Kitabı oku: «Gli Ossidiani », sayfa 2

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CAPITOLO DUE

Christopher Blue stava seduto, bagnato fradicio e tremante, nell’ufficio dalle pareti nere che apparteneva a Madama Ossidiana. I suoi capelli biondo scuro gli pendevano dalla testa come tentacoli. Aveva addosso il puzzo del Tamigi e l’intera stanza olezzava di quel fetore.

Tutti gli altri Ossidiani erano seduti attorno al tavolo con espressione abbattuta, le braccia incrociate e lo sguardo torvo rivolto verso di lui. L’espressione di Malcom Malice era la più perfida di tutte, il genere di sguardo che ti poteva far impietrire.

Malcom ovviamente riversava su Chris la colpa per il loro fallimento nel 1690.

Con una dolorosa fitta di frustrazione, Chris ricordò il momento in cui aveva quasi ucciso Oliver sulle rive del Tamigi. Gli aveva tenuto la mano attorno alla caviglia e tutto quello che bastava sarebbe stato tirarlo verso le profondità del fiume! Ma in qualche modo suo fratello era riuscito a scivolare via, sfuggendo alla sua presa e strisciando attraverso il portale.

La porta si aprì con uno schianto, risvegliando Chris dai suoi pensieri. Madama Ossidiana entrò con la sua leggerezza, il mantello nero che svolazzava dietro di lei.

Chris la guardò con cauta apprensione mentre la donna si lasciava cadere pesantemente nella sua poltrona e guardava con occhi perforanti ogni singolo volto. La tensione nella stanza si faceva più pesante a ogni secondo di silenzio che passava.

Alla fine parlò: “Mi avete deluso.”

Il suo sguardo si soffermò su Chris. Lui raddrizzò la schiena e irrigidì il volto. Si preparò a una decisa lavata di capo.

Ma con sua sorpresa, Madama Ossidiana passò oltre con lo sguardo e puntò gli occhi su Malcom.

“Tu più di tutti, Malcom Malice.” Il suo tono era gelido come il ghiaccio.

“Io?” esclamò Malcom. Puntò un dito contro Chris. “È stato lui a far scappare Oliver con la Sfera di Kandra! Se qualcuno ha delle colpe, è lui! Era il nostro capo.”

“Dovevi essere tu il capo,” ribatté Madama Ossidiana.

“Lei ha detto che è il più forte a fare da capo,” protestò Malcom.

Madama Ossidiana sbatté una mano sul tavolo per farlo stare zitto. “Avresti dovuto essere tu il più forte, Malcom! Tu! Un indovino con l’adeguata formazione! Chris aveva solo ricevuto i suoi poteri per infusione, eppure dopo poche ore la sua forza ha superato la tua!”

Chris si sentì gonfiare il petto d’orgoglio. Aveva sempre sospettato di essere speciale. L’espressione di imbarazzo sul volto di Malcom era una cosa di cui avrebbe goduto per sempre.

Ma all’improvviso Madama Ossidiana si girò a guardare lui. “Puoi levarti dalla faccia quel sorrisino, Christopher Blue,” disse con veemenza. “C’è ben altro in serbo per te.”

Chris sentì il battito del suo cuore che accelerava per l’ansia. Ricompose rapidamente la propria espressione riportandola alla neutralità.

“Sì, signora,” squittì, la mente che intanto passava in rassegna tutte le possibili punizioni che lei potesse infliggergli.

Madama Ossidiana lo tenne fermo al suo posto con il suo sguardo glaciale e malvagio, e continuò a parlare con quel suo tono deciso. “Ti ho riempito della più potente magia nera. Hai un grosso potenziale. Ma hai bisogno di formazione.”

Chris sbatté le palpebre scioccato. Tutt’attorno a lui sentiva gli altri studenti Ossidiani che si muovevano innervositi sui loro posti. Le parole di Madama Ossidiana avevano colto tutti di sorpresa.

“Formazione?” chiese Malcom inorridito. “E una punizione?”

Madama Ossidiana ignorò il suo commento e tenne gli occhi fissi su Chris.

“Formazione?” ripeté Chris.

“Sì. Adeguata. I tuoi poteri sono troppo perché qualsiasi insegnante alla Scuola Ossidiana possa gestirli.”

La preside schioccò le dita e la porta dietro di lei si aprì di scatto. Un uomo entrò nell’ufficio. Aveva indosso un lungo mantello nero che gli copriva anche tutto il volto, come pure il corpo. L’unica cosa che si vedeva erano i suoi luccicanti occhi blu, tipici di un indovino malvagio.

