Kitabı oku: «Il ritorno dell’Agente Zero», sayfa 5

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Sto ascoltando.

No, ascolta. Ascolta e lasciati andare.

Qualcuno bussò a una porta tre volte. Il suono era vuoto e profondo come quello emesso da una grancassa. Anche se non riusciva a vedere, Reid immaginò mentalmente Yuri che batteva con il pugno sulla pesante porta d’acciaio.

Ca-chunk. Un catenaccio scivolò di lato. Un whoosh, e la porta si aprì accompagnata da una ventata d’aria calda. All’improvviso, un miscuglio di rumori: bicchieri che tintinnavano, liquido che sciabordava, ingranaggi che ronzavano. Strumentazione da vinificatore, a giudicare dal suono. Strano, da fuori non si era sentito niente. Le pareti esterne dell’edificio sono insonorizzate.

La mano pesante lo spinse all’interno. La porta si chiuse di nuovo e il catenaccio fu rimesso al suo posto. Il pavimento sotto di lui dava la sensazione di un liscio cemento. Le sue scarpe finirono in una piccola pozza. L’odore acetoso della fermentazione era molto forte e appena al di sotto, c’era quello dolce e familiare del succo d’uva. Fanno davvero il vino qui.

Reid contò i passi sul pavimento dell’impianto. Passarono attraverso una nuova serie di porte, accompagnati da una diversa gamma di rumori. Macchinari: una pressa idraulica. Un martello pneumatico. La catena tintinnante di un nastro trasportatore. L’odore della fermentazione lasciò il posto all’unto e all’olio dei motori, e… Polvere. Producono qualcosa qui, molto probabilmente munizioni. C’era qualcos’altro, un che di familiare, oltre all’olio e alla polvere. Era dolce, come le mandorle…  Dinitrotoluene, Stanno creando degli esplosivi.

“Scale,” disse la voce di Yuri, vicino al suo orecchio, quando la tibia di Reid andò a sbattere contro il primo gradino. La mano pesante continuò a guidarlo mentre quattro paio di piedi salivano le scale d’acciaio. Tredici gradini. Chiunque abbia costruito questo posto non era superstizioso.

In cima c’era l’ennesima porta d’acciaio. Una volta che fu chiusa alle loro spalle, il suono dei macchinari fu soffocato—doveva essere un’altra porta insonorizzata. Da vicino si alzava una musica classica, una composizione per pianoforte. Brahms. Variazioni su un tema di Paganini. La melodia non era abbastanza ricca da venire da piano vero, doveva esserci uno stereo.

“Yuri.” La nuova voce era un severo baritono, lievemente arrochita da troppe grida o troppi sigari. A giudicare dall’odore nella stanza, la colpa era dei sigari. Ma forse di entrambi.

“Otets,” disse ossequioso Yuri. Parlò rapidamente in russo. Reid fece del suo meglio per seguire, nonostante l’accento di Yuri. “Ti porto buone notizie dalla Francia…”

“Chi è quest’uomo?” volle sapere il baritono. Dal modo in cui parlava, il russo doveva essere la sua lingua nativa. Reid non poté evitare di chiedersi quale fosse il collegamento tra gli iraniani e quest’uomo russo, e gli scagnozzi nel SUV, già che c’era, e persino il serbo Yuri. Un traffico d’armi, forse, disse la voce nella sua testa. O qualcosa di peggio.

“Lui è il messaggero degli iraniani,” rispose Yuri. “Ha le informazioni che cerchiamo…”

“Lo hai portato qui?” lo interruppe l’uomo. La sua voce profonda si alzò in un ruggito. “Saresti dovuto andare in Francia per incontrarti con gli iraniani, non trascinare degli uomini qui da me! Comprometterai tutto con la tua stupidità!” Ci fu un solido schiocco, il rumore di uno schiaffo su un volto, e un ansimo di Yuri. “Devo scrivere il tuo compito su un proiettile, perché ti entri in quella testaccia dura?”

“Otets, ti prego…” balbettò Yuri.

