Kitabı oku: «Lo Spirito Del Fuoco», sayfa 12

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Il sole ormai era alto nel cielo e Jack, accaldato, aprì gli occhi. I suoi tre compagni di viaggio stavano finendo di sistemare le loro cose. Una forte emicrania aveva accompagnato il suo risveglio.

Fece per alzarsi, ma una tremenda fitta al petto lo paralizzò costringendolo in un urlo soffocato.

Lo sviluppato udito di Santos percepì il lamento e subito il suo sguardo si posò su di lui. Con un tenue sorriso gli strizzò l’occhio, percependo la sua confusione.

In cuor suo, i sensi di colpa non gli davano pace.

«Come stai, campione?» domandò Gabriel ripiegando la propria tela da notte.

«Bene…», mentì il ragazzo.

Non riusciva a capire il motivo dei dolori e di quello smarrimento.

Subito dopo, dal nulla, come un fulmine nel cielo, un flash lo fece trasalire.

Le immagini confuse dell’arrivo dei cartni gli invasero la mente.

«Santos, questa notte…»

«Tutto risolto», si limitò il suo protettore continuando a ritirare le proprie cose.

«Ma eravate a terra e…», più cercava di ricordare più l’emicrania aumentava.

«E poi ci siamo ripresi e abbiamo sconfitto e allontanato quelle luride bestie, un gioco da ragazzi», minimizzò l’urano dando così fine a quello scomodo discorso.

Santos si voltò verso l’amico ringraziandolo con un lieve gesto del capo.

Ora, oltre a Boris, aveva al suo fianco il suo migliore amico per affrontare quell’ardua impresa.

I dolori alla testa non volevano svanire. Facendo finta di accontentarsi di quella risposta, Jack decise di non pensarci più. Aveva notato il gesto fatto dal suo protettore a Gabriel, ma, in quel momento, non aveva le forze per scoprirne il significato. Alla fine i suoi compagni stavano bene, ed era l’unica cosa che realmente contava. Grazie a loro era sopravvissuto all’ennesimo attacco e sentirsi protetto lo aiutava a superare giorno dopo giorno la separazione dalla sua famiglia e dai suoi amici.

«Questo ti appartiene», Gabriel gli porse il suo mantello.

Nella tasca interna, Boris ronfava pesantemente incurante di tutto il resto. Anche per lui era stata una nottata complicata.

«Grazie», si limitò il giovane riavvolgendosi al suo interno. Il contatto con la calda pelliccia bianca lo rassicurò e dando ancora un’occhiata al piccolo e burbero folletto, riuscì a sorridere lievemente.

Santos diede una leggera pacca sulla schiena a uno dei due piccoli cavalli e subito dopo, l’animale si avvicinò a Jack abbassando leggermente il collo per facilitargli la salita.

Il ragazzo si stupì nuovamente dell’intelligenza dei due ronzini e, con uno sforzo che gli provocò ancora una forte fitta al petto, montò sull’animale.

Il gruppo era pronto per riprendere il viaggio verso Ishcor, la famosa città dei fiori. Santos aveva deciso di dirigersi nella città dove abitava e governava la rinomata famiglia Mang, capeggiata dal figlio dell'eroe che aveva sconfitto la terribile creatura marina Mantio. Xeng Mang era famoso per la sua perfidia e i cartni che aveva sguinzagliato alla ricerca di Gabriel ne erano la prova. Era comunque un signore d'onore e l'astro sperava appunto nel suo perdono, augurandosi di non dover affrontare altri suoi soldati lungo il percorso.

Dopo due giorni di viaggio, nei quali tra i componenti del gruppo regnò il silenzio, arrivarono nelle Terre Fiorite, territorio che circondava l'intera città. I boschi governati dagli immensi alberi dalla folta chioma e i molteplici ruscelli d'acqua che ricoprivano le terre di Fati avevano lasciato il posto a immense distese di prati in fiore. Enormi gruppi di farfalle dai mille colori volavano leggere in una cornice dai toni a dir poco paradisiaci.