“Questo è il tuo nuovo insegnante,” disse a Chris Madama Ossidiana. “Il colonnello Caino.”

Chris riconobbe l’uomo all’istante. Era uno dei combattenti dell’esercito oscuro che aveva lottato contro Sorella Judith insieme a lui nell’Inghilterra del 1690.

Il cuore iniziò a battergli nel petto. Si sentiva frastornato per l’emozione. Pochi secondi fa si era aspettato di essere punito, ora invece stava scoprendo che avrebbe invece ricevuto adeguata formazione da parte di un soldato dell’esercito oscuro! Era un deciso cambio di prospettiva per la sua mente.

Nonostante i suoi tentativi di mantenere un’espressione impassibile, Christopher sentì un sorriso piegargli gli angoli della bocca. Quando si era trovato nell’Inghilterra del 1690, impegnato a combattere contro l’esercito oscuro, aveva provato attrazione per quei soldati, una sorta di chiamata che gli diceva che lui apparteneva all’esercito più che alla Scuola Ossidiana. Ora il suo desiderio stava diventando realtà.

“Sarà estremamente difficile,” disse autoritaria Madama Ossidiana, costringendolo a riportare l’attenzione lì, fuori dalla sua testa.

Chris annuì ripetutamente e velocemente e parlò con voce affrettata: “Capisco. Lavorerò sodo per voi, signora.”

La preside fece una pausa e le sue labbra si arricciarono formando una piccola linea mentre lo fissava intensamente per un paio di secondi.

Chris si sentì attorcigliare lo stomaco. Madama Ossidiana aveva quell’effetto sulla maggior parte della gente. Stranamente, la paura che provava nei suoi confronti si mescolava all’ammirazione che aveva per lei e al desiderio di compiacerla.

“Ti conviene,” disse lei alla fine, appoggiandosi allo schienale del suo trono. “Perché non ci sarà nessuna terza possibilità.”

Quelle parole colpirono Chris come un lampo. Non c’era bisogno che Madama Ossidiana gli spiegasse ciò che intendeva dire. Lui aveva fallito una volta. Quella era l’ultima possibilità di darle prova di sé. Se avesse fallito di nuovo, sarebbe finita.

Con la coda dell’occhio Chris vide che l’avvertimento – o meglio minaccia – di Madama Ossidiana aveva trasformato il cipiglio di Malcom Malice in un sorriso compiaciuto e malvagio. Vedendo quello stupido volto, la determinazione di Chris si fece più intensa nelle sue viscere.

“Non vi deluderò,” disse Chris con forza, intenzionato a colpire Madama Ossidiana come una freccia che va al centro del bersaglio. “A qualsiasi costo. Ovunque mi manderete. Chiunque serva uccidere. Farò ogni cosa.”

Madama Ossidiana sollevò il mento e lo guardò fisso negli occhi. Chris notò il luccichio nel suo sguardo, evidente conferma che gli credeva.

La tensione che sentiva al petto si allentò e si permise di accasciarsi un poco sulla sedia, esausto per lo stress della situazione ma sollevato di sapere che lei aveva fede in lui. La sua approvazione significava tutto per Chris.

“Bene,” disse Madama Ossidiana con un secco segno di assenso con il capo. “Perché non c’è tempo da perdere.”

Si piegò in avanti sui gomiti e agitò un braccio indicando la sfera magica sul tavolo davanti a lei. Era il suo dispositivo per spiare, quello che aveva usato per guardare i loro rivali alla Scuola degli Indovini di Ametisto. Di solito c’era un’immagine all’interno, ma questa volta non si vedeva nient’altro che una confusa foschia, come un’oscura nuvola temporalesca.

“Data la vostra negativa incursione nell’Inghilterra del 1690, la Scuola degli Indovini di Ametisto si è rafforzata ancora di più,” spiegò. “Non riesco più a vedere all’interno. Ma non vi preoccupate. Abbiamo gente che lavora per noi da dentro.”

“Intende dire una talpa?” chiese Madeleine, l’indovina dai capelli rossi.

Era la prima volta che uno studente ossidiano che non fosse Malcom o Chris osasse prendere la parola.

Madama Ossidiana la guardò e sorrise. “Sì.”

