Kitabı oku: «Regno Diviso», sayfa 5

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CAPITOLO OTTO

12:15 ora della costa orientale

Sala stampa

Casa Bianca, Washington DC

“Buongiorno,” disse Susan. “Non ho molte informazioni per voi, quindi sarò breve.”

Era sul palco. Guardava una cinquantina di giornalisti e più o meno altrettanti fra telecamere e microfoni, cosa che sapeva avrebbe portato il suo volto e le sue parole quasi in ogni angolo del globo. Da molto tempo aveva smesso di preoccuparsene.

Per un breve momento, lasciò vagare lo sguardo per la stanza. Era una tetra mattinata invernale. Pareva che la gente non avesse voglia di starsene lì. Nemmeno lei. Le notizie erano brutte, e non voleva essere lei a darle. Ma la situazione richiedeva leadership, e così…

“Come tutti sapete, circa alle quattro del mattino, alle undici secondo l’ora locale, un aereo charter si è schiantato avvicinandosi all’aeroporto di Sharm el-Sheikh sulla penisola del Sinai, in Egitto. A bordo c’erano il deputato degli Stati Uniti per il Texas Jack Butterfield così come altri nostri stretti amici, incluso Sir Marshall Dennis del Regno Unito e il console generale egiziano a Londra, Ahmet Anwar. A bordo di quell’aereo è morto un totale di ottantatré persone, inclusi ventisette americani e persone provenienti da altri dieci paesi. Non ci sono stati sopravvissuti.”

Susan fece una pausa. Le telecamere ronzavano e ticchettavano nel silenzio.

“I filmati di videosorveglianza dell’aeroporto e i nostri dati satellitari hanno ora confermato quello che molti di noi sospettano fin dall’inizio – l’aereo è stato abbattuto da un missile terra-aria sparato dalle montagne circostanti. Condanniamo senza mezzi termini questo attentato codardo perpetrato ai danni di persone innocenti, e ci uniamo alla comunità internazionale nella determinazione di sconfiggere gli agenti del terrore.”

I reporter stavano già parlottando e borbottando, preparandosi a gridarle dietro domande. Anche se erano stati informati in anticipo che lei non avrebbe risposto.

“Facciamo le nostre sincere condoglianze alle famiglie delle vittime. I nostri pensieri e le nostre preghiere sono con voi.”

A Susan si fermò il fiato in gola. Per un attimo si sorprese a trattenere le lacrime. Pensava di aver superato quel genere di cose, di essere stata tanto indurita dalle tragedie che le emozioni non l’avrebbero più riguardata. Ma si sbagliava. Lo schianto di quell’aereo, la perdita subita dalle famiglie dei passeggeri, aveva innescato in lei qualcosa – la perdita di tantissime persone negli ultimi anni, le sue perdite, e la paura di altro in arrivo.

Le venne in mente un’immagine improvvisa – quella di sua figlia Michaela, sotto tiro, legata e assicurata a una passerella di quasi cinquanta piani su Los Angeles. La scacciò. Venne sostituita dalla brevissima, fuggevolissima immagine di un’esplosione sottoterra, una grossa porta d’acciaio che scoppiava e le fiamme che inglobavano l’uomo dei servizi segreti che camminava appena davanti a lei – il disastro di Mount Weather.

Adesso nella stanza la fissavano tutti.

Smise di seguire il discorso preparato e proseguì improvvisando. “In senso molto reale, non siamo solo con voi, ma noi siamo voi. Non per minimizzare il dolore personale di qualcuno, ma di recente tutti noi abbiamo passato le pene dell’inferno. Abbiamo perso famiglie, abbiamo perso amici – io ho perso alcuni dei miei migliori amici sulla Terra – e abbiamo perso la sensazione del sicuro e sensato mondo che un tempo avevamo. Ma riotterremo quella sensazione, e la passeremo ai nostri figli e ai nostri nipoti. Queste atrocità terroristiche si fermeranno!”

Quasi involontariamente, alcuni giornalisti e operatori televisivi si misero ad applaudire.

