Kitabı oku: «Lo Spirito Del Fuoco», sayfa 2

Yazı tipi:

4

Una forte luce gli disturbava gli occhi. Li aprì.

Era in camera sua.

Non riusciva a capire. Si alzò di scatto rimanendo seduto sul letto.

“È stato solo un sogno?”.

Frenetico, prese il cellulare e guardò l’ora.

Erano le sette e dieci.

“È stato solo un incubo, anche se così realistico.” si rispose il giovane guardando il soffitto. Era fortemente provato dal sogno fatto. Si sdraiò di nuovo e rimase diversi minuti a fissare le pareti azzurre della propria camera senza pensare a niente. Si sentiva vuoto. In testa non aveva nessun pensiero. Tutto sembrava essersi fermato.

“Cavolo la gita. Sono in ritardo… Non posso mancare, oggi è la volta buona che parlo con Stella.”

Jack schizzò in piedi e dopo essersi lavato velocemente, si tuffò nell’armadio per poi uscirne, neanche un minuto dopo, con indosso un jeans e una felpa stropicciata.

Il terribile incubo era già nel dimenticatoio.

Entrò in salotto.

Non c’era nessuno.

Prese le chiavi e uscì di corsa.

Il pullman però aveva appena lasciato la fermata davanti casa sua.

“Corri Jack…”

Scattò velocemente verso l’altra fermata che distava circa duecento metri dall’abitazione.

Ma dopo neanche cinque metri, si bloccò all’istante guardandosi intorno stranito.

A pochi passi da lui, un cestino dell’immondizia e una vecchia signora con un cane al guinzaglio lo fecero trasalire.

“Non è possibile…” si disse sconvolto.

Aspettò un istante.

Da un giardino poco lontano, uscì un ciclista in tenuta blu, muscoloso e pelato.

Un brivido lo trapassò da parte a parte. Il viso, terrorizzato.

Si voltò verso casa sua, tutto sembrava a posto.

Non gli importava, doveva tornare a casa. Tornò indietro e con suo grande sollievo, la porta in mogano bianca dell’entrata era chiusa.

Era ancora lì, immobile a fissare l’abitazione dal marciapiede da più di dieci minuti quando un uomo, magro e non tanto alto, si mise a osservare la casa.

L’individuo svoltò nel vialetto che portava alla porta e il ragazzo, intimorito, lo seguì con lo sguardo.

Sospirando nervosamente decise di avvicinarsi e di entrare in casa. Tutto sembrava inconsueto, molto inconsueto. Imboccò il vialetto.

L'uomo se ne accorse e si girò infastidito. Il viso era teso, completamente sudato. Da sotto gli occhiali spuntavano due occhi fini, quasi chiusi.

A quel punto il ragazzo non poteva più temporeggiare.

«Mi scusi, lei chi è?» domandò il giovane nervosamente.

«Sono… sono un amico di tua madre, è in casa?» rispose l’uomo con voce roca.

«No! Cosa vuole da lei?».

Di solito la madre non faceva venire nessuno a casa e tanto meno gente così.

«Niente d’importante, solo un saluto veloce.» rispose l’uomo tranquillamente.

«Mi dispiace, ma penso che lei se ne debba andare signore. Mia madre non c’è!» disse il ragazzo tutto d’un fiato indicandogli la strada.

«Ok, non ti scaldare ragazzino, adesso me ne vado»

Jack annuì soddisfatto sentendosi un vero uomo. Non aveva notato il mezzo sorriso stampato sulle labbra rugose dell’uomo.

L’individuo fece per allontanarsi quando goffamente gli caddero gli occhiali che, a detta del giovane, dovevano essere più vecchi di lui.

L’uomo s’inchinò tossendo.

Non doveva essere molto in forma, perché nel compiere l’azione il viso gli si contorse.

La mano rugosa aveva già afferrato gli occhiali quando dalla tasca interna dell’impermeabile beige, scivolò leggero e aggraziato un foulard rosa.

Jack rimase pietrificato. Combaciava tutto.

Il giovane colse velocemente il foulard inchinandosi in una frazione di secondo e facendo finta di niente, lo avvicinò al viso quel tanto che bastò per riuscire a sentirne l’odore.

Puzzava d’alcool.

«Grazie mille!» si affrettò l’uomo prendendoglielo di mano. Dopo riaverlo messo in tasca, si allontanò velocemente senza salutarlo.