Madeleine parve compiaciuta e batté le mani. “Che meraviglia. Chi è? Uno studente? Un insegn…”

Ma prima che Madeleine potesse finire la frase, Madama Ossidiana agitò la mano in aria mimando il movimento di una cerniera che si chiude. In un batter d’occhio le labbra di Madeleine scomparvero, lasciando nient’altro che una copertura carnosa dove prima c’era la bocca.

Chris rabbrividì dal suo posto. Vedere Madeleine senza bocca era una scena che lo disturbava. Ma la cosa che lo disturbava ancora di più era il motivo per cui Madama Ossidiana aveva deciso di dare mostra dei suoi poteri in quel modo. Chris capì che era un avvertimento. Un avvertimento per lui. Questo, o qualcosa di simile, era il destino che gli sarebbe toccato se avesse mandato all’aria la missione.

Gli occhi di Madeleine erano sgranati, allarmati, mentre la ragazza si portava le mani alla bocca. Ora la sua voce era niente più che un rumore soffocato.

“C’è qualcun altro che desidera interrompere?” chiese Madama Ossidiana, fissandoli uno per uno con espressione torva.

Tutti rimasero in silenzio.

La preside continuò a parlare come se non fosse successo niente. “Le fortificazioni che oscurano la mia capacità di vedere coprono solo il terreno della scuola. Il che significa che nel momento in cui Oliver Blue uscirà dai confini dell’edificio, riuscirò a seguire di nuovo le sue tracce.”

Sentendo nominare suo fratello, Chris si mise un po’ più dritto sulla sua sedia. Il suo desiderio di uccidere quella mezza calzetta una volta per tutte si fece più forte dentro di lui, trasformandosi in una febbre omicida che gli rombava nelle orecchie come un rullo di tamburi.

“E nel secondo in cui lo farà,” continuò Madama Ossidiana con voce subdola, “manderò te a seguirlo.”

Sbatté il palmo sul tavolo e tutti sobbalzarono. Ma il suo sguardo era fisso solo su Christopher.

Lui deglutì mentre l’intensità dei suoi occhi gli bruciava addosso.

La sua voce si fece più forte, più severa, più entusiasta. “Questa volta non falliremo. Non possiamo fallire.” I suoi occhi brillavano di malvagità. Si alzò in piedi e agitò un pugno nell’aria. “Questa volta, uccideremo Oliver Blue.”

CAPITOLO TRE

Lasciare la Scuola degli Indovini era sempre difficile per Oliver. Non solo perché significava lasciare lì amici e insegnanti che adorava, ma perché la scuola si trovava nel 1944, nel bel mezzo della guerra, e quindi andarsene era sempre pericoloso.

Accanto a sé sentiva Hazel fischiettare. Si voltò verso di lei e vide che si stava guardando attorno osservando le rumorose fabbriche dove si costruiva il necessario per la guerra. Le loro alte ciminiere rilasciavano sbuffi di fumo nell’aria. Zigzaganti scale antincendio in acciaio stavano addossare alle pareti posteriori. Grossi poster adornavano ogni edificio, spingendo gli uomini ad andare in guerra, con lo sfondo delle bandiere americane. Distinte auto nere che sembravano uscite da un film di gangster percorrevano le strade con i loro motori scoppiettanti.

“Mi ero dimenticata come fosse il mondo fuori dalla Scuola degli Indovini,” disse Hazel. “È passato così tanto tempo.”

Come il resto degli studenti, Hazel aveva abbandonato la sua vecchia vita per studiare e allenarsi per diventare un’indovina, per partecipare a importanti missioni viaggiando nel tempo e tenere in ordine la storia. Questa era la sua prima missione. Oliver capiva perché si sentisse tanto eccitata.

Walter si portò accanto a loro, camminando sul marciapiede mentre il traffico scorreva avanti e indietro.

“Dove andiamo adesso?” chiese.

Anche David camminava al loro fianco. Teneva a tracolla lo scettro: Oliver aveva pensato che avesse più senso che fosse il combattente a tenere l’arma, tra loro. Poteva vedere la sabbia che scorreva dentro al tubo cavo che c’era all’interno. Questo gli fece scattare dentro una scossa di panico, riconoscendo che il tempo stava passando.

“Dobbiamo trovare il portale,” disse Oliver con urgenza.

Rapidamente tirò fuori la sua bussola dalla tasca. Quel dispositivo speciale gli era stato donato dalla sua guida, Armando. Una volta era appartenuto ai suoi genitori. Insieme a un quaderno con i vecchi appunti di lezione di suo padre, era l’unico legame che aveva con loro. Lo aveva aiutato nella sua precedente missione e Oliver era certo che gli sarebbe stato di aiuto anche adesso. Anche se non li aveva mai incontrati, Oliver aveva come la sensazione che i suoi genitori fossero sempre lì a guidarlo.