“Ancora non sappiamo chi siano stati i perpetratori di questo attentato. Ma prometto a tutti i qui presenti e a tutti nel mondo che lo scopriremo, e che a quel punto agiremo repentinamente per consegnarli alla giustizia. Vi ripeto anche che stiamo lavorando sodo, insieme a molti alleati e amici, per creare un mondo in cui incidenti del genere non accadano.”

Adesso ci fu quasi silenzio. Stava cominciando a ripetersi. Era questo che succedeva a virare rispetto agli appunti preparati.

Un robusto uomo con la barba della prima fila sollevò una mano grassoccia. Susan non se n’era accorta, ma lui parlò lo stesso. “Quando dice ‘consegnarli alla giustizia’,” disse, “intende un tribunale?”

Susan conosceva bene quel giornalista, ma al momento le sfuggiva il nome. Era quel tipo di giornata. “Quando ne sapremo di più, ne saprete di più anche voi,” disse.

Giunse un’ondata di domande. Parlavano tutti insieme, e Susan riusciva a malapena a distinguere una parola dalla successiva. Il suo contingente dei servizi segreti cercò di farla scendere dal palco. Lei si avvicinò al microfono un’ultima volta.

“Grazie,” disse.

Attraversò la pesante porta verde a destra del palco, con dei grossi corpi che la fiancheggiavano su ogni lato. Kat Lopez era in corridoio, con in mano un portablocco. Incrociarono lo sguardo.

Susan scosse la testa. “Penso che sia andata piuttosto bene,” disse.

CAPITOLO NOVE

19:31 ora dell’Africa occidentale (13:31 ora della costa orientale)

Club per gentiluomini Millennium Koko

Lagos, Nigeria

“Giusto in tempo, proprio come ho detto.”

Eddie il Pazzo si trovava a un tavolino rotondo con tre dei suoi uomini in una lussuosa sezione VIP del club esclusivo a due piani. Attraverso la partizione in vetro, poteva osservare l’azione al piano di sotto. Non si fermava mai. Anche se la serata era appena cominciata, c’erano tre ragazze sul palco, completamente nude eccetto le scarpe dai tacchi alti, tutte a ballare sul palo.

Brave ragazze forti, sapeva lui. Acrobate. Atlete. Eddie per mesi aveva vissuto al club nelle suite per la notte, e credeva di aver provato ogni ragazza che lavorava nel locale. Nere di lì, della Nigeria e dei paesi vicini, bianche della Russia e dell’Europa orientale, asiatiche della Cambogia e della Thailandia – Eddie le adorava tutte.

Le luci brillavano di viola, azzurro e arancione. Suonavano dei bassi pesanti, ma Eddie li percepiva più che udirli – la parete in vetro era ottima per cancellare il rumore. Di sotto era appena entrato nel club un altro gruppo – una mezza dozzina di uomini con caffettani azzurri e bianchi e pantaloni coordinati, kufi in testa. Avevano tutti folte barbe, quasi in maniera comica, come se fossero barbe finte incollate alla faccia.

Parlavano con i due grossi buttafuori alla porta, ma sembrava tutto in ordine. Eddie aveva già pagato loro l’entrata – non c’era bisogno che un ingresso di tremila naira facesse da elemento di rottura o avesse come conseguenza un improvviso massacro.

“Pronti, ragazzi?” disse Eddie. “Prepariamoci a dare il benvenuto ai nostri ospiti. Attenzione ai vestiti. Cercate armi.”

Eddie sollevò una mano e fece schioccare le dita, indicando ai due camerieri alla porta di portare fuori lo champagne. Era il modo di Eddie di fare il simpatico. I suoi ospiti erano musulmani salafiti che mai si sarebbero sognati di bere alcol. Però probabilmente si sarebbero divertiti molto a uccidere la gente che lo beveva.

E le ragazze nude? Che ballavano? Ciò portava la cosa a tutt’altro livello. Anche solo tenere la riunione al club era un altro modo di fare i simpatici. Eddie faceva Eddie, così dicevano alcuni.

I visitatori adesso stavano salendo la scalinata dal tappetto rosso e Eddie riuscì a vedere che due di loro erano i maggiori ricercati della Nigeria – vivi o morti. Preferibilmente morti. Gli altri erano uomini grossi, guardie del corpo.

