

“Terribile. Già”. Il Presidente annuì con sguardo perso e lontano. “Ha figli, agente Zero?”

Era una domanda strana, soprattutto se posta a un agente segreto la cui identità doveva essere riservata, ciò nonostante Zero gli disse: “Sì. Due figlie”.

“Anch’io. Di quattordici e sedici anni”. Rutledge appoggiò i gomiti sul tavolo e guardò Zero negli occhi, per quanto possibile attraverso una fotocamera. “Ho bisogno che trovi queste persone. Che trovi quest'arma. Che metta fine a tutto questo. Per favore. Non può accadere di nuovo”.

Anche in circostanze normali, e non era certo questo il caso, Zero non avrebbe mai potuto rifiutare un ordine del Presidente degli Stati Uniti. Tuttavia, non aveva bisogno che Rutledge lo implorasse di affrontare l'operazione. Da quando Maria aveva annunciato un attacco al suolo americano aveva capito che non avrebbe potuto sottrarsi all'incarico. Era scritto nel suo DNA; se avesse potuto fare qualcosa al riguardo, l'avrebbe fatto.

“Lo farò”. Poi diede un'occhiata a Strickland e si corresse. “Lo faremo, signore”.

“Bene. E dì a Johansson di mettere tutte le risorse possibili a tua disposizione”.

Zero si accigliò; era una strana affermazione, probabilmente destinata più a Maria che a lui.

“Buon lavoro”, disse Rutledge, e concluse bruscamente la videochiamata.

Zero restituì il tablet a Maria, che immediatamente controllò gli aggiornamenti in arrivo dal Kansas.

Strickland sospirò. “C'è solo un problema. L'Avana ora è un vicolo cieco, e se possono viaggiare così velocemente come hanno fatto, probabilmente non ci sarà nulla in Kansas. Abbiamo ancora meno tra le mani rispetto a prima”.

“Questo non è del tutto vero”. Disse Maria alzando gli occhi dal tablet. “Un testimone oculare a Springfield, un uomo anziano, ha riferito di aver superato una donna per strada pochi istanti prima dell'attacco: una donna bianca con dei capelli rosso vivo. Proprio come a Cuba. E quest'uomo afferma di averla sentita parlare russo in una radio”.

“In russo?” Ripeté Zero. Non avrebbe dovuto sorprendersene, dopo tutto quello che era successo nell'ultimo anno e mezzo. Ma le trame precedenti avevano coinvolto cabale segrete, enormi somme di denaro, persone potenti. Questa volta non sembrava esserci niente di simile, e non riusciva ad immaginare alcuna ragione per quell'attacco ad eccezione di una sorta di desiderio di vendetta.

“Anche così”, sottolineò Strickland, “sapere di una ragazza russa con i capelli rossi non restringe di molto il campo d'azione”.

“Hai ragione”. Maria tirò fuori il cellulare. “Ma qualcos'altro può aiutarci”. Premette un pulsante e poi disse al telefono: “Sto scendendo. Ho bisogno dell’OMNI”.

“Che cos'è l’OMNI?” Chiese Strickland precedendo Zero.

“È … complicato”, disse Maria in modo criptico. “Vi faccio vedere”. Si alzò dalla sedia, portando con sé il tablet mentre si dirigeva verso la porta.

Zero sapeva che “scendere” probabilmente significava andare al laboratorio di Bixby, il braccio sotterraneo di ricerca e sviluppo dell'Agenzia Centrale di Intelligence. Erano già in un piano sotterraneo e l'eccentrico ingegnere era l'unico a trovarsi sotto di loro, almeno per quanto ne sapeva Zero.

Ormai sapeva anche che non sarebbe tornato a casa, non avrebbe cenato con le sue ragazze. Una volta usciti nel corridoio vuoto, disse: “Aspettate. Posso fare una chiamata?”

Maria esitò, ma annuì. “Va bene. Ma fai in fretta. Ci vediamo agli ascensori”. Entrambi si diressero verso il corridoio mentre Zero tirava fuori il suo cellulare, insieme alla piccola tessera bianca che gli aveva dato Strickland.

Stava per far partire la chiamata, ma all'ultimo cambiò idea e aprì l'applicazione per effettuare videochiamate, tenendo il telefono dritto davanti a sé e inquadrando il proprio viso.

Il telefono squillò una sola volta prima che Maya rispondesse. Il suo volto era pieno di preoccupazione, e da ciò che riusciva a scorgere dietro di lei, si trovava in cucina. “Papà?”

“Maya. È successo qualcosa”.

“Lo so”, disse lei triste. “Ho seguito le notizie da quando sei uscito”.

“È già sulle notizie?”

“C'è un video”, rispose lei. “Fatto da qualcuno che era lì”.