I simboli, quando interpretati correttamente, gli mostravano il futuro. Poteva usare la bussola per arrivare al portale.

La osservò: la lancetta principale, la più grande di tutte, indicava direttamente il simbolo di una porta.

Era piuttosto semplice da capire, pensò Oliver. La loro impresa era di trovare il portale e quello era di certo rappresentato dal simbolo di una porta.

Ma dando un’occhiata alle altre lancette dorate, ciascuna che indicava simboli simili a geroglifici egizi, era un po’ più difficile capire il significato che la bussola stava tentando di trasmettergli. Un’immagine assomigliava a un ingranaggio. Un’altra pareva raffigurare un gufo. Un terzo simbolo era facilmente identificabile come un cane. Ma cosa significavano?

“Un ingranaggio. Un gufo. Un cane…” Oliver si mise a riflettere, e di colpo la soluzione si accese nella sua mente. Quando capì dove dovevano andare, sussultò. “La fabbrica!”

Se aveva letto correttamente la bussola, lo strumento lo stava indirizzando verso un posto che gli era decisamente familiare: la fabbrica di Armando Illstrom, la Invenzioni Illstrom.

La fabbrica non distava molto da lì. L’ingranaggio poteva rappresentare il macchinario al quale lavorava, il gufo gli uccelli meccanici che stavano appollaiati sulle travi e il cane poteva rappresentare Horatio, il fidato segugio del vecchio inventore.

Oliver non era sicuro di aver dato un’interpretazione corretta ai simboli, ma di certo sembrava plausibile che il portale si trovasse da qualche parte all’interno della fabbrica. Non poteva che sentirsi entusiasta alla prospettiva di rivedere il suo vecchio eroe. Gli sembrava fosse passato un sacco di tempo da quando aveva messo piede nella fabbrica della magia l’ultima volta.

“Da questa parte,” disse agli altri, indicando la direzione che sapeva portare all’edificio.

Si misero in cammino, passando oltre file e file di fabbriche di munizioni. Operai con tute marroni e beige entravano e uscivano dalle pesanti porte d’acciaio, molte donne tra loro. Ogni volta che si apriva una porta, il rumore di trapani, seghe e macchinari pesanti si faceva più intenso.

“Spero che Esther non stia soffrendo troppo,” disse Hazel mentre proseguivano.

Solo sentire il suo nome fece scorrere dei lampi di angoscia nello stomaco di Oliver.

“Ha chi si prende cura di lei,” rispose Walter. “L’ospedale alla Scuola degli Indovini è il migliore dell’universo.”

David si portò accanto a Oliver. Era più alto di lui di una spanna abbondante e si era raccolto i capelli scuri in una piccola coda sulla nuca. Con i suoi vestiti completamente neri e lo scettro a tracolla appoggiato alla schiena, assomigliava a una specie di ninja.

“Perché sei in questa missione insieme a me?” gli chiese Oliver.

Non appena ebbe pronunciato la domanda, si rese conto che il suo tono di voce era stato piuttosto brusco. Non era stata sua intenzione, era solo confuso. Portare uno sconosciuto in una missione aggiungeva alla cosa un sacco di ulteriore incertezza.

David si voltò a guardarlo con espressione neutra, mantenendosi serio. “Il professor Ametisto non te l’ha spiegato?”

Oliver scosse la testa. “Non proprio. Ha detto solo che sei un bravo combattente.”

David annuì lentamente. Il suo volto rimase impassibile, in un modo che ricordò a Oliver un soldato professionista. “Sono stato mandato con voi come tua personale guardia del corpo.”

Oliver sussultò. Guardia del corpo? Sapeva che andare in missione viaggiando nel tempo era rischioso, ma avere una guardia del corpo sembrava un po’ eccessivo.

“Perché ho bisogno di una guardia del corpo?” chiese.

David arricciò le labbra. “Non mi ha spiegato tutti i dettagli. Ma il professor Ametisto è stato piuttosto chiaro riguardo il mio compito per questa missione. Tienilo in vita. Fai ogni cosa, qualsiasi cosa sia necessaria.”

La sua spiegazione diede a Oliver ben poco conforto. Il professor Ametisto non lo aveva mai definito bisognoso di protezione extra, quindi perché ora sì? Cosa c’era di così pericoloso in questa missione in particolare?