Una delle guardie aprì la porta di vetro e il gruppo entrò. Eddie si sollevò dal suo posto al tavolino, così come i suoi. Con la coda dell’occhio, vide una coppia dei suoi ragazzi tutti prurito alle dita – erano ansiosi, pronti a ficcarsi le mani nelle giacche ed estrarre le pistole.

“Fermi,” disse. “È una visita in amicizia.”

Il leader andò dritto da Eddie. Era basso e magro, con una lunga e folta barba che mostrava striature di grigio. Aveva la pelle nero scuro e il viso era segnato da grinze e solchi. Quell’uomo aveva trascorso molto tempo nel grande Sahel, col sole a battergli addosso.

“Yisrael Abdul Salaam,” disse Eddie allungando le braccia. “Benvenuto a casa mia.”

“As-Salaam-Alaikum,” disse l’uomo.

Eddie scosse la testa e sorrise. “Come vuoi.”

“Edward,” disse il più piccolo, “ti conosco da quand’eri ragazzo, e sei sempre stato una fonte di guai. Ma questo…” Fece un cenno all’ambiente. Aveva gli occhi svegli e non sorrideva. “Questo è il lavoro del diavolo. Dovrei ucciderti per avermi costretto ad attraversare un tale covo di immoralità.”

Adesso Eddie smise di sorridere. L’ultima cosa che voleva era una ramanzina da un fanatico religioso. “Il mondo sta cambiando,” disse. “Questa è la nuova Nigeria. Soldi veloci, vita veloce, posti bellissimi, donne bellissime. Tu e il tuo dio siete relitti del passato. E l’orologio ticchetta.”

Gli occhi di Yisrael non vacillarono mai. “Prima della tua morte, che Allah ti faccia recidere quella sporca lingua dalla bocca.”

Tolte di mezzo le amenità, Eddie indicò il tavolino. “Ci accomodiamo per parlare un attimo?”

Yisrael annuì. Sedette al tavolo e Eddie si accomodò di fronte a lui. Il resto degli uomini restò in piedi. Eddie non si curò nemmeno di offrire a Yisrael una flûte di champagne. Non era più di buonumore. Si guardò intorno. Gli uomini erano tesi. Una riunione di cinque minuti poteva aver luogo senza sparatorie? Questa era la massima preoccupazione. Yisrael, ovviamente, non era un attentatore suicida. Era troppo importante per una cosa del genere.

“So che oggi hai rubato una cosa,” disse.

Eddie scosse la testa. “Ho trovato una cosa.”

“E non sai neanche che cos’è.”

Era vero. Negarlo non aveva senso. “Tu sì?”

Yisrael annuì. “Ma certo. Appartiene ad amici nostri.”

Adesso Eddie invece sorrise, un fantasma di un sorriso. “Ah sì? Io sapevo che voi di amici non ne avevate più.”

Yisrael mandò a sbattere il piccolo pugno sul tavolino. Tutt’intorno a loro, i tiratori, stupefatti, saltarono. E fremettero. Ma non estrassero le armi.

“Perché mi hai invitato qui?” disse Yisrael.

“Per offrirti personalmente la cosa che ho trovato. Perché sono un sentimentale, e tu sei un mio compatriota e fratello di tribù, dopotutto. Ma se non la vuoi, sono sicuro di riuscire a fare un accordo con questi tuoi amici.”

“Questi miei amici ti piazzeranno la testa su una picca.”

Eddie annuì lentamente. “Sì. Capisco. Ma la cosa la vuoi o no?”

I severi e incassati occhi di Yisrael lo fissarono. Parvero diventare tutto quanto. I tenui colori pastello del club, le luci lampeggianti, il basso sordo, persino i tiratori lì vicino – tutto parve sparire.

“Sì. Moltissimo.”

“Ti costerà un milione di dollari in contanti,” disse Eddie. “Puoi farcela a questo prezzo? So che i tuoi amici sì, e anche di più. È un articolo costoso. Oggi ho perso due amici per impossessarmene.”

