Kitabı oku: «Regno Diviso», sayfa 2
CAPITOLO TRE
5:17 ora della costa orientale
Sala operativa
Casa Bianca, Washington DC
“Ho già visto le foto,” disse uno stagista.
“Raccapriccianti. Cadaveri e parti del corpo disseminate sui pendii delle colline. E pensare che Marshall Dennis è tra di essi. Dio. Lo abbiamo studiato a un corso di imprenditorialità quando ero alla Wharton. Era fantastico – una vera e propria forza della natura. Uno così pare non dover morire mai. Tipo che non lo permetterebbe, o una cosa del genere.”
Luke saliva su un ascensore gremito di membri dello staff e gente dell’intelligence della Casa Bianca. Guardò quello che aveva parlato. Era molto giovane, alto e in forma, con una giacca elegante blu e una camicia dal colletto aperto sulla gola e un ciondolare di capelli biondi quasi a nascondergli il viso. A Luke ricordava le rock band new wave degli anni Ottanta.
Il ragazzo non aveva parlato a nessuno in particolare, solo a tutti i presenti nell’ascensore. Aveva fatto un bell’annuncio: aveva già visto le foto. Brevemente – molto brevemente – Luke si chiese di quale ricco donatore per la campagna fosse figlio o nipote.
L’ascensore si aprì sulla sala operativa a forma di uovo. Chi ci arrivava per la prima volta spesso rimaneva sorpreso di quanto fosse piccola. Quando giungeva una crisi, come adesso per esempio, e la stanza cominciava ad affollarsi, poteva dare un senso di claustrofobia. Era modernissima e organizzata per il massimo uso dello spazio, con ampi schermi incassati nelle pareti a pochi metri di distanza l’uno dall’altro e un gigantesco schermo di proiezione sulla parete di fondo alla fine del tavolo. Dal tavolo da conferenze posto al centro sorgevano tablet e sottili microfoni – potevano essere rimessi all’interno della tavola se il partecipante voleva usare un dispositivo proprio.
Ogni lussuosa poltrona in pelle alla tavola era già occupata. I posti lungo le pareti si stavano riempiendo di giovani assistenti, i quali per la maggior parte chiacchieravano tra loro, digitavano messaggi nei tablet o parlavano al telefono.
I giovani erano elettrizzati. Il loro futuro era pieno di speranza, e avevano occhi luccicanti di ambizione. Il fatto che fossero stati svegliati e convocati a una riunione di emergenza così presto per loro sottolineava solo quanto fossero importanti.
Giù verso il centro della stanza, dove si sarebbero prese le decisioni vere, i volti erano di decenni più vecchi e gli occhi meno luccicanti. Susan Hopkins sedeva al margine più vicino della tavola oblunga, su una sedia dallo schienale alto con sopra il sigillo del presidente. All’altro capo se ne stava in piedi il grosso Kurt Kimball con la sua zucca cromata, il consigliere per la sicurezza nazionale di Susan. Una distesa di uomini e donne dall’aria stanca occupava i posti tra di loro.
Susan e Luke scaglionavano sempre il loro arrivo a riunioni di emergenza come quella. Era una tattica volta a nascondere il fatto che si fossero appena svegliati, nel letto, insieme. Un’occhiata di Kurt disse a Luke tutto ciò che doveva sapere: non fregavano nessuno – o almeno nessuno di importante. Luke prese posto nella fila in fondo lungo la parete.
Guardò Susan, leggermente sotto di lui alla sua sinistra. In una mano teneva una grande tazza bianca per il caffè. Aveva un bell’aspetto – era snella e in forma in un tailleur con pantaloni blu e i capelli appena scompigliati. Susan riusciva a rendere sexy l’outfit più moderato. Parlava seria col suo capo di gabinetto, Kat Lopez.
Stone squadrò Kat da capo a piedi. Lunghi capelli neri, un viso carino, occhi scuri a mandorla e un corpo alto e tutto curve celato dentro a un tailleur azzurro – aveva un aspetto bello quasi quanto quello di Susan. Aveva gli occhi stanchi però, e le stavano comparendo le zampe di gallina. Kat non dimostrava la sua età, e le esigenze del lavoro la stavano logorando un po’.
