Kitabı oku: «Lo Spirito Del Fuoco», sayfa 3
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Il sole ormai aveva finito il suo turno giornaliero e nel cielo cominciavano a spuntare qua e là i primi corpi celesti mentre una splendida luna, secondo dopo secondo, diventava sempre più luminosa.
Jack, tornando a casa, ricominciò a pensare a lei.
Non si era mai accorto, come in quel giorno, che l’amava dal profondo del cuore.
Era in seconda liceo, ma conosceva Stella dalla prima media. Avevano frequentato lo stesso istituto ma in due classi diverse.
Lui si era subito accorto di lei e già dal primo momento, aveva cominciato a nutrire un forte sentimento nei suoi confronti.
Lei invece, nei tre anni delle medie non lo aveva mai calcolato. Forse era anche quello a rendere così ossessiva la sua passione.
Jack era un ragazzo timido che preferiva stare da solo piuttosto che provare a conoscere dei nuovi ragazzi.
Girò l’angolo in fondo alla via di casa quando riconobbe, vicino alla sua abitazione, una figura in lontananza.
Trasalì.
All'ombra del lampione, di nuovo lui, il vecchio.
La figura si accorse della sua presenza. Voltandogli le spalle, si diresse verso il fondo della via che si tuffava nella piazza del mercato.
Jack guardò l’ora sul cellulare. Erano le sette meno venti, il suo coprifuoco era ancora lontano. Aveva cinquanta minuti a disposizione. Senza pensarci, e stupendosi del suo coraggio, decise di riseguirlo.
Aumentò il passo.
La figura aveva già svoltato l’angolo e ora si trovava nella piazza dove ogni mattina c’era il mercato.
Jack arrivò all’incrocio quando un senso di vertigini lo bloccò.
Aveva paura.
Quell’uomo lo terrorizzava. Il grosso impermeabile gli copriva il corpo. L’unica cosa che riuscì a notare fu una marcata protuberanza nella schiena. Doveva essere una gobba. Stupito di non averla notata la stessa mattina sotto la luce del sole, rimase senza idee, indeciso sul da farsi.
La protuberanza influiva sulla camminata, rendendola lenta e ondulatoria.
Il giovane fece un lungo respiro e svoltò l’angolo.
La piazza a quell’ora era quasi deserta. Tutti, ormai nelle proprie case.
Le uniche presenze in quella desolazione erano il netturbino Dork e l’immancabile Miles, il senzatetto dai folti quanto pazzi capelli bianchi che ormai abitava da più di cinque anni sotto l’albero vicino alla fontana centrale.
L’opera, realizzata da uno dei primi architetti della città, brillava bagnata dagli spruzzi d’acqua sotto i raggi della luna nascente. Con la base esagonale, che grazie ai sei lati forniva molteplici punti di sosta per i cittadini, presentava, nel centro, una grossa statua scolpita nel verde marmo pregiato delle zone limitrofe. L’intera struttura godeva del prezioso minerale. Un tenero bambino impugnava in entrambe le mani, rivolte verso il cielo, due grossi innaffiatoi, dai quali svariati getti schizzavano in alto per poi ricadere su se stessi
Del vecchio gobbo, nessuna traccia.
Jack decise di raggiungere la fontana. Da lì, avrebbe potuto analizzare meglio la situazione.
Nonostante l'estate alle porte, l’aria pungente di quella sera lo costrinse a tirarsi su il cappuccio del suo giubbino nero.
Raggiunto il monumento, non riuscì ugualmente a vedere dov’era finito l’uomo e arreso e turbato per l’ennesima stranezza di quel pazzo giorno, si avviò nuovamente verso casa.
“Almeno sono in anticipo” si disse Jack voltandosi verso la piazza per l’ultima volta.
Imboccò la via di casa quando, per avvisare la madre del suo arrivo, si accorse di aver perso il cellulare.
Scosse il capo imprecando.
«La fontana!» esclamò voltandosi speranzoso. Era stanco e non aveva nessuna voglia di tornare indietro ma di certo non poteva lasciare lì il suo telefono.