Yisrael sorrise, ma il gesto non raggiunse gli occhi. “Che pena. Sono morti per soldi.”

“Meglio dei tuoi,” disse Eddie. “Che muoiono per una favola.”

D’un tratto, un uomo alto con un caffettano bianco ebbe una pistola in mano. Era ampio, scurissimo, con mani molto grandi. Puntò la pistola dritta alla testa di Eddie.

“Allah proibisce tali parole!” gridò, e per un istante Eddie pensò che potesse davvero tirare il grilletto. Parole. Quell’uomo avrebbe ucciso e sarebbe morto per mere parole. Be’, nel caso, almeno sarebbe stata una cosa… sbrigativa.

Ma un secondo dopo tutti gli uomini di Eddie avevano estratto le pistole. La canna di una si trovava a due centimetri dal cuoio capelluto di Yisrael. E gli uomini di Yisrael avevano estratto le loro. Pistole puntate ovunque nella stanza, una foresta di pistole. Ecco quello che si beccava Eddie per aver cercato di parlare con quella gente.

“Puoi recuperare i soldi o no?” disse.

Yisrael si appoggiò allo schienale della sedia e sorrise. Adesso sembrava rilassato. Forse non riusciva a rilassarsi a meno che non ci fosse omicidio nell’aria. “Penso che non siamo messi tanto male quanto credi. Trecentocinquanta milioni di naira, e per il momento tu ti tieni la testa sul collo. Mi pare un accordo meraviglioso per te. Non ti divertiresti a incontrare i miei amici.”

Eddie scosse la testa. “Dollari,” disse. “Un milione di dollari americani.” Sorrise ancora, ma il gesto non parve autentico. La gente come Yisrael sapeva proprio rovinarti il buonumore.

“Sono cittadino del mondo. A che servono a uno come me le naira?”

CAPITOLO DIECI

14:05 ora della costa orientale

Studio Ovale

Casa Bianca, Washington DC

“Proprio non ci credo che facciamo questa riunione,” disse Susan.

Non disse quello che pensava dentro di sé: Che voglia di torcere il collo a Stone.

Invece guardò Kat Lopez, appollaiata su una sedia dall’alto schienale dall’altra parte del salottino dello Studio Ovale. Kat sembrava fresca e rilassata. Come Kurt Kimball, Kat era un coniglietto della Duracell – andava avanti e avanti e avanti.

“Dammi i dettagli,” disse Susan.

“RAS,” disse Kat. “Ritorno Alla Saggezza. Più di trentamila membri per tutti gli Stati Uniti, e i numeri sono in crescita. Il quartier generale si trova qui a Washington, e hanno un dedito pool di donatori in tutti gli Stati Uniti, soprattutto tra i benestanti della Bible Belt. Sono stati fondati e originariamente finanziati dal magnate di mais del Midwest Nathan Davis. Come lobby la loro influenza sta crescendo, soprattutto tra i conservatori del Congresso. Hanno raccolto e speso più di quindici milioni di dollari nell’ultimo anno fiscale, senza contare altri milioni, dai cinque ai dieci, raccolti dal loro braccio no-profit, la Fondazione americana per l’educazione della famiglia.”

“E Lucy?” disse Susan.

“Lucy Pilgrim,” disse Kat senza esitare. “Attuale presidente dell’organizzazione RAS. Sessantasette anni. Lucy è stata una hippy e un’attivista politica in gioventù – contraccezione, ambientalismo, antinucleare. Nella metà degli anni Settanta lei e un gruppo di seguaci si sono recate a Central Park in topless ogni domenica per tre estati di fila. Se potevano farlo gli uomini, potevano farlo anche le donne.”

Kat fece una pausa.

“Un po’ per uno…”

“Giusto,” disse Susan quasi ridendo. “Non fa male a nessuno. Era intelligente. Lo sai tu o ce l’hai negli appunti?”

Kat scrollò le spalle. “Ho saputo di Lucy al college. Studi sulle donne. Una volta è venuta a parlare.”

Susan scosse la testa. “È un fenomeno.”