Jack non sapeva che fare, la testa gli scoppiava. Era sicuro che l’uomo non fosse entrato in casa e con il cuore che pompava all’impazzata, e la fronte ormai sudata, decise di seguirlo.

La paura era tanta, ma si convinse comunque di farlo. Aspettò che lo strano individuo uscisse dal vialetto e dopo alcuni istanti lunghi un’eternità, si fece coraggio e si avviò.

L’uomo, che non aveva mostrato una buona salute, stranamente camminava a passo spedito, come se qualcuno lo stesse appunto seguendo.

Non poteva essersi già accorto del ragazzo.

Jack decise in ogni caso che era meglio lasciargli ancora qualche metro in più.

Le innumerevoli villette a schiera dai diversi colori, che costeggiavano entrambi i lati della strada, si susseguivano l’una dopo l’altra mentre il giovane, con andatura lenta, cercava di passare il più inosservato possibile.

Erano trascorsi più di quaranta minuti e ormai il vecchio aveva già raggiunto la periferia del piccolo paesino imboccando, ogni due per tre, piccole vie poco trafficate. Con sua grande sorpresa, Jack si era mostrato un vero e proprio pedinatore, riuscendo a non destare sospetti.

Il ragazzo si teneva a debita distanza, nascosto tra i cespugli, le auto e in mezzo alle persone.

Purtroppo però l’ambiente stava cambiando, la periferia non presentava tutti i nascondigli che offriva la città.

Davanti a lui, si aprirono immensi campi coltivati e il continuo susseguirsi delle villette dai piccoli e curati giardini lasciò il posto gradualmente a case decisamente più grosse e meno curate. La periferia era ben diversa dalla città. Dove si stava dirigendo l’uomo?

L’individuo imboccò un piccolo sentiero che si tuffava in un boschetto e Jack, dopo essersi fermato dietro a una quercia per non farsi vedere, lo seguì.

Non era mai stato da quelle parti.

Il bosco, abbastanza folto, gli offrì molteplici nascondigli.

L’uomo continuò a guardarsi indietro costantemente, alternando torsioni lente del collo a quelle veloci. Questo turbò non poco il ragazzo che, dopo essersi fermato un attimo per riflettere sul da farsi, decise lo stesso di proseguire.

La folta chioma verde dei grossi e alti alberi iniziò a dissolversi pian piano lasciando spazio a un rigoglioso campo di grano.

Le spighe erano alte e a Jack, quel posto parve famigliare.

Il sentiero continuò e l’uomo lo percorse a gran velocità.

Dopo quasi un’ora di cammino tra le spighe di grano, senza mai percorrere la strada battuta del sentiero per evitare di essere scoperto, Jack vide in lontananza un’enorme fattoria.

Dall’aspetto sembrò abbandonata, ma l’ambiguo individuo ci si fermò proprio davanti. Si girò di scatto. Da sotto gli occhiali cominciò a esaminare i dintorni mentre il giovane, accovacciato tra le spighe, si strinse il più possibile per nascondersi.

Dopo essersi convinto che nessuno lo stesse seguendo, decise di entrare. Aprì un grosso cancello dal ferro visibilmente arrugginito e scomparve.

Jack, nascosto in mezzo a due cespugli ai piedi di un grosso albero del sentiero a quasi un centinaio di metri dall’abitazione, si stropicciò nervosamente il viso. Voleva uscire, ma la paura che l’uomo stesse ancora spiando dalle finestre diroccate della fattoria lo bloccò.

Quel luogo lo inquietava. L’immenso terreno di proprietà, recintato da un’alta griglia di ferro arrugginita e cadente, non lasciava presagire nulla di buono. Tutt’intorno, la vegetazione aveva preso il sopravvento, con cespugli ed edera che regnavano sovrani avvinghiandosi al metallo per ergersi alti. C’erano alcuni punti del recinto in cui era assente, garantendo così un'osservazione migliore. Questo però lo spaventò. Anche per il vecchio malato vederlo sarebbe stato più facile.

Aspettò quasi mezzora avvolto nei suoi logoranti pensieri poi, dopo aver dato un’ultima occhiata all’abitazione, si decise e timoroso, si voltò dirigendosi verso la città. Non riusciva a darsi alcuna spiegazione su quella strana quanto terrorizzante mattinata. L’unica cosa che voleva fare era ritornare a casa e salutare sua madre nella speranza che avesse preparato già il pranzo.

5

Erano quasi le due e mezzo del pomeriggio quando raggiunse casa.