D’un tratto Kurt batté le grosse mani di pietra. Al college aveva giocato a basket. Aveva mani enormi. Kurt stesso era grosso, ma le mani sembravano messe sul corpo sbagliato.
“Ordine! Tutti all’ordine, per piacere.”
La stanza si placò. Un paio di assistenti continuò a parlare lungo la parete. Era mattino presto, la gente beveva caffè, svegliandosi, cominciando la giornata. Quello era un posto per chiacchieroni. I giovani silenziosi e introversi di solito non finivano a lavorare alla Casa Bianca.
Kurt batté di nuovo le mani.
CLAP. CLAP.
CLAP.
L’ultimo colpo suonò come un dizionario integrale che andava a schiantarsi contro a un pavimento di marmo.
Nella stanza scese un silenzio di morte.
“Buongiorno a tutti,” disse Kurt. “Grazie di essere arrivati così presto. Ci conosciamo tutti, quindi saltiamo le presentazioni.” Fece una pausa e guardò Susan. “Signora presidente?”
“Signor consigliere per la sicurezza nazionale?” disse lei.
“Siamo pronti?”
Susan scosse la testa. “No. Ma la cosa non ci ha mai fermati.”
Kurt lanciò un’occhiata alla giovane che sedeva alla sua sinistra. Luke la riconobbe come l’assistente di lunga data di Kurt. Aveva ancora i capelli nel Caschetto alla Hopkins che Susan aveva abbandonato di recente. “Amy, cominciamo con Sharm el-Sheikh.”
Sull’ampio schermo dietro a Kurt, e sui più piccoli attorno alla stanza, comparve la foto di un terminal. Il tetto del terminal era bombato e ondulato, quasi come un tendone. In primo piano c’era una torre di controllo alta dieci piani. Sullo sfondo e in lontananza c’erano delle montagne frastagliate rosse e marroni.
“Questo è l’aeroporto internazionale di Sharm el-Sheikh,” disse Kurt. “È il terzo aeroporto più frequentato d’Egitto, e serve la penisola del Sinai, in particolare i resort turistici sul Mar Rosso situati nel meridione. Poco più di un’ora fa, è stato luogo di un devastante schianto aereo in cui sono perite ottantatré persone, inclusi sessantotto passeggeri, dodici membri dell’equipaggio e i tre piloti in cabina – tutti a bordo dell’aereo.
“Tra i passeggeri c’era Sir Marshall Dennis, ufficiale dell’Ordine dell’Impero britannico, fondatore e chief executive della Dennis Hotels Worldwide così come dell’impero editoriale Loose Lips. A bordo c’erano anche il deputato statunitense per il Texas Jack Butterfield e il console generale egiziano a Londra Ahmet Anwar. Il volo era un charter partito da Londra che trasportava un gruppo che doveva festeggiare l’apertura di un nuovo Dennis Hotel sul Mar Rosso, una joint venture con il Bonanza Hotel Group di base in Texas e il governo egiziano stesso.”
Kurt fece un attimo di pausa per guardare la stanza. “L’aereo era in arrivo, ed è esploso a mezz’aria al momento dell’avvicinamento finale alla pista. Tutte le indicazioni dicono che si è trattato di un crimine. L’aereo aveva tre anni di vita e aveva superato tutte le ultime ispezioni di sicurezza senza allarmi. La cosa suggerisce che o era stata installata a bordo una bomba o l’aereo è stato colpito da fuoco ostile, probabilmente da un razzo da spalla lanciato dalle montagne che vedete nella fotografia. Non c’erano militari dell’esercito egiziano nelle vicinanze in quel momento, e il filmato satellitare non mostra alcun utilizzo non autorizzato dello spazio aereo egiziano. Quindi non esiste possibilità che qualcuno abbia sparato all’aereo per sbaglio.”
“Da che parte pendiamo?” disse Susan. “Bomba o razzo?”