Kat sollevò una mano. “A un certo punto, Lucy dev’essere diventata religiosa. O magari un lato religioso l’ha sempre avuto ma non ha mai avuto troppa voglia di parlarne. Comunque è presidente della RAS da otto anni. Si dice che nel prossimo futuro darà le dimissioni. Le è stata diagnosticata una forma aggressiva di malattia di Parkinson, due anni fa. Pare che la cosa non l’abbia rallentata per niente, ma dovrebbe avere chiaro che forse dovremo accordarci con un’anatra zoppa.”

Susan puntò il suo sguardo più severo su Kat. “Non dovremo accordarci per niente, Kat. Che accordi dovremmo fare? Questa è un’organizzazione che vuole che le donne americane restino a casa a fare altri bambini, ho ragione? Per via di un’idea errata sull’esclusione degli immigrati?”

Kat annuì. “Dubito che loro la metteranno così, ma sì, più o meno.”

Susan scrollò le spalle. “Teniamo questa riunione per fare un favore al vicepresidente e nient’altro. Finiamola presto così possiamo andare avanti con il resto della giornata.”

Kat andò all’ampio monitor della tv a circuito chiuso appeso alla parete e lo accese. Era un pugno in un occhio, ma rendeva comodo comunicare con il vicepresidente Stephen Lief. Si trovava lì dall’insediamento di più di un mese prima. Ma da allora Susan aveva cominciato a pensare che lei e Stephen dopotutto non avrebbero comunicato poi tanto. Un attimo in carica, e aveva subito cominciato a oltrepassare i suoi confini.

La faccia occhialuta di Lief apparve sullo schermo gigantesco; era seduto nello studio del piano di sopra dell’Osservatorio navale. Lo studio di Susan. Argh. Che fastidio. Lo studio era la sua stanza preferita della casa migliore che avesse mai avuto. Lui se ne stava lì come se quel posto fosse di sua proprietà.

Stone!

Poteva biasimare Luke Stone per Stephen Lief. O poteva biasimare se stessa per esserci stata. O poteva biasimare la biologia umana e le endorfine dell’amore rilasciate dall’intimità fisica – facevano perdere al cervello le capacità di ragionamento.

Susan conosceva Stephen da molto. Quando lei era al Senato, lui era la leale opposizione dall’altra parte della navata, un conservatore moderato, mediocre – cocciuto ma non pazzoide. Ed era un uomo gentile.

Ma era anche del partito sbagliato, e per questo lei si era beccata molte critiche accese dagli ambienti liberali. Era un possidente terriero aristocratico, di famiglia ricca – uno della Mayflower, la cosa più simile alla nobiltà che avesse l’America. A un certo punto, pareva che avesse pensato che diventare presidente fosse suo diritto di nascita. Non certo il tipo di Susan; gli aristocratici che si credevano dei privilegiati tendevano a mancare del tocco comune che aiutava a connettersi con le persone che, ipoteticamente, si dovevano servire.

Dimostrava quanto Luke Stone le fosse entrato dentro anche solo che avesse preso in considerazione Stephen Lief. Era stata un’idea di Stone. Ricordava il momento preciso in cui gliene aveva parlato. Erano stesi insieme nel grande letto presidenziale. Lei stava riflettendo ad alta voce sui possibili candidati alla vicepresidenza, e Stone aveva detto:

“E perché non Stephen Lief?”

Lei aveva quasi riso. “Stone! Stephen Lief? Ma dai.”

“No, dico sul serio,” aveva detto.

Era disteso sul fianco. Il suo corpo nudo era magro ma duro come la roccia, cesellato e coperto di cicatrici.

“Sei bellissimo, Stone. Magari però i ragionamenti lasciali a me. Tu puoi adagiarti lì, a fare il bello.”

“L’ho interrogato alla sua fattoria, in Florida,” disse Stone. “Gli ho chiesto che cosa sapesse su Jefferson Monroe e sui brogli elettorali. Lui è stato chiaro con me fin da subito. Ed è bravo con i cavalli. Delicato. Deve pur voler dire qualcosa.”

“Lo terrò a mente,” disse Susan. “La prossima volta che cerco un cowboy.”

Ma dopotutto aveva scelto lui. C’entrava qualcosa il fatto che conservatori e liberali si unissero per ricostruire la fiducia nel governo. C’entrava qualcosa il fatto che Stephen fosse un mago al Congresso, e finalmente aveva fatto passare un progetto di legge sulle infrastrutture – una cosa necessaria al paese. Però finora la realtà di Stephen Lief era stata nel complesso meno impressionante della fantasia.

Nella mente di Susan cominciò a prendere forma un’idea, per Stephen Douglas Lief. Si sarebbe fatto un mese o giù di lì di viaggio negli Stati Uniti occidentali per un giro di assaggio di chili. Poteva partire dal remoto oriente, tipo dall’Ohio, provare un po’ del chili di Cincinnati famoso in tutto il mondo, meglio se come copertura letale di hot dog, e poi spostarsi a sudovest verso Louisiana, Texas, Arizona e California del Sud.

Difficile dire che fosse una punizione – si trattava di posti molto piacevoli in cui passare l’inverno. E inoltre avrebbe sviluppato uno stomaco di ferro, e Susan era sicura che un uomo come Lief, laureato in compassate scuole dell’East Coast come Choate, Princeton e Yale, avrebbe adorato scendere in strada per incontrare gente normale, tanto per cambiare. Susan ne prese nota mentalmente – Kat avrebbe assegnato a qualcuno il compito di cominciare a organizzare questo importante tour sociale non appena terminata quella conversazione.

Seduta accanto a Lief nello schermo c’era Lucy Pilgrim. Sembrava fragile e dimostrava più della sua età – tutt’altra cosa rispetto alla giovane bellezza che aveva ai tempi dell’attivismo in strada. Con la mente, Susan colse un’immagine di giornale in bianco e nero di una giovane Lucy che urlava in un megafono a un qualche raduno – giovane, energica, molto carina con i capelli lunghi e lisci che le arrivavano alla vita, in sbiaditi blue jeans aderenti e camicia a fiori. Prima o poi, col tempo dovevano farci i conti tutti.

“Salve, Susan,” disse Stephen Lief. “Voglio ringraziarla di aver accettato questa riunione.”

Susan fece spallucce. “Figurati. Sono sicura che comprendete entrambi che questa è una giornata difficile e che dovrò…”

Lief la interruppe. “Certo che capiamo. Jack Butterfield era un mio amico. Domattina andrò in Texas, per esserci all’arrivo del corpo.”

“E dovresti rimanerci, per il chili,” quasi disse Susan, ma non lo fece.

Invece guardò dritta verso Lucy Pilgrim. “Salve, Lucy, come sta?”

“Susan, è un piacere vederla. Grazie di questa chiacchierata con me.”

“Be’, ha dalla sua un campione, con l’ex senatore della Florida. Lui non accetta un no come risposta, a quel che ho capito.”

“Io e Stephen ci conosciamo da moltissimo.”

Susan fissava lo schermo. Lanciò un’occhiata a Kat, pensando di presentarla, e poi cambiando idea. Che senso aveva prolungare le carinerie?

“Lucy, in cosa posso esserle utile? Sono la presidente degli Stati Uniti, come penso che probabilmente sappia. Non sono io a fare le leggi. Non ha senso fare pressioni su di me.”

Lucy scosse la testa. E così Susan vide l’effetto di quel leggero movimento sul corpo della donna. Parve che la sua intera figura seguisse lo scuotimento del capo e poi continuasse per qualche altro secondo. L’effetto era sottile ma evidente. E quasi sicuramente contemporaneo al lavoro dei farmaci per controllare i tremori.

Susan sospirò. La vita. Andava così. Era molto, molto bello avere soldi, ma la salute costituiva la vera ricchezza.

“Susan, voglio solo farle sapere quello che stiamo facendo, e vedere se ci sono punti di incontro in cui potremmo trovare giovamento l’una all’altra.”

“Lucy, magari non se n’è accorta, ma adesso mi trovo in mezzo a una crisi internazionale.”