Jack, nel vedere la straordinaria bellezza di quelle terre, ne restò incantato e senza accorgersene, sentì un'improvvisa pace interiore avvolgerlo completamente. Al posto dei ruscelli c'erano semplici e brillanti rigagnoli che fornivano acqua e nutrimento a tutta la vegetazione. Il sole splendeva alto e vigoroso nel cielo, quasi a trasmettere lui stesso la tranquillità e la pace di quel luogo. Provò con tutta le forze a catturare più immagini possibili, perché neanche nei sogni più lontani aveva mai visto un posto simile.

Pensò a quanto sarebbe piaciuto poter vedere quello strabiliante spettacolo di luci e colori a Stella, la ragazza che aveva sempre amato e che continuava ad amare anche da un'altra galassia. Era sicuro che se mai la giovane avesse visto quel luogo sarebbe rimasta senza fiato e lui, fantasticando, s’immaginò abbracciato a lei immersi tra gli innumerevoli colori dei fiori. Una piccola farfalla smeraldo gli si posò sul naso facendogli spalancare gli occhi. Restò immobile a osservala fin quando, con un leggero battito d'ali, il piccolo animale riprese il volo. Guardandola allontanarsi un piccolo senso d'invidia lo colpì, facendogli sognare per pochi secondi la libertà di cui godeva quell'insetto dalle splendide sfumature.

I suoi pensieri però furono deviati dall'immagine di un luogo come quello in preda alle fiamme e alla distruzione. Un brivido gli percosse la schiena nell'immaginare prima Fati e poi i territori di Ishcor preda della distruzione di Marmorn e del suo esercito. Voleva e doveva proteggere quei luoghi incantati e, come quelli, anche gli innumerevoli territori della galassia. Doveva farlo, era scritto nel suo destino, un destino pericoloso, che giorno dopo giorno cominciava ad accettare.

Il gruppo camminava tra i piccoli sentieri capeggiato da Santos, che a ogni fiore o pianta guardava Jack informandolo sui nomi. L'astro conosceva bene la flora e la fauna della Grande Costellazione e come lui tutti gli astri. Erano parte della natura stessa e Santos, circondato da tutta quella vegetazione, sentiva una grande forza attraversargli il corpo.

Boris era in piedi sulla testa di uno dei due cavalli, impegnato a raccontare le sue eroiche gesta passate senza però essere ascoltato pienamente dai suoi compagni di viaggio.

Gabriel chiudeva la fila silenzioso. L'urano era ancora scosso dalle terribili scene a cui aveva assistito durante lo scontro tra i cartni e Zeno. Aveva provato a non pensarci, ma in tutta la sua vita non aveva mai visto così tanta crudeltà e soprattutto due occhi indemoniati come quelli del ragazzo.

Jack, che era seduto sulla groppa dell'altro cavallo, sorrideva vedendo il piccolo folletto fiero nei suoi racconti e seguiva con lo sguardo i gesti delle mani del suo protettore quando gli mostrava fiori o piante mai viste. Un senso di calma lo stava avvolgendo e all'orizzonte, ancora non ben definite, cominciarono a intravedersi le mura di Ishcor. Quando il gruppo si trovò davanti agli enormi cancelli d'ingresso della città, Jack trasalì. Le possenti e bianche mura si estendevano per chilometri sia a destra che a sinistra del cancello, anch'esso imponente e completamente azzurro.

Improvvisamente le porte si aprirono quasi fluttuando, senza produrre alcun rumore, lasciando così libera l'entrata ai quattro viaggiatori che, guidati dall'astro, entrarono lentamente. Santos, superato l'imponente cancello d'entrata svoltò subito a destra, dirigendosi verso un grosso capannone in legno dal tetto in paglia.

«Ma dove va?» chiese Jack incuriosito.

«Alle stalle» fu la risposta di Gabriel, che conosceva molto bene quella città. L'urano si era assicurato già a debita distanza dalla città di coprirsi bene il volto con il cappuccio del mantello. Sapeva che a Ishcor il suo viso era molto conosciuto e ricercato.

L'astro bussò a una piccola porta marrone dalla quale, dopo pochi secondi, uscì un grosso e basso nano dalla lunga barba grigia. I due iniziarono a parlare e dopo pochi secondi, Santos cominciò a gesticolare apertamente indicando i due piccoli cavalli.