La madre aveva fatto un enorme sacrificio per regalarglielo. Era l’ultimo modello e non poteva assolutamente perderlo.
Ritornato nella piazza, affannato per l’andatura veloce, lo ritrovò ai piedi di uno dei sei lati marmorei. Decise di sedersi sul bordo leggermente umido della struttura. Al coprifuoco, mancavano ancora trenta minuti e l’arietta gelida che tirava in piazza lo aveva avvolto procurandogli quei brividi che a lui piacevano tanto.
Restò lì per un bel po', senza pensare a niente, facendosi accarezzare da quel vento così penetrante quanto confortevole. Mancavano pochi minuti alle sette e mezzo. Non si era accorto del tempo trascorso.
Si alzò per andarsene quando la sua attenzione fu attirata da Miles, il senzatetto che, allegro e nel suo mondo, stava giochicchiando con un foulard rosa.
«Ciao Miles, dove l’hai preso quel foulard?» domandò il giovane con un tono che non riconobbe neanche lui.
«Ca… ca… calmati ra … ragazzo» balbettò l’uomo infastidito.
«L’ho trovato per terra e adesso è mio, però se lo vuoi te lo do per dieci monete.
Che dici ci stai amico? È un affare!», concluse il senzatetto speranzoso.
«Mi dispiace Miles ma non ho il portafogli con me. L’unica cosa che vorrei sapere è dove l’hai trovato, mi faresti un grosso favore» rispose il giovane con tono amichevole.
«Gua… Guarda l’ho trovato giusto mezz'oretta fa. È caduto a quello strano signore gobbo, io l’ho trovato, non è più suo.
Poi che se ne fa lui di un fazzoletto rosa? Ricco com’è non se ne accorgerà mai», lo strinse forte tra le mani per paura di perderlo.
«No, figurati ormai è tuo a tutti gli effetti», lo assecondò Jack.
«E perché dici che è ricco?», era incuriosito.
«Perché ha u.. una ca.. casa bellissima, proprio là, sopra al bar.
Sai quello una volta era il mio appartamento, poi però ho scelto di andarmene. Volevo provare nuove esperienze, girare il mondo». Miles stava come al suo solito delirando. Gli aveva comunque dato un’ottima informazione.
Quell’appartamento era stato da poco ristrutturato da una ditta edile della zona e dalle voci che giravano per il paese, il prezzo di quel vecchio appartamento era aumentato vertiginosamente dopo i lavori.
Jack doveva saperne di più su quell’individuo.
Ormai era tardi. Avrebbe fatto arrabbiare la madre per la seconda volta in un giorno.
Il vento si alzò portando dal nord una grossa coltre di nubi.
L’indomani, sarebbe piovuto quasi sicuramente.
Arrivato a casa, trovò la madre appisolata sul divano. Capitava sovente che la donna, dopo le giornate stremanti al lavoro, si addormentasse nel salotto con la televisione accesa. Nel vederla, così tranquilla e immersa completamente nei suoi sogni, il giovane decise di non svegliarla. I lunghi capelli neri poggiavano sul morbido cuscino blu e in quell’istante, nell’assoluto silenzio di quel momento, Jack tremò. Il pensiero cadde sul macabro e terribile sogno fatto la mattina. Chiuse gli occhi per un istante e scacciò via quelle orribili immagini che, come una cascata, lo avevano nuovamente travolto. La guardò ancora per alcuni secondi e cercando di non fare rumore, salì in camera sua per togliersi di dosso i vestiti ormai sporchi a causa dei percorsi fatti durante il giorno. Dalla finestra, la luna e le stelle, coperte leggermente dalle nubi, erano ancora ben visibili. Quello, uno spettacolo per un giovane sedicenne timido e romantico come lui. Fin da piccolo il cielo lo aveva sempre attratto. Il sole, un’immensa palla di fuoco dalla vita quasi infinita, regnava nei cieli durante il giorno solo per riposare al calar della notte, per far posto alla sua compagna, un’altra sfera brillante che illuminava in un modo meno intenso e più avvolgente il firmamento. Il padre ogni sera gli raccontava storie fantastiche, molte delle quali avevano come protagonisti i due enormi corpi celesti. Per lui era sempre stato un grande piacere ascoltare la lenta e penetrante voce del padre appallottolato sotto il grosso piumone blu scuro, proprio come la notte. E quando Robert non gli narrava di loro, i protagonisti erano esseri magici, dai diversi poteri, abitanti di mondi fantastici e lontani. Nei primi anni di vita, appassionato dalle storie del padre, Jack si perdeva, poggiato sul davanzale della sua piccola finestra, a osservare il cielo e i suoi abitanti, immaginandoseli socchiudendo gli occhi, in quei posti mistici e lontani. Anche le stelle lo lasciavano a bocca aperta.