I pensieri si erano affievoliti, lasciandogli così più tranquillità.

Aprì la porta ed entrò.

La madre, seduta sul divano, sigaretta accesa e sguardo penetrante.

«Mi ha chiamato la scuola…» disse buttando fuori il fumo dal naso.

Il ragazzo stava per raccontarle tutto, ma poi si bloccò.

«Scusami, questa mattina mi sono svegliato di nuovo tardi. Non ho sentito la sveglia…» rispose il giovane a voce bassa.

Sapeva che le assenze senza motivo facevano infuriare la madre, ma se gli avesse raccontato la verità, la donna lo avrebbe portato sicuramente da uno psicologo.

Decise di salire in camera sua a pensare.

Doveva ritornare in quella fattoria, sapere chi era quell’uomo e se era lui l’assassino del sogno. Una cosa non gli tornava, il tempo.

Nei sogni che aveva avuto, non era definito ma confusionale. Non era riuscito a capire quanto fossero durate le visioni. Nella realtà, si era sentito spiazzato e non a suo agio.

Voleva confidarsi con qualcuno, solo che Max, il suo migliore amico e compagno di classe, era in gita.

Sarebbe arrivato in paese alle cinque. Doveva andarlo a prendere.

Erano quasi le tre e un odore di pesce salì forte dalla cucina.

Il pranzo era pronto. Era consuetudine, durante la settimana, pranzare così tardi. La madre, infermiera nel piccolo ospedale di Sentils, aveva orari massacranti e a volte, grazie ai turni, riusciva ad arrivare a casa per pranzo non prima delle due.

Andò in bagno per lavarsi le mani ma poi, guardandosi allo specchio cominciò a sciacquarsi la faccia velocemente nella speranza che l’acqua gelida lo svegliasse da quell’incubo strano.

La tavola era apparecchiata e il cibo fumava caldo nel piatto.

La donna, già seduta. Per lei, niente piatto, solo un lungo e sottile bicchiere pieno di vino rosso.

Jack sapeva che la madre era infastidita dalla sua assenza a scuola, soprattutto perché avevano pagato anticipatamente la gita.

Era a conoscenza che da un po’ di tempo ormai le spese erano aumentate e che la madre per riuscire ad arrivare a fine mese faceva gli straordinari.

Non gli negava niente, piuttosto lavorava due ore in più al giorno.

Jack consumò il suo pranzo, un delizioso filetto di tonno accompagnato da grosse patate al forno. La donna era un’imbattibile cuoca. Quando finì, si alzò abbracciandola in silenzio.

Anche lei non si pronunciò. L’abbraccio durò pochi secondi nei quali, però, entrambi trovarono sollievo.

Il giovane risalì nella sua camera ricordando ancora il vecchio divenuto ormai un pensiero fisso.

Decise di andare su internet e di cercare informazioni sul terreno dove sorgeva quella tenebrosa fattoria.

La mattina, quando stava ritornando verso casa, aveva letto il nome della zona boschiva su un cartello vecchio e arrugginito ricoperto da una modesta quantità di muschio.

Subito non trovò niente d’interessante, fin quando, dopo aver aperto un sito capitatogli sotto gli occhi per caso, trovò un articolo di giornale:

DAL “NEW SENTILS” DEL 1950

Articolo a cura di Sara Linder.

“TRAGEDIA …

Una terribile vicenda ha coinvolto la giovane comunità di Sentils. Omicidio nella fattoria dei Trevor. La proprietaria è stata trovata sgozzata nel letto della propria casa, il marito è distrutto.

La donna, oltre a lasciare il compagno, lascia due splendidi bambini di neanche un anno. Gli investigatori non hanno alcun indizio, le indagini sono ancora acerbe ma l’intera comunità confida nelle competenze delle forze dell’ordine già impegnate per risolvere il caso al più presto.”

Jack rilesse due volte l’articolo, poi pensò di indagare sul nome della giornalista che lo aveva scritto.

Anche quella ricerca non fu facile. Erano notizie vecchie di oltre mezzo secolo, di un piccolo paesino e a molti sconosciuto.

Dopo una mezzora abbondante di navigazione su internet, il giovane riuscì a trovare l’ultimo indirizzo a carico della giornalista.

Queste due ricerche gli avevano portato via più di un’ora. Erano le quattro e mezza del pomeriggio e a distanza di mezzora, sarebbero arrivate le due classi dalla gita. Doveva parlare assolutamente con Max e il suo non rispondere al telefono lo costrinse a raggiungerlo.