«Non importa, viaggiatore, anche se sono piccoli e possono occupare un solo box, la tariffa rimane doppia e comprende anche la tassa dei viaggiatori esterni» borbottò il nano alzando le grosse spalle.

«Certo che siete proprio dei ladri voi, questa è una truffa bella e buona, per una stalla chiedete quindici pugni d'oro al giorno. Io continuo a non crederci!» replicò l'astro adirato. Lo stalliere però non cambiò idea fin quando Santos, rassegnatosi, accettò la tariffa. L'astro sapeva bene che era meglio non dare nell'occhio e anche se gli pesava pagare una somma così ingente per l'affitto di una piccola stalla, non aveva altre soluzioni. Con un leggero fischio attirò l'attenzione dei due cavalli, che appena udito il suono gli si avvicinarono. Jack e Boris scesero poco prima che i due animali venissero presi e accompagnati nel loro box da altri due nani barbuti e maleodoranti.

«Questi sono per due giorni, nel caso la nostra permanenza dovesse durare più a lungo ritornerò per pagare un'ulteriore tassa. Li tratti bene, mi raccomando.», terminò Santos allontanandosi accompagnato da Jack e Boris, che nuovamente si era accomodato nella tasca interna del mantello. Il nano borbottò qualcosa in risposta alle parole dell'astro che però i tre viaggiatori non riuscirono a sentire.

«Occhio a quel che fai, qui sei in territorio nemico. Non attirare l'attenzione su di te» disse chiaramente l'astro all'amico dalla pelle blu assicurandosi di essere ben ascoltato.

«Non ti preoccupare, so come comportarmi. Sarò trasparente come uno spirito». Rispose infastidito Gabriel percependo un rimprovero in quelle secche parole.

Jack era rimasto poco più indietro. Non riusciva a togliere lo sguardo dalle enormi abitazioni che dominavano dall'alto la strada principale della città.

Erano palazzi completamente bianchi ma, a differenza delle mura, il loro era un bianco brillante, che illuminato dai raggi del sole creava un forte bagliore, rendendoli così paradisiaci. Ogni palazzo poteva contare un minimo di venti piani e i lunghi balconi che univano le abitazioni da una parte all'altra sopra la via principale erano completamente adornati da innumerevoli fiori dai mille colori. Queste lunghe balconate ad arco creavano per i passanti un paesaggio magnifico. I riflessi dei palazzi, uniti a quelli dei fiori colpiti dal sole, tingevano la strada di diversi colori, dando vita a una sorta di tunnel colorato dove regnava la tranquillità. Jack notò subito la differenza tra gli abitanti di Ishcor e quelli di Fati. La città del mercato, famosa appunto per il suo immenso agglomerato di bancarelle, era molto caotica e mal tenuta mentre Ishcor si presentava tranquilla, armoniosa e perfettamente in ottime condizioni. Gli abitanti giravano per le vie con estrema compostezza e tranquillità, tutti ben curati e rilassati. A Jack sembrò subito un luogo molto ricco e solare.

Il gruppo s'incamminò per la via principale, dove ogni cinque metri erano presenti su entrambi i lati piccoli negozi che presentavano vetrine con gli articoli più strambi che il giovane avesse mai visto. L'attenzione fu catturata da una vetrina di un negozio che esponeva in vendita numerose piante colorate che, a differenza della vegetazione che circondava la città, avevano vita propria.

Incuriosito, Jack si avvicinò scoprendo con stupore che erano esseri vegetali simili a fiori ma che presentavano nel bocciolo una piccola bocca ricoperta di denti sottili e affilati.

«Piante da guardia» spiegò Boris dalla tasca interna.

Il giovane le fissò a bocca aperta. Non aveva mai visto creature simili.

«Sono usate dalle ricche famiglie per proteggere i propri terreni dai raccoglitori abusivi. Ti auguro di non doverci mai avere a che fare. Sembrano fiori normali quando sono chiuse, ma se piantate nel terreno riescono a percepire ogni minima vibrazione e nel giro di pochi secondi il malcapitato viene circondato e sbranato. Sono ottime e, a differenza di qualsiasi altro animale da guardia, non hanno costi di gestione perché nutrite direttamente dal terreno nel quale sono piantate.», terminò il folletto fiero come sempre della propria sapienza.

«Jack, vieni!», Santos e Gabriel avevano proseguito e li aspettavano poco lontani davanti a una graziosa locanda.

«Ci fermiamo qui per mangiare qualcosa, penso che faccia piacere a tutti voi non dover più mangiare le foglie di Seda», continuò l'astro guardando il giovane con un sorriso.

Una graziosa insegna in legno presentava una stramba scritta dai caratteri a lui sconosciuti. Emozionato e curioso di assaggiare i piatti tipici della città, Jack seguì i compagni oltrepassando la piccola e spessa porta tonda per poi richiudersela alle spalle.

Le narici dei quattro viaggiatori furono subito invase da un forte odore di carne grigliata e subito, a parte quello di Santos, i loro stomaci si aprirono affamati.

Con l’acquolina in bocca, Jack si guardò attorno ispezionando quella stravagante locanda.

Le pareti, di un giallino chiaro, erano adornate con piccoli quadri raffiguranti i magnifici prati fioriti che circondavano le mura della città, mentre sopra il bancone, dove un individuo dalle tonde proporzioni era seduto, una gigantografia dell’intera città dipinta su una grossa tela accoglieva i clienti. A dividere le quattro piccole zone del locale, due alla destra e due alla sinistra del bancone, graziosi archi con mattoni a vista dalle sfumature rossastre accentuavano lo stile che con cura il proprietario voleva dare. Piccoli tavolini di legno dalle gambe affusolate erano sparsi qua e là coperti da semplici tovaglie bianche come le immense nuvole che ricoprivano il cielo. Tutto era frutto, e si vedeva chiaramente, di un lavoro accurato.

Una giovane cameriera sbucò improvvisamente da una delle quattro sale con in mano tre vassoi. Nel vederla, così semplice e in difficoltà nel tentativo di non far cadere neanche uno dei grossi bicchieri che portava, Jack si lasciò in un piccolo e goduto sorriso. Poco più alta di lui, bionda e con alcuni piccoli segni neri sulla fronte, la giovane gli passò a fianco dirigendosi con velocità verso il bancone per posare con sollievo i tre vassoi.

Gabriel si girò verso di lui sorridendogli e facendogli l’occhiolino.

«Hai buon gusto, ragazzo mio, le cameriere di Ishcor sono note per la loro bellezza e disponibilità». Terminò ridendo.

«Non cambierai mai», intervenne Santos alzando gli occhi al cielo nella speranza che le parole dell’amico non fossero arrivate alle piccole orecchie della ragazza.

«Tavolo per tre?» domandò la cameriera voltandosi velocemente verso i nuovi clienti.

«Sì, grazie mille, signorina» rispose l’astro, sorridendole gentilmente.

La giovane si avviò verso la sala sulla destra del bancone facendo cenno loro di seguirla.

«Cosa guardi?», continuò Gabriel ridendo nuovamente, guardando Jack con gli occhi spalancati.

Imbarazzato, il ragazzo non rispose, distogliendo lo sguardo dai sinuosi lineamenti della cameriera. Era bella, veramente bella e sprigionava una forte sensualità pur essendo vestita da semplice cameriera e avendo i capelli raccolti in una disordinata coda. I segni sulla fronte e sulle braccia scoperte simboleggiavano le sue antiche origini. Era un'incrociata, non c'erano dubbi. L'unico, su quale fosse l'altra razza d'appartenenza. Nel vederla, umile e timida, Jack sentì un nodo allo stomaco. Quei simboli, il marchio della discendenza umana su un'innocua sua coetanea non li accettava. Una corta gonna nera lasciava libere le gambe fino all'inizio dei piccoli stivaletti neri. Un minuscolo grembiulino bianco, con alcune chiazze di cibo sparse qua e là, le stringeva sui fianchi la scollata camicetta, anch'essa bianca. Il seno, prosperoso, faceva fatica a restare sotto le poche vesti, mettendosi in mostra e attirando inevitabilmente le attenzioni del giovane terrestre.

«Prego, accomodatevi», riprese la ragazza indicando il tavolo a loro destinato con un grazioso movimento delle braccia.

«Sapete già cosa ordinare?»

«No, se non è un disturbo vorremmo dei menù»

«Certo, arrivano subito», così dicendo la giovane si voltò dirigendosi a gran velocità verso il bancone.

«Mi ero dimenticato della tua noiosa educazione», intervenne Gabriel ridendo.

«Io della tua stupidità no!» rispose serio l’astro per poi lasciarsi andare in una serena risata.

«Quindi ti piace la cameriera?» gli domandò Santos alzando le sopracciglia.

Jack, ancor più imbarazzato e con gli sguardi dei suoi due maestri addosso, si sentì soffocare dalla vergogna, diventando subito rosso come un peperone.

«Suvvia ragazzo, non te ne devi vergognare, posso confermarti che è veramente una bella ragazza, non c’è nulla di male», continuò Gabriel strizzandogli nuovamente l’occhio in segno di complicità.

«Va bene, avete vinto, sì, credo sia una bella ragazza» rispose tutto d’un fiato il giovane.

«Credi?», lo guardò Santos divertito.

«Ne sono convinto, va bene?», terminò Jack, sentendosi meno imbarazzato dopo averlo ammesso.

«Dovete vedere le nostre femmine, quelle sì che sono delle vere donne. Gli dei solo sanno come riescono a farti vedere le stelle», intervenne Boris sbucando dal mantello.

«Ah si?» domandò ironicamente Gabriel.

«Certo, cosa vorresti dire? Le nostre femmine sono uniche, parola di re», concluse compiaciuto il folletto.

«Ecco a voi i vostri menù signori».

Alla sua sinistra, il corpo roseo della fanciulla a pochi centimetri dal suo. Jack diventò viola e senza accorgersene si ritrovò a fissarne il profilo perso nel vuoto.

«Questo è per te», gli sorrise la cameriera voltandosi verso di lui senza però ricevere risposta.

Paralizzato dall’imbarazzo e senza parole da dire, continuò a fissarla senza battere le ciglia, immerso nei suoi occhi blu come il cielo.

La sonora risata di Gabriel lo riportò subito alla realtà, facendolo barcollare sul piccolo sgabello di legno sul quale era seduto. Con un gesto goffo e veloce, allungò il braccio facendo così cadere il suo boccale fortunatamente ancora vuoto per poi prendere con delicatezza il piccolo menù dalla copertina in cuoio rilegata a mano con dei semplici nastrini bianchi.

La ragazza si lasciò scappare un tenero sorriso e, con un lieve inchino, si voltò per dar modo ai tre clienti di poter scegliere in pace.

«La tua tecnica di seduzione è da rivedere, campione!», non si trattenne Gabriel ridendo senza tregua.

«Comunque cosa prendi, Jack?», cambiò discorso Santos, cercando di far passare la vergogna al suo protetto.

Il ragazzo aprì il menù e iniziò a leggere i piatti proposti dalla locanda.

Carne di renna arrostita, stufato di pavone, patate lesse, al forno, grigliate e altre pietanze dalle carni di animali a lui sconosciuti riempivano le cinque pagine del piccolo menù. Ad accompagnare le pietanze, innumerevoli contorni di verdure dai nomi mai sentiti prima.

Nel vedere la perplessità sul volto del giovane, Santos allungò il collo per poter leggere dal suo menù.

«Fatti guidare dall’istinto, qui è tutto ottimo, non puoi sbagliare».

Confortato da quelle parole, Jack rilesse tre volte i piatti disponibili cercando di scegliere quello più buono tra i tanti proposti.

«Cosa posso portarvi?» chiese con dolcezza la giovane cameriera, che nuovamente li aveva raggiunti fermandosi a pochi centimetri dal ragazzo.

La lettura si bloccò all’istante. La sensualità della ragazza si sentiva come fumo nell’aria mandandolo nella confusione più totale.

«Rinoceronte delle montagne con patate alla griglia» risposte Gabriel chiudendo il menù e porgendoglielo con delicatezza.

«Per me, una porzione di semi di Rios, grazie», continuò Santos.

«Per te invece straniero, cosa ti porto?» gli domandò la fanciulla sorridendogli.

Nel vedere quel paradisiaco sorriso, Jack si sciolse come neve al sole, imbambolandosi completamente.

«Per me… fettina di cavallo sel… selvatico e… insalata mistola» balbettò il giovane sbagliando l’ultima parola.

«Fettina di cavallo e insalata mista» ripeté la cameriera annotandosi gli ordini sulla piccola agenda con una sottile piuma, dopo averla imbevuta in una minuscola fialetta legata in vita da un nastro nero.

Accortosi dello stupido errore commesso, Jack abbassò lo sguardo posandolo fisso sulla piccola e tonda tavola, imbarazzato più che mai.

«Da bere?» chiese cortesemente la giovane posando il suo splendido sguardo sul volto incappucciato del ragazzo.

«Tre pinte della vostra migliore birra signorina» rispose Santos sorridendole.

«Perfetto, vi porterò tutto in men che non si dica», terminò la cameriera congedandosi con il consueto inchino.

«Che c’è? Non possiamo mangiare cibi animali, ma nessuno ci vieta di bere, ragazzi!» continuò l’astro nel vedere le facce stupite dei suoi due amici.

Jack era ancora imbarazzato per l’errore commesso e, a disagio, iniziò a guardarsi intorno muovendo freneticamente la gamba destra.

Tutti e dieci i tavoli che li circondavano erano occupati, perlopiù da piccoli e paffuti nani dalle mani sproporzionate e dai vestiti bizzarri.

«Sono la manodopera della città» disse Santos seguendo il suo sguardo.

«Lavorano nei campi fioriti che circondano le mura», intervenne Gabriel voltandosi per guardare meglio.

In fondo alla sala, tre tavoli erano invece occupati da individui a cui Zeno non seppe dare un’identità per via delle lunghe vesti che indossavano.

«Sbaglio o ho sentito semi di Rios?» domandò Boris con l'acquolina.

«Certo caro mio, hai sentito benissimo», gli sorrise Santos.

«Allora te ne rubo un paio, se non ti dispiace», continuò il folletto con la bava alla bocca.

«Non devi neanche pensarlo, non mi dispiace affatto, li ho presi anche per te».

Jack era in silenzio, ancora in imbarazzo per l'errore commesso con la cameriera. Osservando i suoi tre compagni, si rallegrò, non poteva averne di migliori. Tutti diversi l'uno dall'altro, ma unici.

«Comunque amico io non mi sento sicuro, abbiamo sbagliato a venire fin quaggiù.», li interruppe Gabriel serio.

«Tranquillo, confido che questa sia stata la scelta migliore. Non potevamo rischiare di continuare il nostro viaggio con la paura di essere attaccati in qualsiasi momento da gruppi di cartni volenterosi di ucciderci. Per quanto possa essere avventata è l'unica soluzione possibile per riprendere il viaggio senza ulteriori preoccupazioni.» rispose l'astro convinto.

Santos avrebbe voluto alzare la voce e riprendere l'amico, che a causa della sua ingenuità aveva messo la propria vita seguita poi da quella dell'astro, di Boris e infine di Jack in pericolo, ma decise di trattenersi, sapendo che la reazione dell'urano sarebbe stata quella di accendere il discorso e di piantare un ulteriore casino. L'astro voleva passare inosservato fino alla dimora dei Mang. Gabriel non rispose, limitandosi in un lieve cenno con le spalle per sottolineare comunque il fatto della propria disapprovazione.

Jack si stupì del cambiamento improvviso dell'urano. Era passato dal ridere con gusto alla più totale serietà. Sul suo viso, i segni del nervosismo che dal nulla lo aveva avvolto. Non sapeva tutta la storia, non aveva avuto modo e non si era osato chiederlo, ma le espressioni e i toni di Santos lasciavano intendere a grandi linee la situazione. Era palese che Gabriel fosse in errore, ma il reale motivo era a lui sconosciuto. Decise di starsene in silenzio e continuare a osservare gli altri clienti del locale sperando che l'aria tesa che si era creata svanisse il più in fretta possibile.

Con suo sollievo, dalle cucine uscì la giovane cameriera dai lunghi capelli biondi con un piccolo carrellino in metallo avvolto da un grazioso velo bianco, su cui poggiavano due grossi piatti fumanti e una piccola ciotola piena di semini rossi.

«Ecco a voi signori» disse la ragazza porgendo le porzioni ai tre viaggiatori.

«Non sapevo foste in quattro», continuò divertita nel vedere la piccola e tozza testolina di Boris sbucare dal mantello di Jack.

«Salve signorina, non si preoccupi, mangio con loro», intervenne Boris.

«Volete un altro piatto, signore?»

«Mangia con me, grazie mille per la disponibilità» rispose Santos con il suo consueto sorriso educato.

«Va bene, per qualsiasi altra cosa non esitate a chiamarmi, vi porto subito le birre», continuò la ragazza porgendo i piatti ai tre clienti per poi schizzare via con il carrellino nelle cucine.

Era l'unica cameriera nel locale e servire così tanti clienti di certo non era facile, ma con il sorriso stampato sulle labbra se la cavava alla grande.

Con il piatto di carne fumante davanti, Jack si bloccò voltandosi verso il suo maestro.

«Cosa ti turba, ragazzo?» chiese l'astro, mangiando il primo seme e porgendone uno a Boris.

«La cameriera… Assomiglia molto alle ragazze della Terra, è un'incrociata?» nonostante lo avesse capito da solo, chiese comunque conferma.

«Certo, vedo che ti stai facendo l'occhio.»

«Ma ha anche dei lineamenti strani»

«Mezza umana e mezza elfo», intervenne Boris fiero.

«Quelle lunghe orecchie a punta sono inconfondibili», concluse con un leggero tono di disprezzo.

«Smettila, caro mio, non posso credere che tu ancora, dopo così tanto tempo, serbi rancore nei loro confronti», lo riprese l'astro.

«Sono degli ipocriti egoisti, predicano a destra e a sinistra giudicando gli altri, quando sono i primi a non guardare oltre la punta affilata del loro naso».

C'era un'altra storia sotto quelle parole, un avvenimento che Jack non conosceva. Voleva saperlo, ma si trattenne, il tempo per le risposte superflue sarebbe arrivato. Chiederlo ora di certo avrebbe tirato su un ulteriore dibattito e tutto voleva, tranne che vedere i suoi tre compagni discutere ulteriormente per questioni non importanti.

«Comunque ora mangiamo, o i piatti vi si raffreddano», concluse Santos sorridendo, cercando di rallegrare gli spiriti dei suoi amici.

Gabriel non aveva più aperto bocca, immerso nei suoi pensieri. Era agitato, si vedeva. Stava mangiando nel cuore della città dell'individuo che con tanto impegno gli stava dando la caccia e, di certo, avrebbe preferito essere da tutt'altra parte.

I quattro finalmente iniziarono il pranzo e dopo i primi bocconi, tutto svanì tra i sapori eccezionali delle pietanze scelte.

«Mai mangiato nulla che si avvicini minimamente, buonissimo», commentò Jack sazio.

«Non avevo dubbi», sorrise l'astro.

«Questi semi sono favolosi, freschi come pochi», intervenne Boris con ancora in bocca l'ultimo boccone.

«Ci voleva proprio». Anche Gabriel sembrava aver allontanato le paure.

«Posso portarvi ancora qualcosa?» domandò la cameriera, con la solita grazia che tanto aveva fatto perdere la testa a Jack.

«Da mangiare nulla, grazie mille, ma quattro bicchieri di succo dei fiori molto volentieri» rispose l'astro facendo l'occhiolino a Jack.

«Certo, ve li porto subito» continuò la ragazza sparecchiando la tavola con estrema velocità e precisione per poi allontanarsi di corsa verso le cucine con il vassoio stracolmo.

«Ti piacerà, ne sono certo», lo guardò Santos convinto.

«Sei un genio, non ci avevo pensato», Boris era al settimo cielo. Il succo di fiori da sempre era la bevanda più famosa di Ishcor, un concentrato di tutti i fiori del territorio che attirava ogni anno migliaia di visitatori e che veniva esportato da anni nei nove pianeti.

La giovane cameriera portò le quattro bevande e dopo un brindisi, i quattro buttarono giù il contenuto tutto d'un fiato.

Boris si inzuppò la folta barba nel tentativo di non essere da meno, mentre Gabriel e Santos finirono senza problemi. Per Jack fu il paradiso. Già dall'odore emanato, aveva pregustato il sapore e una volta bevuto il primo sorso, un mix di gusti floreali e dolci gli aveva invaso ogni singola papilla gustativa. Si sentivano tutti i gusti, dal primo all'ultimo, anche se a lui sconosciuti. Dall'effetto afrodisiaco e con un leggero spruzzo d'alcool, il succo raggiunse tutti i sensi del giovane, inebriandolo come non mai.

«Unico!», si limitò ancora in preda ai sapori.

«Il succo di fiori non delude mai».

L'astro aveva ragione, la bevanda era tutt'altro che una delusione. Quei sapori gli avevano aumentato il buon umore in men che non si dica.

«Ora ci conviene proseguire», li interruppe Gabriel.

Con un cenno del capo, Santos si alzò con delicatezza riposizionando il piccolo sgabello di legno sul quale si era seduto per poi avviarsi verso il bancone della locanda, seguito a ruota dai suoi compagni. Jack ,in parte non voleva abbandonare quel luogo e sapeva che, una volta uscito, il suo destino lo avrebbe portato lontano e forse per sempre da quella città. Anche se vista per pochissimo tempo, la cameriera lo aveva colpito con decisione, scombussolandolo nel profondo. In quel momento, Stella, la sua amata ormai da anni, non era tra i suoi pensieri e nell'accorgersene, si sentì strano. Da una parte quasi sollevato, libero da quella sofferenza d'amore che lo accompagnava ormai ogni giorno da fin troppo tempo e dall'altra in colpa per averla messa da parte in così poco tempo.

«Sono trentadue pugni, signore» disse il paffuto locandiere, depennando dal suo taccuino quello che avevano preso.

«Tenga pure il resto» rispose Santos tirando fuori dalla sacca legata in vita trentacinque monete.

«Gentilissimo» esclamò felice il proprietario.

«Arrivederci signori», la cameriera era uscita dalle cucine giusto in tempo per rendere quel momento ancor più triste per Jack, che nel vederla sorridergli ancora una volta si sciolse nuovamente.

Gabriel aprì la tonda porta in legno per poi scomparire nella forte luce del giorno con i compagni al seguito.

Il sole era alto nel cielo, come sempre d'altronde nella città dei fiori.

Sazi e dissetati, i quattro ripresero la via principale di Ishcor, intenti a raggiungere la residenza dei Mang.

Jack continuò meravigliato a osservare le stupende opere architettoniche di quella città che sempre più stava conquistando il suo cuore. Anche Santos era visibilmente rallegrato agli occhi del giovane, il quale era ignaro però dei cupi pensieri che attanagliavano il suo maestro. Anche se non lo lasciava a vedere, l'astro continuava a pensare alla battaglia contro i tre cartni nella quale Jack aveva perso il controllo. Sapeva che lo spirito di Ashar era uno spirito terribilmente potente e sperava, con tutte le sue forze, che Zeno sarebbe stato in grado, qualora si fosse presentata nuovamente l'occasione, di controllarlo. Il suo addestramento non era ancora potuto cominciare a causa della terribile ingenuità commessa da Gabriel e ogni secondo in più che pensava all'errore dell'amico, si chiedeva se era stata una buona idea coinvolgerlo in quell'avventura.

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Yaş sınırı:
18+
Litres'teki yayın tarihi:
21 ağustos 2020
Hacim:
570 s. 1 illüstrasyon
ISBN:
9788893985468
Telif hakkı:
Tektime S.r.l.s.
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