“Non chiamarmi così!” gridò furibondo l’uomo. Una pistola fu caricata, un’arma di grosso calibro, dal suono. “Non chiamarmi con nessun nome in presenza di questo sconosciuto!”

“Non è uno sconosciuto!” strillò Yuri. “Lui è l’Agente Zero! Ti ho portato Kent Steele!”

CAPITOLO SETTE

Kent Steele.

Il silenzio regnò per diversi secondi che sembrarono minuti. Un centinaio di visioni lampeggiarono nella mente di Reid come prodotte da una macchina. La CIA. Servizio nazionale clandestino. Divisione attività speciali. Gruppo operazioni speciali. Operazioni psicologiche.

Agente Zero.

Se ti scoprono, sei morto.

Noi non parliamo. Mai.

Impossibile.

Era semplicemente impossibile. Cose come la cancellazione della memoria, gli impianti o le soppressioni erano stranezze da maniaci delle cospirazioni o da film di Hollywood.

Ormai non aveva più importanza, comunque. Avevano sempre saputo chi era, dal bar al viaggio in auto fino in Belgio, Yuri aveva sempre saputo che Reid non era chi aveva detto di essere. Ora era bendato e intrappolato dietro una porta d’acciaio insieme ad almeno quattro uomini armati. Nessun altro sapeva dove fosse o chi fosse. Un nodo di terrore gli strinse lo stomaco e minacciò di farlo vomitare.

“No,” disse lentamente la voce baritonale. “No, ti sbagli. Stupido Yuri. Questo non è l’uomo della CIA. Se lo fosse, non sarebbe qui.”

“A meno che non sia venuto per cercare te!” ribatté Yuri.

Dita afferrarono la sua benda e la tirarono via. Reid strinse gli occhi contro l’improvviso attacco delle luci fluorescenti. Sbatté le palpebre davanti a un uomo sulla cinquantina, con capelli brizzolati, una barba folta tagliata corta e uno sguardo acuto e intenso. L’uomo, presumibilmente Otets, indossava un elegante abito color carbone e portava i primi due bottoni della camicia aperti, sotto i quali spuntavano i peli del petto ricci e grigi. Si trovavano in un ufficio dalle pareti dipinte di rosso scuro e adornate da dipinti sgargianti.

“Tu,” disse l’uomo in un inglese fortemente accentato. “Chi sei tu?”

Reid prese un respiro tremante e lottò contro la tentazione di dire all’uomo che ormai non lo sapeva più. Invece, con voce incerta rispose: “Mi chiamo Ben. Sono un messaggero. Lavoro con gli iraniani.”

Yuri, che era in ginocchio dietro Otets, saltò in piedi. “Mente!” strillò il serbo. “Io so che mente! Dice che gli iraniani lo hanno mandato, ma non si fiderebbero mai di un americano!” Fece una smorfia. Dall’angolo della sua bocca spuntava un sottile rivolo di sangue, dove Otets lo aveva colpito. “Ma so dell’altro. Vedo, ti ho chiesto di Amad.” Scosse la testa e mostrò i denti. “Non c’è nessun Amad tra di loro.”

A Reid continuava a sembrare strano che quegli uomini sembrassero conoscere gli iraniani, ma non con chi lavorassero, né chi avrebbero mandato. Erano collegati in qualche modo, ma non gli era chiare quale fosse questo collegamento.

Otets borbottò imprecazioni russe sotto voce. Poi in inglese disse: “Hai detto a Yuri che sei un messaggero. Yuri dice che sei l’uomo della CIA. Chi devo credere? Di certo tu non somigli a come pensavo fosse Zero. E il mio galoppino idiota ha ragione su una cosa: gli iraniani detestano gli americani. Non ti vedo bene. Tu dimmi la verità, o io ti sparo in un ginocchio.” Sollevò la pesante pistola, una Desert Eagle serie TIG.

Reid rimase senza fiato per un momento. Era una pistola molto grossa.

Lasciati andare, lo sospinse la sua mente.