6

Uscì di casa spensierato. Fortunatamente, la madre non lo aveva messo in castigo per non essere andato a scuola.

In fin dei conti era veramente brava, non riusciva mai a essere arrabbiata con lui per più di un’ora.

All’improvviso, un morso al cuore lo bloccò.

Dal nulla, le immagini atroci del sogno che aveva fatto gli invasero la mente. A farlo nuovamente tremare, le uguaglianze con la realtà di quella mattina.

Non riuscì a immaginare un mondo senza la sua adorata e bellissima mamma.

Cercò di scacciare via quegli orribili pensieri scuotendo ripetutamente il capo. L’unica cosa importante era che la madre stava bene, tolta ovviamente l’immensa stanchezza dovuta ai turni massacranti al lavoro. Non poteva arrovellarsi le meningi in preda a una paura irreale dovuta a un sogno maledettamente strano e contorto. Certo, avrebbe continuato a indagare, voleva sapere chi era quel vecchio e cosa voleva da sua madre, ma doveva pensare in modo positivo.

L’unica cosa che non riusciva a spiegarsi, e che non si era ancora chiesto, era come fosse possibile l'aver sognato proprio quello che poi era successo. Questo voleva dire che aveva salvato la vita a sua madre?

O magari era stata solo pura coincidenza?

Una cosa era certa, la donna godeva di ottima salute. Quindi, in qualche modo aveva cambiato il futuro?

Doveva approfondire le indagini sui sogni e sui loro significati e dopo aver parlato con l'amico, avrebbe spulciato il web alla ricerca di nuove risposte.

Immerso nei suoi pensieri, arrivò nel piazzale davanti alla scuola, dove, nell’arco di dieci minuti, sarebbero arrivati i due pullman. L’edificio scolastico, che grazie agli sforzi del comune era sempre in buono stato, lo opprimeva ogni volta. Jack non era fatto per seguire le regole e tanto meno quelle scolastiche. Fin da piccolo, aveva mostrato un carattere estroso e vivace, seminando il panico tra le maestre d’asilo, fino a far impazzire, ormai cresciuto, anche quelle delle medie e delle superiori. Era più forte di lui, la sua mente era sempre attiva e come tale, aveva un bisogno costante di svaghi. Stare fermo per sei o sette ore, seduto su una scomoda sedia di legno e di metallo davanti a un piccolo banco a fissare la lavagna o il professore di turno, proprio non gli riusciva. Era solito assentarsi durante le lezioni trovando sempre diecimila scuse. Aveva bisogno di muoversi, anche solo nei corridoi, ma stare fermo per così tanto tempo era impossibile. La giovane madre infatti, che inizialmente aveva storto e non poco il naso per iscriverlo in palestra, si era convinta, sotto il suggerimento di alcuni colleghi, ad accettare la richiesta del figlio, convinta che il grande e continuo sforzo fisico avrebbe aiutato il ragazzo a sfogare le energie migliorandone così il comportamento a scuola. Malgrado come idea sembrasse perfetta, Jack continuò a mostrare un forte senso di rifiuto verso l'istituzione scolastica.

In quei dieci minuti, un bellissimo pensiero lo catturò.

Stella.

Rivide loro due sotto l’albero in fiore, le carezze, gli abbracci e il bacio. Tutto era perfetto. Anche quel sogno aveva dell’incredibile.

Il forte rumore del clacson, lo fece tornare alla realtà.

Senza accorgersene, si era fermato nel parcheggio riservato al pullman.

Alzò lo sguardo spaventato ritrovandosi le decine di sguardi degli studenti puntati addosso, sentendone chiaramente le risate.

Come sempre, aveva attirato le attenzioni su di lui.

Si spostò goffamente sul marciapiede e aspettò che Max scendesse dal veicolo.

Un ragazzo basso, tarchiato e ansioso, scese per primo le scale del pullman verdastro. Un sorriso enorme stampato sul viso tondo come un pallone lo rallegrò istantaneamente. Era Max, il suo migliore amico.

«Perché non sei venuto? Sai, è stato veramente bello, abbiamo visto una grotta antica, della preistoria.» iniziò a macchinetta il giovane con il viso fortemente scottato dal sole.

«È stato veramente stupendo, una giornata fantastica.