“Le stelle, piccolo mio, non sono altro che le figlie e i figli del sole e della luna” raccontava Robert seduto sul suo letto passandogli la mano fra i capelli, all’epoca lunghi fino alle spalle.
“E perché di giorno non si vedono?” domandava sempre lui incuriosito.
“Perché durante il giorno, il loro padre, il sole, protegge i cieli aiutato dalle sue fidate guardie, le nuvole, mentre la sua amata e i suoi piccoli vivono le loro vite. Alla fine di ogni giornata, quando ormai i cieli sono al sicuro, lascia loro tutto lo spazio per dormire sonni tranquilli, sempre sotto l’occhio vigile e protettivo delle grandi nuvole. Lui, stanco va a riposare per poi essere pronto per il suo compito il giorno seguente.” L’uomo lo coccolava amorevolmente tutte le sere mentre la moglie, la maggior parte delle volte, era impegnata in ospedale con i turni notturni.
“Che bravo che è. Dev’essere un duro compito per lui, vero papà?”, sorrideva Jack stringendosi tra le coperte e godendosi le carezze.
“Vedi figliolo, tutti i padri sono così, vegliano costantemente sulla propria famiglia per proteggerla e aiutarla sempre. Quando anche tu sarai grande e avrai la tua famiglia, ti comporterai proprio come il sole e ti prenderai cura della tua amata e dei tuoi figli.”
Nel sentire quelle parole il bambino si illuminava sempre, sognando un giorno di essere forte e valoroso come il sole e come suo padre.
“Sei il mio sole allora papà” disse una sera d’estate sorridendogli.
“Certo, amore mio, e non smetterò mai di vegliare su di te e sulla mamma, mai” rispose l'uomo con gli occhi lucidi pieni di gioia e commozione.
“Ma non dimenticare una cosa importantissima, figlio mio” gli disse indicando il cielo della notte.
“Anche la luna, madre delle stelle, veglia sui suoi figli e per lei vale la stessa regola del marito. Proteggere la famiglia.” E nel ricordaglielo sorrideva sempre pensando alla fortuna di aver sposato una donna formidabile che gli aveva donato un figlio eccezionale.
Jack ascoltava sempre a bocca aperta, rapito dalla magia delle storie che l’uomo gli raccontava con tanto amore.
Ma ora, non era più un bambino e nel ripensare a quelle splendide serate passate in compagnia del padre, si strinse in se stesso cercando di immaginare ancora una volta quelle splendide carezze che lo accompagnavano nel sonno e che da anni ormai non c’erano più.
La promessa fatta prima della sua scomparsa era ben incisa nella sua mente e nel suo cuore. Con la sua assenza, ora era diventato lui il sole della famiglia e come tale, doveva proteggere la sua adorata madre.
Quando scese in salotto per svegliarla, le raccontò che era arrivato una ventina di minuti prima e che aveva preferito lasciarla dormire ancora un po’. Ancora assonnata, la madre gli sorrise abbracciandolo e si alzò per preparare la cena che, come al solito, si rivelò stupendamente squisita.
I due cenarono tranquillamente e la donna, che passava sempre poco tempo con il figlio, iniziò a fargli qualche domanda sulla sua vita privata.
«Max si è divertito alla gita?»
«Sì e avrei voluto andarci anche io. Scusami, ti ho fatto sprecare dei soldi. Non ho proprio sentito la sveglia», si scusò Jack prendendo con la forchetta l’ultimo pezzo di pollo al limone dal suo piatto.