Lucy annuì. “E penso che la stia gestendo meravigliosamente. Ho seguito il suo discorso al notiziario poco fa. Sono rimasta colpita come sempre dalla sua abilità nell’inoculare emozioni potenti nella connessione con la gente. Ma, come tutte le crisi, anche questa passerà. E i nostri problemi interni saranno ancora lì. Le crisi internazionali non fanno sparire i problemi interni.”

“Né viceversa,” aggiunse Stephen Lief con un certo disagio.

“Esatto,” disse Lucy.

Susan quasi sorrise. Era una cosa molto simile a uno sketch di un programma comico notturno.

“Ok,” disse. “Sentiamo.”

Lucy si lanciò.

“Susan, sono cambiati i tempi da quando io e lei, soprattutto io, eravamo giovani. Magari non ci pensa quotidianamente perché la cosa non sembra avere rilevanza per lei, ma ci troviamo per le mani una bomba a orologeria demografica e culturale. Con ogni prossima generazione, donne bianche in quella che chiameremo età feconda continueranno a rimandare la decisione di avere figli. Donne della cosiddetta generazione X hanno rappresentato una svolta radicale col passato – una ogni sei ha scelto di non avere figli. La cosa sarebbe uno sviluppo notevole di per sé, se fosse temporanea. Ma le cosiddette donne Millennial apparentemente raddoppieranno questa cifra, e rimandano pure il matrimonio. La situazione peggiora a mano a mano che scendiamo con l’età. Le ragazze delle superiori, se interpellate sul desiderio di avere figli, mettono la cosa molto in basso nella loro lista delle priorità. Il matrimonio si trova in fondo alla lista.”

Susan fissava lo schermo.

“Non ci sostituiremo, Susan. Una società si riduce e muore quando non si sostituisce. È decisamente più preferibile che una società continui a crescere. Un’economia in crescita ha bisogno di persone che la nutrano. E una leadership continua in tutte le aree ha bisogno di…”

Susan sollevò una mano. “Mi corregga se sbaglio, Lucy. Ma, a quanto ne so io, la nostra popolazione cresce a passi da gigante ogni anno. Abbiamo ben più di trecentoventi milioni di persone, e ne sono previsti trecentocinquanta per il…” Susan si fermò un momento. “Kat, per caso hai i numeri?”

Kat scosse la testa. “No, non così su due piedi, ma sono sicura che possiamo recuperarli.”

Lucy stava scuotendo tristemente la testa. “Immigranti,” disse. “E i figli degli immigrati. L’unica ragione per cui questo paese sta ancora crescendo è perché importiamo gente da altrove. Non è un buon sistema per far crescere una popolazione. L’Impero romano l’ha scoperto, con suo grande sgomento.”

Susan fissò assente lo schermo. Andò in cerca di una risposta, e non ne trovò nessuna. Non le piaceva rimanere senza parole.

“Sono piuttosto sicura che abbiamo sempre fatto così,” disse Susan trovando la voce. Non sapeva bene dove si stesse andando a parare, ma già sospettava che non le sarebbe piaciuto. “Persino la Mayflower è venuta da altrove, a quel che ricordo. Ricorda la Statua della Libertà, no? Datemi i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi… Le viene in mente qualcosa?”

Lucy scuoteva ancora la testa, stavolta con enfasi, scatenando una reazione a catena in tutto il corpo magro da cui Susan non riuscì a distogliere lo sguardo.

“Noi non siamo contro ai migranti, Susan, se è ciò che la preoccupa. Quello a cui siamo contrari è il dissesto culturale. Siamo contrari a questo perdere di vista ciò che significa essere americani. Noi vogliamo preservarlo. E così sentiamo che il nostro lavoro è incoraggiare le giovani donne americane ad avere più figli e contribuire alla creazione di un ambiente a ciò propizio.”

“Penso che le giovani potrebbero essere più interessate a esplorare le altre opzioni a loro disposizione, al momento,” disse Susan. “Penso che, adesso, le opzioni per le donne possano essere il meglio che ci sia mai stato.”