“Razzo,” disse Kurt senza esitazioni. “L’aereo era gestito dalla TUI Airways, la compagnia di voli charter più grande del mondo, con precedenti eccellenti in merito alla sicurezza e ai rigidi controlli eseguiti sui dipendenti. Il volo è partito dall’aeroporto di Gatwick, che lavora con alta sicurezza e non ha precedenti di scivoloni né violazioni. Certo, le indagini sul personale che ha caricato l’aereo o che è entrato in contatto con l’aereo prima del decollo sono appena iniziate. Però per il momento io mi sbilancio e dico che non ho ragione di credere che a bordo fosse stata piazzata una bomba.”
Kurt guardò un uomo con uniforme militare verde seduto al tavolo. Era magro e nerboruto, con la mascella squadrata e un taglio a spazzola grigio. Aveva sollevato leggermente la mano. Luke lo riconobbe istantaneamente.
“Generale?” disse Kurt.
“Frank Loomis del Joint Special Operations Command,” disse. “Non si sta sbilanciando. Senza divulgare troppo, si può dire che abbiamo della gente in Egitto, Libia, Arabia Saudita e Iraq. Gli ultimi dati giunti in nostro possesso indicano che si è trattato di un attacco da parte di Wilāyat Sīnā’, probabilmente con l’assistenza di esterni. Forse al-Qā’ida, forse l’ISIS. Inoltre stiamo dimostrando che…”
Kurt sollevò una grossa mano come segnale di STOP. Per di là passavano molti battitori pesanti abituati a gestire le cose. Ma tendevano a scoprire che quello era il regno di Kurt Kimball. Lui dava il ritmo e tu ci ballavi sopra.
“Ok, generale. Facciamo un passo alla volta e mettiamoci tutti sulla stessa lunghezza d’onda. Così sarà più facile.”
Il generale grugnì, forse in segno di assenso, forse di frustrazione.
“Amy, dammi la penisola del Sinai, per piacere.”
Sugli schermi di tutta la stanza apparvero mappe della penisola del Sinai, incastrata tra la vasta veduta dell’Egitto vero e proprio a occidente, il Mediterraneo a nord, Israele a nordest e il frammento di Mar Rosso direttamente a est. Luke quel territorio lo conosceva bene.
“La penisola del Sinai è il triangolo capovolto che vedete qui. Nominalmente parte dell’Egitto, ha fatto da terreno di gioco politico per tutta la storia umana. Dal 1968 al 1980 è stata occupata dagli israeliani in seguito alla guerra dei sei giorni. Tra il nord della penisola e la striscia di Gaza, vengono regolarmente scoperti tunnel sul confine, a indicare un solido spostamento di combattenti e materiali tra i due luoghi.
“La popolazione locale è composta da beduini nomadi, musulmani sunniti, elementi dei quali si sono sempre più radicalizzati negli ultimi anni, in particolare con la crescita del turismo sul Mar Rosso a sud e a est.”
Una donna di mezza età in tailleur sollevò una mano. “Presuppone che sia perché i resort sulla spiaggia portano la cultura occidentale, come alcol, balli e donne in bikini?”
Kurt scrollò le spalle. “Sono sicuro che la cosa offende alcune sensibilità. E credo che probabilmente questa sia la ragione per cui Marshall Dennis pare essere stato preso di mira nello specifico. I suoi resort hanno la reputazione di essere sede di un certo edonismo, e le sue riviste sono note per il loro lascivo gossip sulle celebrità e per le giovani modelle seminude.”
“Marshall Dennis era un maiale,” disse la donna.
Alcuni risero. Luke alzò gli occhi al cielo. Poteva essere un pochino presto per salire sul pulpito. E comunque era morto.
“La gente ha un’opinione forte su Sir Dennis,” disse Kurt. “Ma a prescindere dalle sue colpe, per essere chiari, un altro elemento in gioco qui è anche quello economico. I beduini sono stati cacciati da terre ancestrali nella ricerca di nuovi sviluppi, e una classe di operai egiziani e internazionali ben retribuiti si è recata lì per lavorare ai resort, innescando il boom della costruzione di infrastrutture e facendo aumentare i prezzi di quasi tutto. Non stiamo mica parlando del primo attacco terroristico avvenuto nella regione.”
Guardò l’assistente. “Amy, possiamo vedere la lista?”