«Non preoccuparti, l’importante è che da oggi non si ripeta più. Dopodomani ho il pomeriggio libero prima della notte. Andremo a comprare una sveglia di quelle fastidiose e rumorose, così riuscirai a svegliarti anche se stanco dagli allenamenti.» rispose la donna sorridendogli per poi mandare giù una lunga sorsata di vino rosso.
«Va bene, andremo insieme. Non vedo l’ora».
Il giovane adorava trascorrere il tempo libero con lei.
«A proposito, come sta andando la preparazione fisica per le gare del prossimo mese?»
«Bene, sono massacranti, ma i risultati si vedono già e per l’inizio delle gare, sarò in forma pronto a fronteggiarmi con tutti», le strizzò l’occhio il giovane convinto delle proprie abilità.
La donna, che una volta al mese riusciva ad andare a vedere gli allenamenti, sorrise orgogliosa. Parlava sempre con il maestro e a detta sua, Jack era nato per quello sport. Con il suo fisico snello e le lunghe leve per la sua età, riusciva a sfoderare colpi decisivi dove gli altri non arrivavano, neutralizzando così le difese dei suoi avversari.
La cena era sempre il momento per una sana e bella chiacchierata e il ragazzo se la godeva pienamente ogni volta. La madre non andava mai oltre alle domande generiche, lasciando così la giusta privacy al figlio, che quando ne aveva bisogno le raccontava spontaneamente ogni cosa. Di Stella, la ragazza per cui perdeva la testa da anni, non le aveva mai accennato nulla, forse per il semplice fatto che con lei non aveva mai avuto un vero e proprio contatto. Si era comunque convinto che, in uno dei giorni seguenti, glielo avrebbe detto. Sicuramente, avrebbe ricevuto qualche consiglio utile per combattere la sua forte timidezza e andarle finalmente a parlare. Il sol pensiero gli faceva tremare le gambe e gli contorceva lo stomaco. Parlarne voleva dire trasformare i suoi pensieri in realtà, una realtà in cui lei gli era tremendamente distante. La paura e la tensione erano sempre al massimo quando si trattava dell'amata.
Dopo aver aiutato la madre a sparecchiare e lavare i piatti, entrambi si misero sul divano davanti a una delle puntate della terza stagione di una nota serie poliziesca, per la quale la donna, a furia di guardarla con il figlio, nutriva un certo interesse. Dopo poco tempo però, entrambi caddero in un sonno profondo, stanchi delle rispettive giornate.
8
Un rumore fastidioso gli penetrò i timpani e sbuffando, dopo essersi portato il cuscino blu del divano alle orecchie, si alzò frastornato. Era il campanello, Max era arrivato.
Nell’alzarsi, con gli occhi ancora semi chiusi, si accorse di aver passato la notte in salotto. La madre, svegliatasi poi dopo poche ore nel cuore della notte, aveva deciso di non disturbarlo e di prepararsi in silenzio per andare al lavoro, dove l’attendeva il consueto turno massacrante.
Erano le sette e mezzo in punto e dalla piccola finestra vicino all’ingresso, i raggi del sole entravano timidi.
«Puntuale come un orologio» disse Jack assonnato aprendo la porta.
«Ciao anche a te, allora che facciamo andiamo in periferia?» il paffuto amico, fresco come una rosa, entrò gettandosi sul divano sorridente.
«Certo che andiamo, devo solo preparami.»
Il giovane salì le scale e si chiuse in bagno uscendone dopo pochi minuti, con la faccia ancora bagnata. L’acqua fresca del rubinetto non aveva quasi mai gli effetti sperati, lasciandolo ugualmente stordito almeno per le prime due ore da quando apriva costantemente controvoglia gli occhi.
I vestiti erano ancora dove li aveva lasciati la sera prima, arrotolati sulla sedia.
Quando scese le scale, Max era ancora sul divano ma con un grosso panino tra le mani.
«Sono neanche le otto e sei già lì che mangi, guarda che prima o poi esplodi» disse Jack grattandosi la testa sbadigliando. Per lui era praticamente impossibile far colazione appena sveglio. Il semplice odore del cibo gli penetrava nelle narici fastidiosamente. Il suo maestro, un piccolo uomo orientale dal fisico impeccabile, insisteva, come d'altronde la madre, per fargli capire l’importanza di quel pasto.
