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Kitabı oku: «Dell'Emancipazione civile degl'Israeliti», sayfa 3

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Sono esclusi dalla professione forense; ed è da notarsi che la Laurea che vien loro concessa, non è però punto eccezionale nè limitata.

Sono parimenti esclusi dagli impieghi governativi; quantunque neppur in ciò vi sia legge espressa che lo vieti, come per quegli uffici ove è espressamente voluta la condizione di professare la religion cattolica.

Non pertanto, il Governo in alcuni casi ha introdotte eccezioni a questa consuetudine.

La nuova vita data ora all'Italia da' suoi Principi riformatori, s'è anco manifestata nel fatto degli Israeliti, rendendo generale tra' Cristiani il desiderio della loro rigenerazione, e più viva tra' primi la speranza e l'operosità per ottenerla. Il giorno 3 novembre una loro deputazione, presieduta dal signor Pardo-Roques, presentò all'ottimo Principe una domanda d'assoluta emancipazione, accolta paternamente dal Gran Duca, e confortata di buone speranze, che non saranno certamente vuote ed illusorie lusinghe.

Nel Regno Lombardo-Veneto e nel Ducato di Parma assai mite è la condizione degli Israeliti. Essi sono ammessi nella milizia, all'esercizio di molti pubblici impieghi, alla professione legale, e ne' consigli municipali. Ad un dipresso, le medesime leggi li reggono nel Ducato di Modena.

Nel Regno delle Due Sicilie non sono Comunità Israelitiche.

Passo ora agli Israeliti di Roma, che furono principale ed immediata cagione che io dessi opera a questo breve cenno; e dai quali, condotto dall'argomento e dalle attuali tendenze dell'opinione, mi son poscia esteso a parlare anco degli altri, tanto esteri che Italiani, e a trattare con qualche maggior larghezza la questione di principio, che si connette alla loro causa.

III

Sotto il Pontificato di Paolo IV, nel 1554, furono gli Israeliti rinchiusi nel Ghetto.

Che cosa sia il Ghetto di Roma, lo sanno i Romani, e coloro che l'hanno veduto. Ma chi non l'ha visitato, sappia che presso il ponte a Quattro Capi s'estende lungo il Tevere un quartiere, o piuttosto ammasso informe di case e tugurj mal tenuti, peggio riparati e mezzo cadenti (chè ai padroni per la tenuità delle pigioni, che non possono soffrir variazioni in virtù del jus Gazagà,1 non mette conto spendervi se non il pretto indispensabile), nei quali si stipa una popolazione di 3900 persone, dove invece ve ne potrebbe capire una metà malvolentieri. Le strade strette, immonde, la mancanza d'aria, il sudiciume che è conseguenza inevitabile dell'agglomerazione sforzata di troppa popolazione quasi tutta miserabile, rende quel soggiorno tristo, puzzolente e malsano. Famiglie di que' disgraziati vivono, e più d'una per locale, ammucchiate senza distinzioni di sessi, d'età, di condizioni, di salute, a ogni piano, nelle soffitte e perfino nelle buche sotterranee, che in più felici abitazioni servono di cantine.

Questa non è la descrizione del Ghetto, nè d'un millesimo delle dolorose condizioni che, nel silenzio e nell'abbandono d'una miseria ignorata, si verificano fra le sue mura; ma vi è appena un cenno: chè a farne una giusta relazione, troppo ci vorrebbe.

Così per capi principali verrò toccando delle maggiori miserie che soffriva e soffre quest'infelice popolo.

Anticamente (si conosce per tradizione) gli Israeliti dovevano nell'agosto dare di sè turpe spettacolo alla plebe ne' così detti giuochi d'Agone e Testaccio; dovevano parimente precedere a piedi, fra gli oltraggi del popolo, la cavalcata del Magistrato Romano. Clemente IX li assolse da questa dolorosa cerimonia, mediante una prestazione di 300 scudi; e dai giuochi predetti, mediante un'altra di scudi 531. 17. a beneficio della Camera Capitolina.

Una deputazione de' Maggiorenti della Comunità Israelitica doveva presentarsi, il primo sabato di carnevale, al Magistrato Capitolino radunato in seduta pubblica, e fargli una prestazione in denaro, ed una umile allocuzione. Il Magistrato rispondeva brevemente, ed il suo capo congedava i Deputati con una parola di disprezzo. Ma questa cerimonia vergognosa poteva ella sussistere sotto un Pio IX? Egli l'abolì appena giunto al pontificato.