E comunque chi era lui per mettere in discussione il modo in cui il preside agiva? Il professor Ametisto era l’indovino più potente di tutti, aveva centinaia di anni e aveva visto un sacco di linee temporali in gioco. Sapeva cos’era il meglio. E se lo strano militaresco David Mendoza era parte del suo piano, allora Oliver doveva accettarlo e basta.

Mentre percorrevano le strade, l’attenzione di Oliver fu attratta più e più volte dal tubo cavo all’interno dello scettro. La sabbia era già scorsa parecchio, indicando che il tempo stava già andando verso l’esaurimento. Il pensiero che il tempo di Esther stesse per scadere mandò una fitta di dolore nel cuore di Oliver, come una pugnalata.

Non c’era tempo da perdere. Doveva arrivare al portale.

Affrettò il passo.

Il cielo stava iniziando a scurirsi quando raggiunsero la strada lungo la quale si trovava la fabbrica. Ma prima che Oliver avesse la possibilità di dirigersi verso di essa, Hazel lo fermò posandogli delicatamente una mano sul braccio.

“Cosa c’è?” le chiese.

Hazel indicò la bussola che Oliver teneva in mano. “Le lancette sulla bussola. Sono cambiate di colpo.”

Accigliandosi Oliver si avvicinò il dispositivo agli occhi per poterlo studiare meglio.

Tutti gli si raccolsero attorno per poter guardare. Diverse lancette avevano cambiato posizione, anche se quella principale rimaneva ancora decisamente puntata verso la porta.

“Ci guida sempre verso il portale,” spiegò Oliver. “Ma pare che ci voglia portare da un’altra parte per raggiungerlo, adesso.”

Socchiuse gli occhi cercando di decifrare i simboli e ciò che ora gli stavano mostrando.

“Non capisco,” mormorò con frustrazione. “Ora sta indicando un albero, un muro di mattoni, una chiave e…” Ruotò la bussola per cercare di decifrare l’ultimo simbolo. “… un estintore?”

“Oh,” disse Hazel. “Intendi dire come quelli?”

Oliver alzò la testa di scatto e guardò ciò che Hazel stava indicando dall’altra parte della strada. Di certo lì c’era un estintore, posizionato davanti a una grossa quercia. Poco più indietro si trovava un alto muro di mattoni rossi. E nel muro era incastonata una vecchia porta di legno con una grossa serratura arrugginita.

Oliver iniziò a respirare a scatti. La bussola doveva averli portati in direzione della fabbrica, solo per condurli a un punto ben preciso.

“Pensi che quella porta sia il portale?” chiese Hazel.

Oliver si rimise la bussola in tasca. “C’è solo un modo per scoprirlo.”

Fece strada dall’altra parte della via e gli altri lo seguirono. Tutti fissarono la porta: aveva un aspetto del tutto normale. Nessun segno che indicasse che si trattava di un portale.

Walter provò ad abbassare la maniglia. “È chiusa a chiave.”

Allora Oliver ebbe un lampo di ispirazione. Ricordò il simbolo della chiave sulla bussola. Si accucciò guardando attraverso la serratura.

Dall’altra parte si trovava un roteante vortice viola e nero, con striature di luce bianca che ne attraversavano la superficie.

Scioccato, Oliver sussultò e fece un salto indietro, tanto violentemente da cadere quasi di schiena.

“Cos’hai visto?” chiese Hazel, afferrandolo per un braccio ed evitandogli di finire in terra.

Con la stessa rapidità David afferrò l’altro braccio.

“Un portale…” balbettò Oliver. “È il portale.”

Mentre David e Hazel aiutavano Oliver a riprendere l’equilibrio, Walter correva eccitato a guardare attraverso la serratura. Quando si girò a guardarli il suo volto era illuminato da un ampio sorriso.

“È pazzesco!” esclamò.

Era sempre il più entusiasta tra gli amici di Oliver, anche se con una certa indole per i pugni se perdeva la pazienza. Hazel era quella intelligente. Era stata lei ad aiutare Oliver a disinnescare la bomba atomica.

Hazel fu la successiva ad andare a guardare attraverso la serratura. Ma quando si girò la sua espressione era ben diversa da quella di Walter. “Ha un aspetto terrificante.”