“Abbiamo bisogno della nostra benzina anche il mattino. Dobbiamo aver cura del nostro corpo, esso è il tempio della nostra anima e preservarlo nelle migliori condizioni è un nostro dovere” ripeteva sempre l’uomo quando affrontavano il discorso. Jack, sollecitato vivacemente, ci aveva anche provato. I saggi consigli del maestro erano sempre presi alla lettera molto seriamente. Una mattina, convinto più che mai, provò a far colazione con una piccola tazza di latte accompagnata dai suoi cereali preferiti, quelli al cioccolato. Il tentativo, per quanto delizioso, fu un vero buco nell’acqua, portandolo subito ad avere una terribile nausea per l’intera giornata, passata poi con i crampi allo stomaco. Quella fu l’unica volta in cui provò e al posto di aiutarlo, aumentò il suo rifiuto verso il cibo mattutino.
L'amico, a differenza, già alle prime luci dell’alba divorava ogni cosa. Dai dolci ai cibi salati, senza distinzioni. Era un’autentica macchina divoratrice.
I due si guardarono per un secondo e poi scoppiarono a ridere allegramente.
Usciti di casa, Jack si guardò intorno con estrema attenzione. I fatti del giorno precedente erano ancora ben vivi nella sua mente.
«Cosa stai facendo? Aspetti qualcuno?» chiese Max inghiottendo l’ultimo pezzo del suo enorme panino al tacchino immerso nella maionese.
«No, tutto a posto», si limitò il giovane dando l’ultima occhiata. I due imboccarono la strada e si avviarono verso la piazza del mercato. L’aria del mattino, fresca e rigeneratrice, lentamente svegliò del tutto Jack che, con grande sollievo, si passò le mani tra i folti e ondulati capelli corvini. Arrivati nella piazza dove i mercanti avevano già montato le loro bancarelle, decisero di sedersi su una panchina sotto i portici del comune che faceva da sfondo alle attività commerciali quotidiane. Da lì potevano osservare, senza essere visti, la porta del palazzo dove, a detta del povero Miles, abitava il vecchio gobbo.
Vista l'ora, l’uomo non doveva ancora essere sceso. Intendevano aspettarlo, così da poterlo seguire nella speranza di riuscire a capire qualcosa di più sul suo conto.
Nonostante il sole avesse intrapreso già da tempo il suo viaggio verso ovest, del vecchio, nessuna traccia.
Max stava addentando il quinto panino quando la porta della palazzina vicino al bar si aprì lentamente.
Ne uscì una figura gobba e malandata, era lui.
L’uomo si guardò attorno analizzando bene la piazza e Jack, d’istinto, diede all'amico una leggera gomitata, forte al punto giusto per farlo rannicchiare. I due si nascosero velocemente dietro a una delle venti colonne che segnavano il perimetro della facciata principale del comune.
Il gobbo attraversò la piazza come un’ombra superando la meravigliosa fontana di marmo per poi raggiungere la parte opposta. Si guardò ancora intorno sospettoso e dopo essersi accertato che nessuno si fosse accorto della sua presenza, si avviò verso casa di Jack imboccando la strada che i due avevano percorso da neanche un paio d’ore. Il giovane non si stupì, ma venne scosso da dei brividi lungo la schiena.
Quell’uomo voleva qualcosa da sua madre, doveva saperne di più.
La speranza era che il sogno non si avverasse. Non credeva possibile una cosa del genere, era assurdo, ma la paura non ne voleva sapere e, aggressiva, gli strinse lo stomaco.
Per lui, il destino aveva altri piani.
I due ragazzi si gettarono veloci nella piazza rimanendo però sui lati, cercando così di non essere visti. La città era piccola e non volevano assolutamente che qualcuno li notasse. I loro genitori non dovevano sapere in nessun modo che entrambi avevano marinato la scuola. Sarebbe stato impossibile spiegare il motivo di quell’assenza e nessuno li avrebbe presi sul serio. Superato il mercato, rimanendo nascosti tra un cespuglio e l’altro, arrivarono in pochi minuti all’imbocco della strada che portava verso la sua abitazione. Lontano un centinaio di metri, la sagoma del vecchio.