È vietato agli Israeliti il possedere beni stabili, professare arti liberali e che richiedano pubblica fiducia, come avvocati, notai, medici; e neppure i mestieri più comuni, di fabbro, scalpellino ec.: e per una strana e capricciosa eccezione, venne loro concesso, son pochi anni, di poter esser falegnami, tessitori di cotonine, ed ebanisti.

Alla casa de' Catecumeni sono pagati annualmente dagli Israeliti scudi 1100, e scudi 300 al monastero delle Convertite; e questo tributo non si appoggia ad altro titolo salvo la volontà di chi lo impose. Quando noi ci lagnamo che il Governo Inglese costringa i Cattolici d'Irlanda a far le spese ad un culto che non professano, ci lagnamo a ragione. Perchè, dunque, fare agli Israeliti quel medesimo che non vogliamo sia fatto a noi?

Molti pesi sono inoltre imposti agli Israeliti, a cui non soggiacciono gli altri sudditi; mentre a questi sono aperte tutte le vie dell'industria e d'un onesto guadagno, che ai primi sono chiuse.

Una tassa detta d'Industria e Capitali, attualmente pagata da 113 individui, di cui l'infima cifra è di sc. 4, la massima di sc. 150.

Alla Camera Capitolina, per ispesa de' pali ed apparature del Carnevale, scudi 831. 57. 1/2. Ora però la Commissione incaricata da Sua Santità di compilare lo Statuto del Municipio, e che così onoratamente e con tanta soddisfazione dell'universale ha saputo adempiere la sua missione, proponeva l'abolizione della prestazione suddetta.

Al Segretario del Vicariato, per la sua presenza alla predica alla quale debbono assistere gli Israeliti in Sant'Angelo in Pescheria, coll'accompagno altresì de' Carabinieri, scudi 73. 60.

Quanto questa predica, udita a forza e con tale apparato, conferisca a disporre gli animi ed aprire i cuori a quegli affetti che preparano le vie alla persuasione, ognuno lo può immaginare.

Al portinajo cui è commesso la guardia delle porte del Ghetto, scudi 163. 60.

Ai Parrochi delle circonvicine parrocchie, onde compensarli della popolazione cristiana che potrebbe occupare l'area tenuta dagli Israeliti, scudi 123.

Mancie prescritte di Natale e Agosto, scudi 205.

Apparati e palchi pel carnevale ad uso di pubbliche deputazioni d'ufficio, scudi 109. 92.

Legale, Computista, Esattore dell'Università israelitica, che debbon esser Cristiani, scudi 360.

Una tassa d'un bajocco sopra ogni libbra di carne. A ciò s'aggiunga, che non essendo gli Israeliti ammessi a partecipare della pubblica carità, del beneficio degli ospedali, dei lavori a sollievo de' poveri, ed essendo essi (e come sarebbero altrimenti?) la massima parte poverissimi, tantochè si calcola gli individui privi all'atto d'ogni proprietà ascendere a 2000; ne avviene necessariamente, che la loro sussistenza in istato di validità, e la loro cura in caso di malattia o di vecchiaja, ricade sui più facoltosi, i quali sopportano così un peso di soprappiù, che per gli altri sudditi rimane incluso ne' comuni balzelli e nelle generali imposizioni. Tantochè, una terza parte degli Israeliti Romani è costretta provvedere al mantenimento dell'altre due!

E dobbiamo aggiungere, in lode ed onore dell'Università Israelitica, che non ostante le strettezze cagionate da tanti ostacoli posti allo sviluppo della sua industria ed al fruttato de' suoi capitali, i poveri sono ajutati o col lavoro o coll'elemosine; gli ammalati, i vecchi, gl'impotenti, soccorsi di pietose assistenze e di medicine: cosicchè a quella misera e conculcata plebe sono prestati tutti quegli ajuti che comportano le angustie e le difficoltà d'ogni genere in che trovasi la loro piccola repubblica.

A questa carità che s'esercita sui bisogni materiali, s'aggiunga l'altra, anco più importante, che s'adopra a supplire ai morali: della quale si vedono i frutti nella conosciuta incolpabilità degli abitanti del Ghetto, che giammai, o rarissime volte, vengono in mano della Giustizia, ed è cosa inaudita siano accusati e presi per ladri.