Sugli schermi comparve una lista battuta al computer. C’era pochissima grafica. Ogni voce aveva un titolo in grassetto con una breve descrizione sottostante. La lista scorse, dando il senso della sua lunghezza – forse trenta o quaranta voci, tutte di attentati.
“Non la esamineremo in modo esauriente,” disse Kurt. “Potete tutti vedere quanti incidenti ci sono stati. Salteremo solo qua e là. Dicembre 2013 – un attentato a un complesso di polizia egiziano ha ucciso sedici reclute. Marzo 2014 – degli attacchi multipli di razzi da oltre confine su Eilat, Israele, hanno attivato il sistema di difesa israeliano Cupola di Ferro. Sono stati intercettati tutti i razzi meno uno, sono rimaste ferite dieci persone e c’è stata una morte per arresto cardiaco. Febbraio 2015 – un autobus è stato fatto saltare per aria lungo la costa del Mar Rosso, uccidendo tre turisti coreani e l’autista egiziano. Un successivo messaggio ha avvisato tutti i turisti di lasciare l’Egitto.”
Kurt sospirò. “E ovviamente quello grosso. Il volo Metrojet 9268 è esploso il 31 ottobre 2015 poco dopo il decollo da Sharm el-Sheikh. Il volo era pieno di turisti russi, e sono morte duecentoventiquattro persone, ovvero chiunque fosse a bordo.”
Fece una pausa. “In parte l’apertura di un nuovo Dennis Hotel da parte del governo egiziano era la dimostrazione della repressione finalmente ultimata di Wilāyat Sīnā’ e della riapertura dei resort del Mar Rosso.”
“Immagino che questa teoria ormai sia bruciata,” disse qualcuno.
“A rischio di sembrare ignorante,” disse Susan, “chi sono queste persone, questi… Wilāyat?”
Kurt annuì. “Certo. Wilāyat Sīnā’, o ISIS nella penisola del Sinai, è un gruppo un tempo conosciuto come Anṣār Bayt al-Maqdis, che tradotto significa seguaci della Casa Santa. Anṣār era un gruppo liberamente organizzato di cellule terroristiche salafite che perpetravano attentati nella regione dagli inizi del 2000. Dal 2011 il governo egiziano ha mosso passi aggressivi per sradicare quelle cellule. In risposta, Anṣār si è affiliata all’ISIS con un giuramento formale di fedeltà nel 2014. Abbiamo dati largamente corroborati che indicano che a mano a mano che l’ISIS perde il territorio un tempo da lei controllato in Iraq e in Siria, vede le anarchiche terre tribali – per lo più deserto e montagne – del Sinai come una possibile e allettante base operativa.”
Lo interruppe il generale Loomis. “Ovvio. Il che penso che mi riporti al punto originale.”
“Sì, generale,” disse Kurt. “Penso che adesso siamo pronti per il suo apporto.”
Loomis annuì. “Grazie. Per quanto questo schianto sia una cosa terribile, le voci di cui siamo al corrente indicano che non è l’attentato vero. Si tratta del gioco di prestigio di un mago, ideato per farci guardare in una direzione mentre la faccenda reale si svolge da qualche altra parte.”
“Che prove ha a supporto?” disse Susan.
Il generale scosse la testa. “Signora presidente, non ho la libertà di discutere i dati top secret in nostro possesso, né le fonti, in una riunione come questa. Penso che lei debba saperlo.”
Susan lo guardò tagliente. “Generale Loomis, come deve sapere lei, è mia prerogativa desecretare dati per mio capriccio, se rientra nei miei desideri. Ovviamente non lo farò. Ma nell’interesse di far agire le persone presenti in questa stanza, potrebbe essere utile che condividesse almeno il dove e il quando potrebbe aver luogo l’attentato vero.”
Il generale fece spallucce. “Signora presidente, se lo sapessi lei sarebbe la prima persona a cui lo direi.”
CAPITOLO QUATTRO
12:01 ora dell’Africa occidentale (6:01 ora della costa orientale)
125 miglia nautiche a sudest di Lagos, Nigeria
Golfo di Guinea
Oceano Atlantico
“Sta altissima, baby,” disse il tiratore alla sinistra di Eddie il Pazzo.