Nel vederlo camminare così lentamente, Jack s'insospettì.
«È davvero inquietante, sai?».
Max buttò la carta del panino nel bidone dell’immondizia ripulendosi nervoso la bocca dalle briciole.
«Lo so amico, lo so!», si limitò Jack teso.
Non riusciva a pensare a niente. Le idee erano confuse, solo una cosa era chiara: seguire l’uomo.
I due riuscirono a non farsi vedere. Macchine e alberi, ottimi nascondigli.
Dopo una ventina di minuti, il vecchio raggiunse il vialetto della casa, attraversò la strada e si sedette sulla panchina di fronte all’abitazione. Il sole gli illuminò il viso rugoso inquietando ancor di più i pedinatori che, tesi come una corda di violino, continuarono a rimanere nascosti.
Accovacciati dietro a un grosso e argentato fuoristrada, pulito maniacalmente da un noto avvocato che spendeva il suo buon capitale in oggetti che neanche usava, i due si fissarono intensamente. Ma dopo qualche istante, si accorsero che da lì non potevano più muoversi.
L’uomo iniziò a guardarsi intorno freneticamente come se stesse aspettando qualcuno.
Quel qualcuno, sicuramente sua madre pensò Jack agitandosi ancor di più.
Guardò l'ora, erano le dieci passate e l'ormai caldo sole non era d'aiuto.
Jack continuò a spiare il vecchio attraverso i vetri del veicolo, non si era accorto della loro presenza, o così sembrava.
«Ho le gambe a pezzi, non riesco più a stare piegato» brontolò Max toccandosi i tondi polpacci. La sua resistenza fisica lasciava a desiderare ma non si poteva pretendere di più dal paffuto ragazzo. A differenza dell’amico e il fisico lo dimostrava, Max non aveva mai fatto nessuno sport se non alle elementari, quando, spinto da una voglia poi scomparsa definitivamente, si era iscritto nella squadra di rugby della scuola. Ma per quanto fosse portato, la svogliataggine aveva avuto il sopravvento, facendogli abbandonare così in pochi mesi l’unica esperienza sportiva.
«Lo so, ma se ci muoviamo adesso rischiamo di farci vedere», lo esortò Jack buttando l’occhio verso il vecchio appostato sul marciapiede opposto al loro.
Max si stravaccò per terra e dopo aver aperto lo zainetto, tirò fuori una merendina al cioccolato, le sue preferite.
«Ma come diavolo fai? Hai già mangiato cinque panini, quanto spazio c’è là dentro?», lo guardò a bocca aperta. Per quanto fossero cresciuti insieme, l’ingordigia dell’amico riusciva sempre a sorprenderlo.
«Dovresti saperlo, quando sono nervoso mangio, mi rilassa» rispose Max mordendo lo snack compiaciuto.
L’uomo era lì, impegnato a osservare tutto quel che succedeva intorno a lui.
La giornata era ancora lunga.
Passata un’altra mezzora, nella quale per fortuna Max non addentò più nulla, qualcuno si avvicinò a loro di soppiatto.
«Cosa state facendo vicino alla mia macchina?», li rimproverò sospettosa una signora di mezza età uscita da un portoncino a pochi passi da loro.
I due, presi alle spalle, si voltarono di scatto. Nei loro occhi, il terrore.
Era la vicina di casa, moglie dell’avvocato più importante della città, una donna sulla cinquantina dai lunghi capelli tinti di un biondo cenere e che tirata nel suo abito nero, troppo corto per la sua età, li guardava malamente. Le voci che giravano sulla signora tra i pettegoli più accaniti la descrivevano come una ricca casalinga tremendamente annoiata e dal carattere irascibile.
«Non pensi male, signora Donley. Ho perso le chiavi di casa e stavo guardando se erano finite sotto le ruote del suo meraviglioso fuoristrada», si affrettò Jack sudando freddo.