IV

Da questo breve discorso, e dai pochi fatti accennati, che non dipingono se non una porzione di ciò che fu fatto patire agli Israeliti, ne emerge, dunque: che, mentre in principio religioso e razionale è evidentemente ingiusto il tormentar gli uomini pel solo fatto della fede che professano, gli Israeliti sono stati lungamente tormentati per questo solo fatto, e non per altro.

Ma qual può essere stata la cagione plausibile d'una così lunga e strana e dolorosa contradizione? Dire che essa sia nata da fierezza e crudeltà d'animo, dall'intenzione deliberata di far soffrire, e vendicare il Cristianesimo delle offese fatte dagli antichi Israeliti al suo istitutore, non si può ammettere; chè troppo ripugna il macchiare con queste accuse, tante nobili e generose nature d'uomini, quali sorsero, vissero ed ebbero autorità nelle generazioni passate. Accusarne l'umana cupidigia? Ciò forse sarebbe possibile, trattando d'età remote; ma alle più vicine alla nostra, non è adattabile: poichè i profitti che si ricavano dalle tasse arbitrarie sovraccennate, se sono importanti quando escono dalle mani di chi ha troncata presso che ogni via di guadagno, sono però di poco momento quando si versano nel tesoro dello Stato. Tuttavia la cupidigia, non della parte alta del Governo ma di bassi subordinati, è forse cagione, in parte, che si mantenga in Roma l'antica oppressione degli Israeliti.

Dunque, una sola spiegazione resta accettabile: vale a dire, che l'oppressione in che si sono tenuti gli Israeliti sia stata ordinata allo scopo di condurli ad abbracciare la fede di Cristo; e che le persone rozze ed ignoranti vi abbiano applaudito e cooperato, con animo di punire di giunta sulle generazioni presenti la colpa degli antichi suoi padri.

Nello stabilire e nel dimostrare che l'intolleranza è ingiustizia; ed è lo stesso che dire, contraria all'indole ed alla lettera del Cristianesimo; aggiunsi che è insieme conducente non al trionfo della verità, ma all'ostinata diuturnità dell'errore.

Chi mai, interrogando se stesso ed il profondo senso del cuore, non riconosce che il convincimento è la più incoercibile, la più essenzialmente libera di tutte le operazioni dell'anima umana; quella che più si sottrae alla violenza, più si sdegna contro ogni giogo forzato, e più ostinatamente lo ricusa e lo scuote? Ed in prova, qual è il convincimento considerato complessivamente in una società d'uomini che si sia piegato o mutato sotto un'azione violenta? Quale la fede che si sia spenta nel sangue de' suoi martiri? Quale la setta, l'opinione sociale o politica, che sia stata convinta, convertita, e perciò abbattuta coi patiboli e colle torture? Piccole società unite dal vincolo d'una fede, si potrebbero spegnere uccidendone tutti i singoli individui, come s'usò coi Templari. Ma chi potrebbe fermar pure il pensiero oggidì sopra simile enormità?

Una fede, dunque, che non si possa o non si voglia combattere con queste scellerate armi, non sarà mai mutata e spenta con quelle che, quantunque in più temperato modo, vengono pure dallo stesso principio; vale a dire le persecuzioni, le oppressioni, le vessazioni.

Gl'Irlandesi rimasti cattolici, i protestanti francesi rimasti protestanti, lo dimostrano; ed è inutile citare altri somiglianti esempi, che a tutti ricorrono per loro stessi alla memoria ove si parli di persecuzioni religiose. E ciò che è accaduto pel passato, accadrà costantemente sino alla fine dei secoli; perchè non si mutano le condizioni dell'umana natura, e non possono perciò mutarsi gli effetti che ne derivano.