Oliver annuì lentamente. Lui provava la stessa sensazione di Hazel. Le vorticanti luci viola e il lungo interminabile tunnel che si trovava oltre il buco della serratura era spaventoso oltre misura. Il pensiero di mettere piede là dentro lo terrorizzava. Ne aveva ormai attraversati tanti da sapere quanto particolare e spiacevole fosse viaggiarci attraverso. Ma sapeva anche di non avere altra scelta. Doveva essere coraggioso per Esther e per la scuola.

“Bene, come facciamo ad entrare?” chiese David, scuotendo la maniglia.

Diversamente dagli altri, non sembrava interessato a guardare attraverso la serratura per vedere il portale.

“Mi servono intenzioni pure,” spiegò Oliver. “Allora verrò connesso a qualsiasi luogo io debba raggiungere.” Guardò i suoi amici che stavano dietro di lui. “E poi voi tutti mi seguirete.”

Oliver sapeva che c’era un modo per assicurare che le sue intenzioni fossero pure. Guardò l’amuleto di sefora.

Sulla superficie della gemma nera e scintillante poteva vedere che Esther stava dormendo. Era carina come sempre. Ma sembrava seria e tesa, come se stesse soffrendo un dolore terribile.

Oliver si sentì il cuore in gola. Doveva salvarla.

“Sono pronto,” disse.

Afferrò la maniglia e la ruotò. Ma la porta era bloccata.

“Non ha funzionato!” disse.

Si sentì il petto di colpo pesante. Le sue intenzioni dopotutto non erano abbastanza pure? Il dubbio iniziò a insinuarsi in lui. Forse il professor Ametisto aveva fatto un errore mandando lui in quella missione. Forse dopotutto non possedeva un cuore sufficientemente puro.

“Fammi provare,” disse Hazel. “Esther è anche mia amica.”

Anche lei scosse la maniglia, ma la porta non si aprì.

Poi provò Walter, e pure lui fallì.

Oliver ormai si sentiva lo stomaco sotto ai piedi. Non potevano cadere così davanti al primo ostacolo!  E il tacito ticchettare dell’orologio nel tubo cavo dello scettro era un costante promemoria che il tempo di Esther era limitato, che dovevano correre per salvarla. Dovevano sbrigarsi.

In quel momento, David fece un passo avanti. Oliver sapeva che David, che non aveva alcun interesse per Esther – non avendola mai incontrata – non poteva assolutamente essere quello che avrebbe aperto la porta che dava accesso al portale. Ma non avevano altre opzioni, quindi tanto valeva che provasse anche lui.

David sembrava contemplativo mentre studiava la porta di legno che aveva davanti, piegando la testa a destra e poi a sinistra. Poi fece un paio di passi indietro, piantò un piede fermamente a terra e diede un pesante calcio alla porta con l’altro. Usò la forza di un lottatore di kickboxing.

Con sorpresa di tutti, la porta si spalancò.

Il portale si avvolse attorno a loro, rombando come un violento e turbolento uragano. Oliver sussultò mentre una potente folata di vento parve risucchiarlo all’interno.

Ma anche avendo l’accesso al portale, non riusciva a levarsi dalla mente la sensazione di essere un fallimento. Perché la porta non si era aperta davanti a lui? Perché con David sì?

Con i capelli che gli svolazzavano davanti agli occhi, si voltò a guardare il ragazzo che il professor Ametisto aveva mandato in quella missione con lui.

“Perché ha funzionato con te?” gli chiese, alzando la voce al di sopra del ruggito del vento.

“Perché ho pensato,” gridò in risposta David, “che se il portale ti porta dove devi andare solo con intenzioni pure, allora la sua porta si doveva aprire solo con una persona davvero intenzionata a sbloccarne la serratura. Tu sei del tutto concentrato su Esther, sulla destinazione. La mia concentrazione invece è quella di aiutarti in qualsiasi modo possibile. Quindi la mia pura intenzione è stata di aiutarti ad aprire la porta.”

Le sue parole colpirono Oliver in profondità. Quindi la sola intenzione di David in quella missione era di aiutarlo? La sua capacità di aprire la porta che dava accesso al portale aveva dato prova della sua lealtà. Ecco perché il professor Ametisto lo aveva mandato.

“Ora tocca a te, Oliver,” disse Hazel. “Tocca a te mostrare le tue vere intenzioni.”

Oliver capì e la motivazione gli scorse nelle vene mentre riprendeva l’amuleto e si concentrava sulla figura dormiente di Esther. Il cuore gli balzò in gola.

Il vento vorticò.

Oliver si girò a guardare i suoi amici. “O la va o la spacca.”

Poi saltarono.

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