«Beh, penso che tu non le abbia trovate sotto la macchina di mio marito. Ora spostatevi, devo andare via!», terminò scorbutica la donna visibilmente infastidita.
Jack sapeva che se si fossero alzati in quel momento, il gobbo li avrebbe visti.
Ma in quel preciso istante, la fortuna li aiutò. All’angolo opposto, in fondo alla via che portava all'ospedale, due macchine si urtarono lievemente attirando così l’attenzione dell’uomo.
«Ci scusi signora Donley», si affrettò Jack afferrando l'amico per il braccio per poi trascinarlo velocemente dietro ai bidoni dell’immondizia poco più indietro. Sotto lo sguardo stupito della moglie dell'avvocato, i due finsero nuovamente la loro ricerca accentuando vistosamente i movimenti in una scenetta poco credibile.
Con un'ultima e sottile occhiataccia rimproverante, la donna salì sulla sua fiammante auto andandosene insospettita.
Ci furono diversi minuti di confusione nella via. I due proprietari delle vetture, scesi entrambi di corsa per assicurarsi che le proprie auto non si fossero danneggiate, avevano iniziato a insultarsi fortemente attirando così i curiosi nelle vicinanze che, come avvoltoi, si erano accalcati ormai tutt'intorno per godersi al meglio la scena.
Jack, agitato, non riuscì a vedere un posto dove potersi nuovamente nascondere.
Sapeva che se si fosse fatto vedere il vecchio se ne sarebbe andato e questo non doveva assolutamente succedere.
Nel frattempo, le sirene della polizia locale riecheggiarono fortemente preannunciando cosi l'arrivo della volante.
Era la pattuglia che vigilava nella piazza del mercato e che in pochi minuti, chiamata da qualche passante ficcanaso, aveva raggiunto il luogo del piccolo incidente. Un grosso fuoristrada nero, uscito dal proprio garage senza guardare, era stato tamponato sul fianco da una vecchia utilitaria verde metallizzato. La volante si arrestò davanti ai due che, appena visti gli agenti, si bloccarono all’istante continuando comunque a guardarsi in cagnesco.
I poliziotti, due uomini dall'aria addormentata, scesero dall'auto con un’espressione scocciata stampata sui loro volti.
Jack riconobbe l’agente Mirtin, padre del montato Flin Mirtin, suo compagno di classe.
La polizia del paese, cosa ormai risaputa, non era delle più affidabili. Il sindaco aveva assegnato il compito a delle persone non qualificate e di sua conoscenza. Nessuno però aveva mai fatto domande o presentato reclami. Si sapeva che in una piccola cittadina come Sentils l’appoggio del sindaco poteva essere veramente utile, sia per fare carriera che per la vita di tutti i giorni.
L’unica cosa che gli abitanti non volevano era avercelo contro. L’uomo, un signore paffuto sulla sessantina, era ben rispettato e da sotto i suoi curati baffi neri, si assicurava da tempo indefinito il bene dei suoi cittadini, giovandone personalmente in molte occasioni.
I poliziotti calmarono gli spiriti dei due uomini e li invitarono a risalire sulle loro vetture senza fare ulteriori storie. Le persone accorse si dispersero in pochi secondi ritornando così alle proprie attività quotidiane. Lo spettacolo giornaliero ormai era finito.
Il vecchio, dopo aver assistito impassibile alla scena, si voltò di scatto nella loro direzione scrutando con attenzione l'ambiente circostante.
Jack sussultò. Quel movimento, così rapido quanto innaturale per un signore di quell'età, gli impose di trovare un nascondiglio migliore.
La marmaglia che aveva assistito alla scena ormai stava risalendo la via, entro pochi secondi sarebbe passata proprio accanto a loro. Quasi tutti erano diretti nella piazza del mercato e occupavano buona parte della strada.
A Sentils, c’erano più pedoni che automobili. Lì, i mezzi più usati erano la bicicletta e il cavallo e, quest’ultimo, solo più in periferia. Essendo piccolo, il paese attirava ogni anno sempre più turisti, attratti dai bellissimi boschi e dai verdi campi dove chiunque poteva godersi un po’ di sana e meritata tranquillità. Alcune delle fattorie più grosse ospitavano diversi cavalli con cui riuscivano a guadagnare, durante le festività, ottime somme di denaro organizzando escursioni nelle vallate circostanti o portando in giro per la città i turisti a bordo di semplici e rudi carrozze che rievocavano in loro quel sapore tipico che solo la campagna poteva regalare.