Non sapeva come fare. Non sapeva cosa sarebbe successo se lo avesse fatto. L’ultima volta che quegli istinti avevano preso il sopravvento, quattro uomini erano morti e lui si era ritrovato con le mani letteralmente sporche di sangue. Ma non c’era altro modo in cui potesse uscirne vivo, o meglio, il professor Reid Lawson potesse uscirne vivo. Ma Kent Steele, chiunque egli fosse, forse poteva farcela. Magari non sapeva chi fosse, ma non avrebbe avuto importanza se non fosse sopravvissuto tanto a lungo da scoprirlo.

Reid chiuse gli occhi. Annuì una volta, un tacito consenso alla voce nella sua testa. Lasciò cadere le spalle e le sue dita smisero di tremare.

“Sto aspettando,” disse seccamente Otets.

“Non vuoi spararmi,” replicò Reid. Fu sorpreso di sentire la propria voce tanto calma e rilassata. “Uno sparo a bruciapelo da quella pistola non mi distruggerebbe il ginocchio. Mi staccherebbe una gamba e io morirei dissanguato sul pavimento di questo ufficio in pochi secondi.”

Otets fece spallucce. “Come è che dite voi americani? Non si può fare una frittata senza…”

“Ho le informazioni che ti servono,” lo interruppe Reid. “L’ubicazione dello sceicco. Quello che mi ha detto. A chi ho passato le sue informazioni. So tutto del vostro piano, e non sono il solo.”

Gli angoli della bocca di Otets si sollevarono in un ghigno. “Agente Zero.”

“Te l’avevo detto,” esclamò Yuri. “Ho fatto bene, sì?”

“Chiudi la bocca,” ordinò Otets. Yuri si raggomitolò su se stesso come un cane bastonato. “Portalo al piano di sotto e fatti dire tutto quello che sa. Inizia tagliandogli le dita. Non voglio perdere tempo.”

In una giornata normale, quella minaccia avrebbe sconvolto di terrore Reid. I suoi muscoli si tesero per un istante, i peli sul suo collo si rizzarono… ma il suo nuovo istinto lottò contro il panico e lo costrinse a rilassarsi. Aspetta, gli disse. Aspetta l’occasione giusta

Lo scagnozzo rasato fece un secco cenno d’assenso e afferrò di nuovo il braccio di Reid.

“Idiota!” scattò Otets. “Prima bendalo! Yuri, vai allo schedario. Lì dovrebbe esserci qualcosa.”

Yuri corse allo schedario a tre ripiani di quercia che si ergeva in un angolo e vi spulciò dentro fino a quando non trovò un rotolo di spago grezzo. “Ecco,” disse, e lo lanciò allo scagnozzo calvo.

Tutti gli occhi si alzarono istintivamente sul rotolo di spago che roteava in aria, sia quelli degli scagnozzi, che quelli di Yuri e Otets.

Ma non quelli di Reid. Vide un’occasione e la colse.

Piegò a coppa la mano sinistra e la sollevò bruscamente verso l’alto, colpendo la trachea dell’uomo rasato con la parte più carnosa del palmo. Sentì la sua gola che cedeva all’impatto.

Mentre il primo colpo andava a segno, spinse il tallone dello stivale sinistro dietro di sé e calciò lo scagnozzo con la barba al fianco, lo stesso fianco su cui l’uomo aveva evitato di appoggiarsi durante il viaggio fino in Belgio.

Un ansimo bagnato e strangolato sfuggì dalle labbra dell’uomo rasato mentre si portava le mani alla gola. Lo scagnozzo con la barba grugnì e il suo grosso corpo roteò e cadde.

Abbattuti!

Lo spago finì a terra. E così anche Reid. In un unico gesto si abbassò sul pavimento e strappò la Glock dalla fondina da caviglia dell’uomo rasato. Senza neanche alzare lo sguardo, balzò in avanti e atterrò roteando su se stesso.

Non appena saltò, un boato risuonò nel piccolo ufficio, assurdamente rumoroso. Lo sparo della Desert Eagle lasciò un foro impressionante nella porta d’acciaio dell’ufficio.