Le passioni, gli affetti, gli istinti che hanno più profonde e tenaci radici nel cuore umano, concorrono tutti a rendere invincibile la resistenza contro la persecuzione, anco quando detta resistenza non è mantenuta ed afforzata da soprannaturali pensieri. L'orgoglio offeso, la libertà conculcata, l'ingiuria sofferta, e la sete d'averne in qualche modo vendetta, bastano ad infondere nel debole quell'ostinata e lunganime energia di resistenza, che non si spaventa della morte o del supplizio, non si stanca della sistematica persecuzione, ma giunge a stancarla, e ne trionfa sempre alla fine. L'uomo posto in balía d'una forza prepotente, contro la quale non ha difesa, che lo calca sotto i piedi, lo tormenta, lo strazia in mille modi per aver vittoria della sua volontà, si riduce alla disperata voluttà che sola rimanga all'oppresso, di non voler dare all'oppressore il gusto della vittoria; e gli dice, o lo pensa, se dirlo non osa: «Tu sei di tanto più forte di me; ma con tutta la tua forza non otterrai di sottomettere la mia volontà.» Questa soddisfazione d'un orgoglio sdegnato si compra con ineffabili dolori, è vero; ma l'amaro patto è accettato dagli uomini quasi sempre, ce l'insegna la storia: chè tale è la nostra natura.

E ciò può avvenire, ed avviene, per effetto soltanto di passioni o colpevoli, o almeno non virtuose, del cuore umano.

Ma se alla forza che queste imprimono, s'aggiunga quella prodotta da' sentimenti e credenze sincere; quanto più vigorosa non ne diverrà la resistenza, quanto più arduo l'ottenerne vittoria per le vie del terrore e della violenza? E quante volte l'errore non è egli sinceramente creduto verità, e come tale generosamente propugnato?

Nobili cagioni, ovvero passioni colpevoli, o non lodevoli per lo meno, possono dunque egualmente, secondo i casi, render vane e deridere tutte le furie della persecuzione. Siccome è assai raro che le cause moventi delle nostre azioni siano assolutamente buone o assolutamente cattive, ed hanno quasi sempre un'indole complessa e composta di bene e di male; perciò quasi sempre la resistenza alla persecuzione fondandosi sui più nobili affetti come sui più appassionati istinti del cuore umano, ne acquista forza doppiamente invincibile: e perciò chi conosce una verità, ne è convinto e vuol convincere altri, dee (se pur è sincero, e se lo zelo per la verità non gli serve di coperta ad ignobili fini) usar riguardo grandissimo onde non raddoppiare i motivi di resistenza, destando nei cuori le anzidette passioni, e non ridurre una questione di principj ad una questione d'orgoglio, di puntiglio o di vendetta.

Chi vuol persuadere, deve conciliarsi il cuore, prima di dar l'assalto alla ragione: chè (persuadiamocene) la simpatia, l'affetto che sa ispirare il persuasore, forma sempre i tre quarti della persuasione. E in qual modo s'ispira amore e simpatia? colla violenza, coll'oltraggio, col tormentare? ovvero colla mansuetudine, colla carità e col beneficio? E quegli che la Chiesa ci presenta qual tipo e modello in terra della sapienza divina, quale de' due modi teneva? Quale ci comandava, e c'insegnava coll'esempio? C'insegnava quello che è solo utile, solo accettabile, perchè solo profittevole. E perchè, dunque, all'atto pratico teniamo il modo contrario?

A voler ridurre gl'Israeliti ad abbracciar la fede di Cristo, dovevamo, ad esser razionali, porre invece immensa cura onde non potessero tenersi nè offesi, nè oltraggiati da noi: dovevamo comprenderli ed abbracciarli in quella carità universale che è un precetto, non un consiglio, affinchè la passione dell'ingiuria sofferta non sorgesse mai qual argine insuperabile, tra la persuasione e la volontà, tra la fede ed il cuore, che doveva amarla per poterla accettare: dovevamo tenerci cari, chiamar fratelli, colmar di beneficj coloro che volevamo ridurre nelle nostre vie, come fecero Gesù Cristo e gli Apostoli. E se tenendo altri modi non ci fosse venuto fatto il convincerli, non avremmo almeno a sentir rimorso del nostro operato; nè saremmo ridotti a riconoscere, che se la fede nostra non è entrata in que' cuori, la colpa è assai più nostra che loro.

Gran meraviglia veramente che uomini sottoposti ad ogni momento della loro dolorosa vita a qualche oltraggio, a qualche strapazzo od angheria, non abbiano il cuore aperto per chi è ministro del loro soffrire! come non trovino desiderabile e da amarsi la legge che questi loro tormentatori professano!

1.Diritto accordato agli Israeliti di non dover esser soggetti ad aumenti di pigione.
Yaş sınırı:
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Litres'teki yayın tarihi:
30 haziran 2017
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