Ho litigato con Tom Dinner, per poco non gli tiravo un pugno, sai ho visto una volpe, era bellissima e …»

«Calmati Max, calmati lo so, dev’essere stato tutto bellissimo ma adesso ti devo raccontare io qualcosa di veramente importante. Andiamo al rifugio.», lo interruppe Jack sorridendo ironicamente nel vederlo tirar fuori dalle tasche due barrette al cioccolato.

Con un gesto istantaneo, l'amico gliene porse una senza neanche chiederglielo. Era tipico del giovane girare sempre con le scorte di cibo ovunque andasse, tanto più, per una gita di una giornata intera. Nel pensare alle miriadi di merendine e snack, accompagnate da chissà quante bevande e panini che l’amico si era sicuramente portato quel giorno, Jack scoppiò a ridere di gusto. Quello, il primo sorriso della giornata.

I due si stavano avviando quando due mani rugose si appoggiarono sulle loro spalle.

«Dove pensate di andare brutti scansafatiche?». La professoressa Lort, in ghingheri con uno dei suoi soliti completi appartenenti a mode preistoriche, li aveva raggiunti silenziosa come un serpente afferrandoli saldamente.

«Salve professoressa…» si affrettò Jack stampandosi un finto e cordiale sorriso sulle labbra.

«No, stavamo andando a casa» continuò Max velocemente.

«Voi due non me la raccontate giusta, sento l’odore di una bugia lontano anche un chilometro» li rimproverò la donna paonazza.

Non aveva mai sopportato Jack e per forza di cose anche Max che da sempre lo seguiva ovunque.

Non li lasciava respirare tenendo sempre i piccoli e maligni occhi puntati loro addosso.

Dopo un momento di silenzio, la professoressa piantò il suo sottile e velenoso sguardo su Jack.

«E lei signorino, dove è stato di bello oggi? Sa, sarà la vecchiaia, ma io sono sicura di non averla vista in gita insieme ai suoi compagni. Me lo sa spiegare?». Concluse la vecchia con un ghigno nervoso sulle labbra.

«Mia madre ha parlato con la scuola già questa mattina giustificando la mia assenza». Rispose velocemente alzando le spalle.

«Starei ancora qui a parlare con lei prof ma devo andare o farò tardi a casa. Salve. E complimenti per il suo look, magnifico come sempre!». Concluse Jack spavaldo prendendo sottobraccio l'amico.

Era proprio per questo suo atteggiamento che si era guadagnato l’antipatia della Lort, e non solo.

La vecchia professoressa di letteratura rimase spiazzata da quella risposta. Avrebbe preferito avvisare lei la madre del ragazzo, così da poterle suggerire anche una bella punizione.

Lasciata alle spalle la Lort, i due si avviarono verso il loro rifugio. La scorbutica professoressa, ancora infastidita, li osservò fin quando, dopo essersi girati facendole un inchino, i due amici sparirono dietro a un angolo imboccando una piccola stradina.

«Devi sempre esagerare», scoppiò a ridere Max a bocca aperta mostrandogli la pastura di cioccolato e saliva appiccicata tra i denti.

«Non ce l'ho fatta. Ma l’hai vista bene? Si veste come un dinosauro, io non capisco perché nessuno le dica nulla. Lo dico per il suo bene, sai?», entrambi si lasciarono andare ridendo di gusto.

Per lei, Jack ne aveva sempre una pronta.

«Per non parlare del suo alito, credo che segua una dieta a base d'aglio, è l’unica spiegazione. Se mai ci fosse un’invasione di vampiri, beh, lei si salverebbe», concluse il giovane scartando la sua barretta.

Max, ancora con la bocca piena, non riuscì a controllarsi e ridendo, sputò metà di quel che stava masticando a terra ridendo così ancor di più.

Erano passati pochi minuti da quando aveva incontrato l’amico e già tutto, gli sembrò meno pesante di prima.

Erano amici da sempre, stesso asilo, stessa materna e così via fino alle superiori. Il loro, un forte legame, indissolubile. La genuinità del paffuto amico e l’aspetto comico lo rendevano il compagno di giochi perfetto. Di grossa corporatura, Max era il classico ragazzino sovrappeso. Ma la parte migliore era il viso: tondo come una padella, pallido e ricoperto da decine di lentiggini interrotte solo dai due occhioni azzurri. Il tutto, sormontato da un folta chioma di ricci capelli arancioni arruffati costantemente. Solo a guardarlo, chiunque si faceva scappare un sorriso. Totalmente diverso dagli altri classici ragazzi stupidi e altezzosi, aveva trovato in lui l'amico ideale. Insieme, non avevano bisogno di nessun altro. Bastavano loro due per riempirsi le giornate, costantemente accompagnate da continue risate.