Reid smise di roteare a un metro da Otets e si spinse in avanti, verso di lui. Prima che Otets potesse girarsi per prendere la mira, Reid gli prese la mano con la pistola da sotto—non afferrarla mai da sopra, è un ottimo modo per perdere un dito—e la spinse verso l’alto. La pistola sparò di nuovo, un'esplosione rumorosa a meno di un metro dalla testa di Reid. Gli fischiarono le orecchie, ma lui lo ignorò. Spinse di nuovo la pistola verso il basso e di lato, tenendo la canna lontana da sé mentre si portava l’arma al fianco, e la mano di Otets insieme a essa.

L’uomo di mezza età gettò la testa all’indietro e gridò quando il dito che era sul grilletto si spezzò. Il suono nauseò Reid, ma la Desert Eagle rimbalzò a terra.

Si voltò e strinse un braccio attorno al collo di Otets, usandolo come scudo mentre prendeva di mira i due scagnozzi. L’uomo rasato era fuori gioco, ansimando invano per riprendere fiato nonostante la trachea spezzata, ma quello con la barba aveva preso la sua TEC-9. Senza esitare Reid sparò tre colpi in rapida successione, due al petto e uno alla fronte. Un quarto proiettile gli diede il colpo di grazia.

La coscienza di Reid gli gridò dal fondo della sua mente. Hai appena ucciso due uomini. Altri due uomini. Ma la coscienza nuova era più forte, allontanava la nausea e il senso di autoconservazione.

Puoi farti prendere dal panico più tardi. Ancora qui non hai finito.

Reid girò su se stesso, con Otets davanti a sé come se stessero ballando, e alzò la Glock su Yuri. Lo sfortunato messaggero stava cercando inutilmente di liberare la Sig Sauer dalla fondina della spalla.

“Fermo,” gli ordinò Reid. Yuri si bloccò. “Mani in alto.” Il messaggero serbo alzò lentamente le mani, con i palmi verso fuori. Fece un ampio sorriso.

“Kent,” disse in inglese, “noi siamo buoni amici, non è vero?”

“Prendi la mia Beretta fuori dalla tasca sinistra della tua giacca e appoggiala sul pavimento,” gli disse Reid.

Yuri si leccò il sangue dall’angolo della bocca e agitò le dita della mano sinistra. Lentamente, le infilò nella tasca e ne estrasse la piccola pistola nera. Ma non l’appoggiò a terra. Invece la strinse, con la canna puntata verso il basso.

“Lo sai,” disse, “sto pensando che se vuoi delle informazioni, ti serve almeno uno di noi vivo. Sì?”

“Yuri!” ringhiò Otets. “Fai come ti ha detto!”

“A terra,” ripeté Reid. Non distolse lo sguardo da Yuri, ma temeva che altri nell’impianto potessero aver sentito il rombo della Desert Eagle. Non sapeva quante persone ci fossero al piano di sotto, ma l’ufficio era insonorizzato e i macchinari là fuori erano accesi. Era possibile che non lo avessero sentito, o che fossero così abituati al suono da non farci più caso.

“Forse,” disse Yuri, “prendo la pistola e sparo a Otets. Poi tu avrai bisogno di me.”

“Yuri, nyet!” gridò Otets, quella volta più sbalordito che arrabbiato.

“Vedi, Kent,” spiegò il messaggero. “Questa non è Cosa Nostra. È più, uh… una storia di impiegati scontenti. Vedi come mi tratta. Quindi magari gli sparo, e tu e io, ci mettiamo d’accordo…”

Otets strinse i denti e sibilò una sfilza di maledizioni a Yuri, ma il messaggero reagì solamente con un largo sorriso.

Reid stava diventando impaziente. “Yuri, se non abbassi la pistola subito, sarò costretto a…”

Il braccio di Yuri si mosse, solo un minuscolo segnale che stava per alzarsi. L’istinto di Reid scattò come una macchina che stesse cambiando marcia. Senza pensarci prese la mira e sparò, solo una volta. Successe tanto rapidamente che il rinculo della pistola lo spaventò.

Per un mezzo secondo, Reid pensò di averlo mancato. Poi sangue scuro eruttò da un buco nel collo di Yuri. Cadde in ginocchio, alzando debolmente una mano per fermare il flusso, ma era troppo tardi.