Zero fece una smorfia. Se il video fosse già trapelato, non ci sarebbe stato modo di nasconderlo. A questo punto con ogni probabilità si trovava già sui social media, il che significava che in pochi minuti sarebbe stato virale, condiviso mille volte su milioni di schermi.

E a giudicare dall'espressione di Maya, lei l'aveva trovato spaventoso quanto lui. E se così fosse, avrebbe capito che non aveva altra scelta.

“Papà, che diavolo era?” chiese lei.

“Non posso dirlo”, le disse, cercando di essere il più vago possibile. “Dobbiamo trovare le persone responsabili di tutto questo. Il che significa che ho bisogno che tu faccia qualcosa per me… e per tua sorella”.

“Certo”, disse immediatamente. “Qualsiasi cosa”.

“Grazie. Ma prima… puoi chiamarmi Sara?”

“Un attimo”. Lo schermo si mosse e Maya passò il telefono alla sorella; un attimo dopo, Sara lo guardava attraverso il piccolo schermo, con uno sguardo piatto e la voce rotta. “Non torni a casa, vero?”

“Sara. Sai che non vorrei essere da nessun’altra parte se non a casa con te…”

“Papà”, lo interruppe lei, “non devi parlarmi come se fossi una bambina”.

“Per favore”, implorò lui, “lasciami finire. Devo dirti delle cose e non ho molto tempo”. Prese fiato e raccolse i suoi pensieri. “Non vorrei essere da nessun'altra parte se non a casa con te e non vorrei che tu stessi da nessun'altra parte se non a casa con me. Ma hai ragione; non sei più una bambina. Non posso trattarti come se lo fossi. Sappiamo entrambi che hai bisogno di più di quello che io posso offrirti”.

Sara capì immediatamente cosa stesse suggerendo. “Non voglio andare in uno di quei posti. Non sono per le persone come me”.

Sono proprio per persone come te, pensò, ma non lo disse per evitare che il discorso evolvesse in un litigio. “Questo lo è”, le disse. “È un bel posto, a Virginia Beach. Me lo ha consigliato Strickland. Anche lui ha passato un po' di tempo lì in passato. Tu ti fidi di lui, non è vero?”

Sara rimase in silenzio. Zero sapeva la risposta, ma ammettere che si fidava di lui significava cedere alla sua proposta. “Io voglio stare con te”, disse Sara. “Sto molto meglio. Non ho bisogno della riabilitazione”.

“Ne hai bisogno”, ribatté Zero, mantenendo un tono dolce e gentile. “Non vuoi ammetterlo, perché…” Un sorriso triste comparve sulle sue labbra. “Perché sei più simile a me di quanto tu voglia ammettere. Pensi come me. Hai fatto grandi progressi nelle ultime quattro settimane, ma hai sempre cercato una via di fuga nella tua testa. L'ho visto nei tuoi occhi. Pensavi a come farti una dose. Dove avresti potuto andare. Quanto lontano saresti potuta arrivare”.

Sara non negò, ma non lo guardò negli occhi.

“Ma questa non sei tu”, continuò lui. “Questa è la dipendenza. Queste persone possono aiutarti. Dato che hai deciso di vivere da sola, non posso costringerti ad andare. Deve essere una tua scelta… ma mi piacerebbe che ci provassi”.

Poi rimase in silenzio, aspettando la sua risposta. Negli occhi di sua figlia non vedeva uno sguardo di sfida né di rabbia; quello che vedeva era paura. Aveva paura di andare in un posto come quello. Forse, pensò, aveva paura di essere costretta a riconoscere alcune brutte verità su sé stessa.

“Va bene”, mormorò alla fine. “Va bene, papà. Ci andrò. Ci proverò”.

Lui fece del suo meglio per trattenere un sospiro di sollievo, e le sorrise dolcemente. “Bene. Grazie. Ti farà bene, te lo prometto. Verrò a trovarti non appena potrò”.

Lei annuì, e avrebbe potuto giurare di aver visto qualche lacrima nei suoi occhi. Ma le trattenne; non si sarebbe mai permessa di piangere.

“Dov'è tua sorella?” chiese.

Maya apparve da sopra la spalla di Sara non appena sentì le sue parole. “Sono qui”.

“La porterai tu?” chiese. “Passate una bella giornata insieme oggi. Potete andare domani. Prendi la mia macchina”.

Maya annuì. “Certo”.

“Grazie. Il posto si chiama Seaside House. Todd ha già chiamato; c'è un posto per lei quando vuole”. Poi guardò il corridoio vuoto alle sue spalle. Maria e Strickland lo stavano aspettando. “Devo andare ora. Vi voglio bene”.

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Yaş sınırı:
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Litres'teki yayın tarihi:
02 eylül 2020
Hacim:
362 s. 5 illüstrasyon
ISBN:
9781094305769
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