Adesso Lucy sollevò una mano. “C’è un granello di verità in questo,” disse. “Ma solo un granello. Le donne moderne si stanno facendo prendere dalla vita frenetica, e questa è una trappola. È una gara che non tutte vincono, Susan. Non tutte le donne diventano top model milionarie, senatrici e poi presidenti degli Stati Uniti. Non tutte sposano uno degli uomini più ricchi della Terra.”

Lucy fissava lo schermo. Accanto a lei, gli occhi da gufo di Stephen Lief si fecero grandi occhioni da cerbiatto davanti ai fanali di una macchina. D’un tratto, parve che non trovasse grandiosa l’idea di quella riunione, come se preferisse trovarsi da qualche altra parte.

Non aveva bisogno di preoccuparsi. Il giorno successivo all’incontro con il cadavere del suo amico, in Texas, sarebbe stato a Cincinnati, circondato da telecamere della televisione e da amici, con un bavaglino attorno al collo, a mangiare manzo bollente e porridge di pomodoro su wurstel.

“Le donne possono facilmente sprecare la loro giovinezza inseguendo un miracolo, quando potrebbero trascorrere quello stesso tempo sposandosi, creando una casa e costruendo una famiglia. Io e lei possiamo aiutarle con lo sviluppo di nuovi incentivi, come detrazioni fiscali per l’assistenza all’infanzia in casa, l’espansione di programmi alimentari che aiutino con le fatture dei negozi di alimentari, persino con pagamenti federali irripetibili per il parto.”

Lucy stava proponendo uno stano misto di idee di destra e sinistra. Voleva che le donne bianche si sposassero e facessero più figli, e voleva che il governo federale pagasse. Susan si chiese se nella testa di Lucy una tale munificenza sarebbe stata estesa alle donne di colore.

Susan fu sul punto di chiederglielo, ma invece scosse la testa. “Io non sono il comitato per gli stanziamenti, Lucy. Non lo faccio io il budget, lo firmo e basta. Lo sa come vengono fatte le cose.”

“Se lei caldeggiasse la causa, non crede che la gente presterebbe attenzione?”

Susan fece un mezzo cenno di assenso. Se improvvisamente si fosse messa a perorare la causa delle donne che rimanevano a casa a sfornare bambini e preparare la cena al marito, la gente se ne sarebbe sicuramente accorta. Più che altro perché sarebbe andata contro a tutto ciò per cui aveva sempre lottato. Era ora di porre fine alla cosa.

Susan non si era mai abituata ai lobbisti e ai loro toni sproporzionati quando era al Senato. Quando era vicepresidente, veniva largamente vista come impotente, quindi i lobbisti la lasciavano stare. E da presidente, più che altro li teneva a distanza di sicurezza. Se mai aveva bisogno di ricordarsene la ragione, bastava quella conversazione.

“Lucy, posso prometterle che faremo tutto ciò che possiamo.”

Lucy aveva una bella esperienza. Doveva aver colto il tono di voce di Susan. “Lo spero, Susan. Lo spero. Grazie di avermi ascoltata. Mi farebbe piacere offrirle il pranzo, un giorno.”

Susan sorrise. “Farebbe piacere anche a me. Sono una sua grande ammiratrice. Lo sono sempre stata. Ci vediamo appena terminato il mio mandato.”

Lucy annuì. “Ok.”

Kat andò al monitor e spense il dispositivo. Lasciò uscire un lungo sospiro e guardò Susan. Sollevò le sopracciglia. Il resto del suo scuro e bel viso era cautamente neutrale. Strinse le labbra, ma non si aprì in un sorriso.

“Nel frattempo ho ricevuto un messaggio da Kurt. Tra mezz’ora si radunerà della gente in sala operativa. Ha bisogno di lei lì. Sono arrivate nuove informazioni sullo schianto aereo.”

L’aria uscì dai polmoni di Susan come se fosse stata accoltellata sul fianco. “Ok. Però prima dobbiamo parlare dell’agenda di Stephen Lief per le prossime settimane. C’è una cosa importante che ho bisogno che faccia per me.”

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Litres'teki yayın tarihi:
15 nisan 2020
Hacim:
332 s. 4 illüstrasyon
ISBN:
9781094305028
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