Servono due minuti per morire dissanguati dall’arteria carotide tagliata. Non voleva sapere come faceva ad avere quella certezza. Ma bastano dai sette ai dieci secondi per svenire per la perdita di sangue.

Yuri cadde in avanti. Reid subito si voltò verso la porta d’acciaio con la Glock puntata al suo centro. Aspettò. Respirava con calma e senza fretta. Non sudava nemmeno. Otets ansimava a fatica, e si teneva il dito rotto con la mano buona.

Non arrivò nessuno.

Ho appena sparato a tre uomini.

Non c’è tempo per questo ora. Esci di qui.

“Stai fermo,” ringhiò a Otets mentre lo lasciava andare. Calciò la Desert Eagle in un angolo distante, dove finì sotto lo schedario. Non gli serviva un cannone come quello. Lasciò anche le pistole automatiche TEC-9 degli scagnozzi, erano inaccurate e buone solo a spruzzare proiettili su vaste aree. Invece, spintonò di lato il corpo di Yuri e prese la Beretta. Tenne anche la Glock, infilando entrambe le mani con le pistole in ciascuna tasca della giacca.

“Usciamo di qui,” disse a Otets, “tu e io. Tu vai per primo e fai finta che non stia succedendo niente di strano. Mi accompagni fuori, fino a una macchina decente. Perché queste?” Mosse le mani, ognuna infilata in una tasca e stretta attorno a una pistola. “Queste sono puntate alla tua schiena. Fai un solo sbaglio, di’ una singola parola e ti infilo un proiettile tra le vertebre L2 e L3. Se avrai la fortuna di non morire, sarai paralizzato per il resto della tua vita. Hai capito?”

Otets lo fissò storto, ma era abbastanza furbo da annuire.

“Bene. Allora fai strada.”

L’uomo russo si fermò alla porta d’acciaio. “Non uscirai vivo da qui,” disse in inglese.

“Farai meglio a sperare che ci riesca,” ringhiò Reid. “Perché se no mi accerterò che non lo faccia neanche tu.”

Otets aprì la porta e uscì sul pianerottolo. I suoni dei macchinari riecheggiarono subito fragorosi. Reid lo seguì fuori dall’ufficio e sulla piccola piattaforma d’acciaio. Abbassò lo sguardo oltre la ringhiera, verso il piano sotto. Le sue idee, o quelle di Kent? erano state corrette. C’erano due uomini a lavoro su una pressa idraulica. Un altro era davanti al corto nastro trasportatore, a ispezionare componenti elettronici che rotolavano lentamente verso una superficie metallica alla fine. Altri due con indosso occhialini e guanti di latex sedevano a un tavolo di melamina, misurando con cura qualche tipo di sostanza chimica. Stranamente, notò che erano di varie nazionalità, tre erano bianchi e con i capelli scuri, probabilmente russi, ma due erano di certo mediorientali. L’uomo alla pressa era africano.

L’odore di mandorle del dinitrotoluene gli colpì le narici. Stavano producendo esplosivi, come aveva dedotto in precedenza dall’odore e dai suoni.

Sei in tutto. Probabilmente armati. Nessuno di loro alzò lo sguardo verso l’ufficio. Non spareranno qui dentro, non con Otets all’aperto e queste sostanze chimiche tutte in giro.

Ma non posso neanche io, pensò Reid.

“Impressionante, no” disse Otets con un ghigno. Aveva notato che Reid stava ispezionando il piano.

“Muoviti,” comandò lui.

Otets prese le scale, le sue scarpe rumorose sul primo gradino metallico. “Sai,” disse casualmente, “Yuri aveva ragione.”

Esci di qui. Vai al SUV. Abbatti il cancello. Guida come se ti inseguissero tutti i diavoli dell’inferno.

“Ti serve uno di noi.”

Torna sull’autostrada. Trova una stazione di polizia. Coinvolgi l’Interpol.

“E il povero Yuri è morto…”

Dagli Otets. Costringilo a parlare. Scagionati dall’omicidio di sette uomini.

“Quindi penso che tu non possa uccidermi.”

Ho ucciso sette uomini.

Ma è stata legittima difesa.

Otets raggiunse l’ultimo gradino, Reid dietro di lui con le mani infilate nelle tasche della giacca. Aveva i palmi sudati, ognuno stretto attorno a una pistola. Il russo si fermò e si lanciò una rapida occhiata dietro la spalla, senza guardare veramente Reid. “Gli iraniani. Sono morti?”

“Quattro di loro,” rispose lui. Il fracasso dei macchinari quasi soffocò la sua voce.

Otets schioccò la lingua. “Peccato. Ma d’altra parte… significa che non mi sbaglio. Non hai piste, nessun’altro da cui andare. Ti servo.”

Stava scoprendo il bluff di Reid. Il panico gli salì nel petto. L’altra parte, la parte che era Kent, lottò contro di esso, come costringendolo a deglutire una pillola a secco. “Ho tutto quello che lo sceicco ci ha detto…”

Otets ridacchiò. “Lo sceicco, già. Ma ti sarai già accorto che Mustafar sapeva molto poco. Era solo un conto in banca, agente. Era un debole. Credevi che gli avremmo detto i nostri piani? E se fosse così, perché allora saresti venuto fin qui?”

La fronte di Reid si coprì di sudore. Era andato lì nella speranza di trovare delle risposte, non solo su questo fantomatico piano ma anche su chi fosse lui stessi. Aveva trovato molto più di quanto avrebbe voluto. “Muoviti,” ordinò di nuovo. “Verso la porta, lentamente.”

Otets scese dalle scale, muovendosi piano, ma non si incamminò verso la porta. Invece fece un passo verso il laboratorio, e i suoi uomini.

“Che cosa stai facendo?” volle sapere Reid.

“Fammi vedere le tue carte, agente Zero. Se mi sbaglio, allora mi sparerai.” Sorrise e fece un altro passo.

Due degli operai alzarono lo sguardo. Dalla loro prospettiva, sembrava che Otets stesse semplicemente parlando con uno sconosciuto, forse un socio d’affari o un rappresentante di un’altra fazione. Nessun motivo per allarmarsi.

Il panico salì di nuovo nel petto di Reid. Non voleva lasciare andare le pistole. Otets era a soli due passi di distanza, ma Reid non poteva afferrarlo e spingerlo verso la porta, non senza allertare i sei uomini. Non poteva rischiare di sparare in una stanza piena di esplosivi.

Do svidaniya, agente.” Otets sorrise. Senza togliere gli occhi di dosso a Reid gridò in inglese: “Sparate a quest’uomo!”

Due lavoratori alzarono lo sguardo, guardandosi tra di loro e Otets in preda alla confusione. Reid ebbe l’impressione che fossero semplicemente operai, non soldati o guardie del corpo come il paio di scagnozzi morti al piano di sopra.

“Idioti!” ruggì Otets sopra al rumore dei macchinari. “Quest’uomo è della CIA! Sparategli!”

Quello attirò la loro attenzione. I due uomini al tavolo della melamina si alzarono rapidamente e misero mano alle fondine da spalla. L’uomo africano alla pressa pneumatica si abbassò per prendere un AK-47 ai suoi piedi.

Non appena si mossero, Reid saltò in avanti, tirando allo stesso tempo le mani, ed entrambe le pistole, fuori dalle tasche. Fece girare Otets per una spalla e sollevò la Beretta alla tempio sinistra del russo, per poi puntarla verso l’uomo con l’AK, stringendo a sé il capo.

“Non sarebbe molto saggio,” disse ad alta voce. “Sai che cosa potrebbe succedere se iniziassimo a sparare qui.”

La vista di una pistola alla tempia del loro capo spinse tutti gli altri uomini in azione. Aveva avuto ragione: erano tutti ben armati e ora aveva sei pistole puntate su di lui con solo Otets a frapporsi tra di loro. L’uomo con l’AK i mano guardò nervosamente verso i suoi compagni. Un sottile rivolo di sudore gli scivolò sul lato della fronte.

Reid fece un piccolo passo indietro, attirando Otets con sé con una spinta della Beretta. “Bravo, tranquillo,” disse a bassa voce. “Se iniziano a sparare qui, tutto il posto potrebbe saltare per aria. E non credo che tu voglia morire oggi.”

Otets strinse i denti e mormorò un’imprecazione in russo.

Poco alla volta indietreggiarono, un minuscolo passo alla volta, verso le porte dell’impianto. Il cuore di Reid minacciava di esplodergli fuori dal petto. I suoi muscoli si tesero nervosamente, e poi si distesero mentre l’altra parte di lui lo costrinse a rilassarsi. Rilassa le membra. I muscoli tesi rallenterebbero le tue reazioni.

Per ogni minuscolo passo che lui e Otets facevano all’indietro, i sei uomini ne facevano uno avanti, mantenendo la stessa breve distanza tra di loro. Stavano aspettando un’opportunità, e più si allontanavano dalle macchine e meno era probabile che innescassero inavvertitamente una reazione. Reid sapeva che era solo la possibilità di uccidere accidentalmente Otets che gli impediva di sparare. Nessuno parlava, ma le macchine ronzavano dietro di loro. La tensione nell’aria era palpabile, elettrica; era consapevole che in qualsiasi momento qualcuno avrebbe potuto farsi prendere dai nervi e cominciare a far fuoco.

Poi la sua schiena si appoggiò alle doppie porte. Un altro passo e le aprì, attirando Otets con sé con una spinta della canna della pistola.

Prima che le porte si chiudessero di nuovo, Otets ringhiò ai suoi uomini: “Non deve uscire vivo di qui!”

Poi si richiusero, e i due uomini si ritrovarono nella sala successiva, quella adibita alla vinificazione, piena del tintinnio delle bottiglie e del dolce profumo dell’uva. Non appena l’ebbero attraversata, Reid si girò con la Glock puntata a livello di un torso umano, continuando a puntare la Beretta su Otets.

Le macchina per l’imbottigliamento e la chiusura erano attive, ma era quasi tutto automatizzato. L’unica persona presente in tutta la stanza era una donna russa dall’aria stanca che indossava un foulard verde legato attorno alla testa. Alla vista delle pistole, Reid e Otets, i suoi occhi affaticati si sgranarono per il terrore e gettò in aria entrambe le mani.

“Spegnile,” disse Reid in russo. “Mi hai capito?”

Lei annuì vigorosamente e sollevò due leve sul pannello di controllo. Le macchine ronzarono e poco alla volta si fermarono.

“Vai,” le disse. La donna deglutì e indietreggiò verso l’uscita. “In fretta!” gridò secco lui. “Via di qui!”

Da,” mormorò lei. Corse verso la pesante porta d’acciaio, la aprì e svanì nella notte al di fuori. La porta si richiuse con un boato.

“E ora, agente?” grugnì Otets in inglese. “Quale è il tuo piano di fuga?”

“Stai zitto.” Reid sollevò la pistola alle doppie porte che davano sull’altra stanza. Perché gli uomini non erano entrati? Non poteva continuare a muoversi senza sapere dove fossero. Se ci fosse stata una porta sul retro nell’impianto, avrebbero potuto essere già fuori ad aspettarlo. Se lo avessero seguito, non sarebbe mai riuscito a mettere Otets sul SUV e ad andarsene senza farsi ammazzare. Lì dentro non c’era la minaccia degli esplosivi, avrebbero potuto sparargli se lo avessero voluto. Avrebbero rischiato di colpire Otets per arrivare a lui? Nervi scossi e una pistola non erano una combinazione ideale per nessuno, nemmeno per il loro capo.

Prima che potesse decidere il da farsi, le potenti luci fluorescenti sopra la sua testa si spensero. In un istante finirono immersi nell’oscurità.

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Yaş sınırı:
16+
Litres'teki yayın tarihi:
09 eylül 2019
Hacim:
431 s. 3 illüstrasyon
ISBN:
9781094310022
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Serideki Birinci kitap "Uno spy thriller della serie Agente Zero"
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