“Yeah, stasera ci facciamo una bella scorpacciata, Killem,” disse l’uomo alla sua destra. “Con una bella pollastrella.” Gli uomini attorno a loro risero.
Killem. Uno dei soprannomi di Eddie. Abbreviazione di Killem Dead, ammazzali tutti, che non era solo un soprannome, ma anche il suo motto personale.
Guidavano una piccola armata di motoscafi – una dozzina di vecchi go-fast. Le barche sembravano un po’ uscite da un film di Mad Max ambientato in acqua. Erano munite di giganteschi motori fuoribordo da trecentocinquanta cavalli e placcate da pezzi di acciaio saldato. Non c’erano finestrini – il conducente di ogni barca vedeva il mare davanti a sé attraverso sottili fessure tagliate nel metallo. Una delle barche, la più lenta e grossa del gruppo, aveva un ponte volante saldato sopra – in cima era montata una pesante mitragliatrice recuperata da un deposito militare nigeriano.
Il sole picchiava, e il suo duro bagliore si rifletteva sulle vaste acque dell’oceano.
“Combatteranno?” disse il primo.
Eddie guardò i suoi motoscafi. Avevano tutti sei uomini a bordo, e ogni uomo pullulava di armi – AK-47 e Uzi per lo più, ma anche una coppia di lanciagranate. Avevano tutti pistole, avevano tutti coltelli o machete. Gli uomini stessi erano rockstar, assassini spietati, e ne avevano tutta l’aria. Armatura di kevlar, coprenti occhiali da sole da aviatore, bandane a stelle e strisce in testa.
“Meglio di no,” disse Eddie.
Davanti, a forse un miglio di distanza, c’era l’oggetto del loro amore. Un vecchio mercantile procedeva lentamente verso nordovest. Era un aggeggio grosso, alto dieci piani, e si spostava pesante come un relitto. Era di un colore indeterminato – per lo più un misto di arancione arrugginito e di ciò che restava di una mano di verde scuro data probabilmente decenni prima. I motoscafi si avvicinavano da dietro, e lungo la poppa era appena leggibile una scritta bianca – LADY JANE.
La Lady Jane comunque era proprio in alto mare. Ad alcuni la cosa avrebbe fatto pensare che il mercantile fosse vuoto. Ma ad altri – a gente come Eddie il Pazzo Killem Dead – dava da pensare una cosa totalmente diversa. La Lady Jane se n’era rimasta ormeggiata a lungo in un porto congolese non regolamentato. Adesso si spostava con le stive vuote.
Che cosa trasportava?
Che genere di carico si era fatto strada fuori dalla selva senza legge e dilaniata dalla guerra della Repubblica democratica del Congo per finire nelle mani di contrabbandieri sulla costa? Metalli preziosi come coltan e oro sicuramente, ma c’erano cose anche migliori.
“Diamanti,” disse Eddie sottovoce, non accorgendosi neanche di parlare.
“Yeah, baby!” disse l’uomo accanto a lui. “Yeah!”
I diamanti erano piccoli, e pure leggeri. Una manciata valeva molti soldi. Un chilo nascosto in un muro finto su un vecchio mercantile poteva valere decine di milioni di dollari. Di più? Eddie non sognava tanto in grande.
No. Sarebbe stato un chilo, nel caso. Costringere l’equipaggio a mostrarti dov’erano nascosti – questo era il punto, no?
Eddie sorrise. Aveva già convinto delle persone, in passato.
La nave incombeva. Più vicina adesso, molto più vicina. I motoscafi rallentarono avvicinandosi al massiccio mercantile. La barca con il ponte volante si spostò a destra, puntando la pesante mitragliatrice sui ponti superiori della Lady Jane. Finora lassù non c’era stato movimento.
C’era una scala di emergenza imbullonata alla poppa, circa due piani sull’acqua. Sotto, la scala era stata tagliata per scoraggiare i pirati – pirati come Eddie e i suoi uomini. Bene così. Ognuno dei suoi motoscafi aveva una scaletta estendibile di alluminio che avrebbe raggiunto il fondo di quella di emergenza. Da lì poi c’era una salita di altri due piani per arrivare al primo ponte. Facile, con gli occupanti ben disposti.
Altrimenti…
Eddie si portò un megafono alle labbra. Con un solo dito portò la levetta su ON, e qualche secondo dopo la sua voce rimbombava nell’acqua.
“Lady Jane, Lady Jane, abbassate le armi e preparatevi all’arrembaggio.”
Sul ponte più alto, da dietro un parapetto di metallo apparvero due mani scure. Agitavano un ampio tessuto bianco – forse parte di un lenzuolo – pensato come bandiera di resa. Eddie di quella bandiera non si fidava. Non ancora.
“Tutti gli uomini non armati verranno risparmiati,” disse nel megafono. “Chiunque si opporrà verrà ucciso. Non metteteci alla prova.”
Dalla nave rimbombò una voce. Ce l’avevano anche loro, un megafono.
“Non abbiamo niente che volete.”
Eddie fece un grosso sorriso. Niente?
“Lo vedremo noi stessi.”
* * *
Se ci fossero stati problemi, si sarebbero palesati adesso.
Il primo motoscafo si era ancorato alla nave. Eddie osservava da un centinaio di metri di distanza. Il motoscafo sembrava un giocattolino accanto al mercantile.
Una scala di alluminio argentato si estendeva dal motoscafo al fondo reciso della scala di emergenza del mercantile. Il mare era calmo – qualche salto, ma abbastanza piatto da consentire la salita.
Un uomo salì la scala argentata, poi un altro, entrambi muovendosi come ragni. Quando il primo ebbe raggiunto quella di emergenza, con un AK-47 agganciato alla schiena, un terzo era salito su quella argentata e stava salendo.
Tre uomini in aria. Tre uomini fuori sopra al nulla, assolutamente esposti.
“Fermi ora,” disse Eddie nel megafono. “Non fate niente di stu…”
D’un tratto da dietro la bassa parete di metallo che abbracciava il ponte più basso saltò su un uomo. Si sporse oltre, con una mitragliatrice. Il brutto chiasso di fuoco automatico esplose nel silenzio del giorno.
DA-DA-DA-DA-DA. DA-DA-DA-DA-DA.
I due sulla scala d’argento crollarono, e i loro corpi andarono in pezzi. I resti sanguinolenti caddero nell’oceano, cibo per gli squali.
Il primo si aggrappò alla scala di emergenza, cercando di incastrare la testa e la parte superiore del corpo sotto a uno dei pioli. Finora era stato risparmiato.
Quello sul ponte si sporse fuori del tutto, puntando all’eliminazione dell’ultimo scalatore.
Eddie mirò all’uomo.
“Uccidetelo,” disse nel walkie-talkie nero.
Istantaneamente uno scoppio dalla pesante mitragliatrice sulla barca da pesca trasformò l’uomo in groviera. No, troppo delicato così. Lo liquefece. Il rinculo della pesante arma aveva fatto oscillare assurdamente la barca, ma il tiratore era un esperto. Inclinava su e giù l’arma, mettendo il fuoco sul ponte. Il metallo del muretto andò in pezzi come cartone. Vi apparvero dei buchi, e un istante dopo si accartocciò come una lattina.
Il primo scalatore era ancora vivo, e ancora una volta si faceva strada verso la cima. Altri due erano passati dal motoscafo alla scaletta argentata.
“Ancora!” urlò Eddie. “Voglio altri uomini sulla nave.”
Diavolo, ci sarebbe andato lui. Vedere i suoi uccisi gli aveva attizzato il sangue nelle vene. Urlò al pilota di avvicinare la nave. Il primo motoscafo si stava già scostando. Mentre il suo si avvicinava, la scala di alluminio della barca cominciò ad allungarsi. Eddie ci fu sopra prima ancora che la nave fosse stata agganciata.
La scala sorse a un angolo di quarantacinque gradi verso il mercantile. Lui la scalò, rapido come un gatto, anche se così traballante sferragliava e tremava. Si udirono altre armi. Guardò alla sua destra. La barca da pesca stava inondando i ponti superiori della nave di fuoco automatico.
“Bene!” urlò. “Fateli a pezzi.”
Eddie aveva quasi raggiunto la pensante scala di metallo di emergenza. Era a poco più di un metro di distanza, in avvicinamento, e poi si allontanava. Coprì la distanza con un balzo, poi si rimise a salire, stavolta dritto in linea verticale.
In meno di un minuto aveva salito altri due piani. Fece un respiro profondo e fece capolino col capo oltre la cima. C’erano tre dei suoi – ancora vivi, lì a tenere quell’angolo del ponte. Benissimo. Potevano portare tutti gli uomini su per di là.
Eddie abbassò lo sguardo. C’erano altri quattro uomini che salivano dietro di lui. Otto combattenti pesantemente armati presto sarebbero stati a bordo, con altri in arrivo. I trafficanti di quella nave probabilmente non avevano mai avuto più di una dozzina di uomini, tanto per cominciare.
Scivolò oltre la ringhiera.
I suoi erano accucciati sull’orlo in cui il passaggio curvava, e gli restituivano lo sguardo. Due contrabbandieri giacevano sulla passerella, a malapena cadaveri, i corpi eviscerati dal fuoco della mitragliatrice.
Eddie li guardò appena. Scuri neri, piccoli, congolesi, probabilmente hutu. Africani sì, ma selvaggi. Eddie Killem Dead era kanuri. Un’eredità di cui essere orgogliosi. Quelli lì erano spazzatura.
“Andiamo,” disse ai suoi. “Finiamo la cosa.”
Aveva un Uzi assicurato alla schiena. Lo prese e svoltò l’angolo. Cinquanta metri avanti, una spruzzata di pallottole mandò in pezzi i muri. La nave da pesca stava ancora mitragliando il fianco del mercantile. Altri due uomini giacevano morti sul passaggio. Oltre c’erano il frastornante cielo azzurro e il mare scuro.
Eddie e i suoi risalirono il passaggio, con gli stivali che producevano un rumore metallico sulla maglia d’acciaio sottostante. La passerella stessa sussultava a ogni passo – pareva che potesse separarsi dalla cornice. Quel mercantile era messo male.
Davanti, da un oblò spuntò fuori un’altra bandiera bianca che si mise a sventolare su un bastoncino. Forse questa era la vera resa, forse no.
Eddie aveva il megafono agganciato alla spalla. Lo abbassò e se lo portò alle labbra. “Gettate fuori le armi!” disse. “Tutte.”
Un AK-47 scivolò fuori dall’oblò successivo. Poi una pistola semiautomatica nove millimetri. Un machete. Un’altra pistola. Sferragliavano con un clangore quando colpivano la passerella.
Eddie fece cenno ai suoi di avanzare.
“Fatelo saltare,” disse.
Il primo prese una granata dalla tasca del giubbotto, tirò la spoletta e la lanciò attraverso l’oblò. Da dentro giunsero urla convulse. Gli uomini di Eddie indietreggiarono. Passò un secondo. Due.
BUUUUM.
Dagli oblò giunse un bagliore rosso e arancio. Adesso dentro c’era qualcuno che urlava. Eddie si portò al primo oblò e ci guardò attraverso. La cabina andava a fuoco. Il pavimento era disseminato di corpi e parti del corpo. Sembravano esserci ancora due uomini vivi. Uno se ne stava in silenzio a respirare pesantemente, col petto che si sollevava. Sarebbe morto presto. L’altro strillava, con occhi da pazzo.
Eddie guardò uno dei suoi e fece il gesto di tagliarsi la gola. Quello annuì e scivolò dentro all’oblò frastagliato. Un attimo dopo, le urla cessarono.
Eddie si mosse rapidamente, scattando su per una serie di scale in ferro. Adesso con sé aveva otto uomini. L’arrembaggio nemico era completo. Nessuno avrebbe tenuto la nave contro di loro. Sorrise al pensiero.
La sua truppa era efficiente, cavoli. Assassini.
Arrivarono alla timoniera, che era tutta finestre. Dentro c’erano tre uomini. Eddie riuscì a guardare dentro e a vederli chiaramente. Non provarono neanche a tenere fuori Eddie e i suoi. A che sarebbe servito?
Eddie si limitò ad aprire la porta e a entrare.
Gli uomini erano piccoli e di mezza età, ciascuno con addosso un’uniforme marrone chiaro. Sembravano agenti governativi di un qualche tipo. Che barzelletta. Erano trafficanti che veleggiavano con un vecchio mercantile decrepito indossando uniformi rubate o finte. La maggior parte dell’attrezzatura della timoniera sembrava scassata, inutile. Eddie sorrise agli uomini.
“Chi è il capitano?”
I tre lo fissarono, incerti.
“Ditemelo o uccido tutti e tre.”
Quello in mezzo, il più piccolo e il più vecchio dei tre, annuì. Era assolutamente calvo. Aveva mani larghe e la pelle nero scuro. Aveva la faccia profondamente rugosa. “Sono io il capitano.”
Eddie annuì. Guardò i suoi.
Risuonarono due colpi, e gli uomini accanto al capitano si afflosciarono istantaneamente a terra, entrambi morti prima di toccare il pavimento.
L’odore di polvere da sparo sorse nella stanza.
“Dove sono i diamanti?” disse adesso Eddie.
Il capitano era calmo. Sembrava appena sorpreso della morte che lo circondava. A vedersi, era in vita e in mare da molto tempo. Probabilmente era abituato a questo genere di cose. Abbassò le mani e scosse la testa.
“Non ci sono diamanti.”
“Niente diamanti?” disse Eddie con il sorriso più ampio che mai. “Ne sei sicuro?”
“Sì. Non c’è niente che potete volere voi.”
“E perché avete combattuto? Che cosa cercavate di proteggere?”
Il capitano fece spallucce. “Noi stessi. Perché voi siete sporchi pirati nigeriani. Sapevamo che ci avreste massacrati se aveste catturato la nave.”
“Che c’è a bordo?” disse Eddie. “Di sicuro qualcosa c’è.”
“Lo ripeterò,” disse il capitano. “Non c’è niente che volete voi. E sareste più felici se la lasciaste dove l’avete trovata. Ve lo assicuro.”
Eddie rise. “Allora qualcosa di importante. Fammi vedere.”
Scesero sotto ai ponti. Il capitano accompagnò Eddie e i suoi da una stiva vuota all’altra, scendendo sempre più nelle viscere della nave. Non c’erano segni di vita, nemmeno topi. Non c’erano neanche segni di merci – solo buie e arrugginite stive vuote e ripulite.
Alla fine entrarono in uno stanzone. Nell’oscurità si profilava un’alta mole. Gli uomini di Eddie non ebbero bisogno di farsi dire che cosa fare. Ci piazzarono su le torce.
Mentre si avvicinavano, la cosa divenne più chiara. Era un ampio box d’acciaio, color canna di fucile. I margini erano saldati insieme. Non era chiaro come si aprisse, oltre forse a tagliarlo con una fiamma ossidrica. C’erano dei segni in cirillico all’esterno – CCCP. Interessante. Le iniziali della vecchia Unione Sovietica. Voleva dire che quel coso vagabondava da più di vent’anni. Torreggiava sopra le loro teste.
“Cos’è?” disse piano Eddie, con la voce che echeggiava per la stiva cavernosa. “Un’arma?”
“Non lo so,” disse il capitano.
Eddie lo guardò severamente. “Non sai che cos’è?”
Scosse la testa. “Sapere non è il mio lavoro. Non sono affari miei.”
Quel coso aveva fatto uccidere tutti sulla nave, e ben presto avrebbe fatto uccidere anche lui. Però non erano affari suoi.
“Chi è il tuo cliente?”
L’uomo lo fissò torvo, forse immaginando la tortura che avrebbe patito finché non avesse risposto in modo soddisfacente.
“Se te lo dico mi uccidono.”
Eddie fece spallucce. “Sì, ma se non me lo dici…”
“Anche tu mi uccidi.”
“Ho ucciso tutti i tuoi uomini,” disse Eddie. “Tu sei vivo solo perché lo dico io. La tua sola speranza è dirmelo. Magari riesci a evitare il cliente. Magari per un pochino, magari per sempre. Ma evitare me? Per questo è troppo tardi.”