Erano sempre più vicini.
«Perché non ci mischiamo tra la folla e raggiungiamo quel muretto?» consigliò Max svaccandosi nuovamente a terra.
«Ma sei un genio amico mio, un genio!», lo abbracciò Jack sorridendogli fortemente. Non ci aveva pensato perché fino a pochi minuti prima, a coprire quel nascondiglio, c’era un enorme camion di merci.
I due aspettarono che la folla fosse più vicina e, usandola come scudo, attraversarono la strada zigzagando tra la gente e raggiungendo così il muretto che costeggiava il piccolo giardinetto pubblico. Quello, un ottimo nascondiglio. Da lì, potevano osservare il vecchio senza essere visti se non con una sua completa e impossibile torsione del collo.
Ormai erano quasi le undici, orario in cui la madre, il giovedì, tornava a casa giusto per la pausa di un paio d’ore per poi schizzare nuovamente in reparto.
Pensando alla donna, Jack tremò. Se l'avesse scoperto nuovamente a saltare la scuola, questa volta la punizione sarebbe stata esemplare.
In lontananza, dall’altra parte della via che portava nella zona dei negozi e dell’ospedale, apparve la figura della madre che, a passo lento e stanco, stava raggiungendo la propria abitazione con due grosse buste della spesa tra le mani. Nel vederla così vicino a quell’individuo, con solo la stretta strada a dividerli l’uno dall’altra, il ragazzo si bloccò assalito dalla paura.
La donna, esausta, raggiunse il vialetto di casa per poi sparire tra il verde del suo giardino. A render diversa quell'abitudinaria cornice di normalità, l'ambigua presenza del vecchio dalla pelle rugosa.
Poi, un pensiero gli balenò in mente.
“Quella strega della Lort avrà sicuramente chiamato mia madre.” imprecò arrabbiato. Quella vecchia megera non aspettava altro, ne era sicuro. Ma ora, c’era qualcosa di più importante a cui pensare.
L’uomo aspettò che la donna fosse entrata e, dopo aver riattraversato la strada, si fermò davanti alla casa di Jack. La analizzò per una manciata di secondi e si avviò verso la piazza del mercato con le mani immerse nelle tasche del suo impermeabile beige. Il giovane prese velocemente la testa dell’amico e la nascose dietro il muretto con il cuore a mille. Dall’altro marciapiede, per il vecchio sarebbe stato facile accorgersi di loro. Dopo una decina di secondi, l’uomo passò a pochi metri dal nascondiglio e continuò il cammino diritto verso la piazza.
«Per fortuna non si è accorto di noi», sorrise Max sollevato.
«Ora dobbiamo vedere dove va!», si affrettò Jack.
A differenza dell'andata, l'uomo presentò un'andatura più rapida, raggiungendo così l'affollato mercato in poco tempo.
Attraversò la piazza passando tra le bancarelle e giunse davanti al portoncino vicino al bar. Inaspettatamente, si fermò di colpo.
I suoi sottili occhi scrutarono meticolosamente la zona circostante e dopo alcuni interminabili secondi, nei quali i due si nascosero dietro a un banco della frutta, l'uomo scomparve all’interno del palazzo.
«Max, tu resta qui, io vado alla fattoria! Se mai dovesse uscire di casa, seguilo rimanendogli distante e se vedi che si dirige verso il bosco della periferia, chiamami immediatamente sul cellulare!» gli ordinò Jack agitato. Aveva paura, ma doveva andare. «Non ti preoccupare, fidati di me! Sarò la sua ombra», gli strizzò l’occhio Max continuando a farfugliare altre promesse, immerso pienamente nella parte. «Mi raccomando, fai attenzione. Quell’uomo non mi piace, magari ha dei complici che ti attendono e se fosse così, saresti veramente in pericolo» continuò preoccupato.