Un giorno, camminando nel boschetto dietro la scuola, avevano trovato quella piccola costruzione in legno usata in passato dai giardinieri dell’istituto per depositare gli attrezzi da lavoro.

Abbandonata da anni e ridotta uno straccio, i due l’avevano sistemata come avevano potuto, ribattezzandola poi “Il Rifugio”. Un luogo perfetto in cui passavano, da un paio d’anni, le loro giornate quando non volevano essere disturbati da nessuno. Tutt’intorno la vegetazione, non più curata dai giardinieri, aveva ormai preso il sopravvento creando così delle mura naturali che lo nascondevano alla vista degli altri. Dopo i primi tempi in cui l’avevano adoperato, avevano deciso di renderlo più ospitale. Pulito e arredato con vecchie sedie e un piccolo tavolo portati in spalla, era diventato il loro luogo speciale. Sulle pareti, i poster dei loro film preferiti, tra cui i polizieschi di Jack e gli innumerevoli fantasy di cui entrambi andavano pazzi. L’unico problema era raggiungerlo. Per arrivarci dovevano passare dal cortile della scuola, per poi intrufolarsi in uno squarcio della rete metallica che delimitava il giardino scolastico e da lì, immergersi tra gli alberi e i cespugli della vecchia porzione di terreno un tempo dell'istituto.

«Sai Max, oggi mi è successa una cosa stranissima …» gli disse Jack entrando nella casetta attirando così subito la sua attenzione.

Il giovane raccontò per filo e per segno ogni cosa, tranne il sogno con Stella. Quella, la prima cosa non detta da sempre al paffuto amico.

«Wow, non so che dire. È davvero una cosa strana, non riesco a capire come tu possa aver sognato quello che poi hai vissuto, anche se poi, da quello che mi hai detto, l’hai modificato e hai salvato la vita a tua madre… fantastico», commentò Max sbalordito. La semplicità di quel ragazzo, a dir poco unica.

«Non so se ho salvato la vita a mia madre, so solo che ho rivissuto il mio sogno, anche se in modo diverso. Non sono finito contro il bidone, addosso alla vecchia e al ciclista, eppure sono sicuro che l’avrei fatto se non avessi saputo cosa sarebbe successo a mia madre».

Confuso, Jack si scompigliò i capelli sperando di venirne a capo in qualche modo.

«Poi ho seguito quello strano individuo in mezzo al bosco della periferia…

Mi sono informato e ho scoperto che, anni a dietro, in quella vecchia fattoria è successa una macabra vicenda».

Max, tremendamente rapito dal discorso, ascoltava senza battere ciglio, continuando a mangiare quasi fosse davanti all’immenso schermo del piccolo cinema di Sentils, dov’erano soliti andare ogni qualvolta usciva un film degno della loro critica attenzione.

«Domani ho intenzione di tornarci ed entrare in quella fattoria. Che dici Max ci stai?», terminò Jack cercando approvazione.

«Ma certo fratello, vengo dove vuoi.»

Jack si rilassò sorridendo nel sentire quelle parole. Non era più solo e la sicurezza di andare fino in fondo a quella faccenda si solidificò enormemente. Il paffuto amico non lo aveva deluso e come succedeva da che aveva memoria, per ogni cosa, lui c’era e viceversa.

I due ripercorsero la strada passando nuovamente come due abili ladri nel cortile della scuola per poi scavalcare il muretto che la separava dalla strada.

«Bene, è tardi, domani mattina vieni a prendermi per le sette e mezza?», lo invitò Jack salutandolo con una stretta di mano per poi avviarsi verso casa.

«Ok fratello, a domani!». Queste furono le ultime parole di un discorso durato più di un’ora.

Jack, svoltato l'angolo, sorrise allegramente. Appartenevano a famiglie diverse, ma in tutto e per tutto si ritenevano l’uno il fratello dell’altro. La loro, un’invidiabile amicizia fondata sull’onestà.

Türler ve etiketler

Yaş sınırı:
18+
Litres'teki yayın tarihi:
21 ağustos 2020
Hacim:
570 s. 1 illüstrasyon
ISBN:
9788893985468
Telif hakkı:
Tektime S.r.l.s.
İndirme